Costumi della Chiesa cattolica e costumi dei Manichei |
Posto che la virtù ci conduce alla vita beata, io affermerei che la virtù non è assolutamente niente altro se non l'amore sommo di Dio.
E appunto il fatto di dire che la virtù è quadripartita, lo si dice, per quanto comprendo, in considerazione della varietà delle disposizioni che lo stesso amore assume.
Così queste famose quattro virtù, la cui forza voglia il cielo che sia in tutti gli animi come i loro nomi sono in tutte le bocche, non esiterei a definirle anche così:
la temperanza è l'amore integro che si dà a ciò che si ama;
la fortezza è l'amore che tollera tutto agevolmente per ciò che si ama;
la giustizia è l'amore che serve esclusivamente ciò che si ama e che, a causa di ciò, domina con rettitudine;
la prudenza è l'amore che distingue con sagacia ciò che è utile da ciò che è nocivo.
Ma, come abbiamo detto, questo amore non è di chiunque, ma di Dio, cioè del bene sommo, della somma sapienza e della somma armonia.
Pertanto le virtù possono essere definite anche così:
la temperanza è l'amore per Dio che si conserva integro ed incorruttibile;
la fortezza è l'amore per Dio che tollera tutto con facilità;
la giustizia è l'amore che serve soltanto a Dio e, a causa di ciò, a buon diritto comanda ogni altra cosa che è soggetta all'uomo;
la prudenza è l'amore che discerne con chiarezza ciò che aiuta ad andare a Dio da ciò che lo impedisce.
Quale modo di vivere si può dedurre da ciascuna di queste virtù lo spiegherò con poche parole, dopo che avrò confrontato, come ho promesso, le testimonianze del Nuovo Testamento, delle quali mi servo già da tempo, con quelle simili del Vecchio Testamento.
È forse soltanto Paolo a dire che dobbiamo essere uniti a Dio in modo che nulla intervenga a separarci? ( 1 Cor 15,28; Rm 8,35 )
Il Profeta non significa la stessa cosa nella forma più adatta e concisa, quando dice: Quanto a me, il mio bene è stare vicino a Dio? ( Sal 73,28 )
E, a proposito della carità, ciò che là è detto con molte parole, non è forse qui contenuto nelle sole parole stare vicino?
Del pari, l'aggiunta il mio bene è non trova riscontro in quello che è stato scritto qui, cioè Tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio 21? ( Rm 8, 28 )
Cosicché con una breve frase e con due parole il Profeta mostra la forza e il frutto della carità.
16.27 - E dal momento che ivi è detto: Il Figlio di Dio è la Virtù e la Sapienza di Dio ( 1 Cor 1,24 ) ed è evidente che la virtù si riferisce all'agire e la sapienza alla disciplina, ne deriva che nel Vangelo sono significate proprio queste due cose quando si dice: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, ( Gv 1,3 ) poiché ciò compete all'azione e alla virtù.
Inoltre, per quanto concerne la disciplina e la cognizione del vero, dice: E la vita era la luce degli uomini. ( Gv 1,4 )
Ora, si può avere qualcosa che si armonizzi con queste testimonianze del Nuovo Testamento meglio di ciò che nel Vecchio è detto della sapienza: Si estende da un confine all'altro con forza e dispone ogni cosa con dolcezza? ( Sap 8,1 )
Infatti estendersi con forza richiama principalmente la virtù, invece disporre con dolcezza richiama quasi l'arte stessa e la ragione.
Ma se ciò ti pare oscuro, osserva quello che segue: E il Signore dell'universo l'ha amata; essa infatti è maestra della scienza di Dio e sceglie le sue opere. ( Sap 8,3-4 )
Si vede che qui non si tratta più dell'azione: scegliere le azioni infatti non equivale ad agire.
Queste parole dunque riguardano il conoscere.
Ma perché risulti completa l'idea che vogliamo dimostrare, resta da trovare l'azione dovuta alla virtù.
Leggi dunque ciò che è aggiunto: Se è rispettabile la ricchezza che si desidera in vita, che cosa è più rispettabile della sapienza, la quale tutto produce? ( Sap 8,5 )
Si possono proferire parole più chiare o più evidenti o anche più feconde?
Se non ti è sufficiente, ascolta dell'altro che risuona allo stesso modo: La sapienza infatti insegna la sobrietà, la giustizia e la fortezza. ( Sap 8,7 )
La sobrietà mi pare che appartenga alla cognizione stessa del vero, cioè alla disciplina; la giustizia e la virtù all'agire e all'operare.
Queste due qualità, vale a dire l'efficacia dell'agire e la sobrietà dell'intendere, che la Virtù di Dio e la Sapienza di Dio, ovvero il Figlio di Dio, dona a coloro che lo amano, non so a cosa siano da paragonare, dal momento che lo stesso Profeta immediatamente dice quanto devono essere stimate.
Così si legge: La sapienza infatti insegna la sobrietà, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita. ( Sap 8,7 )
16.28 - Qualcuno forse potrebbe pensare che queste parole non riguardino il Figlio di Dio.
Ma che altro prova ciò che è detto: Essa manifesta la sua nobiltà in comunione di vita con Dio? ( Sap 8,3 )
E la nobiltà abitualmente forse significa altro da origine?
E la comunione di vita non proclama ed asserisce l'eguaglianza con lo stesso Padre?
Inoltre, quando Paolo dice che Il Figlio di Dio è la Sapienza di Dio ( 1 Cor 1,24 ) e il Signore stesso: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio Unigenito, ( Mt 11,27 ) il Profeta quali parole più appropriate avrebbe potuto dire di quelle con le quali ha detto: Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo e sapeva che cosa sarebbe piaciuto ai tuoi occhi? ( Sap 9,9 )
Che Cristo è la verità, lo prova egli stesso quando è chiamato Splendore del Padre. ( Eb 1,3 )
Non c'è altro infatti intorno al sole all'infuori dello splendore che esso stesso genera.
Quale testimonianza del Vecchio Testamento dunque ha potuto accordarsi con questa sentenza in modo più manifesto e più chiaro di quella con la quale è detto: La tua verità ti fa corona. ( Sal 89,9 )
Da ultimo, la stessa Sapienza dice nel Vangelo: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. ( Gv 14,6 )
E il profeta: Chi conosce il tuo pensiero, se tu non gli hai dato sapienza?, a cui poco dopo aggiunge: Gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito; essi furono salvati [ per mezzo della sapienza ]. ( Sap 9,17-18 )
16.29 - Paolo dice: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato; ( Rm 5,5 ) il profeta: Il Santo Spirito che ammaestra rifugge dalla finzione. ( Sap 1,5 )
Infatti laddove è la finzione non c'è la carità.
Paolo dice: Noi siamo conformi all'immagine del Figlio di Dio; ( Rm 8,29 ) il Profeta dice: O Signore, la luce del tuo volto è stata impressa su noi. ( Sal 4,5 )
Paolo mostra che lo Spirito Santo è Dio, e quindi non è una creatura; il Profeta dice: E gli hai inviato lo Spirito Santo dall'alto. ( Sap 9,17 )
Ora Dio solo è l'altissimo rispetto al quale niente è più alto.
Paolo mostra che questa Trinità è un solo Dio quando dice: A lui gloria. ( Rm 11,36 )
Nell'Antico Testamento è detto: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è un solo Dio. ( Dt 6,4 )
Che volete di più? Perché infierite con ignoranza ed empietà?
Perché tentate di corrompere con dannosi consigli le anime inesperte?
Il Dio dei due Testamenti è uno solo.
Come infatti concordano tra loro i passi dell'uno e dell'altro che abbiamo riportato, così anche tutti gli altri, se siete disposti ad esaminarli con attenzione e con animo sereno.
Ma poiché molte cose sono dette in forma assai umile e più adatta agli spiriti che guardano alla terra perché si elevino, attraverso le cose umane, alle cose divine; poiché, inoltre, molte sono dette anche in modo figurato affinché la mente stimolata si eserciti in modo più utile nelle ricerche e gioisca maggiormente delle proprie scoperte, voi abusate di questo mirabile disegno dello Spirito Santo per ingannare i vostri uditori e per prenderli nei lacci.
Perché poi la divina Provvidenza vi permetta di fare ciò e quanto si rivelino esatte le parole dell'Apostolo: È necessario che avvengano molte eresie, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi, ( 1 Cor 11,19 ) sarebbe troppo lungo da chiarire e, devo dirvelo, non è da voi capire queste cose.
Vi conosco ormai bene: avete menti molto grossolane, rese incapaci dal pasto esiziale delle immagini corporee di giudicare delle cose divine, le quali sono molto più alte di quanto non pensiate.
17.31 - Così, con voi si deve agire non in modo che le comprendiate fin d'ora, cosa che non è possibile, ma in maniera che desideriate comprenderle un giorno.
Questa infatti è opera della semplice e pura carità di Dio, che rifulge soprattutto nei costumi, e della quale abbiamo già molto parlato.
Essa, ispirata dallo Spirito Santo, conduce al Figlio, cioè alla Sapienza di Dio mediante la quale il Padre stesso si conosce.
La sapienza e la verità infatti, se non sono desiderate con tutte le forze dello spirito, in nessun modo è possibile trovarle.
Se invece si cercano come si conviene, esse non possono né sottrarsi né nascondersi a coloro che le amano.
Da ciò quelle parole che anche voi siete soliti avere sulla bocca, le quali dicono: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; ( Mt 7,7 ) Non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato. ( Mt 10,26 )
Con l'amore si chiede, con l'amore si cerca, con l'amore si bussa, con l'amore si svela, con l'amore infine si rimane in quello che sarà stato svelato.
Da questo amore per la sapienza e da questo zelo nel cercarla non ci distoglie il Vecchio Testamento, come voi dite sempre in modo assolutamente menzognero: esso invece ci spinge a tali disposizioni d'animo con grandissimo vigore.
17.32 - Ascoltate, pertanto, una buona volta e, vi prego, considerate senza ostinazione quanto dice il profeta: Luminosa e incorruttibile è la sapienza, è vista facilmente da chi l'ama e trovata da chi la cerca.
Previene, per mostrarsi loro, quanti la desiderano.
Chi veglia per cercarla, non avrà da stancarsi, perché la troverà seduta alla sua porta.
Riflettere su di essa è saggezza perfetta: chi veglia per lei sarà presto senza affanni, perché essa medesima va in cerca di quanti ne sono degni, si mostra loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni sollecitudine.
In effetti, il suo vero principio è il desiderio di istruzione.
Ora il desiderio di istruzione è amore e l'amore è osservanza delle sue leggi.
Ma il rispetto delle leggi è garanzia di incorruttibilità e l'incorruttibilità fa stare vicino a Dio.
Dunque il desiderio della sapienza conduce al regno. ( Sap 6,13-20 )
Ebbene, dunque, voi latrate ancora contro queste parole?
L'essere così presentate e non ancora comprese non significa per chiunque che contengono qualcosa di sublime e di ineffabile?
Voglia il cielo che possiate comprendere quanto è stato detto!
Subito ripudierete tutte le assurde favole e le immagini fisiche assolutamente vane, e con grande slancio, con sincero amore e con solidissima fede vi metterete tutti in salvo nel grembo santissimo della Chiesa cattolica.
Avrei potuto discutere di ciascuna cosa secondo le mie mediocri forze e cavarne fuori e dimostrare le verità che ho ricevuto, così eccelse ed elevate che per lo più mancano le parole per esprimerle; ma finché latrate non è il caso di farlo.
Del resto non è stato detto invano: Non date ciò che è santo ai cani. ( Mt 7,6 )
Non irritatevi: anch'io ho mandato latrati e mi comportai come un cane quando mi veniva dato, e giustamente, non il cibo che istruisce, ma la sferza che confuta.
Se invece voi foste animati da quella carità di cui ora appunto si tratta o se pure lo foste stati un giorno nella misura richiesta dalla grandezza della verità da conoscere, Dio sarebbe là presente per mostrarvi che la fede cristiana, che conduce alle somme vette della sapienza e della verità e nel cui godimento consiste la vita beata, non si trova tra i Manichei e in nessun altro luogo se non nella disciplina cattolica.
E infatti che altro sembra desiderare l'apostolo Paolo quando dice: È per questo che io piego le ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo spirito nell'uomo interiore.
Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori, di modo che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia l'altezza, la lunghezza, la larghezza e la profondità, e conoscere anche la carità di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio? ( Ef 3,14-19 ) Si può dire niente di più chiaro?
18.34 - Fate un po' attenzione, vi scongiuro, e osservate come concordano i due Testamenti nel chiarire e nell'insegnare quale sia la regola di vita da tenere nei costumi e quale il fine a cui ogni cosa si debba riferire.
All'amore di Dio ci incitano i Vangeli quando dicono: Chiedete, cercate, bussate; ( Mt 7,7 ) ci incita Paolo quando scrive: Di modo che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere; ( Ef 3,17 ) ci incita anche il Profeta quando dice che la sapienza può essere conosciuta facilmente da coloro che la amano, la cercano, la desiderano, vegliano per essa, la pensano, ne hanno cura.
La salvezza dell'anima e il cammino della felicità ci sono mostrati dalle due Scritture in perfetta armonia, eppure voi preferite accanirvi contro di esse piuttosto che obbedire loro.
Dirò in breve ciò che penso: ascoltate i dottori della Chiesa cattolica con quella stessa serenità d'animo e con quello stesso zelo con cui io ho ascoltato voi; non occorreranno i nove anni durante i quali vi prendeste gioco di me: in molto meno, in un tempo molto più breve vi accorgerete di quale distanza c'è tra la verità e la vanità.
Ma è tempo di ritornare alle quattro virtù e di trarre e cavare da ciascuna una regola di vita.
Pertanto prima esaminiamo la temperanza, la quale assicura una certa integrità e incorruttibilità dell'amore che ci unisce a Dio.
È suo compito infatti reprimere e placare le passioni che ci fanno bramare tutto ciò che ci distoglie dalle leggi di Dio e dai frutti della sua bontà, cioè, per spiegarmi in breve, dalla vita beata.
Là appunto è la sede della verità: godendo della sua contemplazione e unendoci strettamente ad essa, siamo certamente felici; coloro invece che se ne allontanano, si ravvolgono in grandi errori ed afflizioni.
Infatti, come dice l'Apostolo, la cupidigia è la radice di tutti i mali; seguendola, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. ( 1 Tm 6,10 )
Questo peccato dell'anima è significato nell'Antico Testamento, in modo abbastanza chiaro per chi bene lo intende, con la prevaricazione dell'uomo stesso che abitava il paradiso. Infatti, come dice il medesimo Apostolo: In Adamo tutti moriamo e in Cristo tutti risorgeremo. ( 1 Cor 15,22 )
O profondi misteri! Ma io mi arresto, poiché per ora non ho preso ad insegnarvi le cose rette ma a dissuadervi dalle cattive, se vi riuscirò, cioè se Dio asseconderà il mio proposito nei vostri confronti.
19.36 - Paolo dunque dice che la radice di tutti i mali è la cupidigia, a causa della quale, come l'Antica Legge significa, anche il primo uomo è caduto.
Ci ammonisce a " spogliarci dell'uomo vecchio e a rivestirci del nuovo ". ( Col 3,9-10 )
Per l'uomo vecchio vuole che si intenda Adamo, che ha peccato; per l'uomo nuovo quello che il Figlio di Dio ha assunto in un sacro mistero per la nostra liberazione.
Dice infatti in un altro passo: Il primo uomo tratto dalla terra è di terra; il secondo uomo che viene dal cielo è celeste.
Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.
E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. ( 1 Cor 15,47-49 )
Questo vuol dire: spogliate il vecchio e rivestite il nuovo.
Tutto l'ufficio della temperanza dunque è di spogliarci dell'uomo vecchio e di rinnovarci in Dio, ossia di disprezzare tutte le lusinghe del corpo e gli onori del mondo, rivolgendo tutto l'amore alle cose invisibili e divine.
Ne segue ciò che è detto in modo mirabile: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )
Ascoltate anche il canto del Profeta: Crea in me, o Dio, un cuore puro e rinnova nella mie viscere uno spirito retto. ( Sal 51,12 )
Quale contestazione è possibile contro tale armonia, se non da parte di ciechi latratori?
Le lusinghe del corpo sono riposte in tutte le cose con le quali il senso corporeo viene in contatto; è per questo che da molti sono chiamate anche sensibili.
Tra di esse eccelle soprattutto questa luce a tutti nota, perché fra i nostri stessi sensi, dei quali l'anima si serve mediante il corpo, nessuno è preferibile agli occhi.
Per questo nelle Sacre Scritture tutte le cose che cadono sotto i sensi sono significate con il nome di visibili.
Così allora nel Nuovo Testamento ce ne è vietato l'amore: Perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili.
Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne. ( 2 Cor 4,18 )
Da ciò si può capire quanto siano lontani dal Cristianesimo coloro che pensano che il sole e la luna non solo devono essere amati, ma anche adorati.
Che vediamo, infatti, se non vediamo il sole e la luna?
Ora, ci è ingiunto di non rivolgerci alle cose che si vedono, le quali pertanto non devono essere neppure amate da colui che pensa di offrire a Dio un amore incontaminato.
Senonché sarà un altro il luogo in cui tratterò di queste cose con più cura; per il momento infatti ho stabilito di non parlare della fede, ma della vita mediante la quale meritiamo di sapere ciò che crediamo.
Dio solo dunque dobbiamo amare, mentre dobbiamo disprezzare tutto questo mondo, cioè tutte le cose sensibili, servendocene soltanto per le necessità di questa vita.
La gloria mondana così è rifiutata e disprezzata nel Nuovo Testamento: Se volessi piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo. ( Gal 1,10 )
C'è ancora dell'altro che l'anima concepisce a proposito dei corpi per effetto di certe immagini e che chiama scienza delle cose.
Per questo giustamente ci è proibito di essere curiosi, e in tale attività risiede il grande ufficio della temperanza.
Di qui l'avvertimento: Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia.
E poiché il nome stesso di filosofia, a ben considerare, significa una cosa grande e degna di essere desiderata con tutta l'anima, se è vero che la filosofia è l'amore e la ricerca della sapienza, l'Apostolo, per non sembrare che ci distogliesse dall'amore per la sapienza, molto avvedutamente aggiunge e secondo gli elementi di questo mondo. ( Col 2,8 )
Vi sono infatti certuni che, abbandonate le virtù e senza sapere chi è Dio e quanto grande è la maestà della sua natura eternamente immutabile, pensano di compiere qualcosa di grande se investigano con la massima curiosità e attenzione tutta questa massa corporea che chiamiamo mondo.
Da qui nasce anche tanta superbia che sembra loro di risiedere nello stesso cielo, del quale spesso disputano.
Che l'anima dunque, se si è proposta di conservarsi casta per Dio, si trattenga dalla cupidigia di questa vana conoscenza.
Da tale amore, infatti, è per lo più sedotta in modo da pensare o che non c'è niente al di fuori del corpo o, se pure convinta dall'autorità, da ammettere che c'è qualcosa di incorporeo, tuttavia rappresentabile unicamente mediante immagini corporee, credendo che sia tal quale gli viene imposto dal senso ingannatore del corpo.
A questo scopo risponde anche la raccomandazione di guardarsi dalle immagini.
21.39 - A questa autorità del Nuovo Testamento che ci ordina di non amare niente di questo mondo, ( 1 Gv 2,15 ) dunque, si accorda in modo particolare quella frase che dice: Non conformatevi a questo mondo. ( Rm 12,2 )
Nello stesso tempo perciò si deve dimostrare che ciascuno si conforma a ciò che ama.
Se ora cerco quale testimonianza dell'Antico Testamento si può paragonare a questa autorità, invero ne trovo parecchie.
Ma un solo libro di Salomone, quello detto Ecclesiaste, ci conduce con abbondanti argomenti al massimo disprezzo per tutte queste cose.
Infatti comincia così: Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole? ( Qo 1,2 )
Se si considerano, si vagliano e si meditano queste parole, se ne trovano molte sommamente necessarie a coloro che desiderano fuggire questo mondo e rifugiarsi in Dio.
Ma la cosa sarebbe troppo lunga ed è urgente che il discorso si diriga in altra direzione.
Tuttavia, stabilito tale principio, ne fa seguire tutte le implicazioni, e cioè che sono vani tutti coloro che si lasciano ingannare dalle cose di questo genere.
Chiama vanità le cose stesse da cui essi sono ingannati, non perché non siano state create da Dio, ma perché gli uomini, a causa dei loro peccati, vogliono sottostare a tali cose, le quali invece, in virtù della legge divina, sono soggette a loro se operano rettamente.
Che altro infatti è lasciarsi illudere ed ingannare dai falsi beni se non stimare degne di ammirazione e di amore le cose inferiori a te stesso?
Nelle cose di questo genere, caduche e passeggere, l'uomo temperante dunque ha una regola di vita fondata sull'uno e sull'altro Testamento: che non ami niente di esse, niente reputi desiderabile per se stesso, ma ne usi, in rapporto a quanto occorre per la necessità di questa vita e dei suoi uffici, con la moderazione di uno che se ne serve, non con la disposizione di uno che l'ama.
Questo sia detto sulla temperanza: per l'importanza del soggetto è poco; tuttavia, per l'intento che mi sono proposto, forse più lungo di quanto fosse necessario.
Circa la fortezza invero non occorre dire molto.
Infatti quell'amore del quale parliamo, e che deve essere infiammato per Dio di tutto l'ardore della santità, è chiamato temperante in quanto non brama queste cose, forte in quanto le abbandona.
Ma di tutte le cose che si possiedono in questa vita il corpo è per l'uomo la catena più pesante, secondo le giustissime leggi di Dio, a causa dell'antico peccato, del quale nulla è più noto per parlarne, nulla più segreto per comprenderlo.
Questo vincolo, dunque, per non essere scosso e messo in pericolo, turba l'anima con il terrore della fatica e del dolore e, per non essere travolto e annientato, la turba con il terrore della morte.
Essa in effetti lo ama per la forza dell'abitudine, senza comprendere che, se lo usa bene e in modo intelligente, lo sottometterà al suo dominio senza alcuna molestia quando la potenza e la legge divina l'avranno resuscitato e rinnovato.
Ma dopo che con questo amore si sarà convertita interamente a Dio e avrà conosciute queste cose, non solo non disprezzerà la morte, ma addirittura la desidererà.
Niente tuttavia è così duro e così resistente da non essere vinto dal fuoco dell'amore.
Quando, per merito suo, l'anima sarà rapita in Dio, essa volerà libera e degna di ammirazione sopra tutti i tormenti con ali bellissime e purissime, sulle quali l'amore casto si sostiene per abbracciare Dio.
A meno che Dio non permetta che quanti amano l'oro, quanti amano la lode, quanti amano le donne siano più forti di coloro che amano lui; poiché, in tal caso, esso non si chiamerebbe amore, ma più propriamente cupidigia o libidine.
In questa ultima nondimeno appare manifesto quanto sia grande l'impeto dello spirito che tende verso le cose che ama con una corsa instancabile e tra le più grandi difficoltà.
E il fatto che essi sopportino tanti tormenti per abbandonare Dio, è per noi argomento per dimostrare quanti tormenti bisogna sopportare per non abbandonarlo.
A che serve dunque raccogliere qui i testi autorevoli del Nuovo Testamento, dove è detto: La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, la virtù provata la speranza? ( Rm 5,3-4 )
E ciò non è solo detto, ma anche provato e confermato dagli esempi di coloro che l'hanno detto.
Prenderò un esempio di pazienza dal Vecchio Testamento, contro il quale essi si avventano rabbiosamente.
Non ricorderò quell'uomo che, pur nei fieri tormenti del corpo e nell'orribile disfacimento delle membra, non solo sopporta i mali umani, ma disserta anche sulle cose divine.
Ogni sua parola palesa a sufficienza, se vi si presta attenzione con cuore sereno, quanto poco siano da stimare le cose dalle quali, quando gli uomini le vogliono possedere per dominarle, sono piuttosto dominati per cupidigia e così diventano schiavi delle cose caduche nel momento in cui desiderano maldestramente esserne i padroni. ( Gb 1,9-14 )
Quell'uomo, infatti, perdette tutte le sue ricchezze e, divenuto repentinamente poverissimo, tenne il suo animo così saldo e fisso in Dio da mostrare a sufficienza che non le ricchezze erano state gran cosa in rapporto a lui, ma lui in rapporto ad esse, Dio in rapporto a lui.
E se gli uomini del nostro tempo avessero tale disposizione, il Nuovo Testamento non ci vieterebbe con tanto vigore il possesso delle ricchezze perché potessimo essere perfetti; infatti è molto più degno di ammirazione non attaccarsi ad esse quando si possiedono, che quando non si possiedono affatto.
23.43 - Ma poiché ora si tratta della disposizione adatta a sopportare il dolore e i tormenti del corpo, tralascio quest'uomo, per quanto grande, per quanto invincibile, ma pur sempre uomo.
Le Scritture infatti mi offrono l'esempio di una donna di stupenda fortezza e mi spingono ormai a passare ad essa.
Questa donna, piuttosto che dire una sola parola sacrilega, offrì al tiranno e al giustiziere, con i sette figli, tutte le sue viscere: confortando i figli, nelle cui membra era lei stessa torturata, non ricusava tuttavia di sopportare da parte sua, per proprio dovere, quanto aveva insegnato loro a sopportare. ( 2 Mac 7 )
A tanta pazienza, chiedo, che cosa si può aggiungere?
Che c'è di straordinario allora se l'amore di Dio, accolto fin nel profondo delle midolla, resisteva al tiranno e al giustiziere, al dolore e al corpo, al sesso e all'affetto?
Non aveva ella udito: Preziosa al cospetto del Signore è la morte dei santi? ( Sal 116,15 )
Non aveva udito: L'uomo paziente è migliore dell'uomo valoroso? ( Pr 16,32 )
Non aveva udito: Accetta quanto ti capita, sii forte nel dolore e nella tua umiltà abbi pazienza, perché è con il fuoco che si prova l'oro e l'argento? ( Sir 2,4-5 )
Non aveva udito: La fornace prova gli oggetti del vasaio, l'esperienza della tribolazione prova gli uomini giusti? ( Sir 27,5 )
In verità queste e tante altre ne aveva udite e quei divini precetti sulla fortezza scritti dal solo Spirito Santo di Dio in questi libri del Nuovo Testamento come in quelli del Vecchio, gli unici allora esistenti.
Che dire della giustizia che riguarda Dio? Forse che le parole con le quali il Signore dice: Non potete servire a due padroni ( Mt 6,24; Lc 16,13 ) e quelle con cui l'Apostolo riprende coloro che servono la creatura piuttosto che il Creatore, ( Rm 1,25 ) non furono scritte già prima nel Vecchio Testamento, dove è detto: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai? ( Dt 6,13; Dt 10,20 )
Ma che bisogno c'è d'ora in poi di portare altre testimonianze, dal momento che le Scritture ne sono piene?
All'uomo che ama Dio e del quale parliamo, dunque, la giustizia prescriverà questa regola di vita: che serva con la massima disponibilità Dio che egli ama, cioè il bene sommo, la somma saggezza, la somma pace.
Quanto a tutte le altre cose, governi quelle che gli sono soggette e abbia l'ardire di assoggettare le altre.
Questa norma di vita, come abbiamo mostrato, è confermata dall'autorità dei due Testamenti.
24.45 - Neppure intorno alla prudenza, alla quale appartiene il discernimento delle cose da desiderare e di quelle da evitare, è il caso di dissertare più a lungo.
Se essa manca, nessuna delle cose dette si può realizzare.
Spetta ad essa stare in guardia e vigilare diligentemente affinché non siamo ingannati dall'insinuarsi di soppiatto di un cattivo consiglio.
Per questo il Signore grida spesso: Vegliate ( Mt 24,42; Mt 25,13; Mt 26,38.41; Mc 13,33.35.37; Lc 21,36 ) e dice: Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre ( Gv 12,35 ) e ancora: Non sapete che un po' di lievito fermenta tutta la massa? ( 1 Cor 5,6; Gal 5,9 )
Quanto poi all'Antico Testamento, che cosa si può trovare di più chiaro contro questo sonno dell'uomo, a causa del quale quasi non avvertiamo il male distruttore che si insinua di soppiatto in noi, che il detto del Profeta: Chi disprezza le piccole cose cadrà presto in rovina. ( Sir 19,1 )
Su questa sentenza, se fosse utile a coloro che hanno fretta, parlerei abbondantemente e, se lo richiedesse l'ufficio che ho ora assunto, forse dimostrerei quanto sono profondi questi misteri, deridendo i quali, certi uomini veramente ignoranti e sacrileghi non si può dire che ormai cadono a poco a poco in un'immensa rovina, ma che vi si precipitano.
A che scopo trattare ancora dei costumi?
Se infatti Dio è il bene sommo dell'uomo, e voi non potete negarlo, se ne deduce di certo che, poiché desiderare il bene sommo è vivere bene, il vivere bene non è niente altro che amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente.
Da qui scaturisce che questo amore in lui si conservi intatto ed integro, ciò che è proprio della temperanza, e che non si abbatta per nessuna avversità, ciò che è proprio della fortezza; che non serva a nessun altro, ciò che è proprio della giustizia; che vigili nel discernimento delle cose affinché né la fallacia né l'inganno si insinui di soppiatto, ciò che è proprio della prudenza.
Questa è l'unica perfezione dell'uomo, con la quale soltanto egli ottiene di godere della pura verità; questa cantano ad una voce i due Testamenti, questa ci raccomandano l'uno e l'altro.
A che scopo accusate ancora le Scritture, che non conoscete?
Ignorate con quanta incompetenza ve la prendete con Libri che criticano soltanto quelli che non li comprendono e che non possono comprendere solo quelli che li criticano?
Poiché essi sono tali che a nessuno che li odia è consentito di conoscerli e chi li conosce non può che amarli.
Pertanto chiunque di noi si è proposto di pervenire alla vita eterna, ami Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente.
La vita eterna infatti è tutta la ricompensa di cui ora godiamo la promessa.
E la ricompensa non può né precedere i meriti, né essere data all'uomo prima che ne sia degno.
In effetti, che cosa più ingiusta di ciò e che cosa più giusta di Dio?
Dunque non dobbiamo chiedere la ricompensa prima di meritare di riceverla.
Qui forse si domanda a buon diritto che cosa è la vita eterna in se stessa.
Ebbene ascoltiamo colui che la dona; egli dice: Questa è la vita eterna: che conoscano te, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. ( Gv 17,3 )
La vita eterna dunque è la stessa conoscenza della verità.
Perciò vedete quanto sono perversi e fuori da ogni ordine coloro che ritengono di trasmetterci la conoscenza di Dio per renderci perfetti, quando è proprio essa la ricompensa dei perfetti.
Che cosa dunque si deve fare, che cosa, io domando, se non amare prima con piena carità quello stesso che desideriamo conoscere?
Da ciò segue il principio che ci siamo sforzati di stabilire fin dall'inizio, vale a dire che non c'è nulla di più salutare nella Chiesa cattolica del primato dell'autorità sulla ragione.
Ma esaminiamo il resto, poiché sembra che non sia stata affrontata per nulla la questione dell'uomo stesso, cioè di colui che ama.
Tuttavia chi pensa così non ha capito abbastanza chiaramente.
È impossibile infatti che chi ama Dio non ami se stesso; anzi sa amarsi solo chi ama Dio.
Appunto, ama se stesso a sufficienza chi pone ogni cura per godere del bene sommo e vero.
E se questo bene non è altro che Dio, come le cose dette hanno insegnato, chi può dubitare che non ami se stesso colui che ama Dio?
Che cosa? Tra gli uomini stessi non deve esistere alcun vincolo d'amore?
Si, deve esistere anzi in modo da credere che non ci può essere nessun grado più certo, per elevarsi verso l'amore di Dio, della carità dell'uomo nei riguardi dell'uomo.
26.49 - Il Signore stesso dunque, che fu interrogato sui precetti di vita, ce ne dia un secondo.
Conoscendo egli che altro è Dio e altro l'uomo e che tra loro vi è tanta distanza quanta ce n'è tra il Creatore e la creatura fatta ad immagine del Creatore, non si accontentò infatti di uno solo.
Dice appunto il suo secondo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Mt 22,39 )
Ora tu ami te stesso utilmente, se ami Dio più di te.
Ciò che dunque tu fai con te, bisogna che lo faccia con il prossimo, e questo perché anch'egli ami Dio con un amore perfetto.
In effetti, non lo ami come te stesso, se non t'adoperi per condurlo a quel bene al quale tu stesso tendi, poiché è il solo bene che, per quanti vi tendano insieme a te, non soffre diminuzione.
Da questo precetto nascono i doveri nei confronti della comunità umana, nei quali è difficile non errare.
Prima di tutto però dobbiamo agire in modo da essere benevoli, cioè dobbiamo astenerci da ogni malvagità, da ogni inganno nei confronti dell'uomo.
Chi infatti è più prossimo all'uomo dell'uomo stesso?
26.50 - Senti anche ciò che dice Paolo: L'amore non fa nessun male al prossimo. ( Rm 13,10 )
Mi servo di testimonianze molto brevi, ma, se non mi inganno, idonee e soddisfacenti per il mio caso.
Chi ignora infatti quante parole e di quale autorità ci sono in quei libri, sparse per ogni dove, sulla carità verso il prossimo?
Ma poiché contro l'uomo si pecca in due maniere, nell'una quando gli si fa torto, nell'altra quando non lo si aiuta, pur potendolo fare, e siccome sono le stesse maniere per le quali gli uomini sono giudicati cattivi, in quanto nessuna delle due è usata da chi ama, ciò che intendiamo dire lo dimostra a sufficienza questa sentenza: L'amore non fa nessun male al prossimo. ( Rm 13,10 )
E se non possiamo pervenire al bene che desistendo dall'operare il male, questi atti con i quali amiamo il prossimo sono come l'infanzia dell'amore di Dio.
Di modo che, siccome l'amore non fa nessun male al prossimo, da qui eleviamoci a ciò che è stato detto: Sappiamo che tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio. ( Rm 8,28 )
26.51 - Ma non so se questi due amori arrivano insieme alla pienezza della perfezione oppure se è l'amore di Dio a cominciare e l'amore del prossimo a pervenirvi per primo.
Infatti, per cominciare forse è la carità divina che ci attira più presto a sé, e noi, d'altra parte, raggiungiamo la perfezione più facilmente nelle cose minori.
Comunque sia, bisogna tener conto soprattutto di ciò: che nessuno si illuda di pervenire alla beatitudine e a Dio che ama, senza curarsi del prossimo. ( 1 Gv 3,14 )
E voglia il cielo che, come è facile per l'uomo bene educato e benevolo amare il prossimo, così gli sia facile consigliarlo e non nuocergli in niente.
A tale scopo, infatti, non è sufficiente la buona volontà, ma occorrono molto raziocinio e molta prudenza, qualità questa che nessuno può adoperare se non l'ha ricevuta da Dio, fonte di ogni bene.
Di tale argomento, invero assai difficile, per quanto io stimo, tenteremo di dire alcune parole in rapporto all'opera intrapresa, riponendo tutta la speranza in Colui che è l'unico autore di questi doni
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