Summa Teologica - I-II |
In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 4, sol. 1; In 7 Ethic., lect. 11, 12; 10, lect. 1, 3, 4, 8
Pare che tutti i piaceri siano cattivi.
1. Ciò che distrugge la prudenza e ostacola l'uso della ragione è intrinsecamente cattivo: poiché il bene dell'uomo sta « nell'essere secondo la ragione », come dice Dionigi [ De div. nom. 4 ].
Ora, il piacere distrugge la prudenza e intralcia l'uso della ragione: e questo inconveniente cresce col crescere dei piaceri.
Cosicché « nei piaceri venerei », che sono i più forti, « è impossibile capire qualcosa », come nota Aristotele [ Ethic. 7,11 ].
E anche S. Girolamo [ cf. Orig., In Nm hom. 6 ] scrive che « nel tempo in cui si compie l'atto coniugale non viene data la presenza dello Spirito Santo, anche se fosse un profeta colui che attende al compito della generazione ».
Quindi il piacere è per se stesso cattivo, per cui tutti i piaceri sono cattivi.
2. Sembra che sia per se stesso cattivo, e da fuggirsi, ciò che viene evitato da chi è virtuoso, e cercato da chi è privo di virtù: poiché, come scrive Aristotele [ Ethic. 10,5 ], « l'uomo virtuoso è come la misura e la regola degli atti umani »; e l'Apostolo [ 1 Cor 2,15 ] afferma: « L'uomo spirituale giudica ogni cosa ».
Quindi, i piaceri sono cercati dai bambini e dalle bestie, dove non c'è virtù, mentre sono fuggiti dalle persone temperanti.
Quindi i piaceri sono essenzialmente cattivi e da fuggirsi.
3. Come scrive Aristotele [ Ethic. 2,3 ], « la virtù e l'arte hanno per oggetto il difficile e il bene ».
Ma nessun'arte ha per oggetto i piaceri.
Quindi il piacere non è una cosa buona.
Sta scritto [ Sal 37,4 ]: « Cerca il tuo piacere nel Signore ».
Quindi, siccome la parola di Dio non può indurci al male, è chiaro che non tutti i godimenti sono cattivi.
Come riferisce Aristotele [ Ethic. 10,1 ], alcuni ritenevano che tutti i piaceri fossero cattivi.
E il motivo di ciò sembra essere stato il fatto che essi rivolgevano la loro attenzione ai soli piaceri sensibili e corporali, che sono i più evidenti; del resto gli antichi filosofi non facevano distinzione neppure tra realtà sensibili e intelligibili, né tra senso e intelletto, come scrive lo stesso Aristotele [ De anima 3,3 ].
Ora, essi pensavano di dover affermare che tutti i piaceri sono cattivi affinché gli uomini, così proclivi ai piaceri smodati, astenendosi da essi potessero raggiungere il giusto mezzo della virtù.
- Ma questa valutazione non era giusta.
Siccome infatti nessuno può vivere senza certi piaceri sensibili e corporali, se coloro che insegnavano che tutti i godimenti sono cattivi fossero stati sorpresi mentre godevano di qualche piacere, gli altri uomini si sarebbero sentiti maggiormente spinti ai piaceri dal loro esempio, mettendone da parte l'insegnamento.
Infatti nelle azioni e nelle passioni umane, in cui l'esperienza ha un grande peso, gli esempi muovono più delle parole.
Perciò dobbiamo affermare che alcuni piaceri sono buoni e altri cattivi.
Infatti il piacere è la quiete di una facoltà appetitiva in un bene amato, a seguito di un'operazione.
Quindi la nostra affermazione può appoggiarsi su due motivi.
Il primo è desunto dal bene in cui ci si riposa col godimento.
p>Infatti in campo morale il bene e il male si desumono dall'accordo o dal disaccordo con la ragione, come sopra [ q. 18, a. 5 ] si è spiegato: nel modo stesso in cui nel campo fisico si parla di fatti naturali o innaturali in base alla concordanza o alla discordanza con la natura.Come dunque tra gli esseri fisici vi è una quiete naturale, che si attua in un luogo conforme alla natura, come quando un corpo grave riposa in basso, e vi è una quiete innaturale, che si attua in un luogo contrario alla natura, come quando un corpo grave riposa in alto, così anche in campo morale ci sono dei piaceri buoni, quando l'appetito superiore o inferiore si acquieta in ciò che è conforme alla ragione, e ci sono dei piaceri cattivi, quando esso si acquieta in ciò che contrasta con la ragione e con la legge di Dio.
Il secondo motivo è desunto dalle operazioni, delle quali alcune sono buone e alcune cattive.
Ora, alle operazioni sono più affini i piaceri, in quanto ad esse connessi, che non i desideri o concupiscenze, che le precedono nel tempo.
Dal momento quindi che i desideri sono buoni o cattivi a seconda delle operazioni che vengono desiderate, a più forte ragione la bontà o la malizia dei piaceri dipenderà dalla bontà o dalla malizia delle operazioni.
1. Non sono i piaceri annessi all'atto della ragione che sono ad essa di ostacolo e distruggono la prudenza, ma i piaceri estranei, cioè i piaceri del corpo.
E questi ostacolano l'uso della ragione, come si è detto [ q. 33, a. 3 ], sia per la contrarietà dell'appetito, che si acquieta in cose contrarie alla ragione, determinando un piacere moralmente cattivo, sia per un certo stordimento della ragione, come nel caso del rapporto coniugale in cui il piacere, sebbene conforme alla ragione, tuttavia ne impedisce l'uso, per l'alterazione fisiologica che lo accompagna.
Ma da ciò non deriva una malizia morale, come non è cattivo il sonno, che pure lega l'uso della ragione, quando viene preso a tempo debito: infatti la ragione comporta essa stessa queste interruzioni del proprio uso.
- Va detto però che questo legame della ragione nel piacere dell'atto coniugale, sebbene non sia moralmente cattivo, non essendo un peccato né mortale né veniale, deriva tuttavia da una malizia morale, cioè dal peccato del nostro progenitore: infatti nello stato d'innocenza esso non c'era, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 98, a. 2 ].
2. L'uomo temperante non evita tutti i piaceri, ma quelli smodati e non conformi alla ragione.
Il fatto poi che i bambini e le bestie cerchino i piaceri non dimostra che questi siano sempre cattivi: poiché in questi esseri Dio ha posto l'appetito naturale, che li spinge verso ciò che ad essi conviene.
3. L'arte non ha per oggetto tutti i beni, ma le opere esterne, come vedremo in seguito [ q. 57, a. 3 ].
Le operazioni invece e le passioni che si trovano in noi sono più oggetto della prudenza e della virtù che dell'arte; e tuttavia c'è qualche arte che ha per oggetto il piacere, cioè « l'arte del cuoco e del profumiere », come ricorda Aristotele [ Ethic. 7,12 ].
Indice |