Summa Teologica - II-II |
La minuziosa analisi di fra Tommaso non rinuncia mai a considerare l'uomo nella sua totalità, e per questo egli si mostra così preoccupato del suo radicamento carnale.
Creatura di Dio perfino in questa parte di se stesso che lo rende così vicino all'animale, è fino in questa parte di se stesso che l'uomo dev'essere evangelicamente trasformato se un giorno dovrà giungere alla somiglianza divina a cui è chiamato.
Il teologo però resterebbe a metà del suo compito se non si preoccupasse di spiegare le modalità di questo processo, così da proporre allo stesso tempo il percorso di questa trasformazione.
Forse è qui che incontreremo una delle parti più originali della teologia spirituale di fra Tommaso: la sua dottrina sulle virtù.446
Per esprimere il controllo che la persona umana deve acquisire sulle sue passioni, Tommaso parla normalmente dell'imperium ( precetto, comando ) esercitato su di esse dalla ragione e dalla volontà.
E questo un altro termine da ben comprendere poiché, perfino intesa nel modo in cui l'abbiamo appena definita, la ragione non esercita sulle potenze sensibili un potere assoluto.
Molte reazioni della sensibilità sfuggono al nostro controllo e il movimento dell'appetito sensibile può scatenarsi improvvisamente sotto la spinta di un'immagine o di una sensazione.
Anche ciò che, teoricamente, avrebbe potuto essere controllato se fosse stato previsto, può sfuggire di fatto al controllo della ragione - ne facciamo spesso l'esperienza -.
Tommaso ricorda qui il detto di Aristotele, suo maestro in questo campo: « Nei confronti del concupiscibile e dell'irascibile, la ragione non esercita un potere "dispotico", come quello del padrone sullo schiavo, ma un potere "politico", come quello che si rivolge agli uomini liberi non sottomessi totalmente al comando ».447
Per tradurre ciò in termini più vicini a quelli della psicologia moderna, si è proposto di parlare di un « desiderio riflesso » o di una « intelligenza desiderante », per caratterizzare la duplice impresa interattiva della ragione e della volontà sulle passioni.
L'imperium che ne deriva non bisogna intenderlo allora come un « comando » nel senso in cui lo intenderebbe una morale legalistica implicata dalla nozione del Dovere; si tratta piuttosto di armonizzare tutte le capacità di cui dispone l'essere umano.
« Esso esercita questa superiorità più come un maestro d'orchestra che come un poliziotto.
Quando san Tommaso parla dell'influenza della carità sulle altre capacità umane, parla d'attrazione ( De caritate 3, risp. et sol. 18 ) oppure di chiamata, di invito, di persuasione.
L'influenza dell'amore di carità si esercita come un addestramento dinamico, per far sì che le passioni siano attirate da sole da un bene che le supera.
In ogni modo, è tramite questa influenza del desiderio-riflesso che le passioni "partecipano alla ragione" ( sol. 2 ).
Perciò, per quanto complesso sia l'uomo, egli è uno, ed è così che costruisce la sua unità.
L'influenza del desiderio-riflesso non diventa costrizione che allorquando la sua persuasione si scontra con le passioni pervicaci ».448
Giustamente, questo testo sottolinea il ruolo fondamentale della carità nell'integrazione delle passioni alla vita morale del cristiano; inoltre, si sono riconosciuti qui gli stessi termini utilizzati in un capitolo precedente per parlare della mozione-attrazione dello Spirito Santo.
Questo significa arrivare subito alla radice esplicativa suprema; ma non sarebbe giusto se nei confronti della ricca complessità dell'essere umano e di quella dell'elaborazione tomasiana, si omettesse di precisare che questo controllo supremo della mente sulle passioni è in realtà il frutto di una lunga cristianizzazione, essa stessa accompagnata da una paziente umanizzazione.
Per questo non si ha carità senza le altre virtù, costituendo queste stesse virtù ciò che Tommaso chiama degli « abiti ».
Si vorrà scusarci se ritorniamo ancora su una piccola spiegazione tecnica; la sua utilità non tarderà a manifestarsi.
Come è risaputo, il termine latino habitus è la traduzione del greco exis, e significa qualcosa che si ha ( habere = avere ), una qualità del corpo o dell'anima, una disposizione della natura umana, capace di svilupparsi mediante l'uso che se ne fa.
Nelle nostre lingue moderne non abbiamo parole per esprimere esattamente questa nozione fondamentale; è necessario perciò mantenere « abito », anche se si eviterà di tradurlo con « abitudine », giacché quest'ultimo termine suggerisce piuttosto il contrario.
Mentre l'abitudine è un meccanismo fermo, incapace di rinnovarsi, l'abito è al contrario una capacità d'adattamento e di superamento sempre nuova, che perfeziona la facoltà in cui nasce e le dà una perfetta libertà di esercizio, fonte di un autentico diletto nell'agire.
L'abito è così il segno e l'espressione del pieno sviluppo della natura in una certa direzione.
Si parlerà quindi di abito a proposito della maestria di un artigiano o di un artista, la cui abilità tecnica confonde chi non la possiede; il termine però conviene anche per designare delle qualità proprie dell'intelligenza o della volontà.
La scienza è così un abito dell'intelligenza che procede dalla capacità propria dell'uomo di apprendere e di dominare progressivamente le conoscenze di un dato campo, sicché si qualificherà sapiente colui che possederà l'abito corrispondente a tale campo di sapere.
Ed egli sarà tanto più sapiente quanto più perfettamente lo possederà, potendo penetrare così, quasi giocando, in campi inaccessibili a coloro che non hanno quest'abito.
E proprio questa categoria che Tommaso impiega per spiegare quel che è una virtù.
Non è un peso imposto alla natura per domarla suo malgrado a forza di ordini e di precetti che essa non potrebbe che rifiutare, ma un perfezionamento supplementare che va nella linea del suo vero compimento in quanto, a causa della sua creazione da parte di Dio, la natura è già necessariamente orientata verso il bene.
Così mediante i suoi abiti virtuosi la persona è meglio ordinata verso la beatitudine che costituisce il suo fine ultimo.
Dedicandosi a modificare il suo agire, in particolare nel campo istintivo delle passioni le cui spinte divergenti rischiano di distruggerlo, l'uomo riprende così in sé l'opera di Dio per condurre a termine l'umanizzazione più perfetta possibile del suo essere mediante l'uso della sua libertà.
La natura umana non è pienamente se stessa se non dopo essere stata educata e questo si ottiene precisamente con l'impiego degli abiti buoni che chiamiamo « virtù ».449
Si comprende meglio allora la definizione che Tommaso riprende volentieri: la virtù è un abito operativo buono, che rende buono colui che lo possiede e buona l'opera che compie.450
Questa ripetizione insistente dello stesso aggettivo non è semplice ridondanza: quest'abito orientato verso l'azione ( operativo ) dev'essere buono, in quanto esistono abiti cattivi ( i vizi ); esso deve permettere di compiere un'opera tanto buona o bella quanto è possibile nel suo genere, poiché questa agilità superiore è legata alla nozione stessa di abito; la virtù però possiede in più la singolarità di rendere buono colui che l'esercita.
Quest'ultima caratteristica è essenziale per distinguere la virtù da ogni altro tipo di abito operativo.
Si capirà meglio stabilendo un parallelo tra l'arte e la virtù di prudenza; l'una e l'altra sono delle virtù dell'intelletto pratico e mirano a far esistere qualcosa.
L'arte è necessaria all'artigiano per realizzare una bella opera secondo i canoni dell'arte, la prudenza è necessaria all'uomo virtuoso per compiere una buona azione secondo la norma del Vangelo.
Sicché la loro definizione è quasi simile: l'arte è la retta ragione, la giusta regola delle opere da realizzare ( recta ratio factibilium ), la prudenza la retta ragione, la giusta regola degli atti umani da compiere ( recta ratio agibilium ).
Malgrado queste somiglianze, la differenza è enorme: « L'arte non è necessaria all'artigiano per "vivere bene", ma soltanto per forgiare una buona opera che duri.
Mentre la prudenza è necessaria all'uomo non solo per diventare buono ma anche per continuare a "vivere bene" ».451
Indice |
446 | Si vedrà un originale intervento sull'importanza di questa dottrina in Tommaso, e per la stessa vita morale in OH. PESCH, Tommaso d'Aquino. Limiti e grandezza della teologia medievale, « Strumenti 54 », Ed. Queriniana, Brescia 1994, cap X: « Tommaso sul sonno e il bagno. L'amore e le virtù »; dello stesso autore, lo studio di base resta: « Die bleibende Bedeutung der thomanischen Tugendlehre. Eine theologiegeschichtliche Meditation », FZPT 21 ( 1974 ) 359-391 ( versione abbreviata in francese: « La théologie de la vertu et les vertus théologales », Concilium, n. 211, 1987, 105-126 ). |
447 | I-II, q. 17, a. 7; cf. Aristotile, I. Politica V, 6 ( 1254 b 5 ); lungi dall'ignorare che le passioni possono anche resistere e diventare ostacoli, Tommaso al contrario ritorna spesso su di esse: oltre a I-II, q. 58, a. 2, che è il luogo più sviluppato, si può vedere I-II, q. 31, a. 5 ad 1; q. 34, a. 1 ad 1; q. 82, a. 4 ad 1, ed il Commento all'Etica a Nicomaco VII, 14 ( 1154 b 6-14 ), Leon., t. 47/2, pp. 437-438 |
448 | [ A. PLÉ, nota alla I-II, q. 24, THOMAS D'AQUIN, Somme théologique, Parigi 1984, t. 2, p. 182, n. 3. |
449 | Si possono avere anche degli abiti cattivi ( vizi, peccati abituali ) che, pur sviluppando nella loro propria linea l'abilità perfettiva implicata nella nozione di abito, si esercitano in una linea deviata rispetto al fine ultimo e quindi se ne allontanano. Possiamo lasciare qui da parte l'argomento, ma si gradirà forse conoscere il modo in cui questo aspetto delle cose è trattato nella Prima Secundae: dopo le passioni ( qq. 22- 48 ), viene il trattato degli abiti ( qq. 49-54 ), poi quello delle virtù ( qq. 55-70 ), e infine quello dei peccati ( qq. 71-89 ); sono questi che Tommaso chiama i principi "interni" dell'agire umano; egli conosce anche dei principi "esterni" che sono da una parte Dio stesso, che ci aiuta ad agire rettamente istruendoci mediante la legge ( qq. 90-108 ) e sostenendoci con la grazia ( qq. 109-114 ), dall'altra il diavolo, che spinge verso il male con la tentazione e di cui ha parlato altrove molto brevemente ( I, q. 114 ). |
450 | Cf. I-II, q. 55, a. 3 |
451 | I-II, q. 57, a. 5, ad 1 |