Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXXIV

I. In che senso questo passo si addice al Verbo, e che cosa significhi andare e ritornare riferito al Verbo riguardo alla sua salutare dispensazione

1. Ritorna, dice. È chiaro che non è presente colui che essa richiama, c’è stato però fino a poco prima: sembra infatti che venisse richiamato mentre ancora stava andandosene.

Un richiamo intempestivo è indizio di un grande amore da una parte, e di una grande amabilità dall’altra.

Chi sono questi cultori della carità e così indefessi nell’esercizio dell’amore, di cui l’uno è oggetto di tanto inquieto amore dal quale l’altra è spronata?

A me, come ho promesso, spetta applicare questo passo al Verbo e all’anima, ma per far questo, almeno un poco degnamente, confesso di aver bisogno dell’aiuto del Verbo.

Certamente per questo discorso era conveniente che ci fosse uno molto più esperto, molto più addentro all’arcano del santo amore; ma non posso venir meno al mio dovere, anche se non potrò soddisfare del tutto ai vostri desideri.

Vedo il mio pericolo, e non mi tiro indietro, voi mi costringete.

Voi davvero mi costringete a camminare in cose grandi, superiori alle mie forze.

Ahimè! Come temo che non mi vengano rivolte quelle parole: Perché tu descrivi le mie delizie e pronunzi con la bocca il mio mistero?

Ascoltatemi tuttavia, come si ascolta un uomo che ha paura di parlare, e non può tacere.

Mi scuserà, forse, per avere osato, la stessa mia trepidazione, e ancor più, se ci sarà, la vostra edificazione.

E forse anche queste lacrime verranno parimenti considerate.

Ritorna, dice. Bene. Stava andandosene, viene richiamato.

Chi mi darà la spiegazione del mistero di questa mutabilità?

Chi mi spiegherà degnamente questo andare e ritornare del Verbo?

Forse lo Sposo è solito cambiare cosi?

Come può venire, e poi di nuovo tornare colui che riempie ogni cosa?

Infine, quale movimento locale può avere colui che è Spirito?

E quale genere di movimento possiamo attribuire a lui che è Dio?

Come tale, infatti, è incommutabile.

2. Ma chi può capire queste cose le capisca.

Quanto a noi, camminando con cautela e semplicità nell’esposizione del sacro e mistico eloquio, seguiamo l’usanza della Scrittura che espone con parole nostre la sapienza nascosta nel mistero; fa entrare nei nostri affetti Dio, mentre lo rappresenta con figure; e insinua nelle umane menti gli attributi sconosciuti e invisibili di Dio, che sono cose preziose, con similitudini note di cose sensibili, e di vile materia.

Seguiamo, pertanto, anche noi la consuetudine del casto discorso, e diciamo che il Verbo di Dio, Dio egli stesso, Sposo dell’anima, viene ad essa a seconda che vuole, e nuovamente la lascia: sentiamo questo con il sentimento dell’anima, non con il movimento della parola.

Per esempio, quando l’anima sente la grazia, avverte la presenza dello Sposo; quando non la sente si lamenta della sua assenza, e chiede che nuovamente si faccia presente, dicendo con il Profeta: Ha cercato te il mio volto, il tuo volto Signore, io cerco ( Sal 27,8 ).

Come non cercarlo? Tolto da sé un così dolce Sposo, l’anima non trova più piacere, non dico a desiderare, ma neanche nel pensare a qualche cosa di altro.

Non le resta, dunque, se non ricercare con studio l’assente, richiamarlo quando se ne va.

Cosi, dunque, è richiamato il Verbo, ed è richiamato dal desiderio dell’anima, ma di una tale anima a cui abbia fatto una volta gustare quanto egli sia dolce.

Non è forse il desiderio una voce? Sì, una voce, e forte.

E poi: Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri ( Sal 10,17 ).

Quando, dunque, il Verbo se ne va, il continuo desiderio dell’anima è come una voce continuata, come un continuo ritorna, finché venga di nuovo.

3. E ora dammi un’anima che il Verbo sia solito visitare frequentemente, alla quale la familiarità abbia dato l’ardire, l’aver gustato la fame, e l’aver disprezzato tutte le cose, abbia conferito il riposo santo: e io a questa do senza esitazione la voce e il nome della sposa, e sarei convinto che il passo che stiamo commentando faccia per lei.

È, infatti, una tale anima che qui parla.

E di colui che essa richiama dà prova di aver meritato la presenza, anche se non l’abbondanza.

Altrimenti non lo richiamerebbe, ma semplicemente lo chiamerebbe.

Ritorna è una parola con cui si richiama e forse egli si è sottratto appunto per farsi richiamare con maggiore desiderio, e per essere più fortemente trattenuto.

Infatti, talvolta, anche simulava di andare più lontano, non perché intendeva realmente questo, ma voleva sentirsi dire: Resta con noi, perché si fa sera ( Lc 24,28-29 ).

E così un’altra volta, camminando sopra il mare, mentre gli apostoli navigavano e si applicavano remando, egli fece finta di voler passare oltre, ma neanche allora egli voleva questo, ma provare la loro fede e spingerli a pregarlo.

Allora, come dice l’Evangelista, restarono turbati e gridarono, credendolo un fantasma.

Pertanto il medesimo Verbo Spirito, al suo modo spirituale, non cessa di comportarsi, ogni tanto, con l’anima a lui devota, in maniera simile, rinnovando quella pia simulazione, anzi salutare disposizione che mostrò un giorno corporalmente il Verbo incarnato.

Fingendo di passar oltre vuol essere fermato, andando via vuol essere richiamato.

Non è egli, infatti, una Parola irrevocabile: va e torna a suo piacere, quasi visitando di buon mattino e subito mettendo alla prova.

L’andarsene, per lui, appartiene in certo modo all’economia, il ritornare, invece, è sempre volontario, l’uno e l’altro pieno di giustizia.

Ma le ragioni delle due cose sono un segreto suo.

4. Ora, intanto, è certo che nell’anima vi sono queste vicissitudini, del Verbo cioè che se ne va e che ritorna, come egli dice: Vado e torno a voi ( Gv 14,28 ); e ancora: Un poco e non mi vedrete più, e ancora un poco e mi rivedrete ( Gv 16,17 ).

O poco e poco! O poco lungo! Pio Signore, chiami poco il tempo in cui non ti vediamo?

Sia salva la parola del mio Signore: è lungo, invece, e oltremodo lunghissimo.

Tuttavia è vera una cosa e l’altra: è breve per i meriti, lungo per i desideri.

Trovi le due cose nel Profeta: Se indugia, dice, aspettalo, perché verrà e non tarderà ( Ab 2,3 )

Come non tarderà se indugia?

Ma ciò per riguardo al merito è più che sufficiente, non lo è per il desiderio.

Ora, l’anima che ama è portata dai desideri, è trascinata dalla brama, e con fiducia ripete le sue delizie, chiamandolo con la solita libertà non Signore, ma diletto: Ritorna, diletto mio; e aggiunge: Sii simile alla capriola e al cerbiatto sopra i monti di Bethel.

Ma di questo diremo in seguito.

II. Come si comporta l’anima all’arrivo dello Sposo, e in che cosa ne avverte l’arrivo

5. Ora sopportate un po’ di insipienza da parte mia.

Voglio dire, poiché mi sono impegnato a farlo, quello che succede a me in questa faccenda.

Non sarebbe conveniente, ma mi metterò in vista pur di essere di giovamento, e se voi ne trarrete profitto mi consolerò della mia insipienza; diversamente confesserò la mia stoltezza.

Confesso che il Verbo è venuto anche da me, e parecchie volte parlo da insipiente.

E spesso, essendo entrato da me, non mi accorsi talvolta quando entrava.

Sentii che era presente, ricordo che venne; talvolta ho potuto presentire il suo entrare, mai sentirlo, e neppure quando se ne andava, poiché di dove sia entrato nell’anima mia, o dove se ne sia andato lasciandola di nuovo, e per dove sia entrato o uscito, anche ora confesso di ignorarlo, secondo quanto è detto: Non sai di dove venga o dove vada ( Gv 3,8 ).

E non fa meraviglia, perché di lui è stato detto: Le sue orme rimarranno invisibili ( Sal 77,20 ).

È certo che non è entrato per gli occhi perché non ha colore; né per le orecchie perché non produce suono, né attraverso le narici, perché non si mescola con l’aria, ma con la mente, né penetra nell’aria, ma la crea; neanche per la bocca, perché non è né mangiato né bevuto, né l’ho sentito al tatto, perché non è palpabile.

Per dove, dunque, è entrato? Ma forse non è neppure entrato, perché non è venuto dal di fuori.

Non è, infatti, alcuna delle cose che sono di fuori.

Ora non è neppure venuto dal di dentro di me, perché egli è buono, e so che in me non c’è nulla di buono.

Sono salito anche nel mio essere superiore, ed ecco il Verbo era ancora più in alto sopra di questo.

Sono disceso anche nella parte inferiore di me, esplorando curiosamente, e neppure di sotto l’ho trovato.

Se guardavo fuori venni a sapere che egli era al di là di ogni cosa a me esterna, se guardavo dentro, egli era ancora più addentro.

E conobbi quanto è vero quello che avevo letto, che in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo ( At 17,28 ); ma è beato colui nel quale egli è, che vive per lui, e che da lui è mosso.

6. Chiedi, dunque, come io sappia che il Verbo è presente, non essendo per nulla investigabili le sue vie?

Egli è vivo ed efficace, e appena entrato dentro ha svegliato la mia anima che sonnecchiava; l’ha smossa, l’ha intenerita e ha ferito il mio cuore, che era duro e come pietra e malsano.

Ha pure cominciato a sradicare e distruggere, a edificare e piantare, a irrigare quello che era arido, a illuminare quello che era tenebroso, ad aprire ciò che era chiuso, a infiammare ciò che era freddo, nonché a raddrizzare ciò che era storto e spianare quello che era scosceso, di modo che l’anima mia benediceva il Signore e tutto il mio intimo dava lode al suo santo nome.

Così, dunque, entrando da me alcune volte il Verbo Sposo non fece mai notare con alcuni indizi il suo ingresso; non con la voce, non con l’aspetto, non con il passo.

Si è fatto conoscere da me senza nessuno dei suoi movimenti, non lo percepirono i miei sensi mentre entrava nel mio intimo: solo dal movimento del cuore, come ho detto sopra, ho compreso la sua presenza; e dalla fuga dei vizi, dalla compressione degli affetti carnali ho avvertito la potenza della sua virtù, e dalla messa in luce e dal rimprovero dei miei peccati occulti ho ammirato la profondità della sua sapienza, e da una certa emendazione dei miei costumi ho sperimentato la sua bontà e mansuetudine, e dalla riforma e rinnovamento spirituale della mia mente, cioè del mio uomo interiore, ho percepito in qualche maniera la sua bellezza e il suo decoro, e dall’intuito di tutte queste cose insieme mi ha preso lo spavento davanti alla sua immensa grandezza.

7. Ma tutte queste cose, una volta che il Verbo se n’è andato, sono come una pentola bollente alla quale viene sottratto il fuoco; quello che prima bolliva, immediatamente si ferma come preso da un certo languore e torpore, e presto ritorna immobile e freddo; questo è il segno che egli se n’è andato.

Allora per forza l’anima mia diventa triste fino a che ritorni di nuovo, e di nuovo si riscaldi in me il mio cuore: e questo sarà indizio del suo ritorno.

Avendo tale esperienza del Verbo, quale meraviglia se io uso le parole della sposa nel richiamarlo quando si assenta, dal momento che sono trasportato, se non da pari, almeno in parte da simile desiderio?

Mi sarà familiare fino a che vivrò, per richiamare il Verbo, la parola del richiamo: Ritorna!

E ogni volta che si allontanerà sempre ripeterò questa parola, né cesserò di gridare quasi alle parole di lui che se ne va con ardente desiderio del cuore, che ritorni, e mi restituisca la mia salutare letizia, mi restituisca se stesso.

III. La grazia e la verità raffigurate dal cerbiatto e dalla capriola, e come la grazia si perda appropriandosene

Lo dico a voi figli: in questo frattempo nessuna altra cosa piace, mentre non è presente colui che solo piace.

E prego anche che non venga vuoto, ma pieno di grazia e verità, com’è suo costume di ieri e di sempre.

Anche in questo sembra adattarglisi bene la similitudine della capriola e del cerbiatto, avendo la verità gli occhi della capriola, e la grazia l’ilarità del cerbiatto.

8. Entrambe le cose mi sono necessarie, la verità a cui non possa nascondermi, e la grazia alla quale non lo voglia.

Senza una delle due la visita non sarebbe completa, poiché la sua severità sarebbe troppo gravosa senza l’ilarità, e questa senza di quella potrebbe sembrare leggera.

Amara è la verità senza il condimento della grazia, come senza il freno della verità la stessa devozione non è ferma, non ha misura, spesso diventa insolente.

A quanti non giovò l’aver ricevuto la grazia, perché non ne ricevettero dalla verità un temperamento!

Per questa ragione si compiacquero in essa più che non occorresse, mentre non ebbero timore degli sguardi della verità e si diedero piuttosto tutti alla leggerezza e all’ilarità del cerbiatto.

Onde avvenne che furono privati della grazia nella quale avevano voluto privatamente esultare, e ad essi si sarebbe potuto dire, anche se troppo tardi: Andate dunque, imparate che cosa voglia dire: servite il Signore con timore e con tremore esultate ( Mt 9,13; Sal 2,11 ).

Aveva detto un’anima santa nella sua esultanza: Nulla mi farà vacillare ( Sal 30,7 ), quando improvvisamente sentì che il Verbo aveva distolto da lei il suo volto, e si senti non solo smossa, ma conturbata; e così nella tristezza imparò che le sarebbe occorso, con il dono della devozione, anche il peso della verità.

Dunque, non solo nella grazia sta la pienezza della grazia, e neppure nella sola verità.

Che cosa ti giova sapere quello che devi fare, se non ti è dato anche il voler fare?

Quanti ho visto più tristi per aver conosciuto la verità, e tanto più in quanto non potevano più addurre la scusa dell’ignoranza?

Sapevano bensì, ma non facevano quanto la Verità li esortava a fare.

9. Stando così le cose nessuna delle due è sufficiente senza l’altra; anzi, non conviene neppure.

Da che cosa lo sappiamo? Colui che conosce il bene e non lo fa, commette peccato ( Gc 4,17 ), e ancora: Il servo che conosce la volontà del suo padrone e non avrà disposto e agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse ( Lc 12,47 ).

Questo per parte della verità. E riguardo alla grazia?

Sta scritto: E dopo il boccone Satana entrò in lui ( Gv 13,27 ).

Parla di Giuda, il quale, ricevuto il dono della grazia, poiché non camminava nella verità con il Maestro della verità, o piuttosto con maestra Verità, fece posto in se stesso al diavolo.

Senti ancora: Li cibò con fiore di frumento, e saziò con miele di roccia ( Sal 81,17 ).

Chi? I nemici del Signore gli hanno mentito ( Sal 81,16 ).

Quelli che egli ha cibato di miele e di fior di frumento, gli hanno mentito, diventati nemici, perché non hanno unito la verità alla grazia.

Di essi viene detto altrove: I figli adulteri hanno negato fede a me, i figli adulteri sono nella vecchiaia e zoppicando vanno fuori dalla loro strada ( Sal 18,46 ).

Come non avrebbero dovuto zoppicare dal momento che si contentavano di un solo piede, non aggiungendo quello della verità?

Verrà, pertanto, il loro tempo, che sarà tempo eterno, come fu del loro principe, il quale non stette neanche lui nella verità, ma fu bugiardo dall’inizio e perciò gli fu detto: La tua saggezza è corrotta a causa del tuo splendore ( Ez 28,17 ).

Non voglio la bellezza che mi faccia perdere la sapienza.

10. Chiedi quale sia quella bellezza così dannosa e perniciosa? La tua.

Forse non capisci ancora? Te lo spiego meglio: la tua privata, propria.

Non diamo la colpa al dono, ma al suo uso.

Se hai fatto attenzione il demonio ha perso la saggezza a causa della « sua » bellezza, è stato detto.

E se non sbaglio questa sapienza è l’unica bellezza dell’anima e dell’Angelo.

Che cosa è, infatti, l’anima e l’Angelo senza sapienza se non rude e deforme materia?

Per essa, infatti, questi non solo fu formato, ma reso formoso.

Ma la perdette quando la fece sua, e così nella sua bellezza non restò altro che di aver perso la sapienza nella sua sapienza.

È in causa la proprietà.

Per il fatto che fu sapiente per sé, che non diede gloria a Dio, che non restituì grazia per grazia, che non camminò in essa secondo verità, ma la ritorse alla sua volontà, ecco perché egli la perse.

Averla, infatti, in questa maniera equivale a perderla.

E se Abramo, è scritto, fu giustificato per le opere ha gloria, ma non presso Dio ( Rm 4,2 ).

E io dico: « Dunque non al sicuro ».

« Se non l’ho presso Dio, ho perso tutto il mio avere ».

Infatti, che cosa è così perduto quanto quello che è fuori di Dio?

Che cosa è la morte se non la privazione della vita?

Così nulla è perduto se non quello che è lontano da Dio.

Guai a voi che siete sapienti ai vostri occhi e prudenti davanti a voi stessi! ( Is 5,21 ).

Di voi è detto: Perderà la sapienza dei sapienti e riproverò la prudenza dei prudenti ( 1 Cor 1,19 ).

Persero la sapienza perché la loro sapienza li perse.

Che cosa non persero avendo perso se stessi?

Non sono forse perduti quelli che Dio dice di non conoscere?

11. Ora le vergini stolte, che penso essere state chiamate stolte appunto perché dicendo di essere sapienti sono diventate stolte, si sentono dire dal Signore: Non vi conosco ( Mt 25,12 ).

E così anche quelli che avevano usurpato la grazia dei miracoli per la loro personale gloria si sentiranno dire: Non vi conosco ( Mt 7,23 ), perché sia ben chiaro da questo che la grazia non giova dove la verità non è nell’intenzione, anzi è di danno.

Nello Sposo vi sono tutte e due le cose: La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo ( Gv 1,17 ), dice Giovanni Battista.

Se dunque il Signore Gesù busserà alla mia porta con una sola di queste due senza l’altra egli è infatti il Verbo di Dio, Sposo dell’anima entrerà certamente non come Sposo, ma come giudice.

Non sia mai che avvenga questo! Non entri in giudizio con il servo.

Entri pacifico, entri giocondo e festoso, entri tuttavia maturo e serio, e con un volto alquanto severo rivolto verso di me, reprima l’insolenza e purifichi la letizia.

Entri come cerbiatto che sale, come capriolo circospetto, che scavalchi dissimulando la colpa e guardi con misericordia la pena.

Entri quasi discendendo dai monti di Bethel, festoso e splendido, come procedente dal Padre, soave e mite, che non disdegni di essere chiamato e di essere Sposo dell’anima che lo cerca, pur essendo sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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