Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Ho detto alla fine del precedente sermone, e non mi dispiace ripeterlo, che vorrei che tutti voi foste partecipi della sacra unzione, nella quale con santa devozione si ricordano con letizia e azione di grazie i benefici di Dio.
È questa infatti un’ottima cosa, sia per risollevarsi dai travagli della vita presente, che ci divengono più tollerabili quando noi esultiamo nella lode di Dio, sia perché nulla rappresenta alla terra in qualche modo lo stato della celeste abitazione, quanto l’alacrità di coloro che odono Dio, come dice la Scrittura: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore; nei secoli dei secoli ti loderanno ( Sal 84,5 ).
Penso che parlasse di questo unguento il Profeta quando diceva: Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme!
È come olio profumato sul capo ( Sal 133,1-2 ).
E non penso che queste parole si possano applicare al primo unguento.
Esso, infatti, anche se buono, non è però giocondo, perché il ricordo dei peccati genera amarezza, e non gioia.
E neppure coloro che compongono il primo abitano insieme, mentre ognuno piange e deplora i propri peccati.
Coloro invece che si dedicano al ringraziamento, guardano solo a Dio e hanno in mente lui solo, e per questo essi veramente abitano insieme.
Quello che essi fanno è cosa buona, perché riservano giustissimamente la gloria a colui al quale spetta, ed è cosa anche soave, perché reca diletto.
2. Per la qual cosa, amici miei, io vi consiglio di distogliere ogni tanto il piede dal molesto e ansioso ricordo dei vostri trascorsi, e di uscire sulle vie più pianeggianti di un più sereno ricordo dei benefici di Dio, affinché voi che vi confondete in voi stessi, guardando a Lui, possiate respirare.
Voglio che voi sperimentiate ciò che il santo profeta consigliava dicendo: Cerca la gioia nel Signore, ed Egli esaudirà i desideri del tuo cuore ( Sal 37,4 ).
È bensì necessario il dolore dei peccati, ma non deve essere continuo.
Lo si alterni con il ricordo più lieto della divina benignità, onde evitare che si indurisca il cuore a causa della tristezza, e per la disperazione vada maggiormente in perdizione.
Mescoliamo all’assenzio il miele, affinché una salutare amarezza possa allora portare alla salvezza, quando sarà possibile berla, perché temperata dalla dolcezza che vi si è mescolata.
Ascolta infine Iddio, come Egli stesso tempera l’amarezza del cuore contrito, come consola chi è triste con il miele della soave e fedele promessa, e risolleva il diffidente.
Dice per mezzo del profeta: Con la mia lode imbriglierò la tua bocca perché tu non perisca ( Is 48,9 ).
Vale a dire: « Affinché alla vista dei tuoi peccati tu non diventi troppo triste, e, a guisa di cavallo sfrenato, ti butti disperato nel precipizio e perisca; io, dice, ti tratterà con il freno della mia indulgenza, e ti solleverà perché tu mi dia lode, e respirerai nei miei beni, tu che ti senti confuso per i tuoi mali, mentre troverai che io sono più benigno di quanto tu sia colpevole ».
Se Caino fosse stato tenuto da questo freno, non avrebbe detto nella sua disperazione: « È troppo grande il mio peccato perché io possa meritare perdono » ( Gen 4,13 ).
Non sia, non sia mai! Più grande è la sua pietà di qualsiasi iniquità.
Perciò il giusto non sempre, ma all’inizio del discorso è accusatore di sé; e invece è solito concludere il discorso lodando Dio.
Vedete come il giusto procede con questo ordine: Ho scrutato le mie vie, e ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti ( Sal 119,59 ), affinché cioè Egli, che aveva sperimentato la contrizione e l’infelicità nelle proprie vie, avesse a rallegrarsi nelle vie dei comandamenti di Dio più che in ogni altro bene.
Anche voi pertanto, se nutrite per voi stessi sentimenti di umiltà, pensate del Signore che è buono.
Così infatti leggete nella Sapienza: Pensate bene del Signore, e cercatelo nella semplicità del cuore ( Sap 1,1 ).
A ciò è facilmente indotta là mente che ricorda con frequenza, anzi continuamente la divina munificenza.
Diversamente, come si adempirebbe quella parola dell’Apostolo: Rendete grazie in tutte le cose ( 1 Ts 5,18 ), se venissero dimenticate le cose per le quali si deve ringraziare?
Non voglio che voi siate tacciati di quella vergogna che la Scrittura attribuisce al popolo giudaico, che cioè non furono memori dei benefici di Dio e delle meraviglie che aveva loro mostrato.
3. Tuttavia, giacché è impossibile all’uomo ricordare e ricercare tutti i beni che il pietoso e misericordioso Signore non cessa di largire ai mortali – Chi, infatti, può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? ( Sal 106,2 ) –, almeno quello che è il principale e massimo, l’opera della nostra redenzione, non si allontani neanche, per poco dalla memoria dei rendenti.
A questo scopo proporrò alla vostra considerazione due cose, soprattutto, che mi vengono alla mente, e lo farò il più brevemente possibile compendiando, memore di quella sentenza: Da’ occasione al saggio, e sarà più sapiente ( Pr 9,9 ).
Queste due cose, dunque, sono il modo ( con cui Dio operò la nostra redenzione ), e il frutto.
Il modo è l’annichilamento di Dio, i frutti per noi sono il poterci riempire di Lui.
Meditare questa cosa è sorgente di santa speranza, il pensare al suo annichilamento è incentivo al sommo amore.
Entrambe le cose sono necessarie al nostro profitto, per cui né la speranza sia mercenaria, se non è accompagnata dall’amore, o l’amore si illanguidisca qualora venga ritenuto infruttuoso.
4. Aspettiamoci pertanto un tale frutto del nostro amore, quale ce lo ha promesso colui che amiamo, dicendo: Vi verseranno in grembo una misura buona, pigiata, scossa e colma ( Lc 6,38).
Questa misura, come sento, sarà senza misura.
Ma vorrei sapere di qual cosa sarà quella misura, o piuttosto, quella immensità che ci viene promessa.
L’occhio non vide, o Dio, senza di Te, le cose che hai preparato a coloro che ti amano ( Is 64,4 ).
Dillo a noi, tu che prepari, che cosa prepari?
Crediamo, confidiamo veramente nelle tue promesse: « Ci, sazieremo dei beni della tua casa » ( Sal 65,5 ).
Ma quali beni, di grazia, quali? Forse di frumento, vino e olio, di oro, argento o pietre preziose?
Ma queste cose le conosciamo, le abbiamo viste, le vediamo e ci danno fastidio.
Noi cerchiamo quello che occhio non vide, né orecchio udì, né cuore d’uomo poté immaginare.
Questo ci piace, questo gustiamo, questo ci è dolce cercare, qualunque cosa sia.
Saranno tutti, dice,ammaestrati da Dio ( Gv 6,45), ed Egli sarà tutto in tutti.
Come sento, la pienezza che aspettiamo da Dio non sarà altro che pienezza di Dio.
5. Ma chi comprenderà l’immensa dolcezza che è espressa in queste brevi parole: Dio sarà tutto in tutti ( 1 Cor 15,28 )?
Senza parlare del corpo, nell’anima scorgo tre cose: la ragione, la volontà, la memoria, e queste tre cose sono la stessa anima.
Chiunque cammina secondo lo spirito si accorge quanto, nel secolo presente, manchi a ciascuna di queste tre cose di integrità e di perfezione.
E questo perché, se non perché Dio non è ancora tutto in tutti?
Da questo proviene che la ragione nei suoi giudizi molto spesso sbaglia, la volontà è sballottata da una quadruplice perturbazione, e la memoria si confonde con molte dimenticanze.
A questa triplice vanità è soggetta la nobile creatura, pur non volendo, con una speranza tuttavia.
Poiché colui che colma di beni il desiderio dell’anima, sarà egli stesso perla ragione pienezza di luce, per la volontà immensa pace, per la memoria un seguito senza fine.
O verità, carità, eternità! O beata e beatificante Trinità.
A te la mia misera trinità miseramente sospira perché è infelicemente esule da te.
Allontanandosi da te, in quanti errori si è intricata, in quanti dolori, in quanti timori! Ahimè!
Quale trinità abbiamo scambiato con te! Il mio cuore si è conturbato ( Sal 38,11 ), e di qui il dolore; la forza mi abbandona; di qui la paura; si spegne la luce dei miei occhi, di qui l’errore.
Ecco, o trinità dell’anima mia, come andandotene lontano ( da Di o), hai offeso una Trinità ben dissimile da te.
6. Tuttavia, perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi?
Spera in Dio, ancora potrà lodarlo, quando cioè l’errore si allontanerà dalla ragione, il dolore dalla volontà e ogni timore dalla memoria, e succederà quella meravigliosa serenità che aspettiamo, la dolcezza piena, la sicurezza eterna.
La prima cosa sarà operata da Dio verità, la seconda da Dio carità, e la terza da Dio somma potenza, perché Dio sia tutto in tutti, quando la ragione riceverà la luce inestinguibile, la volontà la pace imperturbabile, e la memoria aderirà eternamente alla fonte inesauribile.
Vedete voi se si possa rettamente assegnare la prima cosa al Figlio, la seconda allo Spirito Santo, onde la distinzione ( che facciamo ) non sminuisca la pienezza delle singole persone, o la proprietà ( che loro attribuiamo ) porti pregiudizio alla loro perfezione.
Contemporaneamente riflettete se i figli di questo secolo sperimentino alcunché di simile quando si danno ai piaceri della carne, agli spettacoli del mondo, alle pompe di satana, che è poi tutto quello con cui la presente vita inganna i suoi amatori, come dice Giovanni: Tutto ciò che è in questo mondo è concupiscenza della carne, e concupiscenza degli occhi, e superbia della vita ( 1 Gv 2,16 ).
Questo riguardo ai frutti della redenzione.
7. Anche nel modo che, se ricordate, abbiamo detto consistere nell’annichilamento di Dio, vi propongo di considerare principalmente tre cose.
Poiché quello non fu una semplice e piccola umiliazione; ma si umiliò fino a farsi uomo, fino alla morte, alla morte di croce …
Chi può rendersi degnamente conto dell’abisso di tale umiliazione, di tale mansuetudine e degnazione sia stato per il Signore il rivestirsi di umana carne, il venire condannato a morte, subire l’obbrobrio della croce?
Ma qualcuno dirà: « Non poteva il Creatore restaurare la sua opera senza tutto questo strazio? ».
Sì che lo poteva, ma preferì farlo soffrendo personalmente, perché nell’uomo non vi fosse occasione per il pessimo e odioso vizio della ingratitudine.
In verità, le molte sofferenze a cui egli si sottomise dovevano rendere l’uomo debitore di molto amore, e la difficoltà della redenzione dovevano spingerlo al ringraziamento, mentre la sua prima condizione lo aveva reso meno devoto.
Che cosa diceva infatti l’uomo creato e ingrato?
« Gratuitamente sono stato creato, ma questo non ha costato nessun gravame o fatica al Creatore: infatti egli disse e io fui fatto, come tutte le altre cose.
Che c’è di straordinario, se anche mi ha dato cose grandi con la facilità di una parola? ».
Così l’umana empietà, attenuando il beneficio della creazione ne prendeva materia di ingratitudine mentre avrebbe dovuto trovarvi motivo di amore, e questo per trovarvi scuse ai suoi peccati.
Ma venne chiusa la bocca di chi diceva cose inique.
Appare ora più chiaro della luce quanto per te, o uomo, Dio abbia pagato di persona: egli non ha disdegnato di farsi da Signore servo ( schiavo ), da ricco povero, da verbo carne, e da Figlio di Dio figlio dell’uomo.
Ricordati ora anche tu, anche se creato dal nulla, non dal nulla sei stato redento.
In sei giorni egli ha fatto tutte le cose, e te fra esse.
Ma per tre anni continui ha operato sulla terra la tua salvezza.
Quante sofferenze sostenne!
Alle necessità della carne, alle tentazioni del nemico aggiunse l’ignominia della croce e l’orrore della morte.
Era necessario.
Così, così, o Signore, hai salvato uomini e giumenti, tanto si stende la tua misericordia, o Dio.
8. Meditate queste cose, in queste cose trattenetevi.
Con tali profumi ristorate le vostre viscere che per tanto tempo furono nauseate dal lezzo dei peccati, onde abbondiate anche di questi unguenti, non meno soavi che salutari.
Non pensate tuttavia di possedere già quegli ottimi che vengono detti profumare le mammelle della sposa.
Non possiamo cominciare ora a parlare di quelli, essendo già tempo di finire il presente sermone.
Tenete bene a mente quanto è stato detto degli altri, dimostratelo nella vostra vita; e per questi altri aiutatemi con le vostre preghiere, affinché possa parlare come si conviene a così grandi delizie della sposa, e in maniera da incitare le vostre anime all’amore dello Sposo, Gesù Cristo nostro Signore.
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