Opera incompiuta contro Giuliano

Indice

Libro I

25 - Tutte le eresie si appoggiano alle Sacre Scritture

Giuliano. Non hanno fatto forse lo stesso, per tradizione del loro eresiarca, Adimanto e Fausto - del quale parli come di un tuo precettore nei libri delle tue Confessioni11 - rubando e tagliando o dai Vangeli o dalle Lettere degli Apostoli le sentenze più oscure per patrocinare con l'autorità dei nomi un dogma sacrilego?

Quantunque, perché parlo dei manichei?

Tutte assolutamente le eresie arginano con frasi e con sentenze delle Scritture le proprie invenzioni, con le quali sono uscite dall'orbita della pietà e della fede.

Agostino. Costoro hanno tentato di volgere a favore del loro dogma sentenze oscure, voi con il vostro stesso dogma cercate di oscurare sentenze aperte.

Che cosa infatti più aperto di quello che dice l'Apostolo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini? ( Rm 5,12 )

La quale verità se il medesimo Apostolo fosse costretto a provare, porterebbe a testimonianza la stessa miseria del genere umano, che comincia dai vagiti dei bambini e arriva fino ai gemiti dei decrepiti.

In nessun modo infatti una miseria così grave s'infliggerebbe sotto la cura dell'Onnipotente e del Giusto alla natura umana, se nei due progenitori non venisse cacciata fuori tutta quanta dalla felicità del paradiso in questa infelicità per il merito del peccato.

26 - Ma le Scritture rimangono fuori

Giuliano. Ci sarà quindi forse per questo un dilemma: o si dimostreranno i Libri sacri autori di errori o la dignità delle Scritture espierà i crimini di quanti si perdono?

Agostino. Questo ditelo per voi.

27 - Dio è giusto

Giuliano. Si estingua dunque la libidine di commenti indisciplinati.

Si creda che le parole non fanno nulla contro la manifesta giustizia di Dio.

Le quali parole se sono di persone cui si deve venerazione, si difendano con spiegazioni conformi all'equità divina.

Se sono invece parole proferite da un autore che non è da temere, si respingano anche senza spiegarle.

Adesso dunque si discute del giusto giudizio di Dio, del quale si afferma: È un Dio verace e senza malizia; è giusto e retto il Signore Dio. ( Dt 32,4 )

E ancora: Giusto è il Signore, ama le cose giuste; il suo sguardo si posa sulla equità. ( Sal 11,7 )

E ancora: Sono giusti tutti i tuoi comandamenti. ( Sal 119,172 )

Innumerevoli sono i luoghi che nei sacri Volumi esaltano l'equità divina, della quale del resto non ha mai dubitato nessuno né dei pagani né degli eretici, eccettuati i manichei e i traduciani.

Agostino. Da questa equità viene sui figli di Adamo dal giorno in cui escono dal seno materno un giogo pesante, ( Sir 40,1 ) la cui assoluta iniquità asserisce chi nega il peccato originale.

28 - Dio è necessariamente giusto

Giuliano. È tanto insita infatti universalmente in tutti per dettato di natura la convinzione della giustizia di Dio da non essere dio chi non risulti non essere giusto.

Quindi anche un uomo può essere giusto, ma Dio non può essere che giusto.

Agostino. Dillo per te.

29 - Dio giudica giustissimamente

Giuliano. Il quale Dio, essendo quest'unico vero Dio a cui noi crediamo e che veneriamo nella Trinità, è indubbiamente giustissimo verso tutti nel suo modo di giudicare.

Agostino. Dillo per te e dimostra come sia giusto che nasca con tanto manifesta miseria o per tanto manifesta miseria chi non contrae il peccato originale.

30 - L'ingiustizia annullerebbe Dio

Giuliano. Non si può pertanto dalle leggi di Dio provare e giustificare ciò che risulta ingiusto, tanto che, se fosse possibile, verrebbe a mancare tutta l'autenticità della sua divinità.

Dimostrerà quindi che dalle sante Scritture ha conferma il dogma dell'ingiustizia chi potrà provare che possa essere privata della gloria della divinità la Trinità a cui crediamo.

Agostino. Tu dici il vero, ma ditelo per voi che tramate di rapire al Cristo la gloria con la quale risana i piccoli.

31 - Inconciliabilità tra Dio e il peccato naturale

Giuliano. Poiché ciò non lo sostiene nessuna ragione e nessuna pietà, una delle due: o insegna la possibilità e la giustizia che si imputi a chicchessia il peccato naturale o ritirati dalla contaminazione delle sante Scritture, dalle cui sentenze stimi sancito ciò che sei costretto a confessare iniquo.

Agostino. Sbagliate: voi piuttosto siete costretti a confessare iniquo il grave giogo che grava sui bambini, se essi, come non hanno nessun peccato proprio, così non contraggono nessun peccato originale.

32 - A. peggiore di Manicheo

Giuliano. Se non prenderai né l'una né l'altra decisione e asserisci di credere a questo Dio, dalle cui istituzioni stimi protetta l'ingiustizia, sappi che sei un nuovo Manicheo molto peggiore dell'antico, avendo tu un tale Dio quale era quello che Manicheo ha descritto come nemico del suo Dio.

Agostino. Voi infierite contro i bambini peggio dei manichei.

Questi appunto vogliono che sia sanata nel piccolo per mezzo del Cristo almeno l'anima, che reputano una particella di Dio; voi al contrario, dicendo che il bambino non ha nessun male né nell'anima né nella carne, non permettete che venga sanato dal Cristo in nessuna parte.

E voi, egregi predicatori, predicate così Gesù da negare che sia Gesù dei bambini.

Donde infatti abbia ricevuto questo nome leggetelo nel Vangelo ( Mt 1,21 ) e non vogliate rinnegare il Salvatore impedendogli di salvare i piccoli.

33 - Roba da donne plebee

Giuliano. Quali ambiguità dunque, quali cuscini di bugie e di sciocchezze, come quelle che il profeta Ezechiele rinfaccia a Gerusalemme, rea di fornicazione, ( Ez 13,18 ) accosterai a me qui, perché vi riposino anime effeminate le quali, dopo aver mancato contro la divinità stessa per manifesto sacrilegio, conservano i nomi dei misteri?

Rimossi tutti i giuochi di prestigio, rimosse le caterve di donne plebee da te spesso invocate a tuo patrocinio, insegna che è giusto ciò che t'industri d'affermare per mezzo delle Scritture sante.

Agostino. Le caterve di donne plebee che tu irridi conoscono la fede cattolica così da confessare che il Salvatore salva i bambini, e per questo detestano l'errore dei pelagiani che lo negano.

34 - Non andiamo troppo per le lunghe!

Giuliano. Perché dunque il discorso non dilaghi in infiniti volumi, si distingua qui e subito il genere, la specie, la differenza, il modo, la qualità delle cose di cui stiamo trattando, anzi ancora più sollecitamente si dica se ci siano, donde siano, dove siano, che cosa meritino e da chi.

In questo modo non si vagherà a lungo per gli anfratti delle discussioni e apparirà certo ciò che è da ritenere.

Agostino. Per questo è che contro un solo mio libro ne hai scritti otto: non hai voluto discutere a lungo con i tuoi compendi dialettici!

35 - Definizione della giustizia

Giuliano. Il discorso si aggira dunque ora attorno al Creatore e alla creatura, cioè attorno a Dio e all'uomo: Dio giudica, l'uomo è giudicato.

Vediamo perciò quale sia la natura della giustizia e della colpa.

La giustizia, e come suole esser definita e come la possiamo intendere noi, è la virtù massima tra tutte le virtù - se gli stoici ci consentono di preferire una virtù ad un'altra -, che ha il compito di rendere diligentemente a ciascuno il suo senza frode, senza grazia.

Agostino. Dimmi dunque per quale giustizia sia stato retribuito ai bambini il grave giogo di una miseria tanto grande e tanto manifesta; dimmi per quale giustizia un bambino sia adottato nel battesimo e un altro muoia senza questa adozione; per quale ragione non sia comune ad ambedue cotesto onore o l'esclusione da cotesto onore, essendo comune a loro la causa, sia buona che cattiva.

Non lo dici, perché tu uomo più pelagiano che cristiano non t'intendi né della grazia di Dio né della giustizia di Dio.

36 - La quadrua "giogalità": prudenza, giustizia, fortezza, temperanza

Giuliano. Che se Zenone non mi consentirà di chiamare virtù massima la giustizia, perché egli sostiene tra le virtù tale unione e unità da dire che dove ce n'è una sola ci sono tutte e dove ne manca una sola mancano tutte, e virtù vera è la virtù perfetta che si ottiene con questa quadrupla giogalità, anche in questo caso egli ci sarà di moltissimo aiuto con l'insegnarci che né la prudenza, né la fortezza, né la temperanza possono definirsi senza la giustizia.

Secondo la quale verità pure l'Ecclesiaste dichiara: Uno sbaglio solo annienta un grande bene. ( Qo 9,18 )

Agostino. Ascolta il medesimo Ecclesiaste che dice: Vanità delle vanità, tutto è vanità.

Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole, ( Qo 1,2-3 ) eccetera?

E dimmi anche perché l'uomo sia diventato simile alla vanità, ( Sal 144,4 ) lui che è stato fatto simile alla Verità.

O forse ne eccettui i bambini, nei quali vediamo, con il crescere e con il migliorare, se vengono educati bene, decrescere la vanità così grande con la quale sono nati, senza liberarsene totalmente se non quando tutti i giorni della vanità siano passati come un'ombra? ( Sal 144,4 )

37 - L'origine della giustizia

Giuliano. Quindi questa augusta virtù, calcolatrice dei meriti di ciascuno, brilla, sì, ma a sprazzi, nelle opere della immagine di Dio, cioè dell'anima umana, secondo la limitatezza della stessa creatura e secondo le sue forze, e invece in Dio stesso, che è il creatore di tutte le cose che vengono dal nulla, rifulge con immenso e chiaro giro in eterno.

L'origine della giustizia è la divinità, l'età della giustizia è l'eternità, e l'eternità ignara per ogni verso sia di finire sia d'aver cominciato.

Come dunque il genere della giustizia - con il quale nome di genere nient'altro voglio intendere che l'origine - è Dio, così la specie della giustizia apparisce nella promulgazione delle leggi e negli effetti dei giudizi.

Agostino. Se l'origine della giustizia è Dio, come confessi, per quale ragione non confessi che è da Dio che viene data all'uomo la giustizia e vuoi che la giustizia sia arbitrio della volontà umana piuttosto che dono di Dio, così da essere tu nel numero di coloro dei quali è detto: Ignorando la giustizia da Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio? ( Rm 10,3 )

Arrossite una buona volta, vi prego, e implorate la giustizia da Dio, che è l'origine della giustizia, come siete stati costretti a confessare.

38 - Differenza, modo, qualità della giustizia

Giuliano. Nella differenza poi della giustizia possiamo intendere non irragionevolmente la sua diversa applicazione secondo l'opportunità dei tempi.

Per esempio nel Vecchio Testamento si comandava di offrire animali in sacrificio.

Farlo apparteneva allora al rispetto della legge, ora al contrario serve all'autorità della giustizia il comando di evitarli, come allora serviva il comando di offrirli.

Il modo poi o lo stato della giustizia consiste o nel fatto che non impone a nessuno più di quello che comportano le sue forze o nel fatto che non reprime la misericordia.

Per qualità della giustizia s'intende invece il dolce sapore che la giustizia ha per le anime pie.

Indubbiamente dunque esiste la giustizia, senza la quale non esiste la divinità, e se non esistesse la giustizia, non esisterebbe Dio; ma Dio esiste e perciò esiste senza dubbio la giustizia.

Altro poi non è che la virtù capace di contenere tutto e di rendere a ciascuno il suo senza frode, senza grazia.

Ma la giustizia si trova massimamente nel profondo della divinità.

Agostino. Hai definito la giustizia la virtù capace di contenere tutto e di rendere a ciascuno il suo senza frode, senza grazia.

Per questo vediamo che essa corrispose senza frode il denaro a coloro che avevano lavorato tutto il giorno nell'opera della vigna: questo era piaciuto ad essi, questo aveva convenuto il padrone, per questa mercede non potevano negare d'essere stati ingaggiati. ( Mt 20,1-10 )

Ma dimmi, ti prego, a coloro che in quell'opera furono occupati un'ora soltanto come diede altrettanto senza grazia?

O forse aveva perduto la giustizia? Frènati dunque piuttosto!

La giustizia divina appunto non froda nessuno, ma la grazia divina dona molti benefici senza che siano meritati.

Quanto poi alla ragione per cui doni a chi in un modo e a chi in un altro, vedi quello che tu aggiungi di seguito.

Dici appunto benissimo che la giustizia si trova massimamente nel profondo della divinità.

In tale profondo sta la spiegazione che non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )

In tale profondo sta il segreto perché quel bambino è onorevolmente adottato per mezzo del lavacro della rigenerazione e l'altro è lasciato alla ignominia di non essere ammesso al Regno, pur mancando da parte dell'arbitrio della volontà il merito d'ambedue per l'una sorte e per l'altra.

39 - Miseria e misericordia

Giuliano. La giustizia poi merita la testimonianza, come dal suo autore, così pure e dai buoni e dai cattivi, per il diritto che ha di beneficare i buoni e di condannare i cattivi.

Quando però la giustizia consente per sua natura alla misericordia d'essere liberale verso coloro che non meritano nulla né di bene né di male, non ne rimane offesa in nessun modo, perché anche il fatto che Dio sia clemente verso la sua creatura, se nulla lo costringe alla severità, è una grande dimensione della giustizia.

Agostino. Considera almeno il nome di misericordia e vedi da dove sia stata chiamata così.

Che bisogno c'è dunque di misericordia dove non c'è nessuna miseria?

Ora, se dite che nei bambini non esiste nessuna miseria, venite a negare che verso di essi si debba mostrare misericordia; se dite che c'è qualche miseria, indicate in essi un merito cattivo.

Infatti sotto un Dio giusto nessuno può essere misero senza meritarlo.

Ecco, due bambini dormono: uno di essi spira battezzato, l'altro spira non battezzato.

Con quale di essi dici che Dio è stato clemente?

Se con uno solo, indica il merito cattivo dell'altro tu che neghi l'esistenza del peccato originale.

Se con ambedue, indica un qualsiasi merito buono nel battezzato tu che neghi la grazia, non essendo qui di mezzo nessuna preferenza di persone, e dimmi anche, se puoi, perché non abbia voluto adottarli entrambi Dio, che certamente li ha creati entrambi a sua immagine.

O forse Dio è giusto così da non essere onnipotente, se ha voluto e non ha potuto?

Qui è sicuro che a nessuno dei due bambini mancò la volontà, perché non attribuiate al merito della volontà umana l'impedimento della potenza divina; in questo caso certamente a nessuno dei due Dio può dire: Io ho voluto e tu non hai voluto.

O se un infante non vuole perché piange quando si battezza, allora si abbandonino ambedue, perché ambedue piangendo mostrano di non volere.

E tuttavia l'uno è preso e l'altro è abbandonato, perché è grande la grazia di Dio ed è verace la giustizia di Dio.

Ma per quale ragione l'uno piuttosto che l'altro? È un segreto degli imperscrutabili giudizi di Dio. ( Rm 11,33 )

40 - Giustizia e compassione

Giuliano. Gli uomini infatti, che Dio ha creati perché ha voluto, nemmeno li condanna se non è disprezzato da essi.

Se Dio, non disprezzato dagli uomini, li fa migliori con la consacrazione del battesimo, egli da una parte non patisce nessun detrimento di giustizia e dall'altra si adorna della munificenza della compassione.

Agostino. Se Dio condanna solo dopo che è stato disprezzato, dimmi che Dio disprezza la sua immagine solo dopo essere stato disprezzato da lei.

Se non osi dirlo, dimmi perché mai Dio disprezzi quei bambini che non adotta e dai quali non lo troverai disprezzato se non li trovi presenti in Adamo, dove troverai ad un tempo che tutti dovrebbero essere disprezzati per giustizia, ma che non tutti sono disprezzati per ineffabile e imperscrutabile grazia.

41 - I deboli scelti da Dio

Giuliano. Dopo aver dunque spiegato le precedenti distinzioni sulla giustizia, discutiamo quale sia la definizione del peccato.

Ciò che cerchiamo mi è offerto in verità abbondantemente dagli scritti tanto dei filosofi, quanto di coloro che sono stati cattolici.

Ma temo che tu contesti e che, se io convocherò il senato dei filosofi, tu accenda subito contro di noi i seggiolai e ogni sorta di popolino.

Agostino. Sei oltraggioso verso i deboli del mondo che Dio ha scelti per confondere i forti. ( 1 Cor 1,27 )

I deboli stessi confondono del resto coloro che confidano nella propria forza. ( Sal 49,7 )

E qui che dirò: Siete voi? Mentre io taccio in modo assoluto, voi apparite, perché non tacete.

42 - G. o bugiardo o sfacciato

Giuliano. Vociferando con le femmine, con tutti i portatori, con i tribuni, per mezzo dei quali il tuo collega Alipio recò da poco tempo ottanta o più cavalli carichi di tutta l'Africa.

Agostino. Tu o calunni o non sai quello che dici, e perciò parli così o da bugiardo o da sfacciato.

Chi più malvagio di te, se ti sei inventato da te tutto questo?

Chi più stolto di te, se hai creduto a coloro che l'hanno inventato?

Ma che tu l'abbia osato anche scrivere, né ti abbia preso il timore che i tuoi libri giungessero in quei luoghi che accolsero il mio collega Alipio dove passò o arrivò per terra e per mare e dove non si possono leggere le tue fandonie senza irriderti o peggio senza detestarti, a quale non dico impudenza, ma demenza, è pari?

43 - A. non disprezza i dotti

Giuliano. Tu non ti arrendi per nulla alle sentenze degli eruditi per aggiungere, come conviene al tuo modo d'intendere, l'affermazione dell'Apostolo che Dio ha dimostrata stolta la sapienza di questo mondo. ( 1 Cor 1,20 )

Quanto ai nostri scrittori, possono essere disprezzati da te senza timore, perché non riconosci ad essi nessuna autorità.

Agostino. Sei tu che li disprezzi, perché al loro insegnamento sulla esistenza del peccato originale ti opponi tanto da incriminarli per giunta come manichei, facendo il nome mio e indicando costoro.

44 - Una definizione agostiniana del peccato

Giuliano. E allora? Mi arrenderò completamente a te e a questo punto rinunzierò a tutti quelli che mi potrebbero aiutare, contentandomi della definizione che a indizio della bontà della natura è sfuggita dalla bocca della tua Onestà, dopo che ti sei separato dai manichei.

Nel libro dunque che ha per titolo Le due anime o Contro le due anime parli così: Aspetta, lascia che prima definiamo il peccato.

Il peccato è la volontà di commettere o di continuare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi.

Per quanto, se non è libero, non si può nemmeno dire che sia volontà; ma ho preferito una definizione più grossolana ad un'altra più scrupolosa.12

Agostino. Qui è stato definito il peccato che è solamente peccato e non quello che è anche pena del peccato.

Quando si cercava l'origine del male, si doveva trattare appunto di quel peccato che fu commesso dal primo uomo prima d'ogni male dell'uomo.

Ma tu o non puoi intendere o non vuoi.

45 - È oro questa definizione di A.

Giuliano. O lucente oro nello sterco! Che cosa di più vero, che cosa di più completo avrebbe potuto dire qualsiasi ortodosso?

Tu affermi: Il peccato è la volontà di commettere o di continuare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi.13

Lo dimostra l'Ecclesiastico dicendo: Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere.

Pose dinanzi a lui la vita e la morte, l'acqua e il fuoco; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. ( Sir 15,14.17-18 )

E per mezzo di Isaia dice Dio: Se sarete docili e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra.

Ma se vi ostinate e non mi ascolterete, sarete divorati dalla spada. ( Is 1,19-20 )

E l'Apostolo: Ritornate in voi come conviene, e non peccate. ( 1 Cor 15,34 )

E altrove: Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. ( Gal 6,7-8 )

Agostino. Queste testimonianze valgono per la volontà con la quale ciascuno fa quello che vuole, perché tale volontà, se non si ha, si chieda a Colui che opera in noi anche il volere; ( Fil 2,13 ) se invece si ha, si compiano le opere della giustizia e si rendano grazie a Colui che ha suscitato tale volontà.

46 - La volontà è il motore

Giuliano. La volontà è dunque il motore dell'animo che ha in suo diritto o di decorrere a sinistra per azioni deplorevoli o di tendere a destra per azioni eccelse.

Agostino. Perché allora è scritto: Non deviare né a destra né a sinistra? ( Pr 4,27 )

47 - Origine, specie, differenza, modo, qualità del peccato

Giuliano. Motore però dell'animo di colui che per l'età può usare già del giudizio della ragione e al quale, quando gli si mostra la punizione e la gloria o per il verso opposto il comodo e la voluttà, si offre un aiuto e, per così dire, un'opportunità, non si impone la necessità di un'alternativa.

Questa volontà dunque che sceglie alternativamente ha nel libero arbitrio l'origine della sua possibilità, ma riceve da sé l'esistenza dello stesso agire, né c'è volontà in nessun modo prima che voglia, né può volere prima di poter anche non volere, né ha le due scelte, cioè il volere e il non volere, nella parte del peccato, prima che acquisti l'uso di ragione.

Messi insieme questi elementi, apparisce verissima la tua definizione: Il peccato è la volontà di continuare o di commettere ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi.14

Ordunque risulta che questo peccato, del quale si è messo in chiaro che non è nulla al di fuori della volontà, ha ricevuto il suo genere, ossia la sua stessa origine, dall'appetito proprio della persona.

La specie del peccato si trova immediatamente in ciascuno di coloro che si dicono individui ( atomi ).

La differenza poi sta e nella varietà delle colpe e nelle modalità dei tempi.

Il modo del peccato è la stessa mancanza di modo ( misura ): perché, se il modo consiste nel servire chi devi servire, colui che trascura questo dovere pecca per trasgressione del modo vero.

Qui tuttavia si potrebbe dire con sottigliezza che il modo del peccato sta nel fatto che nessuno manca più di quanto può; se infatti si pecca al di là delle forze si pecca con volontà inefficace e questo stesso peccato ha potuto essere fatto solo con la volontà.

La qualità poi del peccato è quella che manifesta l'amarezza che il vizio veicola con sé o per sconvenienza o per sofferenza.

Esiste dunque il peccato; perché, se non esistesse, nemmeno tu andresti dietro agli errori.

Ma il peccato non è altro che la volontà deviante dal sentiero sul quale si deve mantenere e dal quale è libero non deflettere.

Il peccato poi viene dall'appetito di comportamenti non concessi, e non si trova altrove che in quella persona la quale ed ebbe la volontà cattiva e poté non averla.

Agostino. È proprio ad Adamo che guardava quella nostra definizione che ti è piaciuta, quando dicevo: Il peccato è la volontà di conservare o di conseguire ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi.15

Adamo appunto, quando peccò, non aveva dentro di sé assolutamente nessun male che lo urgesse contro la sua volontà ad operare il male e per cui potesse dire: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) e quindi peccando egli fece ciò che la giustizia vietava e da cui gli sarebbe stato libero astenersi.

Infatti per colui che dice: Io compio il male che non voglio non è libero astenersene.

E perciò, se distingui queste tre realtà e sai che altro è il peccato, altro è la pena del peccato, altro le due realtà insieme, cioè un tal peccato che sia per se stesso anche pena del peccato, allora capisci quale delle tre realtà convenga a quella definizione, dove il peccato è la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui sarebbe libero astenersi.

In questo modo infatti è stato definito il peccato, non la pena del peccato, non l'insieme delle due realtà.

Hanno poi questi generi anche le loro specie, delle quali sarebbe lungo ora discutere.

Certo, se si cercano esempi di questi tre generi, ci si fa incontro in Adamo senza nessun nodo di controversia l'esempio del primo genere.

Molti sono appunto i mali che gli uomini fanno e dai quali sarebbe per loro libero astenersi, ma per nessuno è tanto libero quanto lo era per Adamo, che davanti al suo Dio, dal quale era stato creato retto, stava assolutamente puro da qualsiasi vizio.

Un esempio del secondo genere, dove c'è soltanto la pena del peccato, si ha nel male dove non si agisce sotto nessun aspetto, ma solamente si patisce, come quando chi ha peccato è ucciso per il suo delitto o è colpito da qualche altra pena corporale.

Invece il terzo genere dove lo stesso peccato è anche pena del peccato si può cogliere in colui che dice: Io compio il male che non voglio.

A questo terzo genere appartengono anche tutte le cattive azioni che si fanno per ignoranza, credendole non cattive o perfino credendole buone.

Infatti la cecità del cuore, se non fosse un peccato, si rimprovererebbe ingiustamente e invece si rimprovera giustamente dove si dice: Fariseo cieco! ( Mt 23,26 ) e in tantissimi altri passi della parola di Dio.

E per altro, se la medesima cecità non fosse pena del peccato, non si direbbe: La loro malizia li ha accecati. ( Sap 2,21 )

E se questo non venisse da un giudizio di Dio, non leggeremmo: Si offuschino i loro occhi perché non vedano, sfibra per sempre i loro fianchi. ( Sal 69,24 )

Ora, chi è cieco nel cuore per sua volontà, quando nessuno vuol essere cieco nemmeno nel corpo?

Perciò il peccato originale non appartiene né al peccato che abbiamo messo al primo posto, dove il peccato è la volontà di operare il male da cui è libero astenersi: altrimenti il peccato originale non si troverebbe nei bambini che non hanno ancora l'uso dell'arbitrio della volontà; né il peccato originale appartiene alla pena del peccato che abbiamo ricordata al secondo posto: ora infatti trattiamo del peccato e non della pena, che non è peccato, benché segua per merito del peccato.

La qual pena la patiscono, è vero, anche i bambini, perché c'è in loro un corpo morto per il peccato; ( Rm 8,10 ) tuttavia non è peccato la stessa morte del corpo o qualsiasi altra sofferenza corporale.

Ma appartiene il peccato originale a questo terzo genere, dove il peccato è tale peccato da essere per se stesso anche pena del peccato.

Il qual peccato originale è già presente, sì, nei bambini quando nascono, ma comincia ad apparire in essi quando crescono e diventa necessaria a loro la sapienza, perché sono insipienti, e la continenza, perché bramano i mali.

Tuttavia l'origine anche del peccato originale discende dalla volontà di colui che ha peccato.

Esisteva infatti Adamo e in lui esistevamo noi tutti; perì Adamo ed in lui sono periti tutti.16

48 - Per quale ragione A. insegna il peccato naturale?

Giuliano. Il peccato poi merita e l'esecrazione da parte degli onesti e la legittima condanna da parte di quella giustizia, che è qui tutta la causa della nostra discussione.

Rimossi dunque tutti i sipari, porta finalmente alla piena luce la ragione per cui insegui l'esistenza del peccato naturale.

Certamente nessuna delle conclusioni raccolte più sopra è stata falsa, né sulla lode della giustizia divina, né sulla definizione della colpa.

Ebbene dimostra come queste due realtà possano sussistere nei bambini: se non c'è nessun peccato senza la volontà, se non c'è nessuna volontà dove non c'è l'esplicito esercizio della libertà, se non c'è libertà dove non c'è facoltà di scelta per mezzo della ragione, per quale mostruosità si troverebbe il peccato nei bambini che non hanno l'uso di ragione?

Perciò né facoltà di scelta, né quindi volontà, né, poste queste premesse irrefutabili, alcun peccato di sorta.

Schiacciato dunque da questi massi, vediamo da che parte sei uscito fuori.

Tu dici: I bambini non sono oppressi da nessun peccato proprio, ma sono oppressi da un peccato altrui.17

Non è venuto ancora in luce il male di questo tuo modo di sentire.

Noi infatti sospettiamo che tu abbia tirato fuori queste affermazioni in odio a qualcuno di cui, da oratore punico, volevi esprimere la malvagità.

Presso qual giudice dunque un delitto esterno prese a gravare su una innocenza illibata?

Chi è stato quel nemico barbarico, così crudele, così truce, così dimentico di Dio e della equità, da condannare gli innocenti come rei?

Noi lodiamo in assoluto la tua genialità. Splende la tua erudizione.

Non avresti potuto introdurre la maschera di non so quale giudice, ancora peggio di non so quale tiranno, degno dell'odio del genere umano, in altro miglior modo che giurando che egli non ha risparmiato non solo quelli che non avevano peccato, ma pure quelli che non avevano nemmeno potuto peccare.

Suole appunto la buona coscienza di un animo sospettoso faticare a difendersi, per la paura di aver mancato, dato che la possibilità almeno di mancare l'aveva; ma è assolutamente scagionato da colpa chi è difeso dalla stessa impossibilità del fatto.

Manifesta dunque chi è cotesto giustiziere d'innocenti.

Tu rispondendo: Dio, certo ci hai spaventato l'animo, ma poiché è appena credibile un sacrilegio così enorme, noi rimaniamo incerti sul senso delle tue parole.

Sappiamo infatti che il nome di Dio si può usare ambiguamente: Ci sono molti déi e molti signori, ma per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale proviene tutto, e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose. ( 1 Cor 8,5-6 )

Quale Dio dunque metti sotto accusa?

Tu, sacerdote religiosissimo e retore dottissimo, esali qui un fetore più soffocante e orrido di quello della valle dell'Ansante e del pozzo dell'Averno,18 anzi qualcosa di più scellerato di ciò che aveva commesso in questi luoghi il culto degli idoli.

Dio, tu dici, quello stesso che dimostra il suo amore verso di noi, ( Rm 5,8 ) quello stesso che ci ha amati e non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi; ( Rm 8,32 ) lui stesso giudica così e lui stesso è il persecutore dei nascenti, lui stesso consegna ai fuochi eterni per la loro cattiva volontà i bambini che egli sa non aver potuto avere né volontà buona né volontà cattiva.

Dopo dunque questa sentenza così assurda, così sacrilega, così funesta, se disponessimo di giudici sani, non dovrei nient'altro ricavarne che la tua esecrazione.

Infatti con giusta e lodevole severità stimerei indegno di discutere uno come te che ti sei tanto allontanato dalla religione, dalla erudizione, perfino dai sentimenti comuni, da ritenere facinoroso il tuo Signore, come ha fatto appena qualche barbarie.

Agostino. Non è gran cosa che tu veda i bambini sprovvisti di volontà propria per scegliere il bene o il male.

Vorrei che tu vedessi quello che vide lo scrittore che, scrivendo agli Ebrei, dice che Levi, figlio d'Israele, era nei lombi del suo padre Abramo, quando questi pagò le decime, e perciò le pagò anche Levi in Abramo. ( Eb 7,9-10 )

Se tu avessi per questo fatto occhio cristiano, vedresti con la fede, se non lo potessi vedere con l'intelligenza, che nei lombi di Adamo erano presenti tutti quelli che sarebbero nati da lui in forza della concupiscenza carnale; vedresti che dopo il peccato dal quale gli fu annunziata la sua nudità, egli la sentì, la guardò, la soffrì con rossore, la coprì.

Per questo Ambrogio, mio dottore, lodato eccellentemente anche dalla bocca del tuo dottore, scrive: Ciò che è ancora più grave è che per questa sua interpretazione Adamo si cinse in quella parte del corpo dove avrebbe dovuto cingersi piuttosto con il frutto della castità.

Si dice infatti che nei lombi, tenuti coperti da noi, risiedano certi semi della generazione.

E quindi fece male Adamo a coprire con inutili foglie quella parte dove indicare non il frutto futuro della generazione, bensì certi suoi peccati.19

Giustamente scrive anche quello che ho ricordato poco sopra: Esisteva Adamo ed in lui esistevamo noi tutti.

Perì Adamo e in lui sono periti tutti.20

Poiché tu non vedi questa verità, abbai cieco contro di me; ma, checché tu dica contro di me, lo dici indubbiamente anche contro lo stesso Ambrogio.

Dio voglia dunque che con lui mi sia comune il premio, così come da te ricevo comune con lui l'oltraggio.

Cos'è che gridi e dici: Se disponessimo di giudici sani, non dovrei ricavare nient'altro che la tua esecrazione?

Potrei forse agire verso di te con più larghezza, con più beneficenza, con più liberalità di quanta ne mostro costituendo come giudice tra noi lo stesso personaggio sul quale abbiamo già il giudizio del tuo dottore Pelagio?

Ecco, è presente colui che tra gli scrittori di lingua latina rifulse come un fiore stupendo, colui del quale nemmeno uno dei nemici ha osato criticare la fede e l'interpretazione purissima delle Scritture.21

Così Pelagio ha giudicato Ambrogio.

Che cosa dunque ha giudicato Ambrogio della causa che è in discussione tra noi?

Ho già riportato più sopra le sue sentenze sul peccato originale, prive di qualsiasi oscurità o ambiguità; ma, se fosse poco, ascolta ancora.

Dice: Nasciamo tutti sotto il peccato, perché è viziata la nostra origine.22

Che rispondi a queste parole? Pelagio ha fatto di Ambrogio quelle splendide lodi, Ambrogio ha pronunciato per me contro di te queste manifeste sentenze.

Sii tu a criticare uno del quale il tuo maestro dice che nemmeno un nemico ha osato criticarlo.

E tu che cerchi giudici sani nega che sia sano costui per confessarti insano in modo assoluto.

Ma tu, uomo piissimo, t'indigni perché diciamo che i bambini non rinati, se muoiono prima dell'arbitrio della propria volontà, sono condannati a causa di peccati altrui da Colui che mostra la sua carità verso di noi, ( Rm 5,8 ) da Colui che ci ha amati e non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi, ( Rm 8,32 ) quasi che di lui non si querelino ancora più gravemente gli stolti e gli ignoranti che ti somigliano, i quali dicono: Perché mai Dio crea coloro dei quali ha previsto che sarebbero stati empi e meritevoli di condanna?

Perché mai li fa poi vivere fino a che giungono ad una dannabile empietà, mentre li potrebbe togliere da questa vita prima che diventino tali, se egli ama le anime, se mostra la sua carità verso di noi, se non ha risparmiato il suo Figlio, ma l'ha dato per tutti noi?

Se rispondiamo a costoro: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 )

Imperscrutabili sono i suoi giudizi, ( Rm 11,33 ) essi invece di quietarsi, si arrabbiano.

Ma il Signore conosce i suoi. ( 2 Tm 2,19 )

Se dunque vuoi valerti di giudici sani, ascolta un giudice sano particolarmente lodato dal tuo dottore.

Egli dice: Esisteva Adamo ed in lui esistevamo noi tutti.

Perì Adamo ed in lui sono periti tutti.23

Ma tu dici: Per peccati altrui non sarebbero dovuti perire davvero!

Sono peccati altrui, ma sono peccati paterni e quindi sono peccati anche nostri per diritto d'inseminazione e di germinazione.

Chi libera da questa perdizione se non Colui che è venuto a cercare ciò che era perduto? ( Lc 19,10 )

In tutti quelli che libera abbracciamo dunque la misericordia, in quelli invece che non libera riconosciamo un giudizio certamente occultissimo, ma senza alcun dubbio giustissimo.

49 - A. a confronto di Manicheo

Giuliano. Che un dio della luce abbia combattuto con il principe delle tenebre l'ha inventato e l'ha creduto Manicheo, ed ha aggiunto che la sostanza del dio della luce è tenuta prigioniera in questo orbe.

Si sforza però di scusare tanta infelicità con la tinta della pietà, affermando che quel dio ha combattuto come un buon cittadino per la patria, e perciò ha gettato via le membra per non perdere i regni.

Tu che avevi imparato questi insegnamenti, guarda quanto tu abbia progredito abbandonandoli almeno temporaneamente.

Tu dici: Dio non soffrì la necessità di una guerra, ma si lasciò prendere dall'iniquità del giudizio, né sottostà a tenebrosi nemici, ma a crimini palesi; non ha infine spezzettato la sua sostanza, ma ha violato l'eterna giustizia.

Chi sia per questo il peggiore di voi due lo lascio stimare agli altri.

Comunque questo è limpido: voi tornate ad una sola nefanda opinione.

Infatti da una parte Manicheo appioppa al suo dio l'iniquità, quando annunzia che condannerà nell'ultimo giorno le sue membra abbandonate da lui stesso; tu a tua volta asserisci l'infelicità di Dio, perché egli ha rovinato la gloria che gli era riconosciuta e perseguitando l'innocenza creata da lui ha perduto la giustizia per cui era santissimo.

Tanto dunque a questo dio che tu porti sulla scena è superiore il dio che aveva fantasticato il tuo maestro, quanto l'essere stato vinto in battaglia da un nemico è più scusabile che essere stato vinto da un vizio.

Agostino. Se ti piace l'innocenza dei bambini, allontana da loro, se puoi, il giogo pesante che grava sui figli di Adamo dal giorno della loro nascita dal grembo materno. ( Sir 40,1 )

Ma reputo che la Scrittura, dove ciò è stato detto, conoscesse meglio di te che cosa fosse l'innocenza della creatura e che cosa fosse la giustizia del Creatore.

Ora, chi non vede che, se i bambini avessero l'innocenza come la predichi tu, non ci sarebbe la giustizia da parte di Dio nel loro giogo pesante?

Poiché dunque nel loro giogo pesante c'è la giustizia divina, non esiste in essi tale innocenza quale la predichi tu.

A meno che a te, affannato in questa questione, non possa correre in qualche modo in soccorso un dio giusto, sì, ma debole, il quale non poté correre in soccorso dalle sue immagini per impedire che fossero schiacciate innocenti dalla miseria di un grave giogo, e tu dica che lo volle certamente, essendo giusto, ma non lo poté, non essendo onnipotente, e tu esca da queste strettoie con la perdita del " capo " della fede, con la quale nel Simbolo confessiamo di credere prima di tutto in Dio Padre onnipotente.

Quindi il tuo dio nei tanti e tanto grandi mali che i bambini patiscono perderà o la giustizia o l'onnipotenza o la stessa cura delle vicende umane.

Ma qualunque sia di queste affermazioni l'affermazione che farai, vedi quello che sarai.

Indice

11 Confess. 5,6-7.13
12 De duab. anim. 15
13 Ibidem.
14 De duab. anim. 15
15 Ibidem.
16 Ambrosius, In Luc. 7, 234
17 De nupt. et concup. 1,22
18 Verg., Aen. 7, 565
19 Ambrosius, De paradiso 13, 67
20 Ambrosius, In Luc. 7, 234
21 Pelagius, De lib. arb. 3
22 Ambrosius, De paenitentia 1, 3, 13
23 Ambrosius, In Luc. 7, 234