Summa Teologica - I |
Infra, q. 86, a. 4; In 1 Sent., d. 38, q. 1, a. 5; C. G., I, c. 67; De Verit., q. 2, a. 12; De Malo, q. 16, a. 7; Quodl., 11, q. 3; De rat. fidei, c. 10; Comp. Theol., c. 133; In 1 Periherm., lect. 14
Pare che la scienza di Dio non si estenda ai futuri contingenti.
1. Da una causa necessaria procede un effetto necessario.
Ma la scienza di Dio è causa di quanto egli conosce, come si è detto sopra [ a. 8 ].
Quindi, essendo essa necessaria, ne segue che gli esseri conosciuti sono anch'essi necessari.
E così la scienza di Dio non si estende ai contingenti.
2. In ogni proposizione condizionale, se la protasi è assolutamente necessaria, anche l'apodosi risulterà assolutamente necessaria.
Tra la protasi, infatti, e l'apodosi vi è lo stesso rapporto che tra i principi e le conclusioni; e d'altra parte da principi o premesse necessarie non segue se non una conclusione necessaria, come prova Aristotele [ Anal. post. 1,6 ].
Ora, siccome la scienza di Dio non ha per oggetto altro che il vero, è certa anche questa proposizione condizionale: se Dio ha saputo che tale cosa deve essere, essa sarà.
Ma quanto si dice nella protasi di questa condizionale è assolutamente necessario, sia perché è eterno, sia perché è espresso come passato.
Quindi anche ciò che è espresso nell'apodosi è assolutamente necessario.
Quindi tutto ciò che Dio sa è necessario.
E così la scienza di Dio non si estende ai contingenti.
3. Tutto ciò che Dio sa esiste necessariamente, poiché anche ciò che sappiamo noi [ con certezza scientifica ] esiste necessariamente; e d'altra parte la scienza di Dio è più certa della nostra.
Ma nessun futuro contingente ha un'esistenza necessaria.
Quindi nessun futuro contingente è conosciuto da Dio.
Di Dio sta scritto [ Sal 33,15 ]: « Lui che solo ha plasmato il loro cuore, e comprende tutte le loro opere », cioè degli uomini.
Ma le opere degli uomini sono contingenti, essendo sottomesse al libero arbitrio.
Quindi Dio conosce i futuri contingenti.
Avendo noi già dimostrato [ a. 9 ] che Dio conosce tutte le cose, non solo quelle che esistono attualmente, ma anche quelle che sono ancora potenzialmente in lui o nella creatura, ed essendo alcune di queste per noi futuri contingenti, ne segue che Dio conosce i futuri contingenti.
Per mettere in chiaro questo punto bisogna notare che un essere contingente può essere considerato in due maniere.
Prima di tutto in se stesso, come già in atto.
E così non è considerato futuro, ma presente: quindi non come indifferente verso due o più termini opposti, ma come determinato a uno solo.
Per questo motivo esso può essere oggetto di conoscenza certa così infallibilmente come se fosse oggetto del senso della vista: come quando, ad es., vedo Socrate che è a sedere.
In secondo luogo il futuro può essere considerato nella sua causa.
E così viene considerato come futuro, e come un contingente non ancora determinato in un dato senso: poiché la causa contingente è indifferente verso termini opposti.
E sotto questo aspetto il contingente non è oggetto di alcuna conoscenza certa.
Quindi chi conosce un effetto contingente soltanto nella sua causa non ha di esso che una conoscenza congetturale.
Ora, Dio conosce tutti i contingenti non solo in quanto esistono nella loro causa, ma anche in quanto ognuno di essi esiste effettuato in se medesimo.
E sebbene i contingenti si attuino uno dopo l'altro, pure Dio non li conosce in loro stessi, successivamente, come li conosciamo noi, ma tutti insieme.
Poiché la sua conoscenza, come anche il suo essere, ha per misura l'eternità e questa, esistendo tutta insieme, chiude nel suo ambito tutti i tempi, come fu dimostrato altrove [ q. 10, a. 2, ad 4 ].
Quindi tutte le realtà esistenti nel tempo sono presenti a Dio dall'eternità non solo perché egli ne ha presenti presso di sé i tipi ideali, come dicono alcuni, ma perché il suo sguardo si porta dall'eternità su tutte le cose in quanto sono presenti dinanzi a lui.
È dunque evidente che i contingenti sono conosciuti infallibilmente da Dio perché presenti al suo cospetto, e tuttavia rimangono ancora futuri e contingenti in rapporto alle loro cause [ prossime ].
1. Sebbene la causa suprema sia necessaria, tuttavia un effetto può essere contingente a motivo della contingenza della sua causa prossima: come la germinazione di una pianta è contingente per la sua causa prossima contingente, sebbene il moto del sole, che ne è la causa prima, sia necessario.
Parimenti le cose che Dio sa sono contingenti in confronto alle loro cause prossime sebbene la scienza di Dio, che ne è la causa prima, sia necessaria.
2. Alcuni rispondono che questa protasi: Dio ha conosciuto che tale contingente dovrà essere, non è necessaria, ma contingente perché, sebbene espressa al passato, tuttavia si riferisce al futuro.
- Ma ciò non le toglie la necessità: poiché ciò che ebbe una relazione col futuro non può non averla avuta, anche se questo futuro non si avvera.
Altri invece dicono che tale protasi è contingente, essendo un composto di necessità e di contingenza; come è contingente questa proposizione: Socrate è un uomo bianco.
Ma anche questa risposta non ha valore, poiché nella proposizione: Dio ha conosciuto il futuro avverarsi di questo contingente, il termine contingente non è che un complemento, e non è la parte principale della proposizione: quindi la contingenza, oppure la necessità, non influisce per nulla sul fatto che la proposizione sia necessaria o contingente, vera o falsa.
Così infatti può essere ugualmente vero che io abbia detto che l'uomo è un asino, o che Socrate corre, o che Dio esiste; e la stessa ragione vale per il necessario e il contingente.
Quindi bisogna dire che la protasi in discussione è necessaria assolutamente.
Secondo alcuni però non ne seguirebbe che anche l'apodosi sia necessaria in modo assoluto, poiché la protasi è causa remota dell'apodosi, la quale rimane contingente a motivo della sua causa prossima.
- Ma ciò non prova nulla.
Poiché sarebbe [ semplicemente ] falsa quella proposizione condizionale che avesse come protasi una causa remota necessaria e come apodosi un effetto contingente: p. es. se io dicessi: se il sole si leva, l'erba germoglierà.
Dobbiamo perciò rispondere diversamente, e dire che se nella protasi viene presentata una cosa come oggetto di un'operazione dell'anima, nell'apodosi essa non va presa nella sua esistenza oggettiva, ma come entità esistente nell'anima: poiché altro è l'essere della cosa in se stessa e altro l'essere della cosa nell'anima.
P. es. quando dico: se l'anima conosce una cosa, questa è immateriale, bisogna intendere che è immateriale in quanto esiste nella mente, non in quanto esiste in se stessa.
Parimenti quando dico: se Dio ha conosciuto una cosa, essa sarà, questa conseguenza deve intendersi in quanto la cosa è sottoposta alla scienza divina, cioè secondo che è presenzialmente in Dio.
E così è necessaria, come la protasi: « poiché tutto ciò che è, mentre è, è necessario che sia », come dice Aristotele [ Periherm. 1, 9 ].
3. Le cose che si attuano nel tempo sono da noi conosciute successivamente nel tempo, ma da Dio sono conosciute nell'eternità, che è al disopra del tempo.
Quindi i futuri contingenti non possono essere certi per noi, dato che li apprendiamo in quanto tali, ma soltanto per Dio, il quale conosce le cose nella eternità, al disopra del tempo.
Come chi va per una strada non vede coloro che gli vanno dietro, mentre uno che dall'alto di un monte abbraccia con lo sguardo tutto il percorso vede simultaneamente tutti quelli che vi camminano.
Quindi ciò che è conosciuto con certezza da noi bisogna che sia necessario anche considerato in se stesso, poiché delle cose che sono in se stesse futuri contingenti noi non possiamo avere certezza.
Le cose invece conosciute con certezza da Dio devono essere necessarie in quanto sono oggetto della scienza divina, come si è spiegato [ ad 1 ], ma prese in se stesse, in quanto considerate nelle loro proprie cause, non è necessario che lo siano.
- Perciò è anche invalso l'uso di distinguere questa proposizione: ogni cosa conosciuta da Dio è necessario che sia.
Infatti ci si può riferire alla cosa o all'asserzione.
Se ci si riferisce alla cosa, allora la proposizione è presa in senso diviso, ed è falsa, poiché significa: tutte le cose che Dio conosce sono necessarie.
Se invece ci si riferisce all'asserzione, allora la proposizione è presa in senso composto, ed è vera, poiché significa: questa affermazione: « ciò che Dio conosce esiste », è necessaria.
Ma alcuni fanno istanza, e dicono che questa distinzione ha luogo soltanto nelle forme separabili dal loro soggetto, per es. in questa proposizione: ciò che è bianco può essere nero.
Infatti ciò è falso se riferito all'asserzione, ma è vero se riferito alla cosa: poiché una cosa bianca può diventare nera, ma l'asserzione ciò che è bianco è nero non potrà mai essere vera.
Però nelle forme non separabili dal loro soggetto la suddetta distinzione non ha luogo: p. es., se io dico che un corvo nero può essere bianco, questo enunciato è falso in tutti e due i sensi.
Ora, l'essere conosciuta da Dio è una proprietà inseparabile della cosa, poiché ciò che da Dio è conosciuto non può non essere conosciuto.
- Ma questa istanza varrebbe se il termine conosciuto implicasse una qualche disposizione inerente al soggetto; poiché invece non implica se non l'atto di colui che conosce, allora alla cosa presa in se stessa, sebbene sia sempre conosciuta, può essere attribuito qualcosa che non le verrebbe attribuito precisamente in quanto oggetto di conoscenza: come alla pietra considerata in se stessa si attribuisce la materialità, che non le viene attribuita invece in quanto è intelligibile.
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