Summa Teologica - III

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Articolo 6 - Se i cattivi pecchino nell'amministrare i sacramenti

In 4 Sent., d. 5, q. 2, a. 2, sol. 4; d. 24, q. 1, a. 3, sol. 5

Pare che i cattivi non pecchino nell'amministrare i sacramenti.

Infatti:

1. Come si serve Dio con i sacramenti, così lo si serve con le opere di carità, secondo quelle parole della Scrittura [ Eb 13,16 ]: « Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, poiché di tali sacrifici Dio si compiace ».

Ma i cattivi non peccano servendo Dio con delle opere di carità, che anzi sono sempre da consigliarsi, poiché sta scritto [ Dn 4,24 ]: « Perciò, re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l'elemosina ».

Quindi i peccatori non peccano amministrando i sacramenti.

2. Chi partecipa al peccato altrui ne è anch'egli colpevole: poiché, come osserva S. Paolo [ Rm 1,32 ], « merita la morte sia chi compie azioni riprovevoli, sia chi approva colui che le fa ».

Ma se i cattivi peccano amministrando i sacramenti, coloro che da essi li ricevono sono partecipi del loro peccato.

Quindi peccano anch'essi.

Ma ciò pare inammissibile.

3. Nessuno deve essere messo in condizioni di perplessità, poiché si esporrebbe alla disperazione, trovandosi a non poter evitare il peccato.

Ma se i peccatori peccassero nell'amministrare i sacramenti, si troverebbero perplessi: poiché qualche volta peccherebbero non amministrandoli, p. es. quando incombe una necessità di ufficio, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 9,16 ]: « È un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo »; oppure per un pericolo imminente, come quando a un peccatore viene presentato per il battesimo un bambino che sta per morire.

Quindi i cattivi non peccano nell'amministrare i sacramenti.

In contrario:

Dionigi [ De eccl. hier. 1,5 ] afferma che « i peccatori non devono nemmeno toccare i simboli », cioè i segni sacramentali.

E ancora [ Epist. 8,2 ]: « Temerario si mostra il peccatore che accosta la mano ai riti sacerdotali, che osa senza vergogna compiere cose divine, lui che si è posto fuori della divinità, che crede nascoste a Dio le colpe da lui stesso viste dentro di sé, che pensa di ingannare Dio chiamandolo falsamente con il nome di padre, e ardisce pronunziare cristiformemente sui segni divini non delle preghiere, perché non le posso chiamare così, ma delle immonde parole ».

Dimostrazione:

Si pecca nell'agire « quando non si agisce come si deve », secondo l'espressione del Filosofo [ Ethic. 2, cc. 3,6 ].

Ora, come si è notato sopra [ a. 5, ad 3 ], è necessario che i ministri dei sacramenti siano santi perché devono assomigliare a Dio, secondo le parole del Levitico [ Lv 19,2 ] « Siate santi, perché io sono santo », e quelle dell'Ecclesiastico [ Sir 10,2 ]: « Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri ».

Quindi non c'è dubbio che i peccatori, mal presentandosi quali ministri di Dio e della Chiesa, nel conferire i sacramenti commettono peccato.

E poiché, per quanto dipende dal peccatore, si tratta di una irriverenza verso Dio e di una profanazione di cose sante, sebbene i sacramenti in se stessi siano incontaminabili, ne segue che questo peccato è nel suo genere mortale.

Analisi delle obiezioni:

1. Le opere di carità non sono delle realtà santificate da una consacrazione, ma appartengono alla santità della giustizia come sue parti.

Perciò l'uomo che serve Dio come ministro nelle opere di carità, se è in istato di grazia si santifica maggiormente, se invece è in peccato si dispone alla grazia.

I sacramenti invece hanno in se stessi una santità [ intrinseca ] in forza di una mistica consacrazione.

Per cui si esige nel ministro la santità della grazia, affinché egli non sia in contrasto con il suo ministero.

Chi dunque esercita un tale ministero in istato di peccato, agisce indegnamente e pecca.

2. Chi si accosta a ricevere i sacramenti, li riceve dal ministro della Chiesa non in quanto è quella data persona, ma in quanto è ministro della Chiesa.

Finché dunque la Chiesa lo tollera nel ministero, chi da lui riceve i sacramenti viene a comunicare non con il suo peccato, ma con la Chiesa che lo presenta come ministro.

Se invece la Chiesa non lo tollera degradandolo, scomunicandolo o sospendendolo, allora chi pretende di ricevere da lui i sacramenti pecca, poiché si rende partecipe del suo peccato.

3. Chi è in peccato mortale, se deve amministrare i sacramenti per ufficio non si trova necessariamente in istato di perplessità: può infatti pentirsi del suo peccato e amministrarli lecitamente.

Può invece accadere che sia veramente perplesso nell'ipotesi che voglia rimanere in istato di peccato.

Tuttavia non peccherebbe se battezzasse in un caso di necessità nel quale potrebbe battezzare anche un laico.

Poiché allora non si presenterebbe quale ministro della Chiesa, ma verrebbe in soccorso di chi è nel bisogno.

Diverso è invece il caso degli altri sacramenti, che non sono così necessari come il battesimo, come vedremo in seguito [ q. 65, aa. 3,4; q. 67, a. 3 ].

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