Summa Teologica - II-II |
Pare che fare la guerra sia sempre un peccato.
1. Il castigo è inflitto solo per un peccato.
Ma il Signore minaccia un castigo a chi combatte [ Mt 26,52 ]: « Tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada ».
Perciò qualsiasi guerra è illecita.
2. Quanto si oppone ai precetti di Dio è peccato.
Ma combattere è contrario a un precetto di Dio, poiché sta scritto [ Mt 5,39 ]: « Io invece vi dico di non opporvi al malvagio »; e altrove [ Rm 12,19 ]: « Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina ».
Perciò la guerra è sempre un peccato.
3. Nulla è incompatibile con l'atto di una virtù all'infuori del peccato.
Ma la guerra è incompatibile con la pace.
Quindi la guerra è sempre un peccato.
4. L'esercitarsi in qualsiasi cosa lecita è sempre lecito: come è evidente nelle esercitazioni scientifiche.
Invece gli esercizi bellici che si fanno nei tornei sono proibiti dalla Chiesa: poiché chi muore in tali esercizi viene privato della sepoltura ecclesiastica.
Quindi la guerra pare essere un peccato puramente e semplicemente.
Scrive S. Agostino [ Epist. 138 ]: « Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi e di fuggire la milizia.
Invece fu loro detto [ Lc 3,14 ]: "Non fate violenza a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe".
Non viene quindi proibito il mestiere del soldato a coloro a cui viene comandato di accontentarsi della paga ».
Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose.
Primo, l'autorità del principe, per ordine del quale la guerra deve essere proclamata.
Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore.
E anche perché non appartiene a una persona privata il raccogliere la moltitudine, cosa indispensabile nelle guerre.
Siccome invece la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere il bene pubblico della città, del regno o della provincia a cui presiedono.
E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni quando puniscono i malfattori, secondo le parole dell'Apostolo [ Rm 13,4 ]: « Non invano l'autorità porta la spada: è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male », così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada della guerra.
Per cui ai principi viene anche detto nei Salmi [ Sal 82,4 ]: « Salvate il debole e l'indigente, liberatelo dalle mani dell'empio ».
Per cui S. Agostino [ Contra Faustum 22,75 ] scrive: « L'ordine naturale, adattato alla pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l'autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra ».
Secondo, si richiede una causa giusta: cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra.
Scrive perciò S. Agostino [ Quaest. in Iosue 10 ]: « Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: cioè nel caso in cui si tratti di debellare un popolo o una città che hanno trascurato di punire i delitti dei loro sudditi, o di restituire ciò che era stato tolto ingiustamente ».
Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: cioè che si miri a promuovere il bene e a evitare il male.
Per cui scrive ancora S. Agostino [ De civ. Dei 19,12 ]: « Presso i veri adoratori di Dio sono pacifiche anche le guerre, che vengono fatte non per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e soccorrere i buoni ».
Può infatti capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l'autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione.
Dice perciò S. Agostino [ Contra Faustum 22,74 ]: « La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra ».
1. Come dice S. Agostino [ Contra Faustum 22,70 ], « prende la spada colui che si arma per versare il sangue di qualcuno senza il comando o il permesso di alcun potere superiore o legittimo ».
Chi invece usa la spada con l'autorità del principe o del giudice, se è una persona privata, oppure per zelo della giustizia e quindi con l'autorità di Dio, se è una persona pubblica, non prende da se stesso la spada, ma ne usa per incarico di altri.
Quindi non merita una pena.
- Tuttavia anche quelli che usano la spada in modo peccaminoso non sempre sono uccisi di spada.
Essi però periscono sempre per la loro spada: perché se non si pentono sono puniti del peccato di spada per tutta l'eternità.
2. Come nota S. Agostino [ De Serm. Dom. in monte 1,19.56 ], tali precetti devono essere osservati sempre con le disposizioni interne: in modo cioè che uno sia sempre disposto a non resistere o a non difendersi quando ciò fosse doveroso.
Ma talora bisogna agire diversamente per il bene comune, e per il bene stesso di quelli contro cui si combatte.
S. Agostino [ Epist. 137,2 ] infatti scriveva: « Spesso bisogna adoperarsi non poco presso gli avversari per piegarli con benevola asprezza.
Infatti per colui al quale viene tolta la libertà di peccare è un bene essere sconfitto: poiché nulla è più infelice della felicità di chi pecca, la quale accresce un'iniquità degna di pena, mentre la cattiva volontà si rafforza come un nemico interiore ».
3. Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace.
Essi perciò sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore « non è venuto a portare sulla terra », come dice il Vangelo [ Mt 10,34 ].
Per cui scriveva S. Agostino a Bonifacio [ Epist. 189 ]: « Non si cerca la pace per fare la guerra, ma si fa la guerra per avere la pace.
Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere ».
4. Non tutti gli esercizi di guerra sono proibiti, ma solo quelli disordinati e pericolosi, che portano a uccidere e a depredare.
Ora, presso gli antichi le esercitazioni di guerra erano scevre da questi pericoli: perciò esse venivano chiamate « preparazioni di armi », oppure « guerre incruente », come risulta da San Girolamo in una delle sue lettere.
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