Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 66, a. 3, ad 3; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 3; De Verit., q. 5, a. 1
Pare che la prudenza prestabilisca il fine alle virtù morali.
1. La prudenza sta alle virtù morali come la ragione sta alle potenze appetitive, poiché la prudenza risiede nella ragione, mentre le virtù morali risiedono nell'appetito.
Ma la ragione prestabilisce il fine alla potenza appetitiva.
Quindi la prudenza prestabilisce il fine alle virtù morali.
2. L'uomo trascende gli esseri irrazionali per la ragione, mentre per il resto comunica con essi.
Perciò le altre facoltà dell'uomo stanno alla ragione come l'uomo sta alle creature irrazionali.
Ora, secondo Aristotele [ Polit. 1,3 ], l'uomo è il fine delle creature prive di ragione.
Quindi tutte le altre parti dell'uomo hanno il loro fine nella ragione.
Ma la prudenza, come si è visto [ a. 2, s. c.; a. 5, ob. 1 ], è la retta ragione delle azioni da compiere.
Quindi tutte le azioni da compiere sono ordinate alla prudenza come al loro fine.
E così questa prestabilisce il fine a tutte le virtù morali.
3. È proprio della virtù o dell'arte o della potenza a cui appartiene il fine comandare alle altre virtù o alle altre arti a cui appartengono i mezzi.
Ma la prudenza dispone delle altre virtù morali e le comanda.
Quindi essa ne prestabilisce il fine.
Il Filosofo [ Ethic. 6,12 ] insegna che « la virtù morale dà la rettitudine all'intenzione del fine, e la prudenza ai mezzi ordinati al fine ».
Perciò alla prudenza non spetta prestabilire il fine alle virtù morali, ma solo disporre i mezzi ordinati al fine.
Il fine delle virtù morali è il bene umano.
Ma il bene dell'anima umana consiste nell'essere conforme alla ragione, come spiega Dionigi [ De div. nom. 4 ].
Perciò è necessario che nella ragione preesistano i fini delle virtù morali.
Come quindi nella ragione speculativa ci sono dei princìpi per sé noti, di cui si occupa l'abito naturale dell'intelletto, e delle verità conosciute mediatamente, cioè le conclusioni, che formano l'oggetto della scienza, così nella ragione pratica preesistono alcuni dati quali princìpi noti per natura, e tali sono i fini delle virtù morali - poiché il fine nel campo pratico equivale ai princìpi nel campo speculativo, come sopra [ q. 23, a. 7, ad 2; I-II, q. 57, a. 4 ] si è visto -, e ci sono, sempre nella ragione pratica, certe conoscenze aventi il carattere di conclusioni: e tali sono i mezzi ordinati al fine, a cui giungiamo partendo dal fine stesso.
E queste conoscenze formano appunto l'oggetto della prudenza, la quale applica i princìpi universali alle conclusioni particolari riguardanti le azioni da compiere.
Perciò alla prudenza non spetta prestabilire il fine delle virtù morali, ma solo predisporre i mezzi in ordine al fine.
1. Alle virtù morali prestabilisce il fine la ragione naturale, denominata sinderesi, come si è visto nella Prima Parte [ q. 79, a. 12 ], e non la prudenza, per le ragioni esposte [ nel corpo ].
2. È così risolta anche la seconda obiezione.
3. Il fine appartiene alle virtù morali non perché esse lo prestabiliscano, ma perché esse tendono al fine prestabilito dalla ragione naturale.
E a raggiungerlo sono aiutate dalla prudenza, che prepara loro la via disponendo i mezzi opportuni.
Per cui risulta che la prudenza è superiore alle virtù morali e le comanda.
La sinderesi però muove la prudenza, come l'intelletto dei primi princìpi muove la scienza.
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