Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 172, a. 5, ad 3; a. 6, ad 2; C. G., III, c. 154; De Verit., q. 12, a. 10, ad 7
Pare che le cose profeticamente conosciute o enunciate possano essere false.
1. La profezia, come sopra [ a. 3 ] si è visto, ha per oggetto i futuri contingenti.
Ma i futuri contingenti possono non avvenire: altrimenti sarebbero necessari.
Quindi la profezia può essere falsa.
2. Isaia [ Is 38,1 ] preannunziò profeticamente a Ezechia: « Disponi riguardo alla tua casa, perché morirai e non guarirai »; e invece dopo gli furono aggiunti quindici anni di vita [ cf. 2 Re 20,6; Is 38,5 ].
E in Geremia [ Ger 18,7s ] il Signore afferma: « Talvolta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di sradicare, di abbattere e di distruggere; ma se questo popolo, contro il quale avevo parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli ».
E ciò è evidente nel caso dei Niniviti, come risulta dal libro di Giona [ Gn 3,10 ]: « Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro, e non lo fece ».
Quindi nella profezia ci può essere il falso.
3. In una condizionale la cui protasi è assolutamente necessaria, anche l'apodosi deve essere necessaria in modo assoluto: poiché in una proposizione condizionale l'apodosi sta alla protasi come la conclusione alle premesse di un sillogismo; ora, da premesse necessarie non si può dedurre che una conclusione necessaria, come spiega Aristotele [ Anal. post. 1,6 ].
Ma se la profezia non potesse mai essere falsa, sarebbe vera questa condizionale: « Se una cosa è stata profetata, avverrà ».
Ora, qui la protasi è necessaria in senso assoluto, trattandosi di una cosa passata.
Quindi l'apodosi sarebbe necessaria in modo assoluto.
Ma ciò è insostenibile: poiché allora la profezia non avrebbe per oggetto fatti contingenti.
Quindi è falso che la profezia non possa mai contenere un errore.
Cassiodoro [ Exp. in Ps., Prol. ] afferma che « la profezia è un'ispirazione o una rivelazione divina che annunzia con immutabile verità gli eventi futuri ».
Ma la verità della profezia non sarebbe immutabile se questa potesse contenere un errore.
Quindi essa non può contenere alcun errore.
La profezia, come si è visto [ a. 2 ], è una certa conoscenza impressa nella mente del profeta da una rivelazione divina a modo di insegnamento.
Ora, la verità di una nozione è identica nel discepolo e nel maestro: poiché la conoscenza di chi impara riproduce quella di chi insegna; come nel mondo fisico la forma dell'essere generato riproduce la forma del generante.
E in questo modo anche S. Girolamo [ In Dn, su 2,10 ] afferma che la profezia « è un vestigio della prescienza divina ».
Perciò la verità della conoscenza e della predizione profetica è identica alla verità della cognizione divina, in cui non ci può essere errore, come si è visto nella Prima Parte [ q. 16, a. 8 ].
Quindi nella profezia non ci può essere alcun errore.
1. Come si è visto nella Prima Parte [ q. 14, a. 13 ], la certezza della prescienza divina non esclude la contingenza degli eventi futuri: poiché Dio li considera come presenti e già determinati in un dato modo.
Perciò neppure la profezia, che « della prescienza divina è un vestigio » o un'immagine partecipata, esclude con la sua immutabile verità la contingenza del futuro.
2. La prescienza divina vede gli eventi futuri sotto due aspetti: in se stessi, cioè in quanto li scorge come presenti, e nelle loro cause, cioè in quanto vede l'ordine delle cause ai loro effetti.
E sebbene i futuri contingenti, considerati in se stessi, siano del tutto determinanti, tuttavia considerati nelle loro cause non sono determinati così da non poter accadere diversamente.
Ora, questi due tipi di conoscenza, pur essendo sempre uniti nell'intelletto divino, non sempre sono abbinati nella rivelazione profetica: poiché l'influsso di una causa agente non sempre è adeguato alla sua virtù.
Perciò talora la rivelazione profetica è una partecipazione della prescienza divina nella sua funzione percettiva dei futuri contingenti come sono in se stessi.
E allora le predizioni si avverano come sono profetate, cioè come quella di Isaia [ Is 7,14 ]: « Ecco, la vergine concepirà ».
- Talora invece la predizione è una partecipazione della prescienza divina nell'atto di percepire l'ordine delle cause ai loro effetti.
E allora qualche volta le cose avvengono diversamente da come sono state profetizzate.
Tuttavia non c'è errore nella predizione: poiché il senso della profezia dice solo che la disposizione delle cause inferiori, sia fisiche che morali, è tale da produrre un dato effetto.
E così si spiegano sia le parole di Isaia: « Morirai e non guarirai », cioè: « le disposizioni del tuo corpo portano alla morte », sia le parole di Giona [ Gn 3,4 ]: « Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta », cioè: « i suoi demeriti esigono la sua distruzione ».
Si dice poi che Dio « si pente » in senso metaforico, in quanto cioè si comporta come uno che si pente: poiché egli « muta sentenza, ma non muta consiglio » [ cf. Glossa ord. su Is 38,1 ].
3. Essendo la verità della profezia identica a quella della prescienza divina, come si è detto [ nel corpo ], la condizionale: « Se una cosa è stata profetizzata, avverrà », è vera come quest'altra: « Se una cosa è stata prevista da Dio, avverrà certamente ».
Infatti nell'una e nell'altra proposizione è impossibile che la protasi non esista.
Per cui anche l'apodosi è necessaria, non però in quanto è una cosa futura rispetto a noi, ma in quanto è considerata come presente, cioè in quanto è oggetto della prescienza divina, secondo le spiegazioni date nella Prima Parte [ q. 14, a. 13, ad 2 ].
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