Lo spirito e la lettera

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13.21 - La legge delle opere e la legge della fede non differiscono tra loro per il contenuto morale

In che differiscano tra loro la legge dei fatti, cioè delle opere, che non esclude quel vanto e la legge della fede che l'esclude, vale la pena di esaminarlo, se pur riusciremo a coglierlo e a precisarlo.

Ognuno è pronto a dire che la legge delle opere è nel giudaismo e la legge della fede nel cristianesimo, perché la circoncisione e le altre opere simili sono proprie della legge mosaica che ormai la disciplina cristiana non osserva più.

Ma quanto sia sbagliato questo criterio già da molto tentiamo di mostrarlo e forse l'abbiamo già mostrato a coloro che sono svelti d'intelligenza, soprattutto a te e a quanti somigliano a te.

Ma poiché è un punto di grande interesse, merita che ci ritorniamo sopra a più riprese e ci fermiamo a chiarirlo con testimonianze ancora più numerose.

La legge infatti a cui Paolo nega la forza di giustificare è la stessa legge che egli dice sopraggiunta perché abbondasse la colpa. ( Rm 3,20; Rm 5,20 )

Ma tuttavia, perché nessuno ignorantemente e sacrilegamente criticasse e accusasse per questo la legge, egli la prende a difendere scrivendo: Che diremo dunque? La legge è peccato? No certamente.

Ma io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare.

Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. ( Rm 7,7-8 )

Dice pure: La legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento.

Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene. ( Rm 7,12-13 )

La lettera che uccide ( 2 Cor 3,6 ) è dunque la stessa legge che dice: Non desiderare ( Rm 7,7 ) e della quale Paolo scrive anche quello che ho già riferito poco fa: Per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.

Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono.

E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata, dal Cristo Gesù.

Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati nel tempo della divina pazienza.

Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. ( Rm 3,20-26 )

Poi scrive quello di cui ci occupiamo attualmente: Dove sta dunque il vanto?

Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. ( Rm 3,27 )

La legge dunque delle opere è quella che dice: Non desiderare, ( Rm 7,7 ) perché essa fa conoscere il peccato.

Vorrei allora sapere se qualcuno oserà dirmi che la legge della fede non dice: Non desiderare.

Se non lo dice, che ragione abbiamo di non peccare tranquillamente e impunemente sotto di essa?

Di dire ciò accusavano l'Apostolo coloro dei quali egli scrive: Perché non dovremmo fare il male, affinché venga il bene, come alcuni la cui condanna è ben giusta, ci calunniano dicendo che noi lo affermiamo? ( Rm 3,8 )

Ma se anch'essa dice: Non desiderare, come non cessano d'attestarlo e conclamarlo molti precetti evangelici e apostolici, perché mai non si chiama anch'essa legge delle opere?

Se non ha le opere degli antichi sacramenti, cioè della circoncisione e delle altre prescrizioni, non per questo non sono opere quelle che essa ha nei sacramenti appropriati al suo tempo.

Non è forse vero invece che erano in questione le opere dei sacramenti quando il motivo di far menzione della legge era che da essa viene la conoscenza del peccato e perciò da essa nessuno viene giustificato? ( Rm 3,20 )

Non esclude quindi il vanto, che viene escluso invece dalla legge della fede, mediante la quale vive il giusto. ( Rm 3,27; Rm 1,17 )

Ma forse non viene la conoscenza del peccato anche dalla legge della fede, ( Rm 2, 4ss ) dicendo essa pure: Non desiderare?

13.22 - Con la legge Dio comanda a noi, con la fede Dio realizza in noi quello che comanda

Dirò dunque in breve la differenza che c'è.

Dove la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impetra credendo.

La prima dice: Non desiderare, ( Es 20,17 ) la seconda dice: Sapendo che nessuno può essere continente, se Dio non glielo concede, e sapere da chi viene questo dono è già effetto di sapienza, mi rivolsi al Signore e lo pregai. ( Sap 8,21 )

È la stessa sapienza, chiamata pietà, con la quale si rende culto al Padre della luce, da cui viene ogni buon regalo e ogni dono perfetto. ( Gc 1,17 )

Gli si rende culto però con il sacrificio di lode e di ringraziamento, perché chi gli rende culto non si glori in se stesso, ma in lui. ( 2 Cor 10,17 )

Perciò con la legge delle opere Dio dice: "Fa' quello che comando", con la legge della fede si dice a Dio: "Da' quello che comandi".

Infatti proprio per indicare quello che deve fare la fede interviene a comandare la legge, ossia perché colui che riceve il comando, se non lo può ancora fare, sappia cosa chiedere, se invece lo può fare subito e lo fa obbedientemente sappia altresì per grazia di chi lo può.

Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato, ( 1 Cor 2,12 ) dice il medesimo tenacissimo predicatore della grazia.

Ma lo spirito di questo mondo che altro è se non lo spirito di superbia?

Da esso è stata ottenebrata la mente ottusa di coloro ( Rm 1,21 ) che non glorificarono con il rendimento di grazie quel Dio che pur avevano conosciuto.

Né da altro spirito vengono ingannati anche coloro che, ignorando la giustizia di Dio e pretendendo di stabilirne una propria, non si sottomettono alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

A me dunque sembra più figlio della fede chi sa da chi sperare quanto non possiede ancora che non chi attribuisce a sé quello che possiede già.

Ad ambedue è da preferirsi tuttavia chi ha e insieme sa donde ha, purché non creda d'essere già quello che non è ancora, per non cadere altrimenti nel vizio di quel fariseo che, sebbene ringraziasse Dio delle qualità che aveva, non chiedeva però nulla che gli venisse dato ancora, come se nulla gli occorresse per accrescere e perfezionare la sua giustizia. ( Lc 18,11-12 )

Fatte dunque queste considerazioni e riflessioni con le forze che il Signore si degna donarci, concludiamo che i precetti della buona vita non giustificano l'uomo se non mediante la fede del Cristo Gesù, cioè non mediante la legge delle opere, ma la legge della fede, non mediante la lettera, ma mediante lo Spirito, non per i meriti delle azioni, ma per grazia gratuita.

14.23 - Tutta la legge divina è lettera che uccide, se manca la grazia

Benché dunque l'Apostolo, nel rimproverare e correggere quelli che si lasciavano persuadere alla circoncisione, ( Rm 2,17-29 ) sembri intendere con il nome di legge la circoncisione stessa e le altre osservanze della medesima legge che adesso i cristiani respingono come ombre delle cose future, ( Col 2,17 ) possedendo essi ormai ciò che veniva promesso simbolicamente attraverso quelle ombre, tuttavia la legge da cui dice non essere giustificato nessuno non vuole che si veda solo in quei sacramenti che contenevano delle figure promissive, ma anche in quelle opere che a farle si vive secondo giustizia, tra le quali pure il precetto: Non desiderare. ( Es 20,17 )

Perché ciò che diciamo diventi più chiaro, vediamo il Decalogo stesso.

È certo che Mosè ricevette sul monte, scritta dal dito di Dio in tavole di pietra, la legge da portare a conoscenza del popolo. ( Es 31,18; Dt 9,10 )

Essa si compendia nei dieci comandamenti, ( Es 20 ) dove non è prescritto nulla riguardo alla circoncisione, nulla riguardo agli animali da offrire come vittime e che adesso non vengono immolati dai cristiani.

Di questi dieci comandamenti dunque, eccettuata l'osservanza del sabato, mi si dica che cosa un cristiano non deve osservare: sia di non farsi idoli o altri dèi e non adorarli all'infuori dell'unico vero Dio, sia di non nominare il nome di Dio invano, sia di onorare i genitori, sia di guardarsi dalle fornicazioni, dagli omicidi, dai furti, dalle false testimonianze, dagli adultèri, dal desiderare le cose d'altri.

Di queste norme quale non dovrebbe osservare un cristiano?

O forse l'Apostolo chiama lettera che uccide non questa legge scritta nelle due tavole, ma la legge della circoncisione e degli altri sacramenti antichi e già aboliti?

Ma come lo possiamo pensare dal momento che nella legge c'è il precetto: Non desiderare, che egli dice è un comandamento santo e giusto e buono, per mezzo del quale però il peccato mi ha sedotto e ucciso? ( Rm 7,11-12 )

Che altro significa: La lettera uccide?

14.24 - S. Paolo considera come lettera che uccide tutto il decalogo

Comunque con più evidenza nello stesso passo della Lettera ai Corinzi dove dice: La lettera uccide, lo Spirito dà vita, ( 2 Cor 3,6 ) Paolo vuole che non altro s'intenda come lettera se non lo stesso Decalogo scritto in quelle due tavole.

Scrive infatti: Voi siete una lettera del Cristo, composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.

Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo del Cristo davanti a Dio.

Non però che [ da noi stessi ] siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita.

Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietra, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pur effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?

Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero della giustizia. ( 2 Cor 3,3-9 )

Tante cose si possono dire su questo testo, ma forse più opportunamente in seguito.

Per ora avverti quale sia secondo le parole di lui la lettera che uccide ( 2 Cor 3,6 ) e alla quale contrappone lo Spirito che vivifica.

È certamente il ministero della morte inciso in lettere su pietra e il ministero della condanna, ( 2 Cor 3, 7.9 ) essendo sopraggiunta la legge perché abbondasse la colpa. ( Rm 5,20 )

Eppure le prescrizioni sono in se stesse tanto utili e salutari per chi le mette in pratica che non può avere la vita se non chi le mette in pratica.

Oppure il Decalogo è stato chiamato lettera che uccide solo per il precetto che vi è stato emanato riguardo al sabato in quanto chi osserva fino ad oggi quel giorno come suona il senso letterale, segue la sapienza della carne, e la sapienza della carne porta poi alla morte, ( Rm 8,6 ) e degli altri nove comandamenti che si fa bene ad osservare come sono scritti, non si deve ritenere che appartengano alla legge delle opere, da cui nessuno è giustificato, ( Rm 3,20 ) bensì alla legge della fede, mediante la quale vive il giusto? ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Ab 2,4 )

Chi può pensare tanto assurdamente che il ministero della morte inciso in lettere su pietra non abbracci tutti e dieci i comandamenti, ma quello solo che si riferisce al sabato?

Dove mettiamo allora le parole: La legge provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione, ( Rm 4,15 ) e le altre parole: Fino alla legge c'era il peccato nel mondo; ma il peccato non può essere imputato quando manca la legge, ( Rm 5,13 ) e le parole già tante volte riportate: Dalla legge si ha solo la conoscenza del peccato, ( Rm 3,20 ) e soprattutto quelle che esprimono meglio il concetto che ora c'interessa: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare? ( Rm 7,7 )

14.25 - Per S. Paolo tutta la legge morale è lettera che uccide senza la grazia

Esamina tutto questo passo e vedi se dica alcunché per la circoncisione o per il sabato o per qualche altro sacramento simbolico e non dica tutto in riferimento a questo concetto: la lettera che proibisce il peccato non dà la vita all'uomo, ma piuttosto la morte, aumentando la concupiscenza e aggravando la colpa con la prevaricazione della legge, se a liberarlo non interviene la grazia mediante la legge della fede nel Cristo Gesù, ( Rm 7,25 ) quando nei nostri cuori si diffonde la carità per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Infatti dopo aver detto: Per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera, scrive: Che diremo dunque?

Che la legge è peccato? No certamente!

Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare.

Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri.

Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge.

Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto; la legge che doveva servire per la vita è divenuta per me motivo di morte.

Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte.

Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento.

Ciò che è bene è allora diventato morte per me? Non davvero!

È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.

Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.

Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto.

Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.

Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.

Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.

Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.

Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra.

Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte?

La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore.

Io dunque con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. ( Rm 7,6-25 )

14.26 - La vetustà della lettera e la novità dello spirito in opposizione tra loro come legge e grazia

È chiaro dunque che se manca il regime nuovo dello Spirito, invece di liberarci dal peccato il regime vecchio della lettera ci rende piuttosto colpevoli con la conoscenza del peccato.

Per questo si legge altrove: Chi aumenta il sapere aumenta il dolore. ( Qo 1,18 )

Non che la legge sia per se stessa un male, ma il precetto ha il bene solo nella lettera che indica la strada, non nello Spirito che aiuta.

Ora, se il precetto della legge si mette in pratica per paura della pena e non per amore della giustizia, si agisce servilmente, non liberamente, e quindi non si mette nemmeno in pratica.

Non è buono infatti il frutto che non sorge dalla radice della carità.

Quando invece c'è la fede che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) allora questa comincia a suscitare il piacere della legge di Dio nell'intimo dell'uomo ( Rm 7,22 ) e tale piacere non è dono della lettera, bensì dello Spirito, per quanto continui nelle membra la lotta di un'altra legge contro la legge della mente, ( Rm 7,23 ) fino a quando tutto il regime vecchio muti e passi nel regime nuovo che va crescendo di giorno in giorno nell'intimo dell'uomo, ( 2 Cor 4,16 ) liberandoci dal corpo di questa morte la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )

15.27 - Il precetto dell'osservanza del sabato prefigurava la grazia del Nuovo Testamento

Questa grazia nel Vecchio Testamento se ne stava nascosta e velata ed è stata rivelata nel Vangelo del Cristo secondo un'ordinatissima distribuzione dei tempi fatta da Dio, che sa disporre bene tutti gli eventi.

E forse rientra nella sua latitanza il fatto che nel Decalogo dato sul monte Sinai ( Es 24,12 ) soltanto il precetto del sabato fu occultato in un comandamento allegorico.

Ma il sabato è il giorno della santificazione. ( Es 20,11 )

E non è senza importanza che tra tutte le opere fatte da Dio la santificazione sia comparsa per la prima volta quando Dio cessò da ogni lavoro. ( Gen 2,3 )

Non è questo il momento di discuterne.

Credo tuttavia assai pertinente al tema osservare che non per altro motivo in quel giorno si obbligava il popolo ad astenersi da ogni opera servile, ( Es 20,10 ) che indica il peccato, se non perché astenersi dal peccare è proprio della santificazione, ossia è dono di Dio per mezzo dello Spirito Santo.

E il precetto del sabato nella legge scritta sulle due tavole di pietra ( Es 24,12 ) fu il solo tra tutti gli altri ad essere proposto sotto l'ombra dell'allegoria, secondo la quale gli ebrei osservano il sabato, per indicare con questo stesso espediente che allora era il tempo d'occultare la grazia, che si sarebbe dovuta rivelare nel Nuovo Testamento mediante la passione del Cristo, come per lo squarciarsi del velo. ( Mt 27,51 )

Scrive l'Apostolo: Quando infatti Israele si convertirà al Cristo, quel velo sarà tolto. ( 2 Cor 3,16 )

16.28 - La legge e la grazia sono opere dello stesso Spirito di Dio

Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà. ( 2 Cor 3,17 )

Ma reciprocamente lo Spirito di Dio, che ci fa giusti con il dono di sé e ci fa piacevole non peccare, è dove c'è la libertà, come senza questo Spirito è piacevole peccare e c'è la schiavitù, dalle cui opere ci si deve astenere, cioè si deve santificare il sabato.

Questo Spirito Santo, mediante il quale si riversa nei nostri cuori la carità ( Rm 5,5 ) che è il pieno compimento della legge, viene chiamato nel Vangelo anche Dito di Dio. ( Rm 13,10; Lc 11,20 )

Poiché dunque dal Dito di Dio furono scritte quelle tavole ( Dt 9,10 ) e il Dito di Dio è lo Spirito di Dio che ci santifica, perché vivendo di fede operiamo il bene mediante la carità, ( Gal 5,6 ) chi non rimarrebbe colpito da questa coincidenza e insieme da questa differenza?

Cinquanta giorni si contano dalla celebrazione della Pasqua che Mosè comandò di fare con l'uccisione dell'agnello simbolicamente ( Es 12 ) a indicazione della futura passione del Signore fino al giorno in cui Mosè ricevette la legge in tavole scritte dal Dito di Dio.

Similmente, compiuti cinquanta giorni dall'uccisione e risurrezione di colui che fu condotto all'immolazione come una pecora, ( Is 53,7 ) il Dito di Dio, cioè lo Spirito Santo, riempì di sé i fedeli tutti radunati insieme. ( At 2,1-4 )

17.29 - Anche la legge antica si riduce alla legge della carità, ma altra cosa è il dono della carità

In tale mirabile coincidenza c'è questa grande differenza: là si impedisce al popolo con orrendo terrore d'accostarsi al luogo dove la legge veniva data, ( Es 19 ) qui invece lo Spirito Santo discende su coloro ai quali era stato promesso e che per aspettarlo si erano riuniti insieme in un sol luogo. ( At 2,1 )

Là il Dito di Dio operò in tavole di pietra, qui nei cuori degli uomini.

Là dunque la legge fu proposta esternamente perché fossero da essa spaventati gli ingiusti, qui fu data interiormente perché gli ingiusti fossero da essa giustificati.

Infatti tutto ciò che fu scritto su quelle tavole: Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso.

L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore. ( Rm 13,9-10 )

L'amore non fu scritto nelle tavole di pietra, ma è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Legge di Dio è dunque la carità.

Alla carità non si sottomette la sapienza della carne e neanche lo potrebbe. ( Rm 8,7 )

Ma quando per spaventare questa sapienza della carne si scrivono nelle tavole le opere della carità, allora si ha la legge delle opere e la lettera che uccide il trasgressore; quando invece la carità stessa si diffonde nel cuore dei credenti, ( Rm 5,5 ) allora si ha la legge della fede e lo Spirito che dà vita al fedele esecutore della carità.

17.30 - Lo scopo della legge divina è di farci sperimentare la nostra insufficienza e di provocare il nostro ricorso alla grazia divina

Osserva adesso come questa differenza corrisponda a quelle parole dell'Apostolo che ho ricordate poco più sopra per un altro motivo e che avevo rimandate ad un esame più attento.

Scrive: È noto che voi siete una lettera del Cristo, composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. ( 2 Cor 3,3 )

Ecco come indica che nel primo caso si scrive fuori dell'uomo per spaventarlo esternamente, nel secondo caso dentro l'uomo stesso per giustificarlo interiormente.

Dice poi tavole di carne quelle del cuore non nel senso della sapienza della carne, ma quasi ad indicare esseri viventi e senzienti in opposizione alla pietra che non è senziente.

E quello che dice poco dopo dei figli d'Israele, che non potevano guardare il volto di Mosè e che quindi egli parlava a loro attraverso un velo, ( 2 Cor 3, 7.13 ) significa che la lettera della legge non giustifica nessuno, ma un velo è frapposto nella lettura del Vecchio Testamento, finché non si passi al Cristo e non si tolga il velo, ( 2 Cor 3,16 ) cioè non si passi alla grazia e non si comprenda che dal Cristo ci viene la giustificazione la quale ci consente di fare ciò che ci comanda.

Proprio per questo egli ci comanda: perché, non bastando noi a noi stessi, ci rivolgiamo a lui.

Perciò, dopo aver detto oculatissimamente: Questa è la fiducia che noi abbiamo per mezzo del Cristo, davanti a Dio, affinché questo non si attribuisse alle nostre forze, precisò subito donde viene: Non però che [ da noi stessi ] siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita. ( 2 Cor 3,4-6 )

18.31 - Il Vecchio Testamento è cessato per un dono più grande da parte di Dio

Poiché dunque, come dice altrove, fu aggiunta per le trasgressioni la legge, ( Gal 3,19 ) ossia la lettera scritta fuori dell'uomo, per questo la chiama ministero di morte, ministero di condanna, ( 2 Cor 3, 7.9 ) mentre il ministero della nuova alleanza lo dice ministero dello Spirito e ministero di giustizia, giacché mediante il dono dello Spirito operiamo la giustizia, e veniamo liberati dalla condanna della prevaricazione.

Il vecchio patto quindi viene a cessare, il nuovo rimane, perché il pedagogo minaccioso sarà tolto quando al timore succederà la carità.

Infatti dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. ( 2 Cor 3,17; Gal 3,24 )

Che questo ministero non viene dai nostri meriti, ma dalla misericordia di Dio, lo dice nelle parole seguenti: Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo; al contrario, rifiutiamo le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio. ( 2 Cor 4,1-2 )

Per "astuzia" e "inganno" intende l'ipocrisia con la quale i superbi vogliono apparire giusti.

Perciò nel salmo che lo stesso Apostolo ricorda per attestare la grazia si legge: Beato l'uomo a cui il Signore non imputa alcun male e nella cui bocca non c'è inganno. ( Rm 4,8; Sal 32,8 )

Questa è la confessione delle persone sante che sono umili e non si vantano d'essere quello che non sono.

E poco dopo scrive: Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore; quanto a noi, siamo i vostri servi per amore di Gesù.

E Dio che disse: - Rifulga la luce dalle tenebre - rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto del Cristo Gesù. ( 2 Cor 4,5-6 )

Questa è la conoscenza della gloria di Dio: sapere che egli stesso è la luce che illumina le nostre tenebre. ( Gv 1,5 )

E osserva come inculchi la stessa verità dicendo: Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. ( 2 Cor 4,7 )

E poco dopo, quando nell'esaltare ancora più eloquentemente la grazia nel Signore Gesù Cristo arriva fino all'abito della giustizia della fede, ( 2 Cor 5,2-4 ) abito del quale dobbiamo vestirci per non essere trovati nudi, e per questo, sotto il peso della mortalità, sospiriamo dal desiderio d'indossare il nostro corpo celeste come un soprabito, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita, sta' attento a che cosa aggiunge: È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito. ( 2 Cor 5,5 )

E dopo poche altre righe conclude: Perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,21 )

Questa non è la giustizia di cui Dio stesso è giusto, ma la giustizia con la quale Dio ha fatto giusti noi.

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