Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri |
Nella sua Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, il Beato Giovanni Paolo II disegna l'identità del sacerdote: « I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito ».8
L'intera Chiesa è stata resa partecipe dell'unzione sacerdotale di Cristo nello Spirito Santo.
Nella Chiesa, infatti, « tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa ( cf. 1 Pt 2,5.9 ) ».9
In Cristo, tutto il suo Corpo mistico è unito al Padre per lo Spirito Santo, in vista della salvezza di tutti gli uomini.
La Chiesa, però, non può portare avanti da sola tale missione: l'intera sua attività necessita intrinsecamente della comunione con Cristo, Capo del suo Corpo.
Essa, indissolubilmente unita al suo Signore, da Lui stesso riceve costantemente l'influsso di grazia e di verità, di guida e di sostegno ( cf. Col 2,19 ), perché possa essere per tutti e per ciascuno « il segno e lo strumento dell'intima unione dell'uomo con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».10
Il sacerdozio ministeriale trova la sua ragion d'essere in questa prospettiva dell'unione vitale ed operativa della Chiesa con Cristo.
In effetti, mediante tale ministero, il Signore continua ad esercitare in mezzo al suo Popolo quella attività che soltanto a Lui appartiene in quanto Capo del suo Corpo.
Pertanto, il sacerdozio ministeriale rende tangibile l'azione propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo non si è allontanato dalla sua Chiesa, ma continua a vivificarla col suo perenne sacerdozio.
Per questo motivo, la Chiesa considera il sacerdozio ministeriale come un dono a Lei elargito nel ministero di alcuni suoi fedeli.
Tale dono, istituito da Cristo per continuare la sua missione di salvezza, fu conferito inizialmente agli Apostoli e continua nella Chiesa attraverso i Vescovi loro successori i quali, a loro volta, lo trasmettono in grado subordinato ai presbiteri, in quanto cooperatori dell'ordine episcopale; questa è la ragione per cui l'identità di questi ultimi nella Chiesa scaturisce dalla loro conformazione alla missione della Chiesa, la quale, per il sacerdote, si realizza, a sua volta, nella comunione con il proprio Vescovo.11
« Quella del sacerdote è, pertanto, un'altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l'abbiamo ricevuta in dono.
I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica ».12
Mediante l'ordinazione sacramentale, realizzata per mezzo dell'imposizione delle mani e della preghiera consacratoria da parte del Vescovo, si determina nel presbitero « un legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo Sommo Sacerdote e Buon Pastore ».13
L'identità del sacerdote, quindi, deriva dalla partecipazione specifica al Sacerdozio di Cristo, per cui l'ordinato diventa, nella Chiesa e per la Chiesa, immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Sacerdote, « una ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore ».14
Attraverso la consacrazione, il sacerdote « riceve in dono un "potere spirituale" che è partecipazione all'autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la Chiesa ».15
Questa sacramentale identificazione con il Sommo ed Eterno Sacerdote inserisce specificamente il presbitero nel mistero trinitario e, attraverso il mistero di Cristo, nella comunione ministeriale della Chiesa per servire il Popolo di Dio,16 non come un addetto alle questioni religiose, ma come Cristo, « che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti » ( Mt 20,28 ).
Non stupisce allora che « il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore » sia « la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero ».17
Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che ogni sacerdote è unico come persona, e possiede i propri modi di essere.
Ognuno è unico ed insostituibile.
Dio non cancella la personalità del sacerdote, anzi, la richiede completamente, desiderando servirsene – la grazia, infatti, edifica sulla natura – affinché il sacerdote possa trasmettere le verità più profonde e preziose tramite le sue caratteristiche, che Dio rispetta ed anche gli altri devono rispettare.
Il cristiano, per mezzo del Battesimo, entra in comunione con Dio Uno e Trino che gli comunica la propria vita divina per farlo diventare figlio adottivo nel suo unico Figlio; perciò è chiamato a riconoscere Dio come Padre e, tramite la filiazione divina, a sperimentare la provvidenza paterna che non abbandona mai i suoi figli.
Se questo è vero per ogni cristiano, è altrettanto vero che, in forza della consacrazione ricevuta col sacramento dell'Ordine, il sacerdote è posto in una particolare e specifica relazione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.
Infatti, « la nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre.
Al Figlio da lui mandato, Sacerdote Sommo e Buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo.
La vita ed il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo.
Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita ».18
L'identità, il ministero e l'esistenza del presbitero sono, dunque, essenzialmente relazionate con la Santissima Trinità, in vista del servizio sacerdotale alla Chiesa e a tutti gli uomini.
Il sacerdote, «come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo come origine permanente e sempre nuova della salvezza »,19 si trova inserito nella dinamica trinitaria con una particolare responsabilità.
La sua identità scaturisce dal ministerium verbi et sacramentorum, il quale è in relazione essenziale con il mistero dell'amore salvifico del Padre ( cf. Gv 17,6-9.24; 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1 ), con l'essere sacerdotale di Cristo, che sceglie e chiama personalmente il suo ministro a stare con Lui ( cf. Mc 3,15 ), e con il dono dello Spirito ( cf. Gv 20,21 ), che comunica al sacerdote la forza necessaria per dar vita ad una moltitudine di figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e incamminati verso il Regno del Padre.
Da ciò si percepisce la caratteristica essenzialmente relazionale ( cf. Gv 17,11.21 )20 dell'identità del sacerdote.
La grazia e il carattere indelebile conferiti con la sacramentale unzione dello Spirito Santo21 pongono dunque il sacerdote in relazione personale con la Trinità giacché costituisce la sorgente dell'essere e dell'agire sacerdotale.
Il Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis, sin dal suo esordio, sottolinea la relazione fondamentale tra il sacerdote e la Trinità Santissima, nominando distintamente le tre Persone divine: « La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all'ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo.
Per questo motivo il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell'iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, Capo della Chiesa.
[ … ] Pertanto, il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo ».22
Tale relazione, pertanto, deve essere necessariamente vissuta dal sacerdote in maniera intima e personale, in dialogo di adorazione e di amore con le Tre Persone divine, consapevole che il dono ricevuto gli è stato dato per il servizio di tutti.
La dimensione cristologica, come quella trinitaria, scaturisce direttamente dal sacramento che configura ontologicamente a Cristo Sacerdote, Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo.23
I presbiteri, inoltre, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo come collaboratori dei Vescovi: questa determinazione è propriamente sacramentale e perciò non può essere letta in chiave meramente "organizzativa".
A quei fedeli che, rimanendo innestati nel sacerdozio comune o battesimale, sono eletti e costituiti nel sacerdozio ministeriale, è data una partecipazione indelebile allo stesso ed unico sacerdozio di Cristo nella dimensione pubblica della mediazione e dell'autorità, riguardo alla santificazione, all'insegnamento e alla guida di tutto il Popolo di Dio.
Così, se, da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico sono necessariamente ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo, d'altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro e non solo di grado.24
In questo senso, l'identità del sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il Battesimo, partecipano già, nel loro insieme, all'unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra.25
La specificità del sacerdozio ministeriale, tuttavia, si definisce a partire non da una sua supposta "superiorità" nei confronti del sacerdozio comune, bensì dal servizio, che esso è chiamato a sviluppare a favore di tutti i fedeli, perché questi possano aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall'esercizio del sacerdozio ministeriale.
In questa sua specifica identità cristologica, il sacerdote deve aver coscienza che la propria vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e che questo lo impegna per intero nel ministero pastorale e dà senso alla sua vita.26
Questa coscienza della sua identità è di particolare importanza nell'attuale contesto culturale secolarizzato dove « il sacerdote appare "estraneo" al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini ( cf. Eb 5,1 ) ».27
7. Tale consapevolezza - fondata sul legame ontologico con Cristo - allontana da concezioni "funzionalistiche" che hanno voluto considerare il sacerdote soltanto quale operatore sociale o gestore di riti sacri « rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo »28 e riducono la vita del sacerdote a mero compimento di doveri.
Tutti gli uomini hanno un naturale anelito religioso, che li distingue da ogni altro essere vivente e che fa di loro cercatori di Dio.
Perciò, le persone cercano nel sacerdote l'uomo di Dio presso il quale scoprire la Sua Parola, la Sua Misericordia e il Pane dal cielo che « dà la Vita al mondo » ( Gv 6,33 ): « Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote ».29
Essendo conscio della sua identità, il sacerdote, davanti allo sfruttamento, alla miseria o all'oppressione, alla mentalità secolarizzata e relativista che mette in dubbio le verità fondamentali della nostra fede, o a tante altre situazioni della cultura post moderna, vedrà occasioni per esercitare il suo specifico ministero di pastore chiamato ad annunciare al mondo il Vangelo.
Il presbitero, « scelto fra gli uomini e per gli uomini, viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio » ( Eb 5,1 ).
Di fronte alle anime, egli annuncia il mistero di Cristo solo alla luce del quale viene compreso pienamente il mistero dell'uomo.30
Cristo associa gli Apostoli alla sua stessa missione.
« Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi » ( Gv 20,21 ).
Nella stessa sacra Ordinazione, è ontologicamente presente la dimensione missionaria.
Il sacerdote è scelto, consacrato ed inviato per rendere efficacemente attuale questa missione eterna di Cristo,31 di cui diventa autentico rappresentante e messaggero.
Non si tratta di una semplice funzione di rappresentanza estrinseca, bensì costituisce un vero strumento di trasmissione della grazia della Redenzione: « Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me.
E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato » ( Lc 10,16 ).
Si può quindi dire che la configurazione a Cristo, tramite la consacrazione sacramentale, definisce il sacerdote in seno al Popolo di Dio, facendolo partecipare in modo suo proprio alla potestà santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo, Capo e Pastore della Chiesa.32
Il sacerdote diventando più simile a Cristo è – grazie a Lui, e non da sé – collaboratore della salvezza dei fratelli: non è più lui che vive ed esiste, ma Cristo in lui ( cf. Gal 2,20 ).
Agendo in persona Christi Capitis, il presbitero diventa il ministro delle azioni salvifiche essenziali, trasmette le verità necessarie alla salvezza e pasce il Popolo di Dio, conducendolo verso la santità.33
Ma la conformazione del sacerdote a Cristo non passa soltanto attraverso l'attività evangelizzatrice, sacramentale e pastorale.
Essa si verifica anche nell'oblazione di sé e nell'espiazione, ossia nell'accettare con amore le sofferenze ed i sacrifici propri del ministero sacerdotale.34
L'Apostolo san Paolo ha espresso questa dimensione qualificante del ministero con la celebre espressione: « Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1,24 ).
Nell'Ordinazione presbiterale, il sacerdote ha ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che ha fatto di lui un uomo segnato dal carattere sacramentale per essere per sempre ministro di Cristo e della Chiesa.
Rassicurato dalla promessa per cui il Consolatore rimarrà con lui per sempre ( cf. Gv 14,16-17 ), il sacerdote sa che non perderà mai la presenza ed il potere efficace dello Spirito Santo, per poter esercitare il suo ministero e vivere la carità pastorale – fonte, criterio e misura dell'amore e del servizio – come dono totale di sé per la salvezza dei propri fratelli.
Questa carità determina nel presbitero il suo stesso modo di pensare, di agire e di comportarsi con gli altri.
È ancora lo Spirito Santo che, nell'Ordinazione, conferisce al sacerdote il compito profetico di annunciare e spiegare, con autorità, la Parola di Dio.
Inserito nella comunione della Chiesa con tutto l'ordine sacerdotale, il presbitero verrà guidato dallo Spirito di Verità, che il Padre ha mandato per mezzo di Cristo e che gli insegna ogni cosa, ricordando tutto ciò che Gesù ha detto agli Apostoli.
Pertanto il presbitero, con l'aiuto dello Spirito Santo e con lo studio della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce della Tradizione e del Magistero,35 scopre la ricchezza della Parola da annunciare alla comunità ecclesiale a lui affidata.
Il sacerdote è unto dallo Spirito Santo.
Questo comporta non solo il dono del segno indelebile conferito dall'unzione, ma il compito di invocare costantemente il Paraclito – dono del Cristo risorto – senza il quale il ministero del presbitero sarebbe sterile.
Ogni giorno il sacerdote chiede la luce dello Spirito Santo per imitare Cristo.
Mediante il carattere sacramentale e identificando la sua intenzione con quella della Chiesa, il sacerdote è sempre in comunione con lo Spirito Santo nella celebrazione della liturgia, soprattutto dell'Eucaristia e degli altri sacramenti.
Infatti, è Cristo che agisce a favore della Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo invocato nella sua potenza efficace dal sacerdote celebrante in persona Christi.36
La celebrazione sacramentale, pertanto, trae la sua efficacia dalla parola di Cristo che l'ha istituita e dalla potenza dello Spirito che la Chiesa invoca mediante l'epiclesi.
Ciò è particolarmente evidente nella Preghiera eucaristica, nella quale il sacerdote, invocando la potenza dello Spirito Santo sul pane e sul vino, pronunzia le parole di Gesù affinché si compia la transustanziazione del pane nel corpo "dato" di Cristo e del vino nel sangue "versato" di Cristo e si renda sacramentalmente presente il suo unico sacrificio redentore.37
È, infine, nella comunione dello Spirito Santo, che il sacerdote trova la forza per guidare la comunità a lui affidata e per mantenerla nell'unità voluta dal Signore.38
La preghiera del sacerdote nello Spirito Santo può modellarsi sulla preghiera sacerdotale di Gesù Cristo ( cf. Gv 17 ).
Egli, pertanto, deve pregare per l'unità dei fedeli affinché siano una cosa sola perché il mondo creda che il Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di tutti.
Cristo, origine permanente e sempre nuova della salvezza, è il mistero fontale da cui deriva il mistero della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa, chiamata dal suo Sposo ad essere segno e strumento di redenzione.
Per mezzo dell'opera affidata agli Apostoli e ai loro Successori, Cristo continua a dare vita alla sua Chiesa.
È in essa che il ministero dei presbiteri trova il suo locus naturale ed adempie la sua missione.
Attraverso il mistero di Cristo, il sacerdote, esercitando il suo molteplice ministero, è inserito nel mistero della Chiesa, la quale « prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo ».39
In tal modo, il sacerdote, mentre è nella Chiesa, si trova anche di fronte ad essa.40
L'espressione eminente di questa collocazione del sacerdote nella e di fronte alla Chiesa, è la celebrazione dell'Eucaristia dove « il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo ».41
Il sacramento dell'Ordine, infatti, fa partecipe il sacerdote non solo del mistero di Cristo Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in qualche modo, anche di Cristo « Servo e Sposo della Chiesa ».42
Questa è il « Corpo » di Lui, che l'ha amata e l'ama al punto da dare se stesso per lei ( cf. Ef 5,25 ); la rigenera e la purifica continuamente per mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti ( cf. Ef 5,26 ); si adopera per renderla sempre più bella (cf. Ef 5,27 ) e, infine, la nutre e la tratta con cura ( cf. Ef 5,29 ).
I presbiteri, che - collaboratori dell'Ordine Episcopale - costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio43 e partecipano, in grado subordinato, dell'unico sacerdozio di Cristo, in qualche modo partecipano pure, a somiglianza del Vescovo, a quella dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa che è bene significata nel rito dell'ordinazione episcopale con la consegna dell'anello.44
I presbiteri, che « nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande »,45 dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone viventi del Cristo Sposo, rendere operante la sua multiforme donazione alla sua Chiesa.
Chiamato con atto d'amore soprannaturale, assolutamente gratuito, il sacerdote ama la Chiesa come Cristo l'ha amata, consacrando ad essa tutte le sue energie e donandosi con carità pastorale fino a dare quotidianamente la sua stessa vita.
Il comando del Signore di andare a tutte le genti ( cf. Mt 28,18-20 ) costituisce un'altra modalità dello stare del sacerdote di fronte alla Chiesa.46
Inviato - missus - dal Padre per mezzo di Cristo, il sacerdote appartiene « in modo immediato » alla Chiesa universale,47 che ha la missione di annunziare la Buona Novella fino « ai confini della terra » ( At 1,8 ).48
« Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione, li prepara ad una vastissima e universale missione di salvezza ».49
Per l'Ordine ed il ministero ricevuto, infatti, tutti i sacerdoti sono associati al Corpo Episcopale e, in comunione gerarchica con esso, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa.50
Il fatto dell'incardinazione51 non deve rinchiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio dell'unica Chiesa di Gesù Cristo.
In questo senso, ciascun sacerdote riceve una formazione che gli permette di servire la Chiesa universale e non solo specializzarsi in un unico luogo o in un compito particolare.
Questa "formazione per la Chiesa universale" significa essere pronto ad affrontare le più varie circostanze, con la costante disponibilità a servire, senza condizioni, la Chiesa intera.52
Il presbitero, partecipe della consacrazione di Cristo, viene coinvolto nella sua missione salvifica secondo il suo ultimo comandamento: « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato » ( Mt 28,19-20; cf. Mc 16,15-18; Lc 24,47-48; At 1,8 ).
La tensione missionaria è parte costitutiva dell'esistenza del sacerdote - che è chiamato a farsi "pane spezzato per la vita del mondo" -, perché « la prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita.
Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore.
Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica ».53
« I presbiteri in forza del sacramento dell'Ordine sono chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza [ … ]" ( Presbyterorum Ordinis, 10 ).
Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo ».54
Questa esigenza della vita della Chiesa nel mondo contemporaneo dev'essere sentita e vissuta da ogni presbitero.
Per questo ogni sacerdote è chiamato ad avere spirito missionario, cioè uno spirito veramente "cattolico" che partendo da Cristo si rivolge a tutti perché « siano salvati e giungano alla conoscenza della verità » ( 1 Tm 2,4-6 ).
Perciò è importante che egli abbia piena coscienza di questa realtà missionaria del suo sacerdozio, e la viva in piena sintonia con la Chiesa che, oggi come ieri, sente il bisogno di inviare i suoi ministri nei luoghi dove più urgente è la loro missione, specialmente presso i più poveri.55
Da ciò deriverà anche una più equa distribuzione del clero.56
A questo proposito, bisogna riconoscere come questi sacerdoti che si rendono disponibili a prestare il loro servizio in altre diocesi o paesi siano un grande dono tanto per la Chiesa particolare dove sono stati inviati quanto per quella che li invia.
17. « Si verifica oggi, tuttavia, una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando missionario del Signore ( cf. Mt 28,19 ).
Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà.
Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà.
Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l'adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa ».57
Il Servo di Dio Paolo VI si rivolge anche ai sacerdoti nell'affermare: « Non sarà inutile che ciascun cristiano e ciascun evangelizzatore approfondisca nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che San Paolo chiamava "arrossire del Vangelo" ( cf. Rm 1,16 ) – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?
Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del Vangelo, vuole far germinare la semente; dipenderà da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto ».58
Mai come oggi, perciò, il clero deve sentirsi apostolicamente impegnato a unire tutti gli uomini in Cristo, nella sua Chiesa.
« Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale ».59
Non sono, pertanto, ammissibili tutte quelle opinioni che, in nome di un malinteso rispetto delle culture particolari, tendono a snaturare l'azione missionaria della Chiesa, chiamata a compiere lo stesso ministero universale, di salvezza, che trascende e deve vivificare tutte le culture.60
La dilatazione universale è intrinseca al ministero sacerdotale e pertanto irrinunciabile.
18. Dagli inizi della Chiesa, gli Apostoli hanno obbedito all'ultimo comandamento del Signore risorto.
Sulle loro orme, la Chiesa attraverso i secoli « evangelizza sempre e non ha mai interrotto il cammino dell'evangelizzazione ».61
Essa « tuttavia, si realizza diversamente, secondo le differenti situazioni in cui avviene.
In senso proprio c'è la "missio ad gentes" verso coloro che non conoscono Cristo.
In senso lato si parla di "evangelizzazione", per l'aspetto ordinario della pastorale ».62
L'evangelizzazione è l'azione della Chiesa che proclama la Buona Notizia in vista della conversione, dell'invito alla fede, dell'incontro personale con Gesù, del diventare un suo discepolo nella Chiesa, dell'impegnarsi a pensare come Lui, a giudicare come Lui e a vivere come Lui è vissuto.63
L'evangelizzazione comincia con l'annuncio del Vangelo e trova il suo ultimo compimento nella santità del discepolo che, quale membro della Chiesa, è diventato evangelizzatore.
In tale senso, l'evangelizzazione è l'azione globale della Chiesa, « il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini ».64
« Il processo evangelizzatore, di conseguenza, è strutturato in tappe o "momenti essenziali":
l'azione missionaria per i non credenti e per quelli che vivono nell'indifferenza religiosa;
l'azione catechetico-iniziatica per quelli che optano per il Vangelo e per quelli che necessitano di completare o ristrutturare la loro iniziazione;
e l'azione pastorale per i fedeli cristiani già maturi, nel seno della comunità cristiana.
Questi momenti non sono però tappe concluse: si reiterano, se necessario, giacché daranno l'alimento evangelico più adeguato alla crescita spirituale di ciascuna persona o della stessa comunità ».65
19. « Tuttavia osserviamo un processo progressivo di scristianizzazione e di perdita dei valori umani essenziali che è preoccupante.
Gran parte dell'umanità di oggi non trova nell'evangelizzazione permanente della Chiesa il Vangelo, cioè la risposta convincente alla domanda: Come vivere?
[ … ] Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a un cerchio determinato e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti ».66
Pur preoccupante, tale scristianizzazione non può portarci a dubitare circa la capacità del Vangelo di toccare il cuore dei nostri contemporanei: « Forse, qualcuno si domanderà se l'uomo e la donna della cultura postmoderna, delle società più avanzate, sapranno ancora aprirsi al kerigma cristiano.
La risposta deve essere positiva.
Il kerigma può essere compreso ed accolto da qualsiasi essere umano, in qualsiasi tempo o cultura.
Anche gli ambienti più intellettuali o quelli più semplici possono essere evangelizzati.
Dobbiamo, perfino, credere che anche i cosiddetti postcristiani possano, di nuovo, essere toccati dalla persona di Gesù Cristo ».67
Già Papa Paolo VI affermava che « le condizioni della società ci obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare come portare all'uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale soltanto egli può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana ».68
Il Beato Giovanni Paolo II ha così presentato il nuovo millennio: « Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza ».69
É quindi iniziata una "nuova evangelizzazione", la quale tuttavia non è una « rievangelizzazione »70 perché l'annuncio « è sempre lo stesso.
La croce sta alta sul mondo che volge ».71
É nuova in quanto « cerchiamo, oltre l'evangelizzazione permanente, mai interrotta, mai da interrompere, una nuova evangelizzazione, capace di farsi sentire da quel mondo, che non trova accesso all'evangelizzazione "classica" ».72
20. La nuova evangelizzazione fa riferimento, soprattutto73 ma non esclusivamente74, « alle Chiese di antica fondazione »,75 laddove sono tanti coloro che, « sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei sacramenti o persino la fede ».76
I sacerdoti hanno « il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio seguendo il mandato del Signore: "Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo a ogni creatura" ( Mc 16,15 ) ».77
Sono « ministri di Cristo Gesù fra le nazioni »,78 « debitori verso tutti, nel senso che a tutti devono comunicare la verità del Vangelo di cui il Signore li fa beneficiare »,79 tanto più quanto « il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio è quasi raddoppiato.
Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione ».80
Il Beato Giovanni Paolo II affermava solennemente: « Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione ad gentes.
Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli ».81
21. I sacerdoti impegnano tutte le loro forze per questa nuova evangelizzazione le quali caratteristiche sono state definite dal Beato Giovanni Paolo II: « nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni ».82
In primo luogo, « occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste.
Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: « Guai a me se non annunciassi il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 ) ».83
Infatti, « chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo ».84
Ad immagine degli Apostoli, lo zelo apostolico è frutto dell'esperienza sconvolgente che scaturisce dalla vicinanza con Gesù.
« La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi ».85
Il Signore non cessa di inviare il suo Spirito dalla cui forza dobbiamo lasciarci rigenerare in vista di quel « rinnovato slancio missionario, espressione di una nuova generosa apertura al dono della grazia ».86
« É essenziale ed indispensabile che il presbitero si decida, molto coscientemente e con determinazione, non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad "alzarsi ed andare" in cerca, prima di tutto, dei battezzati che, per motivi diversi, non vivono l'appartenenza alla comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo ».87
I sacerdoti si ricordino che non possono impegnarsi solo nella missione.
Quali pastori del loro popolo, formino le comunità cristiane alla testimonianza evangelica e all'annuncio della Buona Novella.
La « nuova missionarietà non potrà essere demandata ad una porzione di "specialisti", ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio.
[ … ] Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani ».88
La parrocchia non è soltanto luogo ove si fa la catechesi, essa è anche ambiente vivo che deve attuare la nuova evangelizzazione,89 concependosi in "missione permanente" ».90
Ogni comunità è ad immagine della stessa Chiesa, « chiamata, per sua natura, ad uscire da se stessa in un movimento verso il mondo, per essere segno dell'Emmanuele, del Verbo fattosi carne, del Dio con noi ».91
« Nella parrocchia i presbiteri avranno bisogno di convocare i membri della comunità, consacrati e laici, per prepararli adeguatamente ed inviarli in missione evangelizzatrice alle singole persone, alle singole famiglie, anche attraverso visite domiciliari, ed a tutti gli ambienti sociali che si trovano sul territorio ».92
Ricordandosi che la Chiesa è « mistero di comunione e di missione »,93 i pastori porteranno le comunità ad essere testimoni con la loro « fede professata, celebrata, vissuta e pregata »94 e con il loro entusiasmo.95
Papa Paolo VI esortava alla gioia: « Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo ».96
I fedeli hanno bisogno di essere incoraggiati dai loro pastori affinché non abbiano paura di annunciare la fede con franchezza, tanto più quanto chi evangelizza esperimenta che lo stesso atto missionario è fonte di rinnovamento personale: « La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni.
La fede si rafforza donandola! ».97
22. L'evangelizzazione è anche nuova nei suoi metodi.
Stimolato dall'Apostolo che esclamava: « guai a me se non annunciassi il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 ), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di trasmissione che le scienze e la tecnologia moderna gli offrono.98
Certamente non tutto dipende da tali mezzi o dalle capacità umane, giacché la grazia divina può raggiungere il suo effetto indipendentemente dall'opera degli uomini; ma, nel piano di Dio, la predicazione della Parola è, normalmente, il canale privilegiato per la trasmissione della fede e per la missione evangelizzatrice.
Egli saprà anche coinvolgere i laici nell'evangelizzazione tramite quei mezzi moderni.
In ogni caso, la sua partecipazione in questi nuovi ambiti dovrà riflettere sempre speciale carità, senso soprannaturale, sobrietà e temperanza, in modo tale da far sì che tutti si sentano attirati non tanto alla figura del sacerdote, quanto piuttosto alla Persona di Gesù Cristo nostro Signore.
23. La terza caratteristica della nuova evangelizzazione è la novità nella sua espressione.
In un mondo che cambia, la coscienza della propria missione di annunciatore del Vangelo, come strumento di Cristo e dello Spirito Santo, dovrà sempre più concretizzarsi pastoralmente in modo che il presbitero possa vivificare, alla luce della Parola di Dio, le diverse situazioni e i diversi ambienti nei quali svolge il suo ministero.
Per essere efficace e credibile è perciò importante che il presbitero – nella prospettiva della fede e del suo ministero – conosca, con costruttivo senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli intrecci culturali, le tipologie diffuse attraverso i mezzi di comunicazione che, in larga parte, condizionano le mentalità.
Saprà rivolgersi a tutti « senza mai nascondere le esigenze più radicali del messaggio evangelico, ma venendo incontro alle esigenze di ciascuno quanto a sensibilità e linguaggio, secondo l'esempio di Paolo, il quale affermava: "Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" ( 1 Cor 9,22 ) ».99
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha affermato che la Chiesa, « fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti.
E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione ».100
Nel rispetto dovuto al cammino sempre diversificato di ciascuna persona e nell'attenzione per le diverse culture in cui il messaggio cristiano deve essere calato, pur restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all'annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, il cristianesimo del terzo millennio porterà così il volto di tante culture, antiche e moderne, i cui specifici valori non sono rinnegati, ma purificati e portati alla loro pienezza.101
La vocazione pastorale dei sacerdoti è grande ed universale: essa è diretta verso tutta la Chiesa e, quindi, è anche missionaria.
« Normalmente, essa è legata al servizio di una determinata comunità del Popolo di Dio, in cui ognuno si aspetta attenzione, premura, amore ».102
Perciò il ministero del sacerdote è anche ministero di paternità.103
Attraverso la sua dedizione alle anime, tante sono generate alla vita nuova in Cristo.
Si tratta di una vera paternità spirituale come esclamava San Paolo: « Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo » ( 1 Cor 4,15 ).
Come Abramo, anche il sacerdote diventa « padre di molti popoli » ( Rm 4,18 ) e trova nella crescita cristiana che gli fiorisce intorno la ricompensa alle fatiche e sofferenze del suo quotidiano servizio.
Inoltre, anche sul piano soprannaturale, come su quello naturale, la missione della paternità non finisce con la nascita, ma si estende ad abbracciare tutta la vita:
« chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote.
Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote.
Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote.
E se quest'anima viene a morire [ per il peccato ], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace?
Ancora il sacerdote [ … ] dopo Dio, il sacerdote è tutto!
[ … ] Lui stesso non si capirà bene che in cielo ».104
I presbiteri fanno propria vita quelle parole vibranti dell'Apostolo: « Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! » ( Gal 4,19 ).
Così vivono con generosità, ogni giorno rinnovata, questo dono della paternità spirituale e ad essa orientano l'adempimento di ogni compito del loro ministero.
Un'ulteriore manifestazione del fatto che il sacerdote sta di fronte alla Chiesa è il suo essere guida che conduce alla santificazione dei fedeli affidati al suo ministero, che è essenzialmente pastorale, presentandosi però con quell'autorevolezza che affascina e rende credibile il messaggio ( cf. Mt 7,29 ).
Ogni autorità va, infatti, esercitata in spirito di servizio, come amoris officium e dedizione disinteressata per il bene del gregge ( cf. Gv 10,11; Gv 13,14 ).105
Questa realtà, da vivere con umiltà e coerenza, può essere soggetta a due opposte tentazioni.
La prima è quella di compiere il proprio ministero spadroneggiando sul gregge ( cf. Lc 22,24-27; 1 Pt 5,1-4 ) ; mentre la seconda tentazione è quella di vanificare, secondo una non corretta accezione di comunità, la propria configurazione a Cristo Capo e Pastore.
La prima tentazione è stata forte anche per gli stessi discepoli ed ha ricevuto da Gesù una puntuale e ripetuta correzione.
Quando questa dimensione viene meno, non è difficile cadere nella tentazione del "clericalismo" con un desiderio di spadroneggiare sui laici che genera sempre antagonismi fra i sacri ministri ed il popolo.
Il sacerdote non deve vedere il proprio ruolo ridotto a quello di un semplice dirigente.
Egli è il mediatore - il ponte -, colui, cioè, che dovrà sempre ricordare che il Signore e Maestro « non è venuto per farsi servire, ma per servire » ( Mc 10,45 ); che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli ( cf. Gv 13,5 ) prima di morire in Croce e prima di mandarli in tutto il mondo ( cf. Gv 20,21 ).
Così il presbitero, impegnato nella cura del gregge che appartiene al Signore, cercherà di « proteggere il gregge, di nutrirlo e condurlo a Lui, il vero Buon Pastore che desidera la salvezza di tutti.
Nutrire il gregge del Signore è pertanto ministero d'amore vigile, che esige totale dedizione fino all'esaurimento delle forze e, se necessario, al sacrificio della vita ».106
I sacerdoti daranno autentica testimonianza al Signore Risorto, al quale è stato dato « ogni potere in cielo e sulla terra » ( Mt 28,18 ), se lo eserciteranno nell'umile, quanto autorevole, servizio al proprio gregge107 e nel rispetto dei compiti che Cristo e la Chiesa affidano ai fedeli laici108 ed ai fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici.109
A volte succede che, per evitare questa prima deviazione, si cada nella seconda, che tende ad eliminare ogni differenza di ruolo fra i membri del Corpo di Cristo che è la Chiesa, negando in pratica la distinzione fra il sacerdozio comune o battesimale e quello ministeriale.110
Tra le diverse forme di questa negazione che oggi si notano, si trova il cosiddetto « democraticismo », che porta a non riconoscere l'autorità e la grazia capitale di Cristo presente nei ministri sacri e a snaturare la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo.
Giova ricordare a questo proposito che la Chiesa riconosce tutti i meriti e i beni che la cultura democratica ha portato con sé nella società civile.
D'altra parte, essa stessa si batte con tutti i mezzi a sua disposizione per il riconoscimento dell'uguale dignità di tutti gli uomini.
In base alla Rivelazione, il Concilio Ecumenico Vaticano II si è espresso apertamente circa la comune dignità di tutti i battezzati nella Chiesa.111
Tuttavia è necessario affermare che tanto questa uguaglianza radicale come anche la diversità di condizioni e compiti hanno come fondamento ultimo la natura stessa della Chiesa.
Essa, infatti, deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio e contempla se stessa come dono della benevolenza di un Padre, che l'ha liberata mediante l'umiliazione del suo Figlio sulla croce.
La Chiesa, pertanto, vuole essere – nello Spirito Santo – totalmente conforme e fedele alla volontà libera e liberante del suo Signore Gesù Cristo.
Questo mistero di salvezza fa sì che sia, per sua propria natura, una realtà diversa dalle società umane.
Di conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale e che tende
sia a confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici,
sia a non distinguere l'autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come collaboratori dei Vescovi,
sia a non dare il dovuto ascolto al Magistero universale, esercitato dal Romano Pontefice nella sua funzione primaziale voluta dal Signore.
Per molti versi, si tratta di un tentativo di trasferire automaticamente nella Chiesa la mentalità e la prassi esistenti in alcune correnti culturali socio-politiche del nostro tempo senza tener sufficientemente conto che essa deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio in Cristo.
Bisogna ricordare a questo proposito che tanto il presbiterio, come il consiglio presbiterale - istituto giuridico auspicato dal Decreto Presbyterorum Ordinis112 – non sono espressioni del diritto di associazione dei chierici e tanto meno possono essere intesi secondo visioni di stampo sindacalistico che comportano rivendicazioni e interessi di parte, alieni dalla comunione ecclesiale.113
La distinzione tra il sacerdozio comune o battesimale e quello ministeriale, lungi dal comportare separazione o divisione tra i membri della comunità cristiana, armonizza ed unifica la vita della Chiesa, perché « il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro ».114
Infatti, in quanto Corpo di Cristo, la Chiesa è comunione organica tra tutte le membra, in cui ciascuno serve alla vita dell'insieme se vive pienamente il proprio ruolo e la propria specifica vocazione ( cf. 1 Cor 12,12ss ).115
A nessuno, pertanto, è lecito cambiare ciò che Cristo ha voluto per la sua Chiesa.
Essa è indissolubilmente legata al suo Fondatore e Capo che è l'unico a donarle, tramite la potenza dello Spirito Santo, ministri al servizio dei suoi fedeli.
Al Cristo che chiama, consacra ed invia, tramite i legittimi Pastori, non può sostituirsi alcuna comunità che, pur in situazioni di particolare necessità, volesse darsi il proprio sacerdote in modo difforme dalle disposizioni della Chiesa: il sacerdozio è una scelta di Gesù e non della comunità ( cf. Gv 15,16 ).
La risposta per risolvere i casi di necessità è la preghiera di Gesù: « Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! » ( Mt 9,38 ).
Se a questa preghiera fatta con fede si unirà l'intensa vita di carità della comunità, allora saremo certi che il Signore non mancherà di dare pastori secondo il suo cuore ( cf. Ger 3,15 ).116
28. Occorre anche, per salvaguardare l'ordine stabilito dal Signore Gesù, evitare la cosiddetta "clericalizzazione" del laicato,117 che tende a comprimere il sacerdozio ministeriale del presbitero, al quale solo, dopo il Vescovo, e in virtù del ministero sacerdotale ricevuto con l'ordinazione, si può attribuire in modo proprio ed univoco il termine di « pastore ».
La qualifica di « pastorale », infatti, si riferisce alla partecipazione al ministero episcopale.
Alla luce di quanto già detto sulla identità, la comunione del sacerdote si realizza innanzitutto con il Padre, origine ultima di ogni potestà; con il Figlio, alla cui missione redentrice partecipa; e con lo Spirito Santo, che gli dona la forza per vivere e realizzare quella carità pastorale che, come « principio interiore e virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero »,118 lo qualifica sacerdotalmente.
Una carità pastorale che, lungi da essere ridotta a un insieme di tecniche e metodi diretti all'efficienza funzionale del ministero, fa riferimento piuttosto alla natura propria della missione della Chiesa finalizzata alla salvezza dell'umanità.
Infatti, « non si può allora definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa come segno e strumento, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».119
Da questa fondamentale unione-comunione con Cristo e con la Trinità deriva, per il presbitero, la sua comunione-relazione con la Chiesa nei suoi aspetti di mistero e di comunità ecclesiale.120
Concretamente, la comunione ecclesiale del presbitero si realizza in diversi modi.
Con l'ordinazione sacramentale, infatti, egli entra in speciali legami con il Papa, con il Corpo episcopale, con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri, con i fedeli laici.
La comunione, come caratteristica del sacerdozio, si fonda sull'unicità del Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, che è Cristo.121
In tale comunione ministeriale prendono forma anche alcuni precisi vincoli in relazione anzitutto con il Papa, con il Collegio Episcopale e con il proprio Vescovo.
« Non si dà ministero sacerdotale se non nella comunione con il Sommo Pontefice e con il Collegio Episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi "il filiale rispetto e l'obbedienza" promessi nel rito dell'ordinazione ».122
Si tratta, dunque, di una comunione gerarchica, cioè di una comunione in quella gerarchia così come questa è strutturata al suo interno.
In virtù della partecipazione, in grado subordinato ai Vescovi - che sono investiti di potestà « propria, ordinaria, e immediata, quantunque il loro esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa »123 -, nell'unico sacerdozio ministeriale, tale comunione implica anche il vincolo spirituale ed organico-strutturale dei presbiteri con tutto l'ordine dei Vescovi e col Romano Pontefice.
Ciò viene rafforzato dal fatto che tutto l'ordine dei Vescovi nel suo insieme ed ogni singolo Vescovo debbono essere nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio.124
Tale Collegio, infatti, è costituito solo dai Vescovi consacrati che sono nella comunione gerarchica col Capo e con i membri di esso.
La comunione gerarchica si trova espressa significativamente nella Prece eucaristica, quando il sacerdote, nel pregare per il Papa, per il Collegio Episcopale e per il proprio Vescovo, non esprime soltanto un sentimento di devozione, ma testimonia l'autenticità della sua celebrazione.125
La stessa concelebrazione eucaristica, nelle circostanze e condizioni previste,126 quando è presieduta dal Vescovo e con la partecipazione dei fedeli, manifesta l'unità del sacerdozio di Cristo nella pluralità dei suoi ministri, nonché l'unità del sacrificio e del Popolo di Dio.127
Essa, inoltre, concorre a consolidare la fraternità ministeriale esistente tra i presbiteri.128
Ogni presbitero abbia un profondo, umile e filiale legame di obbedienza e di carità con la persona del Santo Padre ed aderisca al suo ministero petrino di magistero, di santificazione e di governo, con docilità esemplare.129
Anche l'unione filiale con il proprio Vescovo, è condizione indispensabile per l'efficacia del proprio ministero sacerdotale.
Per i pastori più esperti è facile constatare la necessità di evitare ogni forma di soggettivismo nell'esercizio del sacro ministero e di aderire corresponsabilmente ai programmi pastorali.
Tale adesione, che comporta il procedere d'accordo con la mente del Vescovo, oltre ad essere espressione di maturità, contribuisce ad edificare quell'unità nella comunione che è indispensabile all'opera di evangelizzazione.130
Nel pieno rispetto della subordinazione gerarchica, il presbitero si farà promotore di un rapporto schietto con il proprio Vescovo, connotato da sincera fiducia, cordiale amicizia, preghiera per la sua persona e le sue intenzioni, vero sforzo di consonanza e convergenza ideale e programmatica, che nulla toglie all'intelligente capacità di iniziativa personale e all'intraprendenza pastorale.131
In vista della propria crescita spirituale e pastorale, e per amore del suo gregge, il sacerdote dovrebbe accogliere con gratitudine, e addirittura cercare con regolarità, orientamenti dal Vescovo o dai suoi rappresentanti per lo sviluppo del suo ministero pastorale.
È anche una pratica ammirevole chiedere il parere dei sacerdoti più esperti e dei laici qualificati al riguardo dei metodi pastorali più adatti.
In forza del sacramento dell'Ordine « ciascun sacerdote è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità ».132
Egli, infatti, è inserito nell'Ordo Presbyterorum costituendo quell'unità che può definirsi una vera famiglia nella quale i legami non vengono dalla carne o dal sangue ma dalla grazia dell'Ordine.133
L'appartenenza ad un concreto presbiterio134 avviene sempre nell'ambito di una Chiesa particolare, di un Ordinariato o di una Prelatura personale – cioè, di una "missione episcopale", non soltanto a motivo dell'incardinazione –, il che non toglie che il presbitero, in quanto anch'egli battezzato, appartenga in maniera immediata alla Chiesa universale: nella Chiesa, nessuno è straniero; tutta la Chiesa, ed ogni diocesi, è famiglia, la famiglia di Dio.135
Fraternità sacerdotale ed appartenenza al presbiterio sono, pertanto, elementi caratterizzanti del sacerdote.
Particolarmente significativo, in merito, è, nell'ordinazione presbiterale, il rito dell'imposizione delle mani da parte del Vescovo, al quale prendono parte tutti i presbiteri presenti, ad indicare, sia la partecipazione allo stesso grado del ministero, sia che il sacerdote non può agire da solo, ma sempre all'interno del presbiterio, divenendo confratello di tutti coloro che lo costituiscono.136
« I vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà [ la "sacra potestà" ] di agire "in persona di Cristo Capo", i diaconi la forza di servire il Popolo di Dio nella "diaconia" della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio ».137
L'incardinazione in una determinata « Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un Istituto di vita consacrata o in una Società che ne abbiano la facoltà »138 costituisce un autentico vincolo giuridico139 che ha anche valore spirituale, giacché da essa scaturisce « il rapporto con il Vescovo nell'unico presbiterio, la condivisione della sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche ed ambientali ».140
Non va dimenticato, a tale proposito, che i sacerdoti secolari non incardinati nella Diocesi e i sacerdoti membri di un Istituto religioso o di una Società di vita apostolica, i quali dimorano nella diocesi ed esercitano, per il suo bene, qualche ufficio, sebbene siano sottoposti ai loro legittimi Ordinari, appartengono a pieno o a diverso titolo al presbiterio di tale diocesi141 dove « hanno voce sia attiva che passiva per costituire il consiglio presbiterale ».142
I sacerdoti religiosi, in particolare, in unità di forze, condividono la sollecitudine pastorale offrendo il contributo di specifici carismi e « stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente la sua apertura universale ».143
I presbiteri, poi, incardinati in una diocesi, ma per il servizio di qualche movimento ecclesiale o nuova comunità approvati dalla competente Autorità ecclesiastica.144 siano consapevoli di essere membri del presbiterio della diocesi in cui svolgono il loro ministero e di dover sinceramente collaborare con esso.
Il Vescovo di incardinazione, a sua volta, favorisca positivamente il diritto alla propria spiritualità che la legge riconosce a tutti i fedeli,145 rispetti lo stile di vita richiesto dall'appartenenza al movimento e sia pronto, a norma del diritto, a permettere che il presbitero possa prestare il proprio servizio in altre Chiese locali, se questo dovesse far parte del carisma del movimento stesso,146 impegnandosi in ogni caso a rafforzare la comunione ecclesiale.
Il presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi specifici di formazione, di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutato a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana.
Egli, pertanto, farà ogni sforzo per evitare di vivere il proprio sacerdozio in modo isolato e soggettivistico e cercherà di favorire la comunione fraterna dando e ricevendo – da sacerdote a sacerdote – il calore dell'amicizia, dell'assistenza affettuosa, dell'accoglienza, della correzione fraterna,147 ben consapevole che la grazia dell'Ordine « assume ed eleva i rapporti umani, psicologici affettivi, amicali e spirituali [ … ] e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche quelle materiali ».148
Tutto questo è espresso, oltre che nella Messa crismale – manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro Vescovo –, nella liturgia della Messa In Coena Domini del Giovedì Santo, la quale mostra che dalla comunione eucaristica – nata nell'Ultima Cena – i sacerdoti ricevono la capacità di amarsi gli uni gli altri, come il Maestro li ama.149
Il profondo ed ecclesiale senso del presbiterio non solo non impedisce, ma agevola le responsabilità personali di ogni presbitero nell'espletamento del ministero particolare affidatogli dal Vescovo.150
La capacità di coltivare e vivere mature e profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di serenità e di gioia nell'esercizio del ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà ed aiuto prezioso per l'incremento della carità pastorale, che il presbitero deve esercitare in modo particolare proprio verso quei confratelli in difficoltà che hanno bisogno di comprensione, aiuto e sostegno.151
La fraternità sacerdotale, espressione della legge della carità, lungi dal ridursi ad un semplice sentimento, diventa per i presbiteri una esistenziale memoria di Cristo ed una testimonianza apostolica di comunione ecclesiale.
Una manifestazione di questa comunione è anche la vita comune da sempre favorita dalla Chiesa,152 di recente caldeggiata dagli stessi documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II153 e del Magistero successivo154 ed applicata positivamente in non poche diocesi.
« La vita comune esprime un aiuto che Cristo dà alla nostra esistenza, chiamandoci, attraverso la presenza dei fratelli, ad una configurazione sempre più profonda alla sua persona.
Vivere con altri significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell'umiltà, della penitenza, ma anche della conversione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno.
Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum ( Sal 133,1 ) ».155
Per affrontare uno dei problemi odierni più importanti della vita sacerdotale, cioè, la solitudine del prete,
« non si raccomanderà mai abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita comune tutta tesa al ministero propriamente spirituale;
la pratica di incontri frequenti con fraterni scambi di idee, di consigli e di esperienza tra confratelli;
l'impulso alle associazioni che favoriscono la santità sacerdotale ».156
39. Tra le diverse forme di vita comune ( casa, comunità di mensa, ecc. ) si deve ritenere come sovreminente il partecipare comunitariamente alla preghiera liturgica.157
Le diverse modalità devono essere favorite secondo le possibilità e le convenienze pratiche, senza necessariamente ricalcare, pur lodevoli, modelli propri della vita religiosa.
In modo particolare sono da lodare quelle associazioni che favoriscono la fraternità sacerdotale, la santità nell'esercizio del ministero, la comunione col Vescovo e con tutta la Chiesa.158
Tenuto conto dell'importanza che i sacerdoti vivano nei dintorni dove abita la gente alla quale servono, si auspica che i parroci siano disponibili a favorire la vita comune nella casa parrocchiale con i loro vicari,159 stimandoli effettivamente come loro cooperatori e partecipi della sollecitudine pastorale; da parte loro, i vicari, per costruire la comunione sacerdotale, debbono riconoscere e rispettare l'autorità del parroco.160
Nei casi dove non ci sia più che un sacerdote in una parrocchia, si consiglia vivamente la possibilità di una vita comune con altri sacerdoti di parrocchie limitrofe.161
In molti luoghi, l'esperienza di questa vita comune è stata assai positiva perché ha rappresentato un vero aiuto per il sacerdote: si crea un ambiente di famiglia, si può convenientemente avere – ottenuto il permesso dell'Ordinario162 – una cappella con il Santissimo Sacramento, si può pregare insieme, ecc.
Inoltre, come risulta dall'esperienza e dall'insegnamento dei santi, « nessuno può assumere la forza rigenerante della vita comune senza la preghiera [ … ] senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà.
Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito Santo nessuna autentica vita comune è possibile.
Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri ».163
Sono molti i casi di sacerdoti che hanno trovato nell'adozione di opportune forme di vita comunitaria un importante aiuto sia per le loro esigenze personali che per l'esercizio del loro ministero pastorale.
40. La vita comune è immagine di quella apostolica vivendi forma di Gesù con i suoi apostoli.
Con il dono del sacro celibato per il Regno dei Cieli, il Signore ci ha fatto diventare in modo speciale membri della sua famiglia.
In una società segnata fortemente dall'individualismo, il sacerdote ha bisogno di un rapporto personale più profondo e di uno spazio vitale caratterizzato dall'amicizia fraterna dove possa vivere come cristiano e sacerdote: « i momenti di preghiera e di studio in comune, la condivisione delle esigenze della vita e del lavoro sacerdotale sono una parte necessaria della vostra vita ».164
Così, in questa atmosfera di aiuto reciproco, il sacerdote trova il terreno adatto per perseverare nella vocazione di servizio alla Chiesa: « nella compagnia di Cristo e dei fratelli ciascun sacerdote può trovare le energie necessarie per prendersi cura degli uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali e materiali che incontra, per insegnare con parole sempre nuove, dettate dall'amore, le verità eterne della fede di cui hanno sete anche i nostri contemporanei ».165
Nella preghiera sacerdotale dell'ultima Cena, Gesù ha pregato per l'unità dei suoi discepoli: « Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola » ( Gv 17,21 ).
Ogni comunione nella Chiesa « deriva dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».166
I sacerdoti siano convinti che la loro comunione fraterna, specialmente nella vita comune, costituisce una testimonianza, secondo quanto il Signore Gesù ha precisato nella sua preghiera al Padre: i discepoli siano una cosa sola perché il mondo « creda che tu mi hai mandato » ( Gv 17,21 ) e sappia « che li hai amati come hai amato me » ( Gv 17,23 ).
« Gesù chiede che la comunità sacerdotale sia riflesso e partecipazione della comunione trinitaria: quale sublime ideale! ».167
Uomo di comunione, il sacerdote non potrà esprimere il suo amore per il Signore e per la Chiesa senza tradurlo in amore fattivo ed incondizionato per il popolo cristiano, oggetto della sua cura pastorale.168
Come Cristo, egli deve farsi « quasi sua trasparenza in mezzo al gregge » che gli è affidato,169 ponendosi in relazione positiva con i fedeli laici; riconoscendone la dignità di figli di Dio, ne promuove il ruolo proprio nella Chiesa e, al loro servizio, mette tutto il suo ministero sacerdotale e la sua carità pastorale.170
Questo atteggiamento di amore e di carità è ben lontano dalla cosiddetta "laicizzazione dei presbiteri", che porta invece a diluire nei sacerdoti proprio quello che ne costituisce l'identità: i fedeli chiedono ai loro sacerdoti di mostrarsi come tali, sia nell'aspetto esteriore che nella dimensione interiore, in ogni momento, luogo e circostanza.
Una preziosa occasione per la missione evangelizzatrice del pastore di anime risulta la tradizionale visita annuale e la benedizione pasquale delle famiglie.
Una peculiare manifestazione di questa dimensione nell'edificare la comunità cristiana consiste nel superare ogni atteggiamento particolaristico; infatti, i presbiteri non devono mai porsi al servizio di un'ideologia particolare, cosa che toglierebbe efficacia al loro ministero.
Il rapporto del presbitero con i fedeli deve essere sempre essenzialmente sacerdotale.
Nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega ai fedeli laici e ai religiosi, il sacerdote compirà ogni sforzo per « suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune ed unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa ».171
Più concretamente, il parroco, ricercando sempre il bene comune nella Chiesa, favorirà le associazioni di fedeli ed i movimenti o le nuove comunità che si propongono finalità religiose,172 accogliendole tutte ed aiutandole a trovare tra di loro unità di intenti, nella preghiera e nell'azione apostolica.
Uno dei compiti che richiede particolare attenzione è la formazione dei laici.
Il presbitero non si può accontentare che i fedeli abbiano una conoscenza superficiale della fede, ma deve cercare di dare ad essi una solida formazione, perseverando nel suo sforzo attraverso lezioni di teologia, corsi sulla dottrina cristiana, specialmente con lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo Compendio.
Tale formazione aiuterà i laici a svolgere pienamente il proprio ruolo di animazione cristiana dell'ordine temporale ( politico, culturale, economico, sociale ).173
Inoltre, in certi casi, si possono affidare a laici, che abbiano una sufficiente formazione e il desiderio sincero di servire la Chiesa, alcuni compiti – d'accordo con le leggi della Chiesa – che non appartengono esclusivamente al ministero sacerdotale e che costoro possono sviluppare in base alla loro esperienza professionale e personale.
In questo modo, il sacerdote sarà più libero nel curare ancor meglio i suoi impegni primari, quali la predicazione, la celebrazione dei Sacramenti e la direzione spirituale.
In questo senso, uno dei compiti importanti dei parroci è quello di scoprire tra i fedeli persone con la capacità, le virtù ed una vita cristiana coerente – per esempio, per quanto riguarda il matrimonio –, che possano aiutare efficacemente nelle diverse attività pastorali: preparazione dei bambini per la prima comunione e la prima confessione o dei giovani per la cresima, la pastorale familiare, la catechesi per quelli che stanno per sposarsi, ecc.
Senz'altro, la preoccupazione per la formazione di queste persone – che sono modelli per tante altre – ed il fatto di aiutarli nel loro cammino di fede dovrà essere una delle inquietudini principali dei presbiteri.
In quanto riunisce la famiglia di Dio e realizza la Chiesa-comunione, il presbitero – conscio del grande dono della sua vocazione – diventa il pontefice, colui che unisce l'uomo a Dio, facendosi fratello degli uomini nell'atto stesso con cui vuole essere loro pastore, padre e maestro.174
Per l'uomo di oggi, che cerca il senso del suo esistere, egli è Buon Pastore e guida che porta all'incontro con Cristo, incontro che si realizza come annuncio e come realtà già presente, anche se in modo non definitivo, nella Chiesa.
In tale modo il presbitero, posto al servizio del Popolo di Dio, si presenterà come esperto in umanità, uomo di verità e di comunione, testimone della sollecitudine dell'Unico Pastore per tutte e per ciascuna delle sue pecorelle.
La comunità potrà contare con sicurezza sulla sua disponibilità, sulla sua opera di evangelizzazione e, soprattutto, sul suo amore fedele ed incondizionato.
Manifestazione di questo amore sarà principalmente la sua dedizione nella predicazione, nella celebrazione dei sacramenti, in particolare dell'Eucaristia e del sacramento della penitenza, e nella direzione spirituale, come mezzo per aiutare a discernere i segni della volontà di Dio.175
Egli, pertanto, eserciterà, mostrandosi in ogni momento sacerdote, la sua missione spirituale con amabilità e fermezza, con umiltà e spirito di servizio,176 piegandosi alla compassione, partecipando alle sofferenze che derivano agli uomini dalle varie forme di povertà, spirituale e materiale, vecchie e nuove.
Saprà anche chinarsi con misericordia sul difficile ed incerto cammino di conversione dei peccatori, ai quali riserverà il dono della verità e la paziente ed incoraggiante benevolenza del Buon Pastore, che non rimprovera la pecora smarrita, ma la carica sulle spalle e fa festa per il suo ritorno all'ovile ( cf. Lc 15,4-7 ).177
Si tratta di affermare la carità di Cristo come origine e perfetta realizzazione dell'uomo nuovo ( cf. Ef 2,15 ), ossia di ciò che è l'uomo nella sua verità piena.
Questa carità si traduce nella vita del presbitero in un'autentica passione che configura espressamente il suo ministero in funzione della generazione del popolo cristiano.
Particolare attenzione riserverà alle relazioni con i fratelli e le sorelle impegnati nella vita di speciale consacrazione a Dio in tutte le sue forme, mostrando loro apprezzamento sincero e fattivo spirito di collaborazione apostolica, rispettandone e promuovendone i carismi specifici.
Coopererà, inoltre, affinché la vita consacrata appaia sempre più luminosa a vantaggio della Chiesa intera e sempre più persuasiva e attraente per le nuove generazioni.
In tale spirito di stima per la vita consacrata, il sacerdote porrà particolare cura per quelle comunità che, per diversi motivi, sono maggiormente bisognose di buona dottrina, di assistenza e di incoraggiamento nella fedeltà e nella ricerca delle vocazioni.
Ogni sacerdote si occuperà con speciale dedizione alla pastorale vocazionale, non mancando di incentivare la preghiera per le vocazioni, di prodigarsi nella catechesi, di curare la formazione dei ministranti, di favorire appropriate iniziative mediante un rapporto personale che faccia scoprire i talenti e sappia individuare la volontà di Dio per una scelta coraggiosa nella sequela di Cristo.178
In questo lavoro hanno importanza fondamentale le famiglie che si costituiscono come chiese domestiche dove i giovani imparano sin da piccoli a pregare, a crescere nelle virtù, ad essere generosi.
I presbiteri devono incoraggiare gli sposi cristiani a configurare il focolare come vera scuola di vita cristiana, a pregare insieme con i figli, a chiedere a Dio che chiami qualcuno a seguirlo da vicino con cuore indiviso ( cf. 1 Cor 7,32-34 ), ad essere sempre gioiosi nei confronti delle vocazioni che possano sorgere nella propria famiglia.
Questa pastorale dovrà essere fondata primariamente sulla grandezza della chiamata – elezione divina in favore degli uomini –: davanti ai giovani occorre presentare in primo luogo il prezioso e bellissimo dono che comporta seguire Cristo.
Per questo, un ruolo importante lo riveste il ministro ordinato attraverso l'esempio della sua fede e della sua vita: la chiara coscienza della propria identità, la coerenza di vita, la trasparente gioia e l'ardore missionario del presbitero costituiscono altrettanti imprescindibili elementi di quella pastorale delle vocazioni che deve integrarsi nella pastorale organica ed ordinaria.
Pertanto, la manifestazione gioiosa della sua adesione al mistero di Gesù, il suo atteggiamento di preghiera, la cura e devozione con cui celebra la Santa Messa e i sacramenti irradiano quell'esempio che affascina i giovani.
Inoltre, la lunga esperienza della vita della Chiesa ha messo in risalto che bisogna curare con pazienza e costanza, senza scoraggiarsi, la formazione dei giovani fin da quando sono piccoli; così essi avranno quelle necessarie risorse spirituali per rispondere ad una eventuale chiamata di Dio.
Per questo è indispensabile – e dovrebbe essere parte di qualsiasi pastorale vocazionale – fomentare in loro la vita di preghiera e l'intimità con Dio, il ricorso ai sacramenti, specialmente all'Eucaristia e alla confessione, la direzione spirituale come aiuto per progredire nella vita interiore.
I sacerdoti così susciteranno in modo adeguato e generoso la proposta vocazionale ai giovani che sembrino ben disposti; questo impegno, sebbene debba essere costante, tuttavia si intensificherà specialmente in alcune circostanze, come, ad esempio, in occasione degli esercizi spirituali o della preparazione dei cresimandi o della cura dei ragazzi che servono all'altare.
Con il seminario, culla della propria vocazione e palestra di prima esperienza di vita comunionale, il sacerdote manterrà sempre rapporti di cordiale collaborazione e di sincero affetto.
É « esigenza insopprimibile della carità pastorale »,179 dell'amore al proprio sacerdozio, che ogni presbitero – assecondando la grazia dello Spirito Santo – si preoccupi di suscitare vocazioni sacerdotali che possano continuarne il ministero a servizio del Signore ed in favore degli uomini.
Il sacerdote, servitore della Chiesa, che per la sua universalità e cattolicità non può legarsi ad alcuna contingenza storica, starà al di sopra di qualsiasi parte politica.
Egli non può aver parte attiva in partiti politici o nella conduzione di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa e la promozione del bene comune.180
Infatti, pur essendo queste cose buone in se stesse, tuttavia sono aliene dallo stato clericale, in quanto possono costituire un grave pericolo di rottura della comunione ecclesiale.181
Come Gesù ( cf. Gv 6,15ss ), il presbitero « deve rinunciare ad impegnarsi in forme di politica attiva, specialmente quando essa è di parte, come quasi inevitabilmente avviene, per rimanere l'uomo di tutti in chiave di fraternità spirituale ».182
Ogni fedele, perciò, deve sempre poter accedere al sacerdote senza sentirsi escluso per alcuna ragione.
Il presbitero ricorderà che « non spetta ai Pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione sociale.
Questo compito, infatti, fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini »;183 egli, tuttavia, non mancherà, seguendo i criteri del Magistero, di applicarsi « nello sforzo di formare rettamente la loro coscienza ».184
Il sacerdote ha quindi una particolare responsabilità di spiegare, promuovere e, se necessario, difendere – sempre seguendo gli orientamenti del diritto e del Magistero della Chiesa – le verità religiose e morali, anche di fronte all'opinione pubblica e addirittura, se si possiede la necessaria preparazione specifica, nell'ampio campo dei massmedia.
In una cultura sempre più secolarizzata, in cui la religione è spesso trascurata e considerata come irrilevante o illegittima nel dibattito sociale, o tutt'al più confinata solo nell'intimità delle coscienze, il sacerdote è chiamato a sostenere il significato pubblico e comunitario della fede cristiana, trasmettendola in modo chiaro e convincente, in ogni occasione, al momento opportuno e non opportuno ( cf. 2 Tm 4,2 ), e tenendo conto di quel patrimonio di insegnamenti che costituisce la Dottrina Sociale della Chiesa.
Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa è un efficace strumento che lo aiuterà a presentare questo insegnamento sociale e mostrarne la ricchezza nel contesto culturale odierno.
La riduzione della sua missione a compiti temporali, puramente sociali o politici o comunque alieni alla sua identità, non sarebbe una conquista ma una perdita gravissima per la fecondità evangelica della Chiesa intera.
Indice |
8 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 15 |
9 | Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
10 | Cost. dogm. Lumen gentium, 1 |
11 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
12 | Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congr. per il Clero ( 12 marzo 2010 ) |
13 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 11 |
14 | Ibid., 15 |
15 | Ibid., 21; cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; n. 12 |
16 | Cf. ibid., 12 |
17 | Ibid., 23 |
18 | Ibid., 18; Messaggio dei Padri sinodali al Popolo di Dio, III ( 28 ottobre 1990 ): "L'Osservatore Romano", 29-30 ottobre 1990 |
19 | Ibid., 16 |
20 | Cf. ibid., 12 |
21 | Cf. Conc. Ecum. Trident.,
Sessio XXIII, De sacramento Ordinis; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 11-18; Udienza generale ( 31 marzo 1993 ) |
22 | Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
23 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 18-31; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; C.I.C., can. 1008 |
24 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
25 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II., Decr.
Apostolicam actuositatem, 3; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 14 ( 30 dicembre 1988 ) |
26 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 13-14; Udienza generale ( 31 marzo 1993 ) |
27 | Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congr. per il Clero ( 12 marzo 2010 ) |
28 | Ibid. |
29 | Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congr. del Clero ( 16 marzo 2009 ) |
30 | Cf. Cost. Gaudium et spes, 22 |
31 | Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 13-15 ( 6 agosto 2000 ) |
32 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 18 |
33 | Cf. ibid., 15 |
34 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 12 |
35 | Cf. Cost. dogm.
Dei Verbum, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 4 |
36 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1120 |
37 | Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 13; n. 48 ( 22 febbraio 2007 ) |
38 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 6 |
39 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 16 |
40 | Cf. ibid. |
41 | Institutio Generalis Missalis Romani, 78 ( 2002 ) |
42 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 3 |
43 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7; Decr. Christus Dominus, 28; Decr. Ad gentes, 19; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 17 |
44 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium 28; Pontificale romanum, Ordinatio Episcoporum, Presbyterorum et Diaconorum, cap. I., n. 51, Ed. typica altera, 1990, 26 |
45 | Cost. dogm. Lumen gentium, 28 |
46 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 16 |
47 | Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio, 10 ( 28 maggio 1992 ) |
48 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 23 ( 7 dicembre 1990 ) |
49 | Decr.
Presbyterorum Ordinis, 10; cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 32 |
50 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7 |
51 | Cf. C.I.C., can. 266, § 1 |
52 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 23;
n. 26; S. Congr. per il Clero, Note direttive Postquam Apostoli, 5; n. 14; n. 23 ( 25 marzo 1980 ); Tertulliano, De praescriptione, 20, 59: CCL 1, 201-202; Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis notio su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 10 |
53 | Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 85 |
54 | Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 67 |
55 | Cf. Congr. per il Clero, Lett. circolare L'identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera, 3.3.5 ( 29 giugno 2010 ) |
56 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 23; Decr. Presbyterorum Ordinis, 10; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 32; S. Congr. per il Clero, Note direttive Postquam Apostoli ( 25 marzo 1980 ); Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, 4 ( 1 ottobre 1989 ): LEV 11, 1588-1590; C.I.C., can. 271 |
57 | Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'Evangelizzazione, 3 ( 3 dicembre 2007 ) |
58 | Paolo VI, Esort. ap. postsinodale Evangelii nuntiandi, 80 ( 8 dicembre 1975 ) |
59 | Cost. dogm. Lumen gentium, 13 |
60 | Cf. Congr. per l'evangelizzazione dei Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli: l.c., 1580-1650; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 54; n. 67 |
61 | J. Ratzinger, Conferenza per il Giubileo dei Catechisti ( 10 dicembre 2000 ) |
62 | Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'Evangelizzazione, 12 ( 3 dicembre 2007 ) |
63 | Cf. Congr. per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 53 ( 15 agosto 1997 ) |
64 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 37 ( 30 dicembre 1988 ) |
65 | Congr. per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 49 ( 15 agosto 1997 ) |
66 | J. Ratzinger, Conferenza per il Giubileo dei Catechisti ( 10 dicembre 2000 ) |
67 | Congr. per il Clero, Lett. circolare L'identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera, 3.3 ( 29 giugno 2010 ) |
68 | Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali (
22 giugno 1973 ), citato nell'Esort. ap. postsinodale Evangelii nuntiandi, 3 ( 8 dicembre 1975 ) |
69 | Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40 ( 6 gennaio 2001 ) |
70 | Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea del CELAM, Port-au-Prince ( 9 marzo 1983 ) |
71 | Giovanni Paolo II, Omelia della santa Messa nel santuario della Santa Croce di Mogila ( 9 giugno 1979 ) |
72 | J. Ratzinger, Conferenza per il Giubileo dei Catechisti ( 10 dicembre 2000 ) |
73 | Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ( 21 settembre 2010 ) |
74 | Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Africae munus ( 19 novembre 2011 ) |
75 | Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ( 21 settembre 2010 ) |
76 | Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'Evangelizzazione, 12 ( 3 dicembre 2007 ); Paolo VI, Esort. ap. postsinodale Evangelii nuntiandi, 52 ( 8 dicembre 1975 ) |
77 | Decr. Presbyterorum Ordinis, 4 |
78 | Ibid., 2 |
79 | Ibid., 4 |
80 | Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 3 ( 7 dicembre 1990 ) |
81 | Ibid. |
82 | Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea del CELAM, Port-au-Prince ( 9 marzo 1983 ) |
83 | Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40 ( 6 gennaio 2001 ) |
84 | Ibid. |
85 | Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11 ( 7 dicembre 1990 ) |
86 | Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ( 21 settembre 2010 ) |
87 | Congr. per il Clero, Lett. circolare L'identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera, 3.3.1 ( 29 giugno 2010 ) |
88 | Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40 ( 6 gennaio 2001 ) |
89 | Cf. Giovanni Paolo II, Omelia della santa Messa nel santuario della Santa Croce di Mogila ( 9 giugno 1979 ) |
90 | Congr. per il Clero, Lett. circolare L'identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera, conclusione ( 29 giugno 2010 ) |
91 | Ibid., 11 |
92 | Ibid., 28 |
93 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores gregis, 37 ( 16 ottobre 2003 ) |
94 | Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di Motu proprio Porta fidei, 9 ( 11 ottobre 2011 ) |
95 | Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Africae munus ( 19 novembre 2011 ) |
96 | Paolo VI, Esort. ap. postsinodale Evangelii nuntiandi, 80 ( 8 dicembre 1975 ) |
97 | Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 2 ( 7 dicembre 1990 ) |
98 | Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Africae munus ( 19 novembre 2011 ) |
99 | Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40 ( 6 gennaio 2001 ) |
100 | Cost. Gaudium et spes, 44 |
101 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40 ( 6 gennaio 2001 ) |
102 | Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo, 8 ( 9 aprile 1979 ) |
103 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Paolo VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus, 56 ( 24 giugno 1967 ) |
104 | S. Giovanni Maria Vianney, in B. Nodet, Le curé d'Ars. Sa pensée Son coeur, éd. Xavier Mappus, Foi Vivante, 1966, 98-99 ( citato in Benedetto XVI, Lettera per l'indizione dell'anno sacerdotale in occasione del 150º anniversario del "Dies natalis" di Giovanni Maria Vianney, 16 giugno 2009 |
105 | Cf. S. Agostino,
In Iohannis Evangelium Tractatus, 123, 5; Decr. Presbyterorum Ordinis, 14 |
106 | Benedetto XVI, Discorso ai membri dell'XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ( 1 giugno 2006 ) |
107 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 21; C.I.C., can. 274 |
108 | Cf. C.I.C., can. 275, § 2; can. 529, § 1 |
109 | Cf. ibid., can. 574, § 1 |
110 | Cf. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIII,
De sacramento Ordinis, cap. I e cap. IV, cann. 3, 4, 6; Cost. dogm. Lumen gentium, 10; Sacra Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su il ministro dell'Eucaristia Sacerdotium ministeriale, 1 ( 6 agosto 1983 ) |
111 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 9,
n. 32; C.I.C., can. 208 |
112 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 7 |
113 | Cf. ibid. |
114 | Cost. dogm. Lumen gentium, 10 |
115 | Cf. Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, 3 |
116 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 11 |
117 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Episcopato della Svizzera ( 15 giugno 1984 ) |
118 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 23 |
119 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 12; cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 1 |
120 | Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 8 |
121 | Cf. S. Agostino, Sermo 46, 30 |
122 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 28 |
123 | Cost. dogm. Lumen gentium, 27 |
124 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 22; Decr. Christus Dominus, 4; C.I.C., can. 336 |
125 | Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio, 14 |
126 | Cf. C.I.C.,
can. 902; S. Congr. per i Sacramenti e il Culto divino, Decr. part. Promulgato Codice, II, I, 153 ( 12 settembre 1983 ): Notitiae 19 (1983), 542 |
127 | Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa theol.,
III, q. 82, a. 2 ad 2; Sent. IV, d. 13, q. 1, a 2, q 2; Cost. Sacrosanctum Concilium, 41, n. 57 |
128 | Cf. S. Congr. dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 47 ( 25 maggio 1967 ): AAS 59 (1967), 565-566 |
129 | Cf. C.I.C. can. 273 |
130 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 15; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 65; n. 79 |
131 | S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, XX, 12: « [ … ] Se il Signore mi rivelerà che, ognuno in proprio e tutti insieme [ … ] voi siete uniti con il cuore in una incrollabile sottomissione al Vescovo e al presbiterio, spezzando l'unico pane che è rimedio d'immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo »: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, II, 203-205 |
132 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 17; cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 8; C.I.C., can. 275, § 1 |
133 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 74; Congr. per l'evangelizzazione dei Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, 6 |
134 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8; C.I.C., can. 369; can. 498; can. 499 |
135 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 6; Benedetto XVI, Angelus ( 19 giugno 2005 ); Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Africa ( 14 settembre 1995 ) |
136 | Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, cap. II, 105; 130; Decr. Presbyterorum Ordinis, 8 |
137 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 875 |
138 | C.I.C., can. 265 |
139 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Quito ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e ai Seminaristi ( 29 gennaio 1985 ) |
140 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 31 |
141 | Cf. Ibid., 17; n. 74 |
142 | C.I.C., can. 498, § 1, 2° |
143 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 31 |
144 | Cf. ibid., 31; n. 41; n. 68 |
145 | Cf. C.I.C., cann. 214-215 |
146 | Cf. C.I.C., can. 271 |
147 | Cf. Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2012 ( 3 novembre 2011 ) |
148 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 74 |
149 | Giovanni Paolo II, Udienza generale, 4 ( 4 agosto 1993 ) |
150 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 12-14 |
151 | Cf. ibid., 8 |
152 | Cf. S. Agostino, Serm 355, n. 356, De vita et moribus clericorum |
153 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 8; Decr. Christus Dominus, 30 |
154 | Cf. Sacra Congr. per i Vescovi, Direttorio Ecclesiae Imago, 112 ( 22 febbraio 1973 ); Congr. per i Vescovi, Direttorio Apostolorum Successores per il ministero pastorale dei Vescovi ( 22 febbraio 2004 ); C.I.C., can. 280; can. 245, § 2; can. 550, § 1; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 81 |
155 | Benedetto XVI, Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione ( 12 febbraio 2011 ) |
156 | Paolo VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus, 80 ( 24 giugno 1967 ) |
157 | Cf. Cost.
Sacrosanctum Concilium, 26;
n. 99; Institutio generalis Liturgiae Horarum, 25 |
158 | Cf. C.I.C.,
can. 278, § 2; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 31; n. 68; n. 81 |
159 | Cf. C.I.C., can. 550, § 2 |
160 | Cf. ibid., can. 545, § 1 |
161 | Cf.. ibid., can. 533, § 1 |
162 | Cf. ibid., can. 1226; can. 1228 |
163 | Benedetto XVI, Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione, 8 ( 12 febbraio 2011 ) |
164 | Benedetto XVI, Omelia in occasione della celebrazione dei Vespri ( Fatima, 12 maggio 2010 ) |
165 | Benedetto XVI, Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione, 8 ( 12 febbraio 2011 ) |
166 | S. Cipriano, De Oratione Domini, 23: PL 4, 553; cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 4 |
167 | Giovanni Paolo II, Udienza generale, 4 ( 4 agosto 1993 ) |
168 | Cf. Giovanni Paolo II, Udienza generale (
7 luglio 1993 ); Decr. Presbyterorum Ordinis, 15 |
169 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 15 |
170 | Cf. Conc. Ecum Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 9; C.I.C., can. 275, § 2; can. 529, § 2 |
171 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 74 |
172 | Cf. C.I.C., can. 529, § 2 |
173 | Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 31 |
174 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 74; Paolo VI, Lett. enc. Ecclesiam suam, III ( 6 agosto 1964 ) |
175 | Cf. Congr. per il Clero, Il sacerdote ministro della Misericordia Divina. Sussidio per Confessori e Direttori spirituali ( 9 marzo 2011 ): opuscolo |
176 | Cf. Giovanni Paolo II, Udienza generale ( 7 luglio 1993 ) |
177 | Cf. C.I.C., can. 529, § 1 |
178 | Cf. Conc. Ecum Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 11; C.I.C., can. 233, § 1 |
179 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 74 |
180 | Cf. C.I.C.,
can. 287, § 2; Sacra Congr. per il Clero, Decr. Quidam Episcopi ( 8 marzo 1982 ), AAS 74 (1982), 642-645 |
181 | Cf. Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congr. per l'Evangelizzazione dei Popoli, 9: l.c., 1604-1607; Sacra Congr. per il Clero, Decr. Quidam Episcopi ( 8 marzo 1982 ), l.c., 642-645 |
182 | Giovanni Paolo II,
Udienza generale, 3 ( 28 luglio 1993 ); cf. Cost. past. Gaudium et spes, 43; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus, II, I, 2 ( 30 novembre 1971 ); C.I.C., can. 285, § 3; can. 287, § 1 |
183 | Catechismo della Chiesa Cattolica,
2442; C.I.C., can. 227 |
184 | Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus, II, I, 2 ( 30 novembre 1971 ) |