Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 75, a. 1; In Rom., c. 1, lect. 8
Pare che non sia lecito maledire nessuno.
1. Non è lecito trascurare il comando dell'Apostolo, nel quale, come egli stesso afferma [ 2 Cor 13,3 ], parlava Cristo medesimo.
Ora, egli ha ordinato [ Rm 12,14 ]: « Benedite e non maledite ».
Quindi non è lecito maledire nessuno.
2. Tutti sono tenuti a benedire Dio, secondo l'esortazione della Scrittura [ Dn 3,82 ]: « Benedite, figli dell'uomo, il Signore ».
Ora, da una stessa bocca, come dice S. Giacomo [ Gc 3,9ss ], non può procedere la benedizione di Dio e la maledizione dell'uomo.
Quindi a nessuno è lecito maledire una persona.
3. Chi maledice una persona mostra di desiderarne il male della colpa o della pena: poiché la maledizione si riduce a un'imprecazione.
Ora, non è lecito desiderare il male di nessuno: anzi, bisogna pregare perché tutti siano liberati dal male.
Quindi nessuno può lecitamente maledire.
4. Il diavolo per la sua ostinazione è immerso più di ogni altro nel male.
Eppure a nessuno è lecito maledire né il diavolo né se stesso, poiché sta scritto [ Sir 21,27 Vg ]: « Quando l'empio maledice il diavolo, maledice la propria anima ».
A più forte ragione quindi è proibito maledire un uomo.
5. Commentando quel passo dei Numeri [ Nm 23,8 ]: « Come maledirò se Dio non maledice? », la Glossa [ ord. di Orig. ] spiega: « Non ci può essere una causa giusta per maledire quando si ignora l'affetto di chi commette la colpa ».
Ma nessuno può conoscere l'affetto di un altro; e neppure conosce se è maledetto da Dio.
Perciò a nessuno è lecito maledire un uomo.
Nel Deuteronomio [ Dt 27,26 ] si dice: « Maledetto chi non mantiene in vigore le parole di questa legge ».
E anche di Eliseo [ 2 Re 2,24 ] si dice che maledisse i fanciulli che lo deridevano.
Maledire equivale a dire male.
Ora, una cosa può essere detta in tre modi.
Primo, sotto forma di enunciato: come quando ci si esprime col modo indicativo.
E allora maledire non è altro che riferire il male del prossimo: e ciò rientra nella detrazione.
Infatti i detrattori sono anche denominati maldicenti.
- Secondo, come causa determinante di quanto si dice.
E ciò spetta in maniera primaria e principale a Dio, il quale produsse tutto con la sua parola, secondo l'espressione dei Salmi [ Sal 33,9; Sal 148,5 ]: « Egli disse, e furono creati ».
Secondariamente però spetta anche agli uomini, i quali con i loro ordini muovono gli altri a compiere qualcosa.
E a questo scopo furono stabiliti i verbi al modo imperativo.
- Terzo, le parole possono esprimere il desiderio di quanto si dice.
E a ciò servono i verbi di modo ottativo.
Lasciando quindi da parte il primo tipo di maledizione, che si limita all'enunciazione del male, vanno considerati gli altri due.
E qui bisogna ricordare che il fare e il volere una data cosa vanno sempre insieme quanto a bontà e malizia, come sopra [ I-II, q. 20, a. 3 ] si è spiegato.
Perciò in questi due tipi di maledizione, imperativo e ottativo, il lecito e l'illecito seguono la stessa sorte.
Se uno infatti comanda o desidera il male altrui in quanto male, avendo di mira quasi il male stesso, allora la maledizione è illecita nell'uno e nell'altro senso.
E questa propriamente parlando è la vera maledizione.
- Se invece uno comanda o desidera il male altrui sotto l'aspetto di bene, allora la maledizione è lecita.
E non avremo una maledizione in senso assoluto, ma relativo: poiché l'intenzione principale di chi la pronunzia non è il male, ma il bene.
Ora, si può proferire il male sotto l'aspetto di bene in modo imperativo od ottativo in due modi.
Primo, sotto l'aspetto di cosa giusta.
E in questo senso il giudice maledice lecitamente colui al quale comanda di subire la giusta pena.
E così anche la Chiesa maledice coloro che meritano l'anatema; e anche i Profeti talora imprecano il male ai peccatori, quasi conformando la loro volontà alla divina giustizia ( sebbene queste imprecazioni possano essere intese anche come predizioni ).
- Talora invece il male viene proferito sotto l'aspetto di bene utile: come quando uno desidera una malattia o una contrarietà a un peccatore perché si ravveda, o almeno perché cessi di nuocere.
1. L'Apostolo proibisce la vera maledizione, che ha di mira il male.
2. Vale la stessa risposta.
3. Desiderare del male a una persona sotto l'aspetto di bene non è incompatibile con l'affetto con cui gli si desidera espressamente il bene, ma ha un'affinità con esso.
4. Nel diavolo bisogna distinguere la natura e la colpa.
La natura è buona, e viene da Dio: quindi non è lecito maledirla.
La colpa invece merita la maledizione, secondo le parole di Giobbe [ Gb 3,8 ]: « La maledicano quelli che imprecano al giorno ».
Ora, quando un peccatore maledice il diavolo per la sua colpa, per lo stesso motivo giudica se stesso degno di maledizione.
E in tal senso si può dire che maledice la propria anima.
5. Sebbene l'affetto di chi pecca non possa essere conosciuto direttamente, può tuttavia essere percepito da certi peccati esterni per i quali va inflitta una pena.
Parimenti, sebbene non si possa sapere chi sarà oggetto della maledizione di Dio nella riprovazione finale, tuttavia si può sapere chi lo è per il reato di una colpa presente.
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