Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 41, a. 3; q. 77, a. 5
Pare che i desideri non si dividano in naturali e non naturali.
1. Il desiderio, o concupiscenza, appartiene all'appetito animale, come si è detto [ a. 1, ad 3 ].
Ma l'appetito naturale si contrappone all'appetito animale.
Quindi nessun desiderio è naturale.
2. Una diversità materiale non determina diversità specifiche, ma solo numeriche, estranee a ogni disciplina.
Ora, se esistessero desideri naturali e non naturali, questi non potrebbero distinguersi tra loro se non in base ai vari oggetti desiderabili: si avrebbe cioè una differenza materiale e numerica.
Quindi non si devono distinguere i desideri in naturali e non naturali.
3. Alla natura si contrappone la ragione, come insegna Aristotele [ Phys. 2,5 ].
Se dunque nell'uomo ci fosse un desiderio, o concupiscenza, non naturale, esso dovrebbe essere razionale.
Ma ciò è impossibile, poiché la concupiscenza, essendo una passione, spetta all'appetito sensitivo e non alla volontà, che è l'appetito razionale.
Quindi non esistono concupiscenze non naturali.
Il Filosofo [ Ethic. 3,11; Reth. 1,11 ] afferma che tra i desideri del concupiscibile alcuni sono naturali e altri non naturali.
Come si è spiegato sopra [ a. 1 ], la concupiscenza è il desiderio del bene piacevole.
Ora, un oggetto può essere piacevole in due modi.
Primo, perché è conveniente alla natura dell'animale: come il cibo, la bevanda e simili.
E queste concupiscenze del dilettevole sono chiamate naturali.
- Secondo, una cosa può essere piacevole perché soddisfa l'animale secondo l'apprensione: p. es. la percezione di una cosa come buona e conveniente rende quest'ultima oggetto di piacere.
E il desiderio di questi ultimi oggetti viene detto non naturale, prendendo piuttosto il nome di cupidigia.
Perciò i primi, cioè i desideri naturali, sono comuni agli uomini e agli animali: poiché certe cose sono convenienti e piacevoli secondo natura per gli uni e per gli altri.
E in essi convengono anche tutti gli uomini: infatti il Filosofo [ Ethic. 3,11 ] chiama questi desideri « comuni e necessari ».
Invece i secondi desideri sono propri degli uomini, i quali hanno la facoltà di considerare buona e conveniente una cosa al di fuori delle necessità della natura.
Per cui il Filosofo [ Reth. 1,11 ] afferma che i primi sono « irrazionali », i secondi invece « uniti alla ragione ».
E poiché non c'è accordo quando diverse persone fanno uso del raziocinio, Aristotele [ Ethic. 3,11 ] chiama questi ultimi desideri « personali e aggiunti », cioè sovrapposti ai desideri naturali.
1. Ciò che forma l'oggetto dell'appetito naturale, mediante la conoscenza può divenire oggetto anche dell'appetito animale.
E per questo ci può essere concupiscenza animale del cibo, della bevanda e di cose consimili, che sono oggetto dell'appetito naturale.
2. La distinzione tra desideri naturali e non naturali non è soltanto materiale, ma in un certo senso è anche formale, in quanto procede dall'oggetto secondo la varietà del suo influsso sull'atto.
Ora, l'oggetto dell'appetito è il bene in quanto conosciuto.
Per cui la diversità della conoscenza dell'oggetto incide sull'influsso di esso: in quanto infatti l'oggetto è appreso come conveniente mediante la percezione diretta provoca i desideri naturali, che il Filosofo [ Reth., 11 ] chiama « irrazionali »; in quanto invece è appreso mediante una deliberazione produce i desideri non naturali, che Aristotele [ ib. ] definisce « uniti alla ragione ».
3. Nell'uomo non c'è soltanto la ragione universale della parte intellettiva, ma anche la ragione particolare [ la cogitativa ] della parte sensitiva, come si è spiegato [ I, q. 78, a. 4; q. 81, a. 3 ].
E in base a ciò il desiderio che accompagna la ragione può appartenere all'appetito sensitivo.
- Inoltre l'appetito sensitivo può essere mosso anche dalla ragione [ astratta e ] universale, mediante un'immaginazione particolare.
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