Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se sia giusto distinguere i peccati contrapponendo il veniale al mortale

Supra, q. 72, a. 5; In 2 Sent., d. 42, q. 1, a. 3; C. G., III, q. 139; De Malo, q. 7, a. 1

Pare che non sia giusto distinguere i peccati contrapponendo il veniale al mortale.

Infatti:

1. S. Agostino [ Contra Faustum 22,27 ] afferma: « Il peccato è una parola, un'azione o un desiderio contro la legge eterna ».

Ma l'opposizione alla legge di Dio fa sì che il peccato sia mortale.

Quindi ogni peccato è mortale.

Non è giusto quindi distinguere il peccato veniale dal mortale.

2. L'Apostolo [ 1 Cor 10,31 ] scrive: « Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio ».

Ora, chi pecca agisce contro questo precetto: infatti il peccato non viene commesso per la gloria di Dio.

Poiché dunque l'agire contro i precetti è peccato mortale, sembra che chiunque pecca, pecchi mortalmente.

3. Chi aderisce a una cosa vi aderisce o per fruirne o per usarne, come dimostra S. Agostino [ De doctr. christ., cc. 3,4 ].

Ma chi pecca non aderisce ai beni transitori per usarne: infatti non li indirizza al bene che ci rende beati, nel che consisterebbe propriamente l'uso, secondo lo stesso S. Agostino [ De doctr. christ., cc. 3,4 ].

Perciò chi pecca mira sempre a fruire dei beni transitori.

Ma « fruire delle cose da usare costituisce la perversità umana », come dice il medesimo Autore [ Lib. LXXXIII quaest. 30 ].

Siccome dunque la perversità sta a indicare il peccato mortale, sembra che chi pecca pecchi sempre mortalmente.

4. Chi si avvicina a uno dei termini, per ciò stesso si allontana dal suo contrario.

Ora, chi pecca si avvicina al bene transitorio.

Dunque si allontana dal bene indefettibile, per cui pecca mortalmente.

Non è quindi giusto distinguere il peccato veniale in opposizione al mortale.

In contrario:

S. Agostino [ In Ioh. hom. 41 ] insegna che « è crimine ciò che merita la dannazione, mentre è veniale ciò che non la merita ».

Ora, « crimine » sta per peccato mortale.

Quindi è giusto distinguere il peccato veniale in opposizione al mortale.

Dimostrazione:

Certi termini presi in senso proprio non sembrano opposti, mentre invece lo sono se presi in senso metaforico.

Ridere, p. es., non si contrappone a inaridirsi, se è preso in senso proprio; ma in quanto si dice metaforicamente del prato fiorito e verdeggiante rivela tale opposizione.

Parimenti, se si prende il termine mortale in senso proprio, esso non mostra alcuna opposizione a veniale [ perdonabile ], che non sembra appartenere neppure al medesimo genere.

Se però si prende il termine in senso metaforico, in quanto si riferisce ai peccati, allora si oppone a veniale.

Essendo infatti il peccato, come si è visto [ q. 71, a. 1, ad 3; q. 72, a. 5; q. 74, a. 9, ad 2 ], un'infermità dell'anima, un peccato viene detto mortale per analogia con le malattie, che si dicono mortali quando producono difetti irreparabili attraverso la distruzione di un principio vitale, secondo le spiegazioni date in precedenza [ q. 72, a. 5 ].

Ora, il principio della vita spirituale, impostata sulla virtù, è l'ordine al fine ultimo, come si è detto [ ib.; q. 87, a. 3].

Ordine, questo, che una volta distrutto non può essere riparato da un principio intrinseco, ma solo dalla virtù divina, come si è accennato sopra [ q. 87, a. 3 ]: poiché i disordini relativi ai mezzi si riparano col fine, come si ripara l'errore delle conclusioni mediante la verità dei primi princìpi.

Perciò la mancanza dell'ordine al fine ultimo non è riparabile con qualcosa di superiore: come neppure è riparabile l'errore relativo ai primi princìpi.

E così questi peccati vengono detti mortali, cioè irreparabili.

- Invece i peccati che implicano un disordine relativo ai mezzi, salvo l'ordine al fine ultimo, sono riparabili.

E si dicono veniali [ o perdonabili ]: infatti un peccato ottiene venia, o perdono, quando viene tolta l'obbligazione alla pena, che decade col cessare del peccato, come si è visto [ q. 87, a. 6 ].

Perciò veniale e mortale si contrappongono come riparabile e irreparabile.

Questo, però, sempre in rapporto ai princìpi intrinseci, non in rapporto alla virtù di Dio, che può sempre riparare qualsiasi malattia del corpo e dell'anima.

E così il peccato veniale si distingue giustamente in contrapposizione al mortale.

Analisi delle obiezioni:

1. La divisione del peccato in mortale e veniale non è la divisione di un genere nelle sue specie, che partecipano in modo uguale la natura del genere stesso, ma è la divisione di un termine analogico nei vari soggetti di cui viene predicato secondo una certa gradazione.

Perciò la nozione perfetta di peccato, indicata da S. Agostino, si addice al peccato mortale.

Invece il peccato veniale è peccato secondo una ragione imperfetta, e in ordine al peccato mortale: come l'accidente viene detto ente in ordine alla sostanza, secondo un'imperfetta ragione di ente.

Infatti il peccato veniale non è contro la legge di Dio: poiché chi pecca venialmente non fa ciò che la legge proibisce, e non tralascia ciò che essa comanda, ma agisce al di fuori della legge, non osservando la misura esatta che la legge intende stabilire.

2. Quel precetto di S. Paolo è affermativo: perciò non obbliga in ogni momento.

Quindi chi non riferisce attualmente tutto ciò che fa alla gloria di Dio, non pecca.

Basta dunque che uno ordini abitualmente se stesso e tutte le sue cose a Dio per non peccare mortalmente ogni qual volta non riferisce a Dio in modo attuale le proprie azioni.

Ora, il peccato veniale non esclude il riferimento abituale degli atti umani alla gloria di Dio, ma solo quello attuale: poiché non toglie la carità, che ordina a Dio in modo abituale.

Perciò non segue che pecchi mortalmente chi commette un peccato veniale.

3. Chi fa un peccato veniale non aderisce al bene transitorio per fruire di esso, in quanto non mette in esso il proprio fine, ma per usarne, riferendolo a Dio in modo non attuale, ma abituale.

4. Il bene transitorio non si contrappone al bene indefettibile se non quando uno costituisce in esso il proprio fine. Infatti i mezzi ordinati al fine non hanno ragione di fine.

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