Summa Teologica - II-II |
Infra, a. 8, ad 2; a. 10; In 3 Sent., d. 34, q. 2, a. 2, sol. 3; De Verit., q. 14, a. 7, ad 2; q. 28, a. 4, ad 3
Pare che il timore servile non sia compatibile con la carità.
1. S. Agostino [ In I ep. Ioh. tract. 9 ] afferma che « quando subentra la carità viene espulso il timore, che le aveva preparato il posto ».
2. « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato », come dice S. Paolo [ Rm 5,5 ].
Ma come il medesimo afferma [ 2 Cor 3,17 ], « dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà ».
Dal momento quindi che la libertà esclude la schiavitù, è chiaro che il timore servile viene eliminato al sopraggiungere della carità.
3. Il timore servile è causato dall'amore di sé, in quanto la pena colpisce il bene proprio.
Ma l'amore di Dio esclude l'amore di sé: infatti fa disprezzare se stessi, come dimostra S. Agostino [ De civ. Dei 14,28 ], secondo il quale « l'amore di Dio fino al disprezzo di sé costruisce la città di Dio ».
Quindi l'infusione della carità elimina il timore servile.
Il timore servile è un dono dello Spirito Santo, come fu già notato sopra [ a. 4, s. c. ].
Ma i doni dello Spirito Santo non vengono eliminati dalla carità, mediante la quale egli viene ad abitare in noi.
Quindi il timore servile non viene escluso dall'infusione della carità.
Il timore servile è prodotto dall'amore di sé: essendo esso il timore della pena, che è una menomazione del proprio bene.
Perciò il timore della pena è compatibile con la carità come anche l'amore di sé: poiché è identico il motivo che spinge un uomo a desiderare il proprio bene e a temerne la privazione.
Ora, l'amore di se stessi può avere tre rapporti differenti con la carità.
Primo, può essere in opposizione con essa: nel caso, cioè, in cui uno mette nell'amore del proprio bene il suo fine ultimo.
Secondo, può essere incluso nella carità, in quanto uno ama se stesso in Dio e per Dio.
Terzo, può essere distinto dalla carità senza essere in opposizione con essa: come quando uno ama se stesso e i beni propri senza mettere in ciò il suo ultimo fine.
E così pure uno può avere un certo amore speciale verso il prossimo che non rientra nella carità, la quale è incentrata su Dio, in quanto ama il prossimo o per ragioni di consanguineità o per altri motivi umani, che sono però riferibili alla carità.
Così dunque anche il timore della pena può essere talora incluso nella carità: infatti essere lontani da Dio è una certa pena, che la carità massimamente aborrisce.
Per cui ciò è proprio del timore casto.
- In un altro modo invece il timore può essere contrario alla carità: quando cioè uno fugge la pena contrastante col proprio bene naturale come se fosse il primo dei mali, contrario al bene da lui amato come fine ultimo.
E in questo caso il timore della pena è incompatibile con la carità.
- Terzo, ci può essere un timore della pena che è essenzialmente distinto dal timore casto, in quanto cioè si teme il male della pena come nocivo al proprio bene e non perché separa da Dio; e tuttavia non si pone in questo bene il proprio fine, per cui non si teme quel male come il supremo dei mali.
E questo timore della pena è compatibile con la carità.
Ma questo timore non può dirsi servile [ in senso stretto ] se non quando la pena è temuta come il male supremo, secondo le spiegazioni date [ a. 2, ad 4; a. 4 ].
Perciò il timore in quanto servile non è compatibile con la carità; è invece compatibile con essa la sostanza del timore servile, come è compatibile con la carità l'amore di se stessi.
1. S. Agostino parla del timore in quanto servile.
E lo stesso si dica per le altre obiezioni.
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