Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 1; In Is., c. 11; In Gal., c. 5, lect. 6
Pare che i doni non siano distinti dalle virtù.
1. Così S. Gregorio [ Mor. 1,27 ] commenta quel passo del libro di Giobbe [ Gb 1,2 ]: « Gli erano nati sette figli »: « Nascono a noi sette figli quando mediante la concezione di un pensiero buono sorgono in noi le sette virtù dello Spirito Santo ».
E riporta quel testo di Isaia [ Is 11,2s ]: « Su di lui si poserà lo spirito del Signore », ecc., in cui sono enumerati i sette doni dello Spirito Santo.
Quindi i sette doni dello Spirito Santo sono virtù.
2. S. Agostino [ De quaest. Evang. 1,8 ], spiegando quel testo evangelico [ Mt 12,45 ]: « Allora va a prendere sette altri spiriti », ecc., afferma: « I sette vizi sono contrari alle sette virtù dello Spirito Santo », cioè ai sette doni.
Ora, i sette vizi sono contrari alle virtù comunemente dette.
Perciò i doni non si distinguono dalle virtù comunemente dette.
3. Le cose che hanno l'identica definizione sono identiche realmente.
Ma la definizione della virtù si addice ai doni: infatti ogni dono è « una buona qualità dell'anima, mediante la quale si vive rettamente », ecc. [ cf. q. 55, a. 4 ].
E parimenti la definizione del dono si addice alle virtù infuse: infatti il dono, al dire del Filosofo [ Topic. 4,4 ], è « ciò che si dà senza restituzione ».
Quindi le virtù e i doni non si distinguono.
4. La maggior parte di ciò che viene enumerato fra i doni appartiene alle virtù.
Infatti, come sopra [ q. 57, a. 2 ] abbiamo detto, la sapienza, l'intelletto e la scienza sono virtù intellettuali; il consiglio poi appartiene alla prudenza, la pietà è una specie della giustizia e la fortezza è una virtù morale.
Perciò sembra che le virtù non siano distinte dai doni.
S. Gregorio [ l. cit. ] distingue i sette doni, che raffigura nei sette figli di Giobbe, dalle tre virtù teologali, che egli vede adombrate nelle tre figlie di Giobbe.
Inoltre [ Mor. 2,49 ] distingue i medesimi sette doni dalle quattro virtù cardinali, che secondo lui sono indicate dai quattro angoli della casa.
Se parliamo dei doni e delle virtù stando al significato del loro nome non vi troviamo alcuna opposizione reciproca.
Infatti la nozione di virtù è desunta dal fatto che essa potenzia l'uomo perché possa operare il bene, come si è già detto [ q. 55, aa. 3,4 ], mentre la nozione di dono è desunta dal rapporto con la causa da cui esso deriva.
Ora, nulla impedisce che quanto deriva da altri come dono sia un potenziamento di un dato essere sul piano operativo: specialmente se pensiamo che certe virtù sono infuse in noi da Dio, come si è visto [ q. 63, a. 3 ].
Perciò da questo lato i doni non si possono distinguere dalle virtù.
Per cui alcuni pensarono che i doni non dovessero venire distinti dalle virtù.
- Questi autori però devono sciogliere una non minore obiezioni: devono cioè spiegare come mai soltanto alcune virtù siano chiamate doni, e non tutte; e come mai siano computate fra i doni certe cose, come il timore, che non sono computate fra le virtù.
Perciò altri hanno affermato che i doni vanno distinti dalle virtù, ma non sono riusciti a trovare una causa plausibile della distinzione, cioè una qualità comune alle virtù e in nessun modo ai doni, o viceversa.
Infatti alcuni, considerando che fra i sette doni quattro appartengono alla ragione, cioè la sapienza, la scienza, l'intelletto e il consiglio, e tre alle potenze appetitive, cioè la fortezza, la pietà e il timore, sostennero che i doni rafforzerebbero il libero arbitrio in quanto facoltà della ragione, le virtù invece lo potenzierebbero in quanto facoltà della volontà: poiché per costoro due sole sarebbero le virtù della ragione o intelletto, cioè la fede e la prudenza, mentre le altre si troverebbero nelle potenze appetitive o affettive.
- Ma se questa distinzione avesse valore bisognerebbe che tutte le virtù si trovassero nelle potenze appetitive, e tutti i doni nella ragione.
Altri invece, considerando l'affermazione di S. Gregorio [ l. cit. nel s.c. ], per il quale « il dono dello Spirito Santo, che nell'anima a lui soggetta forma la temperanza, la prudenza, la giustizia e la fortezza, la difende poi con i sette doni contro le varie tentazioni », affermarono che le virtù sono ordinate a ben operare, i doni invece a resistere alle tentazioni.
- Ma questa distinzione non basta.
Poiché anche le virtù resistono alle tentazioni contrarie, che inducono al peccato: infatti ogni cosa per natura fa resistenza al suo contrario.
Il che è evidente specialmente nella carità, di cui sta scritto [ Ct 8,7 ]: « Le grandi acque non possono spegnere l'amore ».
Altri ancora, osservando che questi doni sono nominati dalla Scrittura [ Is 11,2s ] come esistenti in Cristo, sostennero che le virtù sarebbero ordinate semplicemente a ben operare, mentre i doni sarebbero ordinati a conformarci a Cristo, specialmente nelle sue sofferenze: poiché specialmente nella sua passione risplendettero tali doni.
- Ma anche questo non basta.
Poiché il Signore stesso ci esorta a imitarlo specialmente nell'umiltà e nella mansuetudine: « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore » [ Mt 11,29 ], e nella carità: « Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato » [ Gv 15,12 ].
E anche queste virtù rifulsero in maniera particolare nella passione di Cristo.
Per distinguere quindi i doni dalle virtù dobbiamo seguire il modo di esprimersi della Scrittura, dalla quale essi ci vengono presentati non sotto il nome di doni, ma piuttosto sotto quello di spiriti: così infatti si esprime Isaia [ Is 11,2s ]: « Su di lui si poserà lo spirito … di sapienza e di intelligenza », ecc.
Dalle quali parole si può capire facilmente che queste sette cose sono qui enumerate come conferite a noi per ispirazione divina.
Ora, l'ispirazione indica sempre una mozione dall'esterno.
Si deve infatti ricordare che nell'uomo si danno due princìpi di moto: il primo interiore, che è la ragione, il secondo esteriore, che è Dio, come si disse sopra [ q. 9, aa. 4,6 ]: e ciò è affermato anche dal Filosofo [ Ethic. Eudem. 7,14 ].
Ora, è evidente che quanto viene mosso deve essere proporzionato al suo motore; e la disposizione a essere ben mosso dal proprio motore è la perfezione del mobile come tale.
Perciò, quanto più alta è la causa movente, tanto più si esige che il soggetto mobile gli sia proporzionato con una disposizione più perfetta: vediamo infatti che più alta è la dottrina da apprendere e più perfettamente il discepolo deve essere preparato.
Ora, è evidente che le virtù umane potenziano l'uomo [ solo ] in quanto è fatto per assecondare la mozione della ragione nei suoi atti interni ed esterni.
Perciò è necessario che esistano nell'uomo perfezioni più alte, in modo che egli sia da esse predisposto alla mozione divina.
E queste perfezioni sono chiamate doni: non solo perché vengono infusi da Dio, ma anche perché da essi l'uomo viene disposto ad assecondare con prontezza le ispirazioni divine, secondo l'espressione di Isaia [ Is 50,5 ]: « Il Signore mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro ».
E il Filosofo stesso [ ib. ] notava che coloro i quali sono mossi per istinto divino non hanno bisogno di deliberare secondo la ragione umana, ma devono seguire l'istinto interiore: poiché sono mossi da un principio superiore alla ragione umana.
- E questa è la tesi di chi afferma che i doni abilitano l'uomo ad atti più nobili degli atti dovuti alle virtù.
1. I suddetti doni talora sono denominati virtù, secondo la nozione generica di virtù.
Essi però hanno delle particolarità superiori al concetto comune di virtù, per il fatto che sono delle virtù divine predisponenti l'uomo alla mozione di Dio.
Per cui lo stesso Filosofo [ Ethic. 7,1 ] al di sopra della virtù comune pone una virtù « eroica » o « divina », in forza della quale alcuni sono detti « uomini divini ».
2. I vizi in quanto contrastano col bene della ragione sono contrari alle virtù, ma in quanto contrastano con l'ispirazione divina sono contrari ai doni.
Infatti ciò che è contrario a Dio è contrario anche alla ragione, il cui lume deriva da Dio.
3. La definizione suddetta spetta alla virtù nella sua accezione comune.
Se quindi vogliamo restringere la definizione alle sole virtù in quanto distinte dai doni, diremo che l'espressione « mediante la quale si vive rettamente » va intesa della vita condotta secondo la regola della ragione.
- E parimenti possiamo dire che il dono, come distinto dalla virtù infusa, è quanto viene dato da Dio in ordine alla sua stessa mozione, cioè quanto rende l'uomo ben disposto a seguirne gli impulsi.
4. La sapienza è una virtù intellettuale in quanto procede da un giudizio della ragione, ma è un dono in quanto opera sotto l'ispirazione divina.
E lo stesso si dica degli altri doni.
Indice |