Costumi della Chiesa cattolica e costumi dei Manichei |
L'uomo dunque, come appare all'uomo, è un'anima razionale che si serve di un corpo mortale e terreno.
Quindi chi ama il prossimo, fa del bene in parte al corpo dell'uomo, in parte alla sua anima.
Il beneficio che riguarda il corpo si chiama medicina, quello invece che riguarda l'anima disciplina.
Senonché qui chiamo medicina tutto ciò che protegge il corpo o ne ristabilisce la salute.
Ad essa pertanto appartengono non solo le cose che procura l'arte di coloro che sono chiamati propriamente medici, ma anche cibi e bevande, vestiti e abitazioni, infine ogni difesa e riparo a cui il nostro corpo ricorre anche contro i colpi esterni e le sventure.
Infatti la fame e la sete, il freddo e il caldo e tutto ciò che dall'esterno ci colpisce gravemente, non consentono di conservare la salute della quale ora si tratta.
27.53 - Per questo coloro che, per dovere e per umanità, forniscono i mezzi per resistere ai mali e alle contrarietà di questo genere, vengono chiamati misericordiosi, anche se sono così saggi da non provare più alcun dolore dell'animo.
Chi non sa infatti che la misericordia è chiamata tale dal fatto che rende sensibile alla miseria il cuore di colui che prova dolore per il male altrui?
E chi non concede che il saggio deve essere libero da ogni miseria quando viene in aiuto del povero, quando dà il cibo all'affamato e da bere all'assetato, quando riveste l'ignudo, quando accoglie nella sua casa il pellegrino, quando libera l'oppresso, quando infine spinge la sua umanità fino a dare sepoltura ai morti?
Quantunque faccia ciò con spirito sereno, non stimolato dagli aculei del dolore, ma mosso dal dovere della bontà, tuttavia dovrà essere chiamato misericordioso.
A lui non nuoce per nulla questo nome, poiché egli è esente dalla miseria.
27.54 - Gli stolti in verità, ogni qualvolta sfuggono la misericordia quasi fosse un vizio, poiché non possono essere mossi a sufficienza dal dovere se non sono scossi nello stesso tempo dal turbamento dell'animo, si irrigidiscono nella freddezza di cuore piuttosto che rasserenarsi nella tranquillità della ragione.
Pertanto con molta più prudenza si dice anche che Dio stesso è misericordioso: ( Dt 4,31; Ne 9,14; Sal 86,15; Sir 2,13; Lc 6,36; Gc 5,11 ) come poi lo si dica spetta comprenderlo a coloro che se ne sono resi capaci con la pietà e con lo studio, affinché non avvenga che, utilizzando a sproposito le parole dei dotti, facciamo indurire l'animo degli indotti col non praticare la misericordia, prima di farlo intenerire con il bramare la bontà.
E come la misericordia ci comanda di rimuovere dall'uomo tali pregiudizi, così l'innocenza ci vieta di farvelo incorrere.
Per quanto attiene poi alla disciplina, per mezzo della quale nell'animo stesso s'instaura la salute in assenza della quale la salute del corpo non vale niente per scacciare le miserie, la questione è difficilissima.
Nel corpo, dicevamo, una cosa è curare malattie e ferite ( che pochi uomini possono far bene ), un'altra invece calmare la fame e la sete e tutti gli altri bisogni, a proposito dei quali si concede generalmente e dappertutto che l'uomo venga in aiuto dell'uomo.
Così è dell'anima nella quale esistono bisogni che non richiedono affatto un'eccellenza e una rara maestria, come è il caso in cui, per esempio, esortiamo ed ammoniamo a dare ai bisognosi quei soccorsi che, abbiamo detto, è un dovere dare al corpo.
Quando infatti facciamo queste cose, veniamo in ã aiuto del corpo; quando invece insegniamo a farle, veniamo in aiuto dell'anima mediante la disciplina.
Tuttavia esistono altri casi nei quali le molte e varie malattie dell'anima si guariscono con un rimedio grande e del tutto indicibile.
E se non fosse Dio a mandare questa medicina ai popoli, non rimarrebbe speranza alcuna di salvezza, tanto smodata è la progressione di coloro che peccano.
Pertanto, se si ricerca più in alto l'origine delle cose, si trova che anche la salute del corpo da niente altro è potuta venire agli uomini, se non da Dio, al quale bisogna attribuire lo stato e la prosperità di tutte le cose.
28.56 - Tuttavia questa disciplina, della quale ora trattiamo e che è la medicina dell'anima, per quanto ci è dato di ricavare dalle stesse divine Scritture, si divide in due parti: la repressione e l'istruzione.
La repressione si ottiene con il timore, l'istruzione con l'amore, con quell'amore, dico, verso la persona a cui si viene in aiuto mediante la disciplina.
Infatti chi viene in aiuto né reprime né istruisce se non ama.
Dio stesso, dalla cui bontà e clemenza scaturisce che noi siamo pur qualcosa, ha fatto risiedere nella repressione e nell'amore la regola della disciplina che ci ha dato nei due Testamenti, il Vecchio e il Nuovo.
Sebbene infatti siano entrambi in tutti e due, tuttavia il timore prevale nel Vecchio, l'amore nel Nuovo: nell'uno gli Apostoli predicano la servitù, nell'altro la libertà.
Sull'ordine mirabile e sulla divina armonia di questi Testamenti ci sarebbe moltissimo da dire e molti uomini di pietà e dottrina lo hanno fatto.
Un tale soggetto richiede molti libri perché possa essere spiegato e reso manifesto come merita, per quanto si può da parte dell'uomo.
Chi dunque ama il prossimo, fa quanto può perché sia sano nel corpo e nell'anima; ma la cura del corpo deve essere riportata alla salute dell'anima.
Per quanto attiene allo spirito, perciò, egli procede secondo questa successione: fa sì che prima tema Dio, poi lo ami.
Sono questi gli ottimi costumi mediante i quali proviene a noi anche la conoscenza della verità, verso la quale ci porta tutto l'ardore dei nostri desideri.
E nel fatto che bisogna amare Dio e il prossimo, concordiamo io e i Manichei.
Essi però negano che ciò sia contenuto nel Vecchio Testamento.
A questo proposito quanto sbaglino appare abbastanza manifesto, come io credo, da quelle testimonianze che più sopra abbiamo prodotto dell'una e dell'altra Scrittura.
Tuttavia, per dire qualcosa di breve ma a cui è semplicemente folle opporsi, non si accorgono quanto sia assolutamente impudente da parte loro negare che questi stessi due precetti, che sono costretti a lodare, siano stati riportati dal Signore nel Vangelo traendoli dall'Antico Testamento, dove sta scritto: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ( Dt 6,5; Mt 22,37 ) o ancora: Amerai il prossimo tuo come te stesso? ( Dt 6,5; Lv 19,18; Mt 19,19; Mt 22,39 )
O, se non osano negare queste cose, perché sono incalzati dalla luce della verità, che osino negare l'utilità di questi precetti; neghino, se possono, che in essi sono racchiusi ottimi costumi e dicano che non è necessario amare Dio, che non è necessario amare il prossimo, che non tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, ( Rm 8,28 ) che l'amore può fare del male al prossimo: ( Rm 13,1 ) precetti, questi due, che regolano la vita umana nel modo più salutare e perfetto.
E se dicono queste cose, essi non hanno più nulla in comune non solo con i cristiani, ma neppure con gli uomini.
Se invece non osano dirle, e sono costretti ad ammettere che questi precetti sono divini, perché non smettono di lacerare e di riprovare con sacrilega empietà quei libri che li riportano?
28.58 - Diranno forse che non ne consegue che tutte le cose siano buone laddove abbiamo potuto trovare questi precetti?
In effetti è proprio questo che sogliono dire.
Che rispondere a questa tergiversazione e come replicare io non vedo facile.
Dovrò forse discutere ciascuna parola dell'Antico Testamento per dimostrare ad uomini ostinati e ignoranti che esse sono in totale accordo con il Vangelo?
Ma quando questo sarà possibile? Quando io ne sarò capace o essi lo tollereranno? Che farò io dunque?
Abbandonerò la causa e permetterò che si trincerino dietro ad una opinione per quanto riprovevole e falsa, tuttavia difficile da confutare?
Non lo farò; Dio stesso, a cui questi precetti appartengono, mi assisterà e non permetterà che io rimanga senza risorse e da solo in mezzo a così grandi angustie.
Prestate pertanto attenzione, o Manichei, se per caso quella superstizione vi trattiene in modo che alla fine ne possiate venir fuori.
Prestate attenzione, dico, senza ostinazione, senza proposito di resistere, perché altrimenti è molto dannoso per voi giudicare.
Sicuramente, infatti, nessuno ne dubita e voi non siete così nemici del vero da non comprendere che, se amare Dio e il prossimo è cosa buona - e che nessuno può negare -, niente di ciò che è legato a questi due precetti può essere a buon diritto riprovato.
Ora, sarebbe ridicolo se pensassi di richiedere a me che cosa vi è legato; ascolta Cristo stesso, ascolta, dico, Cristo, ascolta la sapienza di Dio: Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 22,40 )
29.60 - Che cosa può replicare a questo passo una impudentissima ostinazione?
Che Cristo non l'avrebbe detto? Ma queste sue parole sono scritte nel Vangelo.
Che si tratterebbe di un testo falso? Ma che cosa si può immaginare di più empio di questo sacrilegio?
Che cosa di più impudente di queste parole? Che cosa di più temerario? Che cosa di più perverso?
Gli idolatri, che di Cristo odiano perfino il nome, mai hanno osato lanciare simile accusa contro le Scritture.
Se infatti ciò che trova forza nella religiosità di tanti popoli e conferma in tanto consenso di uomini e di tempi è messo in dubbio, al punto di non poter ottenere la fiducia e la considerazione neppure di una storia ordinaria, ne consegue il totale sconvolgimento di tutte le lettere e la soppressione di tutti i libri tramandati alla posterità.
Infine, quale passo delle Scritture potrete produrre, qualora, se lo produceste contro le mie argomentazioni e il mio intento, non mi sia consentito di utilizzare questa voce per replicare?
29.61 - In verità chi può tollerare che ci sia vietato di prestare fede a Libri molto conosciuti e già nelle mani di tutti, e ci sia ordinato di prestarla a libri che essi stessi producono?
Se c'è motivo di dubitare di una scrittura, di quale altra lo si deve fare se non di quella che non ha meritato di essere divulgata o che poté dire soltanto falsità sotto un altro nome?
Se tu la poni davanti con forza e induci a crederle esagerandone l'autorità, di quella che in maniera costante vedo molto ampiamente diffusa e sostenuta dalla testimonianza di Chiese disperse per tutta la terra, io, misero, dubiterò e, cosa ancora più misera, ne dubiterò per opera tua?
Se tu producessi altri esemplari, io dovrei tenere conto soltanto di quelli che godono del consenso dei più.
Poiché ora non hai niente altro da produrre all'infuori di una parola del tutto vana e gonfia di temerità, penserai che il genere umano è fino a tal punto perverso e così abbandonato dall'aiuto della divina Provvidenza da anteporre a quelle Scritture non altre da te prodotte, che le confutano, ma soltanto le tue parole?
Tu infatti hai il dovere di produrre un altro codice che contenga le medesime cose, ma tuttavia integro e più vero, dove manchino soltanto i passi che, secondo la tua accusa, sono stati interpolati.
Come, per esempio, se tu sostieni che l'epistola di Paolo ai Romani è stata falsificata, ne produci un'altra non falsificata o, piuttosto, un altro codice dove comparirebbe la medesima epistola del medesimo Apostolo scritta in modo integrale e senza interpolazioni.
Non lo farò, tu dici, perché non sia sospettato di averla contraffatta; e questo infatti siete soliti dire, e dite il vero, perché, se tu lo facessi, niente altro affatto sospetteranno anche uomini dotati di poco senno.
Tu stesso dunque vedi quale giudizio avresti dato della tua autorità, e comprendi quale obbligo abbiamo di credere alle tue parole contro quelle Scritture, se è una grande temerità credere ad un codice per il solo motivo che è prodotto da te.
Occorre dire altro su questo argomento? Chi non vede che coloro che osano parlare così contro le Scritture cristiane, pur non essendo ciò che si sospetta, tuttavia di certo non sono cristiani?
Ai cristiani infatti è stata data questa regola di vita, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutto lo spirito, ( Dt 6,5 ) quindi il nostro prossimo come noi stessi: ( Mt 19,19; Mt 22,39 ) infatti da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 22,37 )
Giustamente tu, Chiesa cattolica, verissima madre dei cristiani, raccomandi di onorare con assoluta carità e purezza Dio stesso, il cui possesso costituisce la vita beata, senza proporci alcuna creatura da adorare e da servire.
Escludi da quella incorrotta e inviolabile eternità, alla quale soltanto l'uomo deve sottomettersi e alla quale soltanto l'anima razionale deve unirsi per non essere miserabile, tutto ciò che è stato creato, che soggiace a cambiamento, che è sottoposto al tempo.
Non confondi quello che l'eternità, quello che la verità, quello infine che la pace distingue e non separi più ciò che una sola maestà congiunge.
Abbracci anche l'amore e la carità del prossimo così che presso di te abbondano i rimedi contro le varie malattie di cui soffrono le anime per i loro peccati.
30.63 - Tu istruisci ed educhi i fanciulli nell'ingenuità, i giovani nella forza, i vecchi nella serenità, secondo quanto richiede non soltanto l'età fisica di ciascuno, ma anche quella spirituale.
Sottometti le mogli ai loro mariti in una obbedienza casta e fedele, non per soddisfare la libidine, ma per propagare la prole, formando una società fondata sulla famiglia.
Anteponi i mariti alle mogli, non per prenderti gioco del sesso più debole, ma secondo le leggi dell'amore sincero. ( Gen 39,14; Gdc 19,25)
Sottometti i figli ai genitori in una sorta di libera servitù e anteponi i genitori ai figli in un dominio che ha del religioso.
Unisci i fratelli ai fratelli con il legame della religione, più saldo e più intimo di quello del sangue.
Con una reciproca carità congiungi i consanguinei e gli affini, mantenendo i vincoli stabiliti o dalla natura o dalla volontà.
Insegni ai servi ad essere devoti ai padroni non tanto per la necessità della loro condizione, quanto per il piacere del dovere.
Per ossequio a Dio sovrano, Signore di tutti, rendi i padroni clementi nei confronti dei servi e più propensi a dare un aiuto che a punire.
Unisci i cittadini ai cittadini, le nazioni alle nazioni e tutti gli uomini nel ricordo della loro comune origine, non solo per costituire un'unica società, ma quasi per dar luogo ad un'unica famiglia. Insegni ai re a vegliare sui loro popoli, ammonisci i popoli a sottostare ai loro re.
Insegni con cura a chi spetta l'onore, a chi l'affetto, a chi la riverenza, a chi il timore, a chi il conforto, a chi l'ammonizione, a chi l'esortazione, a chi la disciplina, a chi il rimprovero, a chi la punizione, mostrando come non a tutti si deve tutto, mentre a tutti si deve la carità e a nessuno l'ingiustizia.
30.64 - E una volta che questo amore umano avrà nutrito e rafforzato lo spirito e questo, attaccato alle tue mammelle, sarà stato messo in grado di seguire Dio; una volta che la divina maestà avrà incominciato a manifestarsi quanto è sufficiente all'uomo finché soggiorna su questa terra, allora si desterà un tale ardore di carità e si leverà un così grande incendio d'amore divino che, distrutto ogni vizio, purificato e santificato l'uomo, mostrerà abbastanza chiaramente quanto siano degne di Dio le affermazioni: Io sono un fuoco che consuma e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra. ( Lc 12,49 )
Queste due espressioni dell'unico Dio, suggellate nei due Testamenti, annunciano, con una concorde attestazione, la santificazione dell'anima, perché si attui finalmente ciò che parimenti nel Nuovo è stato accolto dell'Antico: La morte è stata assorbita nella vittoria.
Dove è, o morte, il tuo pungiglione? Dove è, o morte, la tua forza? ( 1 Cor 15,54-55 )
Se gli eretici riuscissero a comprendere questo soltanto, in piena umiltà e pace perfetta, non adorerebbero Dio in nessun'altra parte se non presso di te e nel tuo grembo.
Giustamente presso di te si conservano dappertutto i precetti divini.
Giustamente presso di te si comprende quanto sia più grave peccare conoscendo la legge che ignorandola.
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge, ( 1 Cor 15,56 ) con la quale può colpire più duramente e distruggere la coscienza del precetto violato.
Giustamente presso di te si vede quanto siano vane le opere compiute in ossequio alla legge, quando la concupiscenza devasta lo spirito ed è frenata dal timore della pena ma non annientata dall'amore della virtù.
Giustamente appartengono a te tanti uomini ospitali, generosi, misericordiosi, sapienti, casti, santi, a tal punto ardenti d'amore di Dio da trovare piacevole addirittura la solitudine in una suprema continenza e in un incredibile disprezzo di questo mondo.
Io ti domando, che cosa vedono coloro che non possono non amare l'uomo e che eppure possono non vederlo?
Qualunque cosa sia, indubbiamente è più eccellente delle cose umane se nella sua contemplazione l'uomo può vivere senza l'uomo.
Imparate, dunque, o Manichei, a conoscere i costumi e la straordinaria continenza dei perfetti cristiani, ai quali la castità assoluta appare degna non soltanto di essere lodata ma anche di essere conquistata, di modo che, se resta in voi un po' di pudore, non osiate menare impunemente vanto, al cospetto di spiriti non esperti, della vostra astinenza come della cosa più difficile.
Mi riferisco a fatti non che voi ignorate, ma che ci nascondete.
Chi infatti non sa che una moltitudine di cristiani che vivono nella perfetta continenza si diffonde per tutta la terra ogni giorno di più e principalmente in Oriente e in Egitto, cosa che a voi in nessun modo può rimanere ignota?
Non dirò niente degli uomini che ho ricordato poco fa, i quali, ritiratisi in assoluta solitudine lontano da ogni sguardo umano, contenti del solo pane che viene portato loro a determinate ore e dell'acqua, abitano le terre più deserte, godendo del colloquio con Dio, a cui si sono uniti con le menti pure e felicissimi di contemplare quella sua bellezza, che può essere percepita solo dall'intelletto dei santi.
Di questi, come dico, non parlerò, poiché ad alcuni sembra che abbiano abbandonate le cose umane più di quanto non convenga, senza capire quanto a noi siano di giovamento lo spirito impegnato nella preghiera e la vita dedita all'esempio di coloro dei quali non ci è consentito di vedere i corpi.
Ma discutere in proposito credo che sarebbe troppo lungo e superfluo, perché chi non trova questo così alto grado di santità degno di ammirazione e di onori di sua spontanea volontà come può trovarlo tale con il nostro discorso?
A costoro, che si vantano inutilmente, va ricordato soltanto che la temperanza e la continenza dei cristiani più santi della professione cattolica si sono talmente sviluppate da sembrare a certuni che dovessero essere limitate e come ricondotte entro limiti umani: così giudicano anche coloro ai quali dispiace che questi spiriti si siano elevati tanto al di sopra degli uomini.
Ma se ciò oltrepassa la nostra tolleranza, chi non guarderà con ammirazione e non esalterà quegli uomini che, disprezzate e abbandonate le seduzioni di questo mondo, radunati in una vita comune castissima e santissima, dedicano il proprio tempo a pregare, leggere e discutere?
Non gonfi di superbia, non riottosi per ostinatezza, non tristi per invidia, ma modesti, riservati, sereni, offrono a Dio, dal quale meritarono di ottenere queste virtù, come dono a lui graditissimo, una vita di intima unione e di intensissima pietà.
Nessuno possiede qualche cosa di proprio, nessuno è di peso per un altro.
Eseguono lavori manuali che possono nutrire il loro corpo, senza distogliere la mente da Dio.
Consegnano poi il frutto del loro lavoro ai decani, chiamati così in quanto preposti ad un gruppo di dieci, affinché nessuno di loro si prenda pensiero del proprio corpo né per il cibo né per le vesti né per qualche altra cosa occorrente o per le necessità quotidiane o, come capita, per le mutate condizioni di salute.
Anche i decani a loro volta, disponendo tutto con molta cura e prestandosi per qualsiasi cosa questo genere di vita richieda a causa della debolezza del corpo, rendono conto ad uno solo che chiamano padre.
Questi padri, non solo di costumi illibatissimi, ma versatissimi nella dottrina divina ed eminenti in ogni cosa, provvedono a coloro che chiamano figli senza alcuna superbia, grazie alla loro grande autorità nel comandare e alla pari volontà dei figli nell'obbedire.
Sul far della sera, mentre sono ancora digiuni, escono ciascuno dalla sua cella e si riuniscono per ascoltare il loro padre e sotto ciascun padre si radunano non meno di tremila uomini: anche di più ne vivono sotto uno solo.
Lo ascoltano con un'attenzione incredibile, in assoluto silenzio, e manifestano i sentimenti suscitati nel loro animo dal discorso di colui che parla ora con gemiti, ora con lacrime, ora con gioia moderata e sommessa.
Quindi rifocillano il corpo con quanto basta per la vita e la salute, reprimendo ciascuno la concupiscenza di gettarsi avidamente su quel nutrimento, che peraltro è frugale e modestissimo.
Così essi, per poter dominare le loro passioni, si astengono non solo dalle carni e dal vino, ma anche da quei cibi che stimolano l'appetito dello stomaco e il gusto del palato tanto più violentemente, quanto a taluni paiono quasi più puri.
Con questo pretesto si è soliti giustificare, in modo ridicolo e vituperabile, il turpe desiderio di cibi prelibati, in quanto diverso da quello per le carni.
Giudiziosamente quanto avanza del vitto necessario ( e appunto ne avanza moltissimo proveniente dal lavoro manuale e dalla restrizione dei cibi ) viene distribuito ai bisognosi con cura maggiore di quanta non ce ne fu nel procurarselo da parte di quegli stessi che lo distribuiscono.
In effetti, non si industriano in alcun modo perché queste cose avanzino, ma fanno del tutto per non conservare gli avanzi presso di sé, tanto che spediscono perfino navi cariche in paesi dove abitano i poveri.
Di questa cosa assai nota non è necessario dire di più.
Tale è anche la vita delle donne che servono Dio in modo sollecito e casto, separate nelle loro abitazioni e lontane quanto più è possibile dagli uomini, ai quali si uniscono soltanto per una pia carità e per l'imitazione della virtù.
L'accesso presso di loro non è consentito ai giovani e neppure agli stessi vecchi, per quanto essi siano assai autorevoli e stimati, salvo che per portare il necessario a quelle che ne hanno bisogno e non oltre il vestibolo.
Esse infatti tengono occupato il corpo con il lavoro della lana con cui si procurano da vivere, facendo i vestiti ai loro fratelli e ricevendone in cambio ciò che è necessario per il vitto.
Se volessi lodare questi costumi, questa vita, questo ordine, questa istituzione, non lo farei degnamente e, d'altro canto, se pensassi di aggiungere alla semplicità del narratore lo stile elevato del lodatore, temerei di dare l'impressione di ritenere che la nuda esposizione non possa essere soddisfacente per se stessa.
Manichei, se potete, condannate queste cose; non date in pasto la nostra zizzania a gente cieca e incapace di discernere.
Tuttavia i costumi così santi della Chiesa cattolica non si restringono dentro limiti tanto angusti da pensare che si debba lodare soltanto la vita di quelli che ho ricordato.
Quanti vescovi ho conosciuto, uomini insigni e di somma integrità, quanti sacerdoti, quanti diaconi e simili ministri dei divini sacramenti, la cui virtù mi pare tanto più mirabile e degna di maggiore onore quanto più è difficile conservarla in così varia moltitudine di uomini e in questa vita assai turbolenta.
Non sono infatti preposti alla cura dei sani più che a quella dei malati.
Devono sopportare i vizi della moltitudine per guarirla e tollerare il contagio della peste, prima di estinguerla.
In questa situazione è difficilissimo tenere un modo di vita perfetto e conservare l'animo pacato e tranquillo.
Per dirla in breve, questi vivono dove si impara a vivere, quelli dove si vive.
Non per questo tuttavia trascurerò l'altro eletto genere di cristiani, voglio dire coloro che abitano nelle città, remotissimi dalla vita comune.
Io stesso ho visto a Milano una casa di non pochi uomini santi, che sottostavano ad un solo sacerdote, persona di grandissima probità e dottrina.
A Roma ne ho conosciute anche di più, nelle quali coloro che si distinguono per autorità, per senno e per scienza divina sono di guida agli altri che abitano con loro, vivendo tutti nella carità, nella santità e nella libertà cristiana.
Neppure costoro sono a carico di qualcuno ma, secondo l'uso orientale e l'esempio dell'Apostolo Paolo, si sostentano con il lavoro delle proprie mani.
Ho appreso che molti praticano digiuni veramente incredibili, non rifocillando il corpo una volta al giorno sul far della sera, cosa del resto che è dappertutto molto in uso, ma passando molto spesso tre giorni interi o di più senza mangiare né bere.
E questo avviene non soltanto tra gli uomini, ma anche tra le donne.
Parimenti molte di esse, vedove e vergini, abitano insieme procurandosi il vitto con lavori di lana e di tela.
Sono loro di guida alcune non solo molto autorevoli e assai stimate nel formare e ordinare i costumi, ma anche esperte e preparate nell'istruire le menti.
33.71 - E in questo genere di vita nessuno è forzato a sostenere dure prove che non può sopportare; a nessuno è imposto qualcosa che rifiuta di fare e pertanto non è condannato da altri per il fatto che non si sente capace di imitarli.
Si ricordano infatti con quanta energia le Scritture raccomandano a tutti la carità; si ricordano che: Tutto è puro per i puri ( Tt 1,15 ) e: Non quello che entra nella vostra bocca vi rende impuri, ma quello che ne esce. ( Mt 15,11 )
Perciò mettono grande zelo non per rifiutare certi generi di cibi quasi fossero immondi, ma per domare la concupiscenza e per conservare l'amore dei fratelli.
Si ricordano del passo che dice: I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi.
Ma Dio distruggerà questo e quelli; ( 1 Cor 6,13 ) e di quell'altro: Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio; ( 1 Cor 8,8 ) e soprattutto di quello: È bene, fratelli, non mangiare carne né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. ( Rm 14,21 )
In effetti l'Apostolo mostra come tutte queste cose devono essere indirizzate al fine della carità; dice: Uno crede di poter mangiare tutto, l'altro invece, che è debole, mangia solo legumi.
Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia e chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto.
Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?
Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare. ( Rm 14,2-4 )
E poco dopo: Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio. ( Rm 14,6 )
E parimenti in quello che segue: Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso.
Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.
Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo. ( Rm 14,12-14 )
Avrebbe potuto meglio mostrare che non nelle cose stesse di cui ci alimentiamo, ma nel nostro spirito si trova una certa forza, capace di contaminarlo?
E per questo anche quelli che sono capaci di disprezzare queste cose e che sanno di certo che non si contaminano se hanno preso qualche cibo senza turpe cupidigia e con la mente rivolta in alto, devono comunque avere di mira la carità.
Osserva cosa ne segue: Ora, se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. ( Rm 14,15 )
33.72 - Leggi da te il resto, perché riportarlo qui tutto sarebbe lungo, e troverai che a coloro che possono non tener conto di queste cose, vale a dire ai più forti e sicuri, si prescrive tuttavia di essere temperanti per non offendere quelli che, a causa della loro debolezza, hanno ancora bisogno di una temperanza di questo genere.
Queste cose le conoscono e le praticano quelli dei quali ho parlato; infatti sono cristiani, non eretici, e intendono le Scritture secondo la dottrina apostolica e non alla maniera di quell'orgoglioso e mentito Apostolo vostro: Nessuno disprezza chi non mangia; nessuno giudica chi mangia; il debole mangia verdure.
Molti forti, dunque, fanno la medesima cosa per rispetto dei deboli; molti altri invece lo fanno non per tale motivo, ma perché preferiscono alimentarsi con un cibo più comune e condurre una vita perfettamente tranquilla, sostentando il corpo con pasti frugali.
Tutto mi è lecito, dice l'Apostolo, ma io non mi lascerò dominare da nulla. ( 1 Cor 6,12 )
Così molti non si nutrono di carne, pur senza giudicarla superstiziosamente immonda, di modo che coloro stessi che da sani se ne astengono, quando sono malati e vi sono costretti da esigenze di salute, la mangiano senza alcun timore.
Molti non bevono vino, senza credere tuttavia che esso li contamini, poiché lo fanno dare con grandissima umanità e discrezione a certuni particolarmente deboli e, in generale, a tutti coloro che, senza esso, non possono godere buona salute.
E se alcuni lo rifiutano, pur non avendone motivo, li ammoniscono fraternamente a non farsi, per vana superstizione, più deboli prima ancora che più santi.
Leggono loro l'Apostolo che comanda al discepolo di prendere un po' di vino per le sue frequenti indisposizioni. ( 1 Tm 5,23 )
Così praticano con zelo gli esercizi di pietà; quanto a quelli del corpo, come dice lo stesso Apostolo, sanno che concernono il breve tempo della vita terrena. ( 1 Tm 4,8 )
33.73 - Coloro dunque che possono, e sono in ogni modo innumerevoli, si astengono dalle carni e dal vino per due ragioni: o in considerazione della debolezza dei loro fratelli o tenendo presente la propria libertà.
È alla carità soprattutto che si guarda: alla carità si adatta il vitto, alla carità il linguaggio, alla carità il vestire, alla carità l'aspetto.
Ci si riunisce per tendere insieme ad una sola carità: violarla è considerato un delitto come oltraggiare Dio.
Se una cosa le si oppone, è repressa e tolta di mezzo; se un'altra la offende, non la si lascia durare un solo giorno.
Sanno che è così raccomandata da Cristo e dagli Apostoli che, dove essa sola manchi, tutto è vanità; dove essa sia presente, tutto è pienezza.
Con questi, Manichei, confrontatevi, se potete; di questi, tenete conto; di questi, se ne avete coraggio, sparlate pure, ma senza mentire.
Ai loro digiuni paragonate i vostri digiuni, alla loro castità la vostra castità, al loro vestire il vostro vestire, al loro vitto il vostro vitto, alla loro modestia la vostra modestia, alla loro carità la vostra carità e, ciò che più importa, ai loro precetti i vostri precetti.
Allora vedrete quale distanza corre tra l'ostentazione e la sincerità, tra la via diritta e l'errore, tra la fede e la falsità, tra il vigore e la gonfiezza, tra la felicità e la miseria, tra l'unità e la divisione, infine tra il porto della religione e le sirene della superstizione.
Non mi portate quelli che fanno professione del nome cristiano e che o non conoscono le implicazioni di quanto professano o non ne danno testimonianza.
Non andate dietro alle turbe degli ignoranti, i quali, all'interno stesso della vera religione, o restano superstiziosi oppure sono così dediti ai piaceri da dimenticare quanto promisero a Dio.
Ne conosco molti che adorano sepolcri e pitture; molti che bevono senza alcun ritegno sopra i morti e che, offrendo cibi ai cadaveri, seppelliscono se stessi sopra i sepolti e imputano alla religione i loro eccessi nel mangiare e nel bere.
Conosco molti che a parole hanno rinunciato a questo secolo, ma vogliono essere oppressi da tutte le molestie di questo mondo e se ne rallegrano.
Non c'è da meravigliarsi che, in tanta moltitudine di popoli, non manchino alcuni la cui vita licenziosa vi offre il pretesto per ingannare gli ignoranti e per allontanarli dalla salute cattolica, quando voi, che siete così pochi, vi trovate in grande imbarazzo se vi si chiede di indicare uno soltanto di coloro che voi chiamate eletti, che rispetti quegli stessi precetti che voi difendete con folle superstizione.
Ma quanto vani siano questi precetti, quanto dannosi e sacrileghi e come da gran parte di voi, o meglio, quasi da tutti non siano osservati, mi sono risoluto a mostrarlo in un altro libro.
34.76 - Ora vi ammonisco a smetterla, una buona volta, di denigrare la Chiesa cattolica, condannando i costumi di uomini che anch'essa condanna e che ogni giorno si sforza di correggere come figli cattivi.
Ma tra costoro tutti quelli che, con la buona volontà e con l'aiuto di Dio, si ravvedono, con il pentimento recuperano quello che avevano perduto con il peccato.
A quelli invece che, per cattiva volontà, perseverano negli antichi vizi o ve ne aggiungono anche di più gravi dei primi, si consente di vivere nel campo del Signore e di crescere con i buoni semi, ma arriverà il tempo in cui la zizzania sarà separata.
Oppure se, per rispetto dello stesso nome cristiano, sono da considerarsi più come paglia che come spine, verrà di certo chi pulirà l'aia, separerà la paglia dal grano e con somma equità darà a ciascuno ciò che gli spetta, secondo il suo merito. ( Mt 3,13; Mt 13,24-43 )
Frattanto, perché infierite, perché perdete il lume della ragione per amore di parte?
Perché vi impigliate nell'ostinata difesa di un così grande errore?
Cercate le messi nel campo e il grano nell'aia: vi si faranno vedere facilmente, offrendosi da se stessi a chi li ama.
Perché guardate in modo così smodato alla spazzatura?
Perché tenete gli inesperti lontani da un giardino fertile e ubertoso con aspre spine?
L'accesso per entrarvi, sebbene noto a pochi, è sicuro; ma voi non credete che esista o non lo volete trovare.
Nella Chiesa cattolica esistono innumerevoli fedeli che, come dice l'Apostolo, non usano di questo mondo e altri che ne usano come se non ne usassero appieno. ( 1 Cor 7,31 )
Di ciò si è avuta prova fin da quando i cristiani erano costretti a seguire il culto degli idoli.
Allora infatti quanti uomini doviziosi, quanti padri di famiglia occupati nella terra, quanti nel commercio, quanti nella milizia, quanti nelle cariche più ragguardevoli della loro città, infine quanti senatori, insomma quanti dell'uno e dell'altro sesso, abbandonando tutte le vanità temporali delle quali di certo, pur servendosene, non erano prigionieri, subirono la morte per una fede ed una religione salutare e dimostrarono agli infedeli di essere loro a possedere quelle cose, anziché esserne posseduti.
35.78 - Perché dite falsamente che i fedeli rinnovati dal battesimo non debbono procreare figli né possedere terre, case e denari?
Lo permette lo stesso Paolo. Non si può infatti negare: è ai fedeli che lo scrisse dopo aver enumerato i molti peccatori che non possederanno il regno di Dio.
Dice: E tali in verità eravate; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. ( 1 Cor 6,11 )
Senza alcun dubbio per lavati e santificati nessuno oserà intendere altri all'infuori dei fedeli e di coloro che avranno rinunziato a questo mondo.
Ma poiché egli indica a chi ha scritto, vediamo se permette loro cose da voi vietate.
Così infatti prosegue: Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova.
Tutto mi è lecito! Ma io non mi lascerò dominare da nulla.
I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!
Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l'impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo.
Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò le membra di una prostituta?
Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce ad una prostituta forma con essa un corpo solo?
Infatti, è detto, così saranno due in un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.
Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impudicizia, pecca contro il proprio corpo.
O non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?
Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo. ( 1 Cor 6,14-20 )
Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l'uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.
Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito.
La moglie non ha la potestà sul proprio corpo, ma il marito che l'ha; allo stesso modo anche il marito non ha la potestà sul proprio corpo, ma è la moglie che l'ha.
Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti a causa della vostra incontinenza.
Questo però vi dico per concessione, non per comando.
Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. ( 1 Cor 7,1-7 )
35.79 - Non vi pare che l'Apostolo abbia mostrato a sufficienza ai forti in cosa consiste la perfezione e che abbia permesso ai deboli ciò che ne è più vicino?
Infatti, quando dice: Vorrei che tutti fossero come me, mostra che la perfezione consiste nel non toccare una donna.
A questa perfezione poi si avvicina la castità coniugale, che sottrae l'uomo alla devastazione dell'impudicizia.
Con ciò forse ha inteso dire che questi uomini non sono ancora fedeli perché si uniscono alle mogli?
Al contrario, ha detto che la castità del matrimonio santifica non solo l'uno e l'altro degli stessi coniugi, se uno dei due è infedele, ma anche la prole che da loro nasce.
Infatti dice: Il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. ( 1 Cor 7,14 )
Perché contestate con ostinazione una verità così chiara? Perché vi sforzate di oscurare con vane ombre la luce delle Scritture?
35.80 - Non dite più che unirsi alle loro donne è consentito ai catecumeni, ma non ai fedeli; che avere denaro è consentito ai catecumeni, ma non ai fedeli.
Sono molti infatti quelli che usano queste cose, come se non ne usassero.
È in quel sacrosanto lavacro del battesimo che ha inizio la rigenerazione dell'uomo nuovo, di modo che giunge a compimento attraverso un cammino, in alcuni più presto, in altri più tardi.
Molti tuttavia fanno progressi verso la nuova vita, purché vi tendano non con ostilità, ma con zelo, perché, come dice l'Apostolo, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )
L'Apostolo dunque dice che l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno per divenire perfetto, voi invece volete che egli cominci dalla perfezione.
Che lo vogliate davvero! Ma voi badate più ad ingannare gli inesperti che a raddrizzare gli infermi; questo infatti non avreste dovuto dirlo con tanta audacia, nemmeno se risultasse che vi siete realizzati alla perfezione nelle vostre prescrizioni da nulla.
Siete poi consapevoli che coloro che ammettete nella vostra setta, non appena avranno cominciato a legarsi a voi con maggiore familiarità, scopriranno presso di voi l'esistenza di una quantità di cose di cui nessuno sospettava, quando accusavate gli altri.
Perché allora siete così impudenti nel cercare la perfezione nei cattolici più deboli con l'intento di allontanare da essi gli inesperti, e nel non mostrarla affatto presso di voi a quelli che avete allontanati?
Ma perché non sembri ormai che stia spargendo sul vostro conto qualche accusa temeraria, pongo termine a questo libro, per venire finalmente ad esporre i precetti della vostra vita e i vostri memorabili costumi.
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