La Trinità

Indice

Libro XIII

16.20 - I mali di questo mondo sono utili agli eletti

Infatti, benché anche la stessa morte della carne tragga la sua origine dal peccato del primo uomo, ( Rm 5,12 ) tuttavia il buon uso di essa fece dei martiri assai gloriosi.

Perciò sono dovuti sussistere, anche dopo la remissione dei peccati, non solo la stessa morte, ma tutti i mali di questo mondo, tutti i dolori e le pene degli uomini, benché effetto dei peccati e soprattutto del peccato originale - a causa del quale la vita stessa è stata incatenata nei legami della morte -, per offrire all'uomo, in mezzo a queste prove, l'opportunità di lottare per la verità ed esercitare la virtù dei credenti, affinché l'uomo nuovo per mezzo di un testamento nuovo, tra i mali di questo mondo, si preparasse ad un nuovo mondo, sopportando saggiamente la miseria che ha meritato questa vita di condanna, godendo prudentemente del fatto che essa finirà; aspettando fiduciosamente e pazientemente la beatitudine che sarà possesso, senza fine, della futura vita di liberazione.

Infatti il diavolo, cacciato via dal suo dominio e dal cuore dei fedeli, sui quali regnava, quando erano nello stesso stato di dannazione e d'infedeltà, sebbene dannato anche lui, ha il permesso di combatterli durante questa vita mortale, solo nella misura in cui sa che è loro utile Colui di cui le Sacre Scritture per bocca dell'Apostolo dicono: Dio è fedele, lui che non permette che voi siate tentati al di là delle vostre forze; ma con la tentazione preparerà un felice esito, dandovi il potere di sopportarla. ( 1 Cor 10,13 )

Questi mali, piamente sopportati, servono ai fedeli per correggersi dei loro peccati, o a esercitare e mettere alla prova la loro giustizia, a mostrare loro la miseria di questa vita, affinché desiderino più ardentemente e cerchino più insistentemente quella vita dove ci sarà la beatitudine vera ed eterna.

Ma questo si verifica in coloro di cui l'Apostolo dice: Sappiamo che Dio fa sì che tutte le cose cooperino al bene di coloro che lo amano, di quelli che secondo il suo disegno sono chiamati ad essere santi.

Perché quelli che ha preconosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito di un gran numero di fratelli.

E quelli che ha predestinati li ha anche giustificati; coloro che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,28-30 )

Di questi predestinati nessuno perisce con il diavolo, nessuno resterà fino alla morte sotto il potere del diavolo.

Viene poi il passo che ho già citato sopra: Che rispondere a ciò?

Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Lui che non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi tutti; come non ci avrà dato con lui tutto? ( Rm 8,31-32 )

16.21 - La morte di Cristo fu scelta convenientemente perché fossimo giustificati nel suo sangue

Perché dunque la morte di Cristo non avrebbe dovuto aver luogo?

Anzi, perché, lasciando da parte gli altri innumerevoli mezzi dei quali avrebbe potuto far uso l'Onnipotente per liberarci, non avrebbe dovuto scegliere di preferenza questa morte di Cristo, morte nella quale la sua divinità non ha subito né danno né mutamento, ( Ml 3,6 ) e l'umanità che ha assunto, ha portato agli uomini un così gran beneficio, perché così il Figlio eterno di Dio, che era insieme figlio dell'uomo, ha sofferto una morte temporale, che non meritava, per liberare gli uomini da una morte eterna che meritavano?

Il diavolo teneva nelle sue mani i nostri peccati e, per mezzo di essi, ci teneva, con pieno diritto, inchiodati nella morte.

Li ha rimessi Colui che non ne aveva di propri e che è stato dal demonio condotto ingiustamente alla morte.

Tanto valse quel sangue, che nessuno rivestito di Cristo dovette trattenere nella meritata morte eterna colui che uccise Cristo con una morte immeritata, per quanto temporanea.

Dio manifesta dunque verso di noi il suo amore in questo, che, quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

A più forte ragione, ora che siamo giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. ( Rm 5,8-9 )

Giustificati, dice, nel suo sangue.

Siamo pienamente giustificati per il fatto che siamo liberati da tutti i peccati, e siamo stati liberati da tutti i peccati perché il Figlio di Dio, che era senza peccato, ( 2 Cor 5,21; 1 Pt 2,22 ) è stato ucciso per noi.

Saremo, dunque, salvi dall'ira per mezzo di lui; ( Rm 5,9 ) sì, salvi dall'ira di Dio che non è altro che una giusta vendetta. ( Ap 16,7; Ap 19,2 )

Perché l'ira di Dio non è, come quella dell'uomo, un perturbamento dell'anima, ma è l'ira di Colui al quale la Sacra Scrittura dice in un altro passo: Tu che sei il Signore della virtù, giudichi con tranquillità. ( Sap 12,18 )

Se dunque la giusta vendetta di Dio ha ricevuto tale nome, la riconciliazione di Dio, se la si intende bene, che altro è se non la fine di tale ira? ( Sir 44,17; Rm 5,9-10 )

Noi non eravamo nemici di Dio che nella misura in cui i peccati sono nemici della giustizia.

Una volta rimessi i peccati, tali inimicizie cessano, e quelli che il Giusto stesso giustifica vengono riconciliati con lui. ( Rm 5,10 )

Tuttavia li ha amati anche quando erano suoi nemici, poiché non risparmiò il proprio Figlio, ma per noi tutti, quando ancora eravamo nemici, lo ha consegnato. ( Rm 8,32 )

A ragione dunque l'Apostolo continua ed aggiunge: Se dunque, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, morte per la quale ci sono stati rimessi i peccati, a maggior ragione, una volta riconciliati, saremo salvi nella sua vita. ( Rm 5,8-10 )

Salvi nella vita, coloro che sono stati riconciliati per mezzo della morte.

Chi potrebbe infatti dubitare che egli non darà la sua vita a quegli amici per i quali, quand'erano nemici, ha dato la sua morte?

Non solo, aggiunge l'Apostolo, ma ci gloriamo anche in Dio, per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, per merito del quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione. ( Rm 5,11 )

Non solo, egli dice, saremo salvi, ma ci gloriamo anche, però non in noi, bensì in Dio, né per mezzo di noi, ma per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, per merito del quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione, nel senso che abbiamo spiegato prima.

L'Apostolo prosegue: Per questo, così come per mezzo di un solo uomo entrò in questo mondo il peccato, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata in tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato, ( Rm 5,12 ) e poi vengono altri passi in cui tratta lungamente dei due uomini: l'uno, il primo Adamo, per il peccato e la morte del quale noi, suoi posteri, siamo incatenati come a mali ereditari; l'altro, il secondo Adamo che non è soltanto uomo, ma anche Dio e che, pagando per noi un debito che non doveva pagare, ci ha liberato dai debiti paterni e personali. ( 1 Cor 15,45 )

Poiché dunque per causa di quel solo primo uomo, coloro che venivano generati dalla sua viziosa concupiscenza carnale tutti li teneva schiavi il diavolo, è giusto che per il Cristo solo lasci in libertà tutti coloro che vengono rigenerati per mezzo della sua immacolata grazia spirituale.

17.22 - Altri benefici dell'Incarnazione

Vi sono anche molte altre cose nell'Incarnazione di Cristo - la quale dispiace ai superbi - che è salutare comprendere e meditare.

Una di queste è l'aver mostrato all'uomo il posto che occupa tra gli esseri creati da Dio: in quanto la natura umana ha potuto unirsi a Dio così intimamente da fare di due sostanze una sola persona, e per questo anzi di tre: Dio, l'anima e il corpo, cosicché quegli spiriti maligni e superbi, che sotto l'apparenza di aiutare l'uomo, s'interpongono come mediatori per ingannarlo, non osino più anteporsi all'uomo, con il pretesto che sono esenti dalla carne; perché, soprattutto, il Figlio di Dio ha spinto la sua condiscendenza fino al punto di morire in questa stessa carne, non possono più farsi onorare come dèi per la ragione che si mostrano immortali.

Un secondo insegnamento consiste nel fatto che nell'umanità di Cristo ci è stata manifestata la grazia di Dio non preceduta da alcun merito, ( 1 Tm 2,5 ) perché neppure Cristo ottenne in virtù di meriti precedenti di unirsi con il vero Dio tanto intimamente da fare con lui una persona in qualità di Figlio di Dio.

Ma nello stesso istante in cui cominciò ad essere uomo, è anche Dio; per questo è detto: E il Verbo si è fatto carne. ( Gv 1,14 )

Vi è anche un terzo insegnamento: un così grande abbassamento da parte di Dio era proprio adatto a confondere e guarire la superbia dell'uomo, che è il più grande ostacolo alla sua unione con Dio. ( Fil 2,8 )

L'uomo impara anche quanto si sia allontanato da Dio; ciò gli dia forza a sopportare le sofferenze salutari nel ritornare, per mezzo di tale Mediatore, che come Dio soccorre gli uomini con la sua divinità, e come uomo è simile a loro nella debolezza. ( 1 Tm 2,5 )

E qual maggiore esempio di obbedienza per noi, che eravamo periti per disobbedienza, di quello di Dio Figlio obbediente a Dio Padre fino alla morte in croce. ( Fil 2,8 )

Dove poteva apparire in maniera più splendida il premio dell'obbedienza, se non nella carne di un così grande Mediatore che è risuscitato per la vita eterna?

Conveniva infine alla giustizia e alla bontà del Creatore che il diavolo fosse vinto per mezzo di quella stessa creatura ragionevole, che egli si compiaceva di aver vinto, e per mezzo di una creatura discendente da quella stessa stirpe che, viziata all'origine, era nella sua totalità, per la colpa di uno solo, sotto il potere del diavolo.

18.23 - Perché il Figlio di Dio assunse la natura umana dalla stirpe di Adamo e nacque da una vergine

Dio certo avrebbe potuto prendere altrove l'umanità in cui doveva essere Mediatore tra Dio e gli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) non dalla stirpe di Adamo che con il suo peccato incatenò il genere umano, ( Rm 5,12 ) come fece per Adamo che creò per primo, senza ascendenza.

Avrebbe dunque potuto, così, o in altro modo che gli fosse piaciuto, creare un altro uomo unico in cui vincere il vincitore del primo; ma Dio giudicò più conveniente, e assumere dalla stessa stirpe, che era stata vinta, la natura umana, con la quale vincere il nemico della stirpe umana; e tuttavia da una vergine la cui concezione fu opera dello Spirito, non della carne: della fede, non della libidine; ( Lc 1,26-38 ) né vi intervenne la concupiscenza carnale, che fornisce il seme e la concezione a tutti gli altri, eredi del peccato originale; ma con l'esenzione assoluta di essa la santa verginità fu resa feconda dalla fede, non dall'unione; per conseguenza Colui che nasceva dalla stirpe del primo uomo, da lui derivò solo la specie umana, non anche la colpa.

Nasceva infatti non come un individuo macchiato dal contagio della trasgressione, ma come l'unica medicina di tutti i contagiati.

Nasceva, dirò, l'uomo che non aveva alcun peccato, l'uomo che non l'avrebbe mai avuto, l'uomo per cui sarebbero rinati coloro che dovevano essere liberati dal peccato che al loro nascere necessariamente li colpiva.

Infatti, benché la castità coniugale faccia buon uso della concupiscenza carnale, che ha sede negli organi genitali, tuttavia questa concupiscenza ha dei moti involontari che ci mostrano che non ha potuto esistere nel paradiso prima del peccato, e che, se esisteva, non era di tale natura da resistere talvolta alla volontà.

Ora invece la sua natura è tale - lo sappiamo per esperienza - che, rivoltandosi contro la legge dello spirito, incita all'unione carnale, anche indipendentemente da ogni fine di procreare; se le si cede, si sazia peccando, se non le si cede, non si lascia dominare che facendo resistenza.

Chi può dubitare che questi due inconvenienti fossero assenti in paradiso, prima del peccato?

Infatti l'onestà di allora non commetteva nulla di vergognoso, e la felicità di allora non era compatibile con qualcosa che non fosse tranquillo.

Occorreva dunque che questa concupiscenza carnale fosse del tutto assente nella concezione verginale, da cui nacque Colui nel quale non doveva trovare nulla che meritasse la morte l'autore della morte, che tuttavia lo avrebbe ucciso, per essere vinto con la morte dell'autore della vita.

Vincitore del primo Adamo, tiranno del genere umano, vinto dal secondo Adamo e privato del genere cristiano che, in mezzo al genere umano è stato liberato dal crimine umano, per opera di Colui che non aveva il crimine, sebbene appartenesse a quel genere, affinché l'ingannatore fosse vinto da quel medesimo genere che aveva sconfitto con il peccato.

E tutto questo accadde perché l'uomo non se ne inorgoglisca, ma colui che si gloria, si glori nel Signore. ( 2 Cor 10,17 )

Colui che fu vinto, infatti, era solo uomo, e fu vinto perché orgogliosamente desiderava essere Dio.

Invece Colui che vinse era insieme uomo e Dio, e, nascendo da una vergine, in tanto vinse in quanto umilmente Dio non dirigeva quell'uomo alla maniera degli altri santi, ma lo faceva sussistere in lui stesso.

Questi doni così grandi di Dio ed altri ancora, se ve ne sono, circa i quali sarebbe troppo lungo per noi, a proposito del nostro argomento, indagare e discutere ora, non esisterebbero, se il Verbo non si fosse fatto carne. ( Gv 1,14 )

19.24 - La nostra scienza è Cristo, la nostra sapienza è ancora Cristo

Tutto ciò che il Verbo fatto carne ( Gv 1,14 ) ha fatto e sofferto per noi nel tempo e nello spazio appartiene, secondo la distinzione che abbiamo cominciato a chiarire, alla scienza, non alla sapienza. ( 1 Cor 12,8; Col 2,3 )

Invece ciò che il Verbo è al di fuori del tempo e dello spazio, è coeterno al Padre e tutto intero in ogni luogo;27 di questo, se qualcuno può, per quanto gli è possibile, parlare secondo verità, ciò che dirà apparterrà alla sapienza; ( 1 Cor 12,8 ) per questo motivo il Verbo fatto carne, Cristo Gesù, possiede i tesori della sapienza e della scienza. ( Gv 1,14; Col 2,2-3 )

Ecco perché l'Apostolo scrive ai Colossesi: Voglio infatti che voi sappiate quanto grande sia la lotta che io sostengo per voi e per questi che sono a Laodicea e per tutti coloro che non mi hanno mai veduto di persona, affinché siano consolati i loro cuori e, intimamente uniti in carità, possano essere del tutto arricchiti d'una pienezza d'intelligenza, per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. ( Col 2,1-3 )

Chi può sapere in quale misura l'Apostolo conosceva questi tesori, quanto era penetrato in essi, quali misteri aveva scoperto?

Da parte mia tuttavia, secondo ciò che sta scritto: La manifestazione dello Spirito è data a ciascuno di noi per utilità: infatti ad uno è dato dallo Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo lo stesso Spirito, ( 1 Cor 12,7-8 ) se la differenza tra la sapienza e la scienza risiede in questo: che la sapienza si riferisce alle cose divine, la scienza a quelle umane, riconosco l'una e l'altra in Cristo e con me la riconosce ogni fedele di Cristo.

E quando leggo: Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi, ( Gv 1,14 ) nel Verbo vedo con l'intelligenza il vero Figlio di Dio, ( 2 Cor 1,19 ) nella carne riconosco il vero figlio dell'uomo, ( Dn 7,13; Mt 9,6; Mc 2,10; Lc 5,24; Gv 5,27 ) l'uno e l'altro uniti nella sola persona del Dio-uomo, per un dono ineffabile della grazia.

Per questo l'Evangelista aggiunge: E abbiamo contemplato la sua gloria, gloria uguale a quella dell'Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità. ( Gv 1,14 )

Se riferiamo la grazia alla scienza, la verità alla sapienza, ( 1 Cor 12,8; Col 2,3 ) penso che non andiamo contro la distinzione tra scienza e sapienza, che abbiamo proposto.

Infatti, nell'ordine delle cose che traggono la loro origine nel tempo, la grazia più alta è l'unione dell'uomo con Dio nell'unità della persona; nell'ordine delle cose eterne, la più alta verità28 è, a ragione, attribuita al Verbo di Dio.

Ora, quello stesso che è l'Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità, ( Gv 1,14 ) l'incarnazione fa sì che egli sia pure quello stesso il quale agisce per noi nel tempo affinché, purificati per mezzo della fede in lui, lo contempliamo per sempre nell'eternità.

I più grandi filosofi pagani poterono, per mezzo della creazione, contemplare con l'intelligenza le perfezioni invisibili di Dio; ( Rm 1,20 ) tuttavia, poiché filosofarono senza il Mediatore, cioè senza il Cristo uomo, e non hanno creduto ai Profeti che vaticinarono la sua venuta, né agli Apostoli che proclamarono tale venuta, hanno tenuto imprigionata la verità, come sta scritto di loro, nell'ingiustizia. ( Rm 1,18 )

Posti in quest'ultimo grado della creazione, non poterono infatti che cercare dei mezzi per giungere a quelle realtà di cui avevano compreso la grandezza; così facendo sono caduti negli inganni dei demoni, che hanno fatto loro scambiare la gloria di Dio incorruttibile con delle immagini rappresentanti l'uomo corruttibile, uccelli, quadrupedi e rettili. ( Rm 1,23 )

Infatti sotto tali forme hanno costruito degli idoli e hanno reso loro culto. ( Rm 1,25 )

Dunque la nostra scienza è Cristo; ( 1 Cor 12,8; Col 2,3 ) la nostra sapienza è ancora lo stesso Cristo.

È lui che introduce in noi la fede che concerne le cose temporali, lui che ci rivela la verità concernente le cose eterne.

Per mezzo di lui andiamo a lui, per mezzo della scienza tendiamo alla sapienza; senza tuttavia allontanarci dal solo e medesimo Cristo in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. ( Col 2,3 )

Ma ora parliamo della scienza, riservandoci di parlare in seguito della sapienza, per quanto egli ci donerà di farlo.

Tuttavia guardiamoci dal prendere queste parole in un'accezione così precisa che ci impedisca di parlare di sapienza a riguardo delle cose umane, e di scienza a riguardo delle cose divine.

In senso lato si può parlare di sapienza in ambedue i casi ed in ambo i casi si può parlare di scienza.

Tuttavia l'Apostolo non avrebbe scritto mai: ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, ( 1 Cor 12,8 ) se ciascuna di queste parole non avesse un'accezione propria, accezione di cui trattiamo ora.

20.25 - Riassunto di questo libro

Vediamo ormai quale sia il risultato di questo lungo discorso, ciò che vi abbiamo raccolto, il termine cui è pervenuto.

Voler essere beati29 è un'aspirazione di tutti gli uomini; ma non tutti hanno la fede che, purificando il cuore, conduce alla felicità.

Così accade che è per mezzo della fede, che non tutti vogliono, che bisogna tendere alla beatitudine che nessuno può non volere.

Che vogliano essere beati,30 tutti lo vedono nel loro cuore, e su questo punto l'aspirazione della natura umana è così unanime, che un uomo, constatando tale aspirazione nella sua anima, può infallibilmente presumere che esista nell'anima degli altri; in breve, sappiamo che tutti vogliono questo.

Ma molti disperano di poter essere immortali, benché nessuno possa essere ciò che tutti vogliono, cioè beato, senza l'immortalità; tuttavia vogliono essere anche immortali, se lo possono; ma, non credendo di poterlo essere, non vivono in modo da poterlo essere.

Perciò ci è necessaria la fede per conseguire la beatitudine nella pienezza dei beni della natura umana, cioè sia nell'anima sia nel corpo.

Questa fede si riassume in Cristo, il quale è risuscitato nella sua carne dai morti per non più morire; ( Rm 6,9 ) poiché nessuno, se non per opera di lui, può essere liberato dal potere del diavolo per mezzo della remissione dei peccati; perché nel regno del diavolo la vita è necessariamente in eterno infelice, vita che si deve chiamare meglio morte che vita.

Ecco ciò che ci insegna la stessa fede.

Di tale fede ho trattato in questo libro, come ho potuto, secondo il tempo che avevo a disposizione, benché ne avessi parlato a lungo nel libro IV di questa opera,31 ma allora da un punto di vista differente da quello presentato in questo libro: nel libro quarto per mostrare perché e come Cristo è stato mandato dal Padre nella pienezza del tempo, ( Gal 4,4 ) per rispondere a coloro che affermano che Colui che manda e che Colui che è mandato non possono essere uguali per natura; in questo invece per distinguere la scienza, che appartiene all'ordine dell'azione, dalla sapienza, che appartiene all'ordine della contemplazione. ( 1 Cor 12,8; Col 2,3 )

20.26 - La trinità della virtù della fede

Elevandoci come di grado in grado ho voluto cercare nella scienza e nella sapienza, presso l'uomo interiore, una specie di trinità nel loro genere, come l'ho cercata presso l'uomo esteriore; e questo per giungere, dopo aver esercitato il nostro spirito nelle cose inferiori, nella misura delle nostre forze e se questo ci è possibile, a vedere almeno in enigma e per mezzo di uno specchio ( 1 Cor 13,12 ) quella Trinità che è Dio.

Colui che ha affidato alla sua memoria le parole in cui si esprime la fede ritenendo solo i nomi senza comprenderne il senso ( come sogliono ritenere a memoria le parole greche coloro che ignorano il greco, e lo stesso si dica del latino e di qualsiasi altra lingua che si ignora ) non possiede nella sua anima una certa trinità, perché ha nella sua memoria i suoni delle parole, anche quando non vi pensa, perché da essi è informato lo sguardo del ricordo, quando egli vi pensa, e perché la volontà di colui che ricorda e pensa unisce questi due termini? Tuttavia non diremmo certamente che, facendo questo, tale uomo agisce secondo la trinità dell'uomo interiore, ma piuttosto secondo quella dell'uomo esteriore; perché ricorda soltanto e vede, quando vuole e quanto vuole, soltanto ciò che appartiene al senso corporeo, chiamato udito, e quando vi pensa, non si occupa che di immagini di oggetti materiali, cioè dei suoni.

Ma, se ritiene e ricorda ciò che quelle parole significano, compie già un qualcosa che appartiene all'uomo interiore, ma non bisogna ancora dire né giudicare che viva secondo la trinità dell'uomo interiore, se non ama gli insegnamenti, i precetti, le promesse che queste parole contengono.

Infatti può anche ritenere questo e pensarci per sforzarsi, ritenendolo falso, di confutarlo.

Perciò la volontà che unisce le conoscenze ritenute dalla memoria a quelle che a partire da essa sono impresse nello sguardo del pensiero, completa senza dubbio una specie di trinità, essendo in essa come il terzo termine, ma non si vive secondo questa trinità, quando si respingono come false le cose che si pensano.

Quando invece si crede che questi insegnamenti sono veri e si ama ciò che vi si deve amare, allora si vive già secondo la trinità dell'uomo interiore, perché ciascuno vive secondo ciò che ama.

Ma come si possono amare le cose che non si conoscono, ma che si credono soltanto?

Questa questione è già stata trattata nei libri precedenti32 e si è trovato che nessuno ama ciò che ignora totalmente; e quando si dice che si amano cose sconosciute, le si ama a partire da quelle conosciute.

Ed ora chiudiamo questo libro ricordando che il giusto vive di fede, ( Ab 2,4; Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38 ) questa fede opera per mezzo dell'amore ( Gal 5,6 ), cosicché le virtù stesse con le quali si vive con prudenza, forza, temperanza e giustizia, si rapportano tutte alla fede; altrimenti non potranno essere vere virtù.

Tuttavia, in questa vita, non sono talmente perfette da non rendere talvolta necessaria la remissione dei peccati, di qualunque specie essi siano; questa non si ottiene che per mezzo di Colui che con il suo sangue ha vinto il principe del peccato.

Tutte le conoscenze che esistono nell'anima dell'uomo credente, promanando da questa fede e da una vita conforme alla fede, quando sono conservate nella memoria sono contemplate nel ricordo, piacciono alla volontà, formano una specie di trinità.

Ma l'immagine di Dio, di cui parleremo in seguito, con l'aiuto di lui, non si trova ancora in essa.

Ciò si vedrà meglio quando avremo mostrato dove essa si trovi: per trovarla, il lettore attenda al libro seguente.

Indice

27 Agostino, Confess. 1,3,3;
De lib. arb. 2,14,37;
De mor. Eccl. cath. 1, 11, 19: NBA, XIII/1;
In Io. Ev. tract. 1, 8, 30; 36, 6, 16: NBA, XXIV/1-2;
C. ep. fund. 15, 20;
Ambrogio, De fide 1, 16, 106;
Girolamo, Ephes. 1, 2, 13-14
28 Platone, Tim. 29c
29 Epicuro, Ep. ad Menoec. (in Diogene Laerzio, Vir. ill. 10);
Cicerone, Hort., exord., fragm. 36
30 Ibid.
31 Sopra, 4,19ss
32 Sopra 8,4,6-8,12;
Sopra 9,3,3;
Sopra 10,1,1;
Sopra 13,4,7-5,8