Il volto di Gesù nel suo mistero pasquale |
B295-A1
Dal libro "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI
Abbiamo dato questo titolo allo stralcio di tre riflessioni tratte dal libro " Gesù di Nazaret " di S.S. Benedetto XVI, edito recentemente da Rizzoli ( aprile 2007 ), per evidenziare come Papa Ratzinger ponga la percezione del volto di Gesù nel riferimento alla Pasqua, cioè alla sua passione, morte e risurrezione.
È innalzato sulla croce che Egli si rivela " il Cristo di Dio ", donando la sua vita nella pienezza di amore per il Padre e per ogni uomo.
Riteniamo che la pubblicazione di questi brevi passi sia altresì il modo migliore per presentare quest'ultima magistrale opera del Papa, e indurne alla lettura, per una piena e corretta conoscenza di Gesù, di tanto più necessaria nel nostro tempo in cui sul Redentore si è scritto da più parti, talora con superficialità ed erroneità sconcertanti.
[ … ] « Ma Gesù gli disse: Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia . Allora Giovanni acconsentì » ( Mt 3,15 ).
Il senso di questa risposta, che suona enigmatica, non è facile da decifrare.
In ogni caso nella parola árti - per ora - c'è una certa riserva: in una determinata situazione provvisoria vale un determinato modo di agire.
Per interpretare la risposta di Gesù è decisivo il significato che si attribuisce alla parola « giustizia »: si deve adempiere ogni « giustizia ».
Nel mondo in cui vive Gesù, « giustizia » è la risposta dell'uomo alla Torah, l'accettazione della piena volontà divina, è prendere su di sé « il giogo del regno di Dio », secondo la formulazione giudaica.
Il battesimo di Giovanni non è previsto dalla Torah, ma con la sua risposta Gesù lo riconosce come espressione del sì incondizionato alla volontà di Dio, come obbediente assunzione del suo giogo.
Poiché nella discesa in questo battesimo sono contenute una confessione di colpa e una richiesta di perdono per un nuovo inizio, vi è in questo sì alla piena volontà di Dio in un mondo segnato dal peccato anche un'espressione di solidarietà con gli uomini, che si sono resi colpevoli, ma tendono verso la giustizia.
Solo a partire dalla croce e dalla risurrezione l'intero significato di questo avvenimento è divenuto chiaro.
Scendendo nell'acqua, i battezzandi riconoscono i propri peccati e cercano di liberarsi dal peso di essere sottomessi alla colpa.
Che cosa ha fatto Gesù? Luca, che in tutto il suo Vangelo presta una viva attenzione alla preghiera di Gesù, e lo presenta costantemente come Colui che prega - in dialogo con il Padre -, ci dice che Gesù ha ricevuto il battesimo stando in preghiera ( Lc 3,21 ).
A partire dalla croce e dalla risurrezione divenne chiaro per i cristiani che cosa era accaduto: Gesù si era preso sulle spalle il peso della colpa dell'intera umanità; lo portò con sé nel Giordano.
Dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori.
Là inizia con l'anticipazione della croce.
Egli è, per così dire, il vero Giona, che aveva detto ai marinai: prendetemi e gettatemi in mare ( Gio 1,12 ).
Il significato pieno del battesimo di Gesù, il suo portare « ogni giustizia » si rivela solo nella croce: il battesimo è l'accettazione della morte per i peccati dell'umanità, e la voce dal cielo « Questi è il Figlio mio prediletto » ( Mc 3,17 ) è il rimando anticipato alla risurrezione.
Così si comprende il motivo per cui nei discorsi propri di Gesù la parola « battesimo » designa la sua morte ( Mc 10,38; Lc 12,50 ).
Solo a partire da qui si può capire il battesimo cristiano.
L'anticipazione della morte sulla croce, che era avvenuta nel battesimo di Gesù, e l'anticipazione della risurrezione, annunciata dalla voce dal cielo, ora sono diventate realtà.
Così il battesimo con acqua di Giovanni riceve pienezza di significato dal battesimo di vita e di morte di Gesù.
Accettare l'invito al battesimo significa ora portarsi al luogo del battesimo di Gesù e così nella sua identificazione con noi ricevere la nostra identificazione con Lui.
Il punto della sua anticipazione della morte è ora diventato per noi il punto della nostra anticipazione della risurrezione insieme con Lui.
Nella sua teologia del battesimo ( Rm 6 ), Paolo ha sviluppato questa relazione intrinseca senza parlare espressamente del battesimo di Gesù al Giordano.
[ …] ( cap. 1°, pagg. 37-39 )
[ … ] La tradizione ha individuato in un'altura a nord del lago di Genèsaret la montagna delle Beatitudini: chi vi è stato una volta e conserva impressa nell'anima l'ampia vista sulle acque del lago, il cielo e il sole, gli alberi e i prati, i fiori e il canto degli uccelli, non può dimenticare la meravigliosa atmosfera di pace, di bellezza della creazione, che ha incontrato in una terra purtroppo così tormentata.
Quale che fosse l'altura della « montagna delle Beatitudini » - essa era certo contraddistinta da un po' di questa pace e di questa bellezza.
La svolta dell'esperienza del Sinai, concessa a Elia, il quale aveva sentito il passaggio di Dio non nel vento impetuoso né nel terremoto né nel fuoco, ma in un dolce e leggero soffio ( 1 Re 19,1-13 ), trova qui il suo compimento.
La potenza di Dio si manifesta ora nella sua mitezza, la sua grandezza nella sua semplicità e vicinanza.
In realtà - non è meno abissale.
Ciò che prima si era espresso in vento impetuoso, terremoto e fuoco, prende ora la forma della croce, del Dio sofferente, che ci chiama a entrare in questo fuoco misterioso, il fuoco dell'amore crocifisso: « Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno … » ( Mt 5,11 ).
Di fronte alla potenza della rivelazione sul Sinai, il popolo si spaventò a tal punto che disse a Mosè: « Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo! » ( Es 20,19 ).
Ora Dio parla molto da vicino, da uomo agli uomini.
Ora scende fin nel profondo delle loro sofferenze, ma proprio anche questo avrà, e ha sempre di nuovo, la conseguenza che gli ascoltatori - ascoltatori che tuttavia si credono discepoli - dicono: « Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? » ( Gv 6,60 ).
Anche la nuova bontà del Signore non è acqua zuccherata.
Lo scandalo della croce è per molti più insopportabile di quanto lo era una volta il tuono del Sinai per gli israeliti.
Sì, essi avevano ragione a dire: se Dio parla con noi « moriremo » ( Es 20,19 ).
Senza un « morire », senza il naufragio di ciò che è soltanto nostro, non c'è comunione con Dio, non c'è redenzione.
Ce lo ha già mostrato la meditazione sul battesimo - il battesimo non è riducibile a semplice rito.
Abbiamo anticipato quanto solo nella riflessione sul testo può diventare pienamente evidente.
Dovrebbe essere ormai chiaro che il Discorso della montagna è la nuova Torah, portata da Gesù.
Mosè aveva potuto portare la sua Torah solo dall'immersione nell'oscurità di Dio sulla montagna; anche per la Torah di Gesù vengono previamente richieste l'immersione nella comunione con il Padre, le intime ascese della sua vita, che proseguono nelle discese nella comunione di vita e di sofferenza con gli uomini.
[ …] ( cap. 4, pagg. 89-91 )
[ … ] Se così ci è dato di interpretare tutte le parabole come inviti nascosti e multiformi a credere in Lui come al « regno di Dio in persona », si frappone sulla nostra strada una parola di Gesù a proposito delle parabole, che ci sconcerta.
Tutti e tre i sinottici raccontano che Gesù, ai discepoli che lo interrogavano sul significato della parabola del seminatore, avrebbe dapprima dato una risposta generale sul senso dell'annuncio in parabole.
Al centro di questa risposta di Gesù sta una parola di Isaia ( Is 6,9s ), che i sinottici riportano in diverse varianti.
Il testo di Marco secondo la traduzione accuratamente ponderata di Jeremias dice: « A voi [ cioè alla cerchia dei discepoli ] Dio ha concesso il segreto del regno di Dio; a quelli che sono di fuori tutto è misterioso, affinché essi ( come sta scritto ) "guardino, ma non vedano; ascoltino, ma non intendano; a meno che si convertano e Dio perdoni loro " » ( Mc 4,12; Jeremias, p. 11 ).
Che cosa significa tutto questo?
Le parabole del Signore servono forse a rendere inaccessibile il suo messaggio e a riservarlo solo a una piccola cerchia di prescelti per i quali è Lui stesso a interpretarlo?
Forse che le parabole non vogliono aprire, ma chiudere?
Dio è forse di parte, così da non voler il tutto - tutti - ma solo un'elite?
Se vogliamo comprendere questa misteriosa parola del Signore, dobbiamo leggerla a partire dal testo di Isaia che Egli cita e dobbiamo leggerla nella prospettiva della sua via personale di cui Egli conosce l'esito.
Con questa frase Gesù si colloca nella linea dei profeti - il suo destino è quello dei profeti.
Il testo di Isaia nel suo insieme è ancora molto più severo e impressionante dell'estratto citato da Gesù.
Nel Libro di Isaia si legge: « Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito » ( Is 6,10 ).
Il profeta fallisce: il suo messaggio contraddice troppo l'opinione comune, le abitudini correnti.
Solo attraverso il fallimento la sua parola diventa efficace.
Questo fallimento del profeta incombe come oscura domanda sull'intera storia di Israele e si ripete in certo qual modo di continuo nella storia dell'umanità.
È soprattutto sempre di nuovo anche il destino di Gesù Cristo: Egli finisce sulla croce.
Ma proprio dalla croce deriva la grande fecondità.
Ed ecco svelarsi qui, all'improvviso, anche il rapporto con la parabola del seminatore, che nei sinottici è il contesto in cui si trova tale parola di Gesù.
Colpisce quale importanza assuma l'immagine del seme nell'insieme del messaggio di Gesù.
Il tempo di Gesù, il tempo dei discepoli, è il tempo della semina e del seme.
Il « regno di Dio » è presente come un seme.
Il seme, visto dall'esterno, è una cosa piccola. Si può non vederlo.
Il granello di senape - immagine del regno di Dio - è il più piccolo di tutti i semi eppure contiene in sé un albero intero.
Il seme è presenza del futuro.
Nascosto dentro il seme c'è già quello che verrà.
É promessa già presente nell'oggi.
Il Signore ha riassunto le molteplici parabole dei semi la domenica delle Palme e ne ha svelato il pieno significato: « In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » ( Gv 12,24 ).
Egli stesso è il granello.
Il suo « fallimento » sulla croce è proprio la via per giungere dai pochi ai molti, a tutti: « Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me » ( Gv 12,32 ).
Il fallimento dei profeti, il suo fallimento, appare ora sotto un'altra luce.
É proprio la via per ottenere « che si convertano e Dio perdoni loro ».
É appunto il modo in cui ora a tutti vengono aperti gli occhi e gli orecchi.
Sulla croce le parabole vengono decifrate.
Dice il Signore nei discorsi d'addio: « Queste cose vi ho dette in similitudini [ in linguaggio velato ]; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre » ( Gv 16,25 ).
Così le parabole parlano in modo nascosto del mistero della croce; non solo ne parlano - ne sono esse stesse parte.
Infatti, proprio perché lasciano trasparire il mistero divino di Gesù, suscitano contraddizione.
Proprio laddove giungono all'estrema chiarezza, come nella parabola dei vignaioli omicidi ( Mc 12,1-12 ), si trasformano in stazioni sulla via verso la croce.
Nelle parabole, Gesù non è solo il seminatore che sparge il seme della parola di Dio, ma è seme che cade nella terra per morire e così dare frutto.
[ …] ( cap. 7, pagg. 225-227 )