Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 4, sol. 1; d. 27, q. 2, a. 3, ad 5; De Verit., q. 25, a. 4, ad 9; De Virt., q. 1, a. 5; a. 12, ad 10; q. 2, a. 2
Pare che la volontà non possa essere sede di alcuna virtù.
1. Non si richiede alcun abito per orientarsi verso ciò che conviene a una data facoltà in forza della sua natura.
Ora, essendo la volontà nella ragione, come afferma il Filosofo [ De anima 3,9 ], in forza della sua natura essa tende, come del resto tutte le virtù, verso ciò che è conforme alla ragione, poiché ogni essere desidera per natura il proprio bene: infatti, come scrive Cicerone [ De invent. 2,53 ], « la virtù è un abito connaturato, che si conforma alla ragione ».
Quindi la volontà non è sede di virtù.
2. Qualsiasi virtù o è intellettuale o è morale, come dice Aristotele [ Ethic. 1,13; 2,1 ].
Ora, le virtù intellettuali risiedono nell'intelletto e nella ragione, ma non nella volontà; le virtù morali invece risiedono nell'irascibile e nel concupiscibile, che sono potenze razionali per partecipazione.
Quindi nessuna virtù risiede nella volontà.
3. Tutti gli atti umani, ai quali le virtù sono ordinate, sono atti volontari.
Se dunque ci fosse una virtù nella volontà per alcuni atti umani, per lo stesso motivo bisognerebbe ammetterla per tutti.
Quindi o si dovranno escludere le virtù in tutte le altre facoltà, oppure al medesimo atto dovranno essere ordinate due virtù differenti: il che sembra inammissibile.
Quindi la volontà non può essere sede o soggetto di virtù.
Ciò che muove richiede una perfezione maggiore di ciò che subisce la mozione.
Ma la volontà muove l'irascibile e il concupiscibile.
Quindi la virtù deve trovarsi nella volontà più che nell'irascibile e nel concupiscibile.
L'abito ha il compito di predisporre la potenza all'operazione: perciò una potenza per ben operare ha bisogno di un abito, cioè di una virtù, quando a ciò non sia sufficiente la sua stessa natura.
Ora, la natura propria di ciascuna potenza si desume dall'oggetto.
Avendo quindi noi già dimostrato [ q. 19, a. 3 ] che l'oggetto della volontà è il bene di ordine razionale ad essa proporzionato, è chiaro che rispetto a tale bene la volontà non ha bisogno di essere predisposta da una virtù.
Se però un uomo è tenuto a volere un bene che supera le proporzioni del volente, o rispetto a tutta la specie umana, come il bene divino, che trascende i limiti della natura umana, o rispetto a un determinato individuo, come il bene del prossimo, allora la volontà ha bisogno di virtù.
Perciò le virtù che ordinano l'affetto dell'uomo verso Dio e verso il prossimo, come la carità, la giustizia e simili, hanno la loro sede nella volontà.
1. Il primo argomento è valido per le virtù che dispongono al bene proprio di colui che vuole, come la temperanza e la fortezza, che come si è visto [ I, q. 21, a. 1, ad 1; q. 59, a. 4, ad 3 ] hanno per oggetto le passioni umane o altre cose del genere.
2. Razionale per partecipazione non è soltanto l'irascibile o il concupiscibile, ma « tutto il genere appetitivo », come dice Aristotele [ Ethic. 1,13 ].
E nell'appetito è compresa anche la volontà.
Perciò ogni virtù che eventualmente ha sede nella volontà è una virtù morale, a meno che non sia teologale, come vedremo in seguito [ q. 58, a. 3, ad 3; q. 62, a. 3 ].
3. Alcune virtù sono ordinate ad assicurare un bene che consiste nella moderazione delle passioni, cioè un bene particolare e proprio di ciascuno: e da questo punto di vista non è necessario che vi siano delle virtù nella volontà, poiché a ciò basta la natura della potenza, come si è detto [ nel corpo ].
Rimangono però necessarie quelle virtù che sono ordinate a un bene che sorpassa quei limiti.
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