Annotazioni su Giobbe |
Il tragelafo è dunque un animale risultante da due componenti: il capro e il cervo.
Rappresenta dunque l'anima che secondo l'uomo interiore serve la legge di Dio ma, per quella parte che è ancora caprone, vede nelle sue membra un'altra legge che contrasta con la legge del suo spirito e la rende schiava della legge del peccato. ( Rm 7,22-23 )
A questi uomini nel tempo prescelto Dio ha partorito dei sassi in quanto ha posto nelle Scritture dei robusti supporti, cioè esempi di [ santità ].
In tali esempi, senza cadere nella disperazione, possono riposare coloro che hanno la carne soggetta ai desideri contrari allo spirito mentre anche lo spirito nutre desideri contrari alla carne. ( Gal 5,17-18 )
Alla fine costoro, superate con l'agilità propria dei cervi le suggestioni del serpente, raggiungeranno la vita e seguiranno lo spirito, e in tal modo il peccato - da qui il richiamo al simbolico caprone - non regnerà più nel loro corpo mortale perché obbedisca ai suoi desideri. ( Rm 6,12 )
O hai tu controllato i parti delle cerve? Cioè delle Chiese che, nella categoria degli uomini spirituali, con affetto materno inculcano l'imitazione di sé a coloro ai quali, dopo questo, non potranno più nuocere le [ false ] opinioni diffuse dal serpente.
Anche costoro tuttavia sono custoditi [ dal Signore ], perché ripongono la loro fiducia non in se stessi ma in Dio.
E hai tu contato i mesi dei loro parti? Non partoriscono infatti se non attraverso il Vangelo, che il Signore predicò a periodi mensili determinati, cominciando dal battesimo fino alla passione e all'ascensione, e suffragò con l'autorevolezza del suo magistero.
Le hai tu forse liberate dai dolori [ del parto ]? Non senza dolore infatti si affermava [ da Paolo ]: Figliolini miei, che io partorisco di nuovo finché non sia formato in voi il Cristo. ( Gal 4,19 )
Questi dolori cessano quando il feto viene alla luce: quando cioè la verità viene depositata nell'intimo di coloro per i quali si sta gemendo in questo mondo.
Tutto ciò peraltro viene compiuto nell'intimo della coscienza dal Verbo di Dio.
Hai tu nutrito i loro piccoli [ che sono ] senza timore?
Cioè coloro che non sono timorosi nel ricevere il latte dei sacramenti; essi infatti non hanno ricevuto lo spirito della schiavitù per ricadere un'altra volta nel timore. ( Rm 8,15 )
Farai tu uscire i loro nati? Li condurrai alla libertà di pascoli spirituali più fiorenti?
I loro figli romperanno: i lacci delle voglie mondane. Si moltiplicheranno nel frumento.
Dopo essersi nutriti di latte si nutriranno di quel cibo più solido che è la sapienza.
Usciranno e non torneranno più presso di loro. Usciranno dalle strettoie, per dire così, della dottrina che gli uomini trasmettono ai principianti.
E non ritorneranno dalle loro madri, non avendo più bisogno del latte né di uomini che li istruiscano.
Naturalmente, questi tre versetti non si debbono pronunziare in tono di interrogazione.
Chi è colui che ha lasciato andare libero l'onagro? Cosa strana questa, almeno se, parlando di onagro, egli non si riferisca a quei pochi che servono Dio liberi da ogni occupazione profana.
E i suoi legami chi li ha sciolti? I legami, cioè, degli affetti carnali e profani.
Ho stabilito come sua abitazione il deserto e come sua tenda la terra salmastra.
È da lì che egli grida: Ha sete di te l'anima mia. ( Sal 63,2 )
Si fa beffe del gran numero [ di abitanti ] della città.
Quella città che la Scrittura chiama Babilonia e che cammina per la via spaziosa che conduce alla perdizione. ( Mt 7,13 )
Non ascolta il gridare del sorvegliante: poiché non deve nulla a nessuno.
Indugia a guardare i monti del suo pascolo: la grandezza della rivelazione.
Va in cerca di tutto ciò che è verde, cioè eterno. Vorrà forse il monocero prestare servizio a te?
Chiama così chi andava superbo per la sua posizione sociale eminente.
Difatti il Cristo ha assoggettato a sé anche personaggi di questo genere e li ha scelti per essere ministri della Chiesa.
Infatti è il rinoceronte, simbolo dell'uomo superbo. O [ li ha fatti ] dormire nella tua stalla?
Così come ci si riposa sull'umiltà di colui che da bambino fu posto nella mangiatoia, ( Lc 2,7 ) sicuri del perdono dei peccati e dimentichi delle angustie derivanti dalla cattiva coscienza.
E legherà con cinghie il suo giogo? Portano, cioè, il suo giogo, che è leggero, e legano quelle cinghie che sono i meriti insigni di coloro che hanno mortificato e domato la carne.
Al riguardo va ricordato che anche Giovanni portava ai fianchi una cintura di pelli, ( Mt 3,4 ) né lo cingevano le dure catene dei peccati.
O condurrà verso di te i solchi nel campo? Aprirà a te i cuori del popolo che gli obbedisce per raggiungere il regno di Dio?
Confidi forse in lui, che sia cambiato il suo potere?
Per cui non chieda conto della vanità della lode e delle onorificenze umane nell'esercizio del ministero ecclesiale come ne chiedeva quando si era nel secolo?
O affiderai a lui le tue opere? Come a colui del quale l'Apostolo dice di essere ambasciatore, esortando la gente nel nome di Cristo a riconciliarsi con Dio. ( 2 Cor 5,20 )
O presterai fede a lui, [ sicuro ] che egli ti restituirà il seme?
Egli non pretenderà di riservare alcuna di tutte queste cose alla sua signoria.
Egli chiama seme il lavoro della semina. E che lo riporterà nella tua aia?
Esso pertanto verrà a trovarsi fra coloro ai quali il Signore in persona ha comandato di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. ( Lc 10,2 )
Fa questo non al fine di formarsi un'aia di sua appartenenza, come fa ogni promotore di eresie o di scismi o chiunque altro che non cerchi la gloria di Dio ma la propria.
È difficilissima, è vero, la cosa che vuole questo rinoceronte; tuttavia anche questo sa donare e produrre nell'anima umana colui che solo compie cose mirabili, ( Sal 72,18 ) colui che annulla i progetti dell'uomo e ogni altezza che si innalza contro la scienza di Dio, e soggioga ogni intelletto perché presti a lui obbedienza. ( 2 Cor 10,4-5 )
La penna degli struzzi è mescolata con le ali dell'airone e dell'avvoltoio.
Ai tardi d'ingegno, raffigurati dagli struzzi perché incapaci di volare, è stato concesso, ad opera della grazia di colui che sceglie le cose stolte del mondo, ( 1 Cor 1,27 ) il dono di eguagliare in celerità coloro che sono più dotati d'ingegno se hanno in comune la stessa fede.
Costoro sono rappresentati dalle due categorie di uccelli menzionati in questo verso, che così va interpretato.
Egli lascia nella terra le sue uova. Ora comincia a parlare dello struzzo, cioè di coloro che in questo uccello vengono raffigurati.
Le penne degli struzzi, infatti, così lente nel volare, non si potrebbero mescolare con le ali di quegli altri uccelli, che sono assai veloci, consentendo di volare insieme, se essi non avessero abbandonato in terra la loro speranza antecedente, rappresentata dalle uova.
Queste si riscaldano nella sabbia. Sebbene [ un uomo siffatto ] non stia più attaccato alle cose che sperava in questo mondo, tuttavia spesse volte queste gli sopraggiungono dal favore di persone ancora in preda all'amore mondano, qui paragonato alla sabbia.
Esso dimentica che il piede [ dei passanti ] le disperde e gli animali selvatici le calpestano.
Se poi la passione di qualcuno si leva in senso contrario, ovvero i figli cattivi di questo mondo vengono a turbare, o anche a distruggere, una tale speranza, come le uova colui che le ha lasciate in terra, egli non se ne cura e come dimentico di tutto ciò, non li sente.
Si indurisce contro i suoi figli quasi che non siano suoi.
Sebbene non si tratti più di speranze, simboleggiate dalle uova, ma di realtà già maturate, come lo sono i figli già nati, e in concreto sebbene si tratti della felicità raggiunta in questo mondo, egli la disprezza con animo risoluto, poiché non vuole che sia quella la sua felicità, dal momento che aspira alla felicità vera.
Ha faticato inutilmente senza alcun timore.
Ciò avviene prima della conversione, quando l'uomo, sperando beni mondani, si affatica senza ricavarne frutto e, ciò che è più stolto, senza alcun timore pur riponendo la sua fiducia in cose incerte.
Poiché Dio l'ha disprezzato [ privandolo ] della sapienza e non gli ha conferito l'intelligenza.
Cosa c'è infatti di più stupido che confidare in cose vane e affaticarsi per ammassare beni corruttibili, senza timore di perderli?
Questo attaccamento si produce soprattutto nell'animo di quei molti che da lungo tempo godono di prosperità mondana, specialmente se questa li raggiunge con successione ininterrotta dagli avi e proavi.
In base a ciò, essi non riescono a pensare che improvvisamente possono diventare dei disgraziati; e siccome sulla terra di solito li si considera persone importanti, sebbene non posseggano le ali delle virtù attuate con una vita celeste, a ragione vengono paragonati agli struzzi.
Ma bada al seguito del testo che dice: Quando giungerà il tempo, se ne volerà in alto e si farà beffe del cavaliere e del galoppatore.
Venne poi la pienezza del tempo ( Gal 4,4 ) e ai ricchi di questo mondo fu ordinato di non nutrire sentimenti di superbia e di non riporre la fiducia nelle ricchezze incerte ma nel Dio vivo. ( 1 Tm 6,17 )
Da allora gli uomini hanno cominciato a volgere in alto il loro cuore elevandolo al Signore, e si è cominciato insieme a deridere i superbi persecutori, che il Signore aveva sommerso nel mare.
Da allora pertanto le ali dello struzzo, frammiste a quelle degli uccelli veloci, s'innalzano verso il cielo e si avverano tutte le altre cose che sono state dette sopra a proposito di questo animale.
Hai forse tu cinto di forza il cavallo? Sembra voglia descrivere il martire, testimone intrepido e generoso della fede che salva: la quale testimonianza egli rende non per le sue risorse naturali ma per le forze di cui l'ha arricchito il Signore.
Hai tu fissato la criniera sul suo collo? Rivestitevi dell'armatura di Dio per resistere nei giorni del male. ( Ef 6,11 )
E l'audacia della gloria del suo petto? È questa l'audacia per la quale Isaia osa parlare. ( Is 65,1; Rm 10,20 )
Quanto alla gloria del petto, essa è la coscienza ( 2 Cor 1,12 ) che approva l'operato dell'uomo, per cui ciascuno trova in se stesso e non in altri il motivo di vantarsi. ( Gal 6,4 )
Uscendo in campo galoppa. Uscendo verso la luce della libertà esulta negli ampi spazi della carità potendo agevolmente compiere le opere buone.
Avanza coraggiosamente nella battaglia: contro le avversità e le tentazioni.
Si lancia contro i giavellotti e non li calcola affatto.
Questo perché è munito tutt'all'intorno di armi, tra cui lo scudo della fede, contro il quale si spengono gli strali infuocati del nemico. ( Ef 6,16 )
Non si scansa dalla spada. Cioè dalla morte del corpo, ovvero lo si dice perché ci sono anche dei duri che non accettano la verità anzi sono accaniti nel perseguitare coloro dai quali il giusto non si distacca perché gli è comandato di amare anche i persecutori.
Sopra di lui si allieta l'arco e la spada. Mediante la sua confessione si asseriscono e la [ verità della ] minaccia divina, che da lontano predice pene invisibili, e la testimonianza della parola che come da distanza ravvicinata debella tutti gli errori.
Una cosa infatti è minacciare supplizi ai peccatori, cosa assai lontana nell'avvenire come quando si scagliano le frecce con l'arco, e un'altra cosa è sconfiggere le voglie disordinate già presenti ricorrendo alla spada della parola combattendo come quando si viene alle mani.
Per il vibrare della lancia e dell'asta. Cos'è questo fatto, cioè che per il vibrare della lancia e dell'asta, sopra di lui si allietano l'arco e la spada?
Non si riferisce per caso al fatto che se il martire non trema di fronte alla morte eterna che la divina giustizia gli minaccia per il futuro, se cioè non la teme, egli non può disprezzare la morte del corpo, minacciata dal persecutore, e quindi non può effettuare un'intrepida confessione [ della fede ] né predicare la verità con tale fierezza che i nemici non possono tenergli testa?
In tal modo " si allieta sopra di lui ( cioè per mezzo di lui si afferma liberamente ) la dottrina di Dio ", che agli empi minaccia la rovina eterna ed uccide il peccato presente [ nel mondo ].
Se infatti la gioia che a noi deriva dalla speranza non fosse unita al timore della dannazione, la nostra stessa sicurezza ci lascerebbe nel disimpegno, e la nostra esagerata fiducia diventerebbe superbia, e non sarebbe per noi il detto del salmo: Gioite con timore dinanzi a lui. ( Sal 2,11 )
Nella sua ira scava il terreno. Si adira contro se stesso per rimuovere da sé le passioni terrene e ogni timore carnale, da cui l'uomo è impedito a sopportare i patimenti.
Secondo questa interpretazione, forse, è stato anche detto: Adiratevi ma non peccate. ( Sal 4,5 )
Ognuno di noi infatti deve muovere a se stesso severi rimproveri animato da quello sdegno veramente salutare che fa dire: Perché sei triste, anima mia?
E perché mi turbi? Spera in Dio: a lui confesserò.
E siccome la confessione che si fa con la bocca si fa per ottenere la salvezza, ( Rm 10,10 ) continua subito dopo: Salvezza del mio volto [ è ] il mio Dio. ( Sal 42,6-7 )
Non lo crederà fino a che non avrà suonato la tromba.
In effetti, finché non arriva il tempo della tentazione la verità non appare chiaramente, anche se è rimosso il timore mondano; né facilmente le può credere finché ad istruirci non viene il tempo della prova.
Quando suonerà la tromba, dirà: Avanti! Quando giungerà il tempo della prova allora potrà compiacersi della sua anima, a condizione però che egli sappia gloriarsi delle tribolazioni, in quanto la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. ( Rm 5,3-4 )
Allora non dirà più con ira alla sua anima: Perché mi turbi?, ma gloriandosi le dirà: Anima mia, loda il Signore. ( Sal 145,2 )
E da lontano sente l'odore della battaglia. Non come chi si trova fra persecutori - uomini, cioè esseri visibili, ma da lontano; e ciò per indicare degli esseri che sfuggono agli occhi.
Noi infatti sappiamo di non dover lottare contro la carne e il sangue ma contro i principati e le potenze e i reggitori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che sono nelle sfere celesti. ( Ef 6,12 )
Questo significa da lontano. A proposito si dice che odora, e questo a motivo del principe delle potenze del mondo aereo.
In effetti gli odori, tanto buoni quanto cattivi, li si percepisce con l'olfatto.
Pertanto sente l'odore della battaglia colui che si rende conto di come il principe delle potenze del mondo aereo stia operando tra i figli dell'incredulità ( Ef 2,2 ) da cui è perseguitato e dei quali sperimenta la collera e le insidie.
Egli dunque combatte contro gli spiriti del male con armi spirituali, e non con armi materiali contro esseri fatti di carne e di sangue, come sarebbero gli uomini cattivi e perversi che si vedono con gli occhi del corpo.
Il tuono dei condottieri e le grida. Sottintendi: " Odora ".
Se poi si parla di tuono, penso lo si faccia in riferimento all'aria stessa dove abitano gli spiriti del male.
Questi spiriti infatti non sono chiamati reggitori del mondo perché governano veramente il cielo e la terra ma nel senso indicato dall'Apostolo, il quale esclude una tale spiegazione aggiungendo subito dopo in che senso li chiama reggitori del mondo.
Egli dice che si tratta del mondo di queste tenebre cioè della società degli empi, ai quali una volta convertiti al Signore rivolge queste parole: Un tempo siete stati tenebra, ma ora siete luce nel Signore. ( Ef 5,8 )
Dal libero arbitrio di ciascuno dipende infatti l'essere o tenebra o luce, ma quando si è tenebra lo si è di per noi stessi, cioè a causa dei peccati, che sono roba propria di ciascuno; quando viceversa si è luce, non lo si è per noi stessi ma viene dal Signore, dal quale si è illuminati.
Lo dice Isaia: le sue tenebre saranno come il mezzogiorno, ( Is 58,10 ) e nei salmi è detto: Tu rischiarerai le mie tenebre. ( Sal 18,29 )
Orbene quelli che l'Apostolo chiama reggitori delle tenebre in questo versetto [ di Giobbe ] sono chiamati condottieri.
Da loro infatti le tenebre, figura degli "empi ", sono condotte a perseguitare i fedeli, cioè coloro che subiscono persecuzioni per la giustizia, non coloro che soffrono a causa della loro irreligiosità e delle proprie colpe.
Di tali condottieri si afferma che il martire odora le grida, non nel senso che da loro si emetta un suono percepito dagli orecchi del corpo ma perché mediante la fede essi gridano agli orecchi del cuore tutte le malvagità che il diavolo e i suoi angeli tramano contro i servi di Dio, secondo il detto dell'Apostolo: A noi infatti non sono sconosciute le sue intenzioni. ( 2 Cor 2,11 )
Contro questo schiamazzare dei condottieri, sono ovviamente sorde le orecchie degli increduli.
Forse che in forza della tua sapienza mette le piume l'avvoltoio?
In tal modo infatti, cioè per la sapienza di Dio, che è Cristo, a poco a poco si forma e rinnova l'uomo che si dispone ad abitare nei cieli.
Allarga le ali e sta immobile guardando a mezzodì.
Sottratte ad ogni impedimento mondano tutte le energie del duplice amore, egli rimane saldo e immobile nella fede.
Nel fare ciò tuttavia egli non presume di se stesso ma spera in Dio, e riversa ogni suo vigore in colui che gli ispira il fervore della carità, affidando a lui la sua fortezza. ( Sal 59,10 )
Dice: Non sarà forse soggetta a Dio la mia anima? Da lui infatti è la mia salvezza.
Sì, egli è il mio Dio, la mia salvezza e il mio protettore: non sarò mai smosso. ( Sal 62,2-3 )
O che forse per un tuo comando si solleva in alto l'aquila?
Come accade per comando di colui che diceva: Quando sarò innalzato da terra attirerò a me tutte le cose? ( Gv 12,32 )
Egli infatti quando stava per morire per noi ed era vicino alla resurrezione, con la quale avrebbe elevato al cielo il suo corpo, ebbe a dire: Là dove ci saranno i cadaveri si raduneranno le aquile. ( Mt 24,28 )
Così egli saziava con i beni del cielo il desiderio di colui la cui giovinezza si rinnova come quella dell'aquila. ( Sal 103,5 )
Inoltre questo sollevarsi dell'aquila può riferirsi a quel che afferma l'Apostolo: Se siamo fuori senno, è per Dio, sicché il verso che segue, dove si parla dell'avvoltoio, si dovrà riferire a ciò che anche in Paolo viene detto: Se siamo assennati, lo siamo per voi.
Ivi infatti si prosegue con le parole: O che forse l'avvoltoio dimorerà sopra il suo nido poggiando sulla pietra?
Sembra che queste parole siano state dette non dell'inclinazione a contemplare le cose sublimi con estasi della mente ma dell'impegno nel regolare le cose ordinarie mediante la temperanza con cui ci si adegua alle realtà umane.
In tale ottica anche gli empi, che si è soliti considerare come morti, se sono giustificati per mezzo della parola, se cioè sono come divorati dalle fauci [ di qualcuno ], si convertono ed entrano nel corpo della Chiesa: l'avvoltoio infatti si ciba di cadaveri.
Se poi si dice sopra il suo nido, è perché lì si collocano, come se fossero figlie, le opere necessarie alla vita presente; e se si aggiunge: sulla pietra ci si fa pensare all'Apostolo, il quale dopo aver detto: Se siamo assennati [ lo siamo ] per voi, aggiunge subito: Infatti la carità di Cristo ci sospinge, ( 2 Cor 5,13-14 ) e la pietra era Cristo. ( 1 Cor 10,4 )
Opportunamente [ si dice che ] poggiando dimorerà secondo quell'affermazione: Io sono messo alle strette da due desideri: infatti desidero essere sciolto [ dal corpo ] ed essere con Cristo, cosa di gran lunga più eccellente, sicché questo è ben riferito all'elevarsi dell'aquila; mentre l'altro, e cioè: Restare nel corpo è necessario a voi, ( Fil 1,23-24 ) si riferisce all'avvoltoio che se ne sta nel nido e vi soggiorna.
Siccome poi nella pietra si vede ben raffigurata tutta la Chiesa, anche perché è posta in relazione con quel Simone che per questo motivo dal Signore fu chiamato Pietro, ( Mc 3,16 ) la sommità della pietra è il capo stesso della Chiesa.
In ordine a questo vi si aggiunge il verso successivo, che suona: Nella sommità della pietra e nella cavità?
La sommità è in riferimento all'essere egli il capo, la cavità invece fa pensare al fatto che la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. ( Col 3,3 )
E quando egli sarà là, chiederà il cibo. Quel cibo di cui fu detto a Pietro: Uccidi e mangia, ( At 11,7 ) indicandogli che avrebbe dovuto accogliere nel corpo della Chiesa i pagani che avrebbero creduto in Cristo.
I suoi occhi si spingono a guardare lontano e i suoi piccoli si rotolano nel sangue.
Animato dalla speranza dell'immortalità futura, l'uomo volge da lontano la sua attenzione alla vita eterna, sebbene le sue opere si avvoltolino ancora nella propria fragilità carnale, sebbene cioè egli sia ancora turbato da moti non ben definiti.
Egli compie opere di misericordia, ma per la sua ignoranza umana rimane nell'incertezza non sapendo quale vantaggio ne tragga ciascuno in ordine a Dio, sebbene spingendo lo sguardo in lontananza egli distribuisce [ il bene ] mosso da sincera carità e avendo di mira la salvezza eterna.
Può allora accadere che questo tale cristiano impegnato a distribuire i beni incontri persone che, sostenute dalla volontà di rinunciare al diavolo, sono già morte al mondo.
In tal caso egli, senza alcuna incertezza, mette a loro servizio la sua bocca dedicandosi al lavoro della predicazione, con il quale li annette al corpo della Chiesa, essendo essi già più che preparati.
Per questo motivo si aggiunge: Dovunque si trovino i cadaveri, celermente essi sono scoperti.
Il Signore replicò a Giobbe e gli disse. A questo punto sembra che il Signore stesso venga a ripetere il discorso, mentre erano sue le parole già dette prima.
La cosa è comprensibile se supponiamo che Giobbe, dinanzi a quel che gli si diceva, era rimasto con la lingua inceppata: se ne stava in silenzio e taceva, non osando aggiungere parole.
Pertanto nei due versetti che seguono il Signore lo esorta a rispondere: Ma che davvero colui che osava disputare con l'Onnipotente [ ora ] se ne sta zitto?
Vuol dire: Perché smetti di litigare con l'Onnipotente? Rimproverando Dio, oserà replicare a lui?
Bisogna sottintendere un " Forse che ", per cui il senso della frase sarà questo: Forse che oserà rimproverare Dio colui che discutendo gli risponde?
Si discute infatti con l'Onnipotente quando si va a chiedergli qualcosa, anche senza volerlo convincere di colpa né contraddirlo.
Per il fatto dunque che egli è Onnipotente, non per questo si deve smettere di discutere con lui.
Con la disputa infatti non ci si presenta a lui, che è la stessa verità, per domandargli qualcosa al fine di rimproverarlo.
Il testo potrebbe essere interpretato anche così: " O che forse colui che disputa con il Signore potrà acquietarsi? ".
Vale a dire: " Siccome chi disputa con l'Onnipotente non si acquieta, non è il caso di litigare con lui al fine di ottenere questa quiete ".
Colui che disputa, di solito contraddice; ma chi si pone contro Dio non può trovare quiete; cioè non trova pace se non concorda senza alcuna ribellione con la sua volontà.
Rimproverando dunque Dio, replicherà così. Significa: Quando con atteggiamento litigioso l'uomo risponde a Dio, muove rimprovero a Dio stesso e quindi non raggiunge la pace, come è stato detto: O uomo, chi sei tu che fai obiezioni a Dio? ( Rm 9,20 )
Ma in che modo Giobbe aveva fatto una cosa di questo genere?
E veramente Dio non lo considera come uno che solleva obiezioni contro di lui.
Ciò avevano fatto i suoi amici, che non avevano capito il piano divino, mentre a Giobbe si dà buona testimonianza e al principio e alla fine del libro.
Ma la cosa non sarà stata per caso detta in riferimento alla persona che Giobbe rappresentava, cioè in riferimento al corpo del Signore che è la Chiesa?
Effettivamente in questo corpo c'è una parte notevole di gente inferma: non dico di gente senza speranza ma in pericolo per quanto riguarda il suo progresso.
A costoro vacillano i piedi e quasi scivola il passo perché invidiosi dei peccatori vedendo la pace che essi godono.
Costoro dicono: Come può conoscerlo Dio? C'è forse la conoscenza nell'Altissimo?
Ecco, essi [ sono ] peccatori, e pure fortunati in questo mondo, hanno accumulato ricchezze.
Ma che davvero io abbia inutilmente reso giusto il mio cuore e lavato le mie mani insieme agli innocenti?
O che inutilmente io sia flagellato tutto il giorno e la mia punizione [ si estenda ] fino al mattino? ( Sal 73,2-14 )
A questo effettivamente sembra che risponda Giobbe in persona nei versetti seguenti.
Rispondendo Giobbe disse: Ascoltando tali cose dovrei sottopormi a giudizio, dopo che sono stato avvertito e rimproverato dal Signore, io che sono un nulla?
Il senso è: Perché mai dovrei io stesso inventare il mio giudizio quando ad avvertirmi e rimproverarmi c'è il Signore, se io osassi contraddirlo?
Ascoltando tali cose, vale a dire comprendendole, cioè comprendendo con quanta giustizia e misericordia mi si tratti sebbene io di per me stesso sia un nulla.
Quale risposta darò? Cioè: Cosa potrò dire contro la verità?
Mi porrò la mano sulla bocca. Cioè: la terrò chiusa e porrò un freno alla mia loquacità.
Ho parlato una volta; non vi aggiungerò la seconda.
Queste parole vanno prese con un senso di mistero: difatti come si può dire che Giobbe abbia parlato una sola volta mentre ha parlato tante volte?
O in che senso egli non aggiungerà altre parole se dopo un poco si rimette a parlare?
Qui l'espressione è da intendersi riferita al progresso dell'anima nei riguardi delle cose esterne, per cui ella abbandona Dio e gli oppone resistenza.
In tal senso quest'aumento di parole nella sacra Scrittura viene chiamato clamore, come quando Dio stesso dice che è giunto fino a lui il clamore di Sodoma. ( Gen 18,20 )
Contrario a questo parlare o gridare è quel beatissimo silenzio di cui si afferma: E tacerà senza timore astenendosi da ogni male.
Fa quindi bene a dire che ha parlato una volta con quel discorrere che si era prolungato per tutta la vita dell'uomo vecchio, quando egli era uno spirito vagabondo che mai tornava indietro. ( Sal 78,39 )
Adesso quindi, mettendosi la mano sulla bocca per non continuare, promette di non aggiungere altro, per non allontanarsi da Dio. Amen.