Specchio di perfezione

Parte undicesima - Del suo amore alle creature e delle creature per lui

114. Dell'amore straordinario che ebbe per gli uccelli chiamati allodole cappellacce, perché raffigurano il buon religioso

[1813] 137. Tutto assorbito nell'amore di Dio, Francesco scorgeva perfettamente la bontà di Dio non solo nell'anima già splendente di ogni perfezione di virtù, ma anche in ogni creatura.

E per questo si volgeva con singolare caldo affetto alle creature, particolarmente a quelle in cui vedeva la traccia di una qualità di Dio o di qualcosa che aveva attinenza con la vita religiosa.

Fra tutti gli uccelli prediligeva il piccolo volatile chiamato allodola, comunemente detta « allodola cappellaccia ».

Diceva di lei: « La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi, ed è umile uccello, che va volentieri in cerca di qualche granellino, e se ne trova anche tra i rifiuti, lo tira fuori e lo mangia.

Volando, loda il Signore soavemente, simile ai buoni religiosi che, staccati dalle cose del mondo, vivono sempre rivolti al cielo, e la cui volontà non brama che la lode di Dio.

Il vestito dell'allodola, il suo piumaggio cioè, ha il colore della terra: così offre ai religiosi l'esempio di non avere vesti eleganti e di belle tinte, ma di modesto prezzo e colore somigliante alla terra, che è l'elemento più umile ».

E siccome ammirava nelle allodole queste caratteristiche, era felice di vederle.

Piacque perciò al Signore che questi uccelletti mostrassero al Santo un segno di affetto nell'ora della sua morte.

La sera del sabato, dopo il tramonto che precedette la notte in cui Francesco migrò al Signore, una moltitudine di allodole venne sopra il tetto della casa in cui giaceva, e volando adagio a ruota, facevano come un cerchio intorno al tetto e, cantando dolcemente, parevano lodare il Signore.

115. Come voleva persuadere l'imperatore a emanare un editto decretante che, nel Natale del Signore, gli uomini provvedessero generosamente agli uccelli, al bue e all'asino, e ai poveri

[1814] 138. Noi che siamo vissuti con Francesco e abbiamo scritto questi ricordi, siamo testimoni di averlo sentito dire molte volte: « Se potessi parlare con l'imperatore, lo supplicherei e convincerei a fare, per amore di Dio e di me, una legge speciale: che nessun uomo catturi o uccida le sorelle allodole o faccia loro alcun male.

E inoltre che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e villaggi siano obbligati ogni anno, nel giorno di Natale, a comandare alla gente di gettare frumento e altri cereali per le strade, fuori delle città e dei castelli, affinché le sorelle allodole e gli altri uccelli abbiano da mangiare in un giorno tanto solenne.

E per reverenza verso il Figlio di Dio, che quella notte la vergine Maria depose in una greppia tra il bue e l'asino, chiunque abbia bue e asino sia obbligato a fornire loro generosamente delle buone biade.

Così pure, che quel giorno tutti i poveri abbiano in dono dai ricchi copiose ottime vivande ».

Francesco aveva maggior reverenza per il Natale che per le altre festività.

Diceva: « Dopo che il Signore nacque per noi, cominciò la nostra salvezza ».

Voleva perciò che quel giorno ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, che ci donò se stesso, tutti provvedessero largamente non solo ai poveri, ma anche agli animali e agli uccelli.

116. Del suo amore al fuoco, e come il fuoco gli ubbidì quando ebbe a subire un cauterio

[1815] 139. Costretto per obbedienza dal cardinale di Ostia e da frate Elia, ministro generale, a recarsi all'eremitaggio di Fonte Colombo, presso Rieti, per curarsi dal male di occhi, un giorno il medico venne a vederlo.

E notando lo stato del male, disse a Francesco che voleva fargli un cauterio da sopra la mascella fino al sopracciglio dell'occhio più malato.

Ma Francesco non voleva si cominciasse il trattamento prima dell'arrivo di Elia, il quale aveva detto di voler essere presente all'intervento; il Santo provava disagio e gli pesava di avere tanta preoccupazione per la salute, perciò voleva che il ministro generale ne avesse iniziativa e responsabilità.

Lo aspettarono, dunque, ma Elia non veniva, a causa dei molti impegni che lo trattenevano; così Francesco permise alla fine al medico di fare quello che voleva.

Il ferro fu messo ad arroventare nel fuoco, e il Santo, per rafforzare l'animo contro la paura, parlò al fuoco: « Fratello mio fuoco, nobile e utile fra le altre creature, sii gentile con me in questa ora, poiché sempre ti ho amato e ti amerò, per amore di Colui che ti ha creato.

Prego il Creatore che ci ha fatto, affinché temperi il tuo ardore, in modo che lo possa sopportare ».

E finita la orazione, tracciò sul fuoco il segno della croce.

Noi che in quel momento eravamo con Francesco, fuggimmo tutti per pietà e compassione verso di lui, e solo rimase il medico.

Terminata la cauterizzazione, tornammo dal Santo, che ci disse: « Uomini paurosi e di poca fede, perché scappaste?

Vi dico in verità che non ho sentito nessun dolore per la bruciatura.

Anzi, se la cauterizzazione non è ben riuscita, la si rifaccia più forte ».

Il medico, trasecolato, disse: « Fratelli miei vi confesso che temevo non potesse soffrire un intervento simile, debole e malato com'è, quando non ce la farebbe forse nemmeno l'uomo più vigoroso.

Non ha fatto il minimo movimento né mostrato il più piccolo segno di dolore ».

Fu necessario cauterizzare tutte le vene, dall'orecchio al sopracciglio, ma non giovò a nulla.

Un altro medico gli perforò entrambe le orecchie con un ferro incandescente. ancora senza risultato.

Non meravigliamoci se il fuoco e le altre creature talvolta gli obbedivano e lo veneravano.

Noi, che siamo vissuti con lui, abbiamo visto spessissimo quanto amava le creature, quanto godeva di esse; il suo spirito era preso da tanta tenerezza e compassione, che non voleva fossero trattate duramente.

Parlava loro con una gioia che lo pervadeva nel cuore e negli atti, come si trattasse di esseri dotati di ragione; e sovente, in questi casi, era rapito in Dio.

117. Come non volle spegnere né permettere fosse spento il fuoco che gli bruciava le braghe

[1816] 140. Fra tutte le creature inferiori all'uomo e non dotate di sentimento, Francesco aveva una simpatia particolare per il fuoco, di cui ammirava la bellezza e l'utilità.

E per questo non volle mai impedire la sua azione.

Una volta che sedeva presso al fuoco, questo, senza che egli se ne accorgesse, si appiccò ai suoi panni di lino, le brache, all'altezza del ginocchio.

Pur sentendo il bruciore del fuoco, non voleva però spegnerlo.

Il compagno, vedendo che i panni del Santo bruciavano, corse verso di lui con l'intenzione di estinguere il fuoco, ma Francesco glielo proibì: « No, fratello carissimo, non fare male al fuoco! ».

E non ci fu modo di indurlo a spegnerlo.

Allora quel compagno si precipitò dal frate guardiano del Santo, lo condusse da Francesco e immediatamente estinse il fuoco, contro il volere di lui.

Da allora, per urgente che fosse la necessità, il Santo non volle mai spegnere il fuoco, nemmeno una lampada o una candela, tanto era l'affetto che nutriva per questa creatura.

Non voleva neppure che un fratello gettasse del fuoco o un tizzone fumante da un luogo a un altro, come suol farsi, ma voleva lo si ponesse delicatamente per terra, per reverenza a Colui di cui il fuoco è creatura.

118. Come non volle più portare una pelle, che non aveva lasciata bruciare

[1817] 141. Un giorno, mentre il Santo faceva una quaresima sul monte della Verna, il suo compagno accese il fuoco nella celletta dove il Santo prendeva i pasti.

Poi andò nell'altra celletta, dove Francesco pregava, portando con sé il messale per leggergli il Vangelo del giorno.

Era infatti abitudine del Santo di ascoltare, prima della refezione, il Vangelo del giorno, quelle volte che non aveva partecipato alla Messa.

Quando giunse per prendere il cibo nella celletta in cui stava acceso il fuoco, ecco già la fiamma salire fino al tetto e incendiarlo.

Il compagno cominciò a spegnere il fuoco, come poteva, ma da solo non ci riusciva.

Francesco, che non voleva aiutarlo, prese una pelle che alla notte teneva su di sé e andò nella selva.

I frati del luogo, che dimoravano lontani da quella celletta, come si avvidero che bruciava, accorsero tosto ed estinsero le fiamme.

Più tardi tornò Francesco per mangiare.

Finito il pasto, si rivolse al compagno: « Non voglio più coprirmi d'ora innanzi con questa pelle, poiché per la mia avarizia non ho lasciato che fratello fuoco la divorasse ».

119. Del suo singolare amore per l'acqua, le pietre, gli alberi e i fiori

[1818] 142. Dopo il fuoco, il suo amore andava specialmente all'acqua, simbolo della santa penitenza e tribolazione, che purificano le sporcizie dell'anima; e perché il primo bagno dell'anima si fa per mezzo dell'acqua battesimale.

Quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove l'acqua scorrente non venisse pesticciata dai piedi.

E quando camminava sulle pietre, avanzava con gran delicatezza e rispetto, per amore di Colui che è chiamato Pietra.

E nel recitare quel versetto del salmo: Tu mi elevi sulla pietra, diceva con gran reverenza e devozione queste parole: Mi hai collocato più giù che i piedi della pietra.

Al frate che tagliava la legna e la preparava per il fuoco, raccomandava di non abbattere mai tutto l'albero, ma tagliasse gli alberi in modo che ne rimanesse sempre una parte intatta, e ciò per amore di Colui che volle operare la nostra salvezza sul legno della croce.

Anche al frate che lavorava l'orto diceva di non coltivare tutto il terreno per le erbe commestibili, ma ne lasciasse qualche parte libera di produrre erbe verdeggianti che alla loro stagione producessero i fratelli fiori; e ciò per amore di Colui che è chiamato fiore del campo e giglio delle valli.

Diceva ancora che il frate ortolano dovrebbe sempre fare un bel giardinetto in una parte dell'orto, dove seminare e mettere ogni tipo di erbe odorose e le piante che producono bei fiori, affinché invitino, nella stagione loro, gli uomini che le vedono alla lode di Dio.

Infatti ogni creatura dice: « Dio mi ha creata per te, o uomo! ».

Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi interiormente ed esteriormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole o mirandole, il suo spirito sembrava essere in cielo, non in terra.

E per le grandi gioie che aveva ricevuto e riceveva dalle creature, egli compose, poco prima della sua morte, alcune Lodi del Signore per le sue creature, per incitare alla lode di Dio i cuori di coloro che le udissero, e cosi il Signore fosse lodato dagli uomini nelle sue creature.

120. Come lodava il sole e il fuoco su tutte le altre creature

[1819] 143. Al di sopra di tutte le creature non dotate di ragione, Francesco amava particolarmente il sole e il fuoco.

Diceva: « Al mattino, quando sorge il sole, ogni uomo dovrebbe lodare Dio che ha creato il sole per nostra utilità, poiché è per suo mezzo che i nostri occhi sono illuminati durante il giorno; la sera, quando scende la notte, ogni uomo dovrebbe lodare Dio per fratello fuoco, a mezzo del quale i nostri occhi sono illuminati nella notte.

Tutti siamo come dei ciechi, ed è mediante questi due nostri fratelli che il Signore dà luce ai nostri occhi.

Dobbiamo lodare il Signore specialmente per queste creature e per le altre, di cui usiamo ogni giorno ».

Francesco fece sempre così, fino al giorno della sua morte.

Quando la malattia si faceva più grave, egli cominciava a cantare le Lodi di Dio per le sue creature, cantico composto da lui.

Faceva cantare anche i suoi compagni, affinché, assorti nella lode del Signore, dimenticassero l'acerbità dei dolori e della malattia di lui.

Giudicava e diceva che il sole è il più bello di tutte le creature e più rassomiglia al Signore, tanto che nella Scrittura il Signore stesso è chiamato Sole di giustizia.

Perciò, nel dare un titolo alle Lodi da lui composte sulle creature di Dio, quando il Signore gli ebbe dato la certezza di possedere il suo regno, le chiamò Cantico di frate sole.

121. Questa è la lode che compose quando il Signore lo fece certo del suo regno

[1820] 144. Altissimo, onnipotente, bon Signore,

tue so le laude, la gloria e l'onore e onne benedizione.

A te solo, Altissimo, se confano

e nullo omo è digno te mentovare.

Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,

spezialmente messer lo frate Sole,

lo quale è iorno, e allumini noi per lui.

Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:

de te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:

in cielo l'hai formate clarite e preziose e belle.

Laudato si, mi Signore, per frate Vento,

e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo

per lo quale a le tue creature dai sostentamento.

Laudato si, mi Signore, per sor Aqua,

la quale è molto utile e umile e preziosa e casta.

Laudato si, mi Signore, per frate Foco,

per lo quale enn'allumini la nocte:

ed ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sostenta e governa,

e produce diversi fructi con coloriti

flori ed erba.

Laudato si, mi Signore, per quelli che

perdonano per lo tuo amore

e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli che 'l sosterranno in pace,

ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

[ Laudato si, mi Signore, per sora nostra

Morte corporale,

da la quale nullo omo vivente po' scampare.

Guai a quelli che morrano ne le peccata mortali!

Beati quelli che trovarà ne le tue sanctissime voluntati,

ca la morte seconda no li farrà male ].

Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate

e serviteli cun grande umilitate.

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