Giosuè |
Giosuè è il protagonista e non l'autore del libro.
A lui Mosè aveva cambiato il nome da Osea in Giosuè ( Nm 13,16 ), che significa "Il Signore salva", e aveva imposto le mani perché fosse pieno di spirito di sapienza ( Nm 27,18-23; Dt 34,9 ).
Giosuè ebbe da Dio un duplice grande compito: quello di introdurre il popolo nella terra promessa e quello di ripartire la terra fra le varie tribù.
Il libro riflette tali compiti, in modo abbastanza lineare, nelle due parti principali che lo compongono.
Nella prima, le dodici tribù d'Israele, sotto la guida di Giosuè, si portano all'altezza di Gerico e, dopo aver oltrepassato miracolosamente il Giordano, la conquistano.
Si impadroniscono poi anche della città di Ai.
Giosuè si allea con gli abitanti di Gàbaon e sconfigge la coalizione amorrea, che voleva punire Gàbaon per la sua defezione dalla lega.
Seguono i racconti della conquista della parte centro meridionale e del nord della terra di Canaan.
Conclude la prima parte un riepilogo dei re vinti ( 12,1-24 ).
Nella seconda parte del libro vengono riportate le indicazioni dei confini delle tribù e gli elenchi delle città che le compongono.
Le tribù di Gad, Ruben e metà Manasse ritornano al territorio a est del Giordano che era stato loro assegnato.
A conclusione del libro sono posti l'ultimo discorso pronunciato da Giosuè e la grande assemblea di Sichem, a cui si aggiungono le narrazioni della morte e della sepoltura di Giosuè, della sepoltura delle ossa di Giuseppe e della morte del sacerdote Eleàzaro.
Conquista della terra promessa ( 1,1-12,24 )
Ripartizione della terra promessa ( 13,1-21,45 )
Episodi conclusivi ( 22,1-24,33 ).
Il libro di Giosuè offre un quadro idealizzato della conquista della terra di Canaan, sottolineando che è stato Dio a far compiere al successore di Mosè la duplice grande impresa di conquistare e dividere la terra di Canaan ( 21,43-45 ).
Riferimento costante dell'azione divina è il popolo, cui è destinata la terra.
Alla scelta del popolo da parte di Dio, deve corrispondere però la scelta di Dio da parte del popolo, che avviene con la stipulazione dell'alleanza ( 24,14-27 ).
Per consolidare l'unità nazionale nel tempo in cui l'autore scriveva, si afferma con forza che la conquista fu compiuta da tutte e dodici le tribù.
Nei confronti dei popoli vinti, si accenna spesso allo sterminio della popolazione delle città o dei territori conquistati: tale sterminio, che costituiva una pratica diffusa tra i popoli dell'antichità, appare spesso inverosimile, soprattutto se consideriamo la permanenza continua dei Cananei accanto al popolo d'Israele anche dopo la conquista.
All'interno del libro, si possono rintracciare alcuni artifici letterari:
la presenza di schemi, per cui ogni impresa ha tre protagonisti: Dio, Giosuè, il popolo, descritti in ordine decrescente;
la semplificazione degli episodi;
l'idealizzazione della narrazione, per cui ogni evento è visto in relazione a un intervento di Dio.
Giosuè è rappresentato come capo militare e guida carismatica, ma soprattutto come uomo di fede e mediatore tra Dio e il suo popolo.
Nel messaggio di Giosuè, ritroviamo spesso il pensiero del Deuteronomio; in genere oggi si ritiene che il libro sia frutto di una redazione deuteronomistica, la quale però ha utilizzato materiali preesistenti molto antichi.
Il libro di Giosuè, come il resto dell'opera deuteronomistica, è stato rielaborato a lungo sul piano redazionale prima di giungere al testo attuale.
I primi lettori appartengono al tempo dell'esilio o ai primi anni del dopo-esilio: essi riflettono sulle minacce fatte un tempo da Dio ( 23,16 ) e che, ai loro giorni, si erano già realizzate.
I racconti del libro di Giosuè diventavano un pressante invito alla conversione e aprivano così la strada per il ritorno in patria e per una vita serena nella terra di Canaan.
Il primo libro dopo il Pentateuco porta il nome di Giosuè per la parte preponderante e direttiva del successore di Mosè negli avvenimenti che condussero Israele alla conquista del paese di Canaan e allo stanziamento delle tribù nelle loro sedi, oggetto principale del libro.
Il quale è diviso, per la materia trattata, in due parti ugualmente estese.
Alla prima parte ( cc. 1-12 ) è premessa la narrazione dei preparativi della conquista:
assunzione del comando di Giosuè e sue disposizioni per la penetrazione in Canaan ( c. 1 );
invio segreto degli esploratori in Gerico ( c. 2 );
passaggio miracoloso del Giordano ( c. 3 );
erezione del monumento-ricordo ( c. 4 ) e cerimonie religiose nel campo di Galgala ( c. 5 ).
È descritta poi la conquista nelle varie tappe: presa di Gerico ( c. 6 ), di Ai ( cc. 7-8 ), patto con la confederazione di Gabaon ( c. 9 ) e dopo la vittoriosa azione di Gabaon, la spedizione nelle città del sud ( c. 10 ) e nel nord di Canaan ( c. 11 ).
Questa sezione si conclude con una lista riassuntiva dei re vinti ( c. 12 ).
Nella seconda parte ( cc. 13-21 ) è narrata la distribuzione del territorio alle tribù di Ruben, Gad e Manasse nella Transgiordania ( c. 13 ) e poi, a ovest del Giordano, riconosciuto il dono di Hebron a Chaleb ( c. 14 ), è assegnata in Galgala la porzione a Giuda ( c. 15 ) e alla casa di Giuseppe nei due rami di Efraim ( c. 16 ) e di Manasse ( c. 17 ); quindi in Silo la parte di Beniamin ( c. 18 ) e delle altre tribù, Simeone, Zabulon, Issachar, Asher, Nettali e Dan ( c. 19 ), infine sono fissate le città di rifugio ( c. 20 ) e quelle levitiche ( c. 21 ).
Formano poi come una terza parte tre appendici sulle ultime raccomandazioni di Giosuè : il rinvio delle tribù transgiordane ( c. 22 ) e i discorsi di Giosuè ai rappresentanti della nazione in Silo ( c. 23 ) e nella solenne assemblea di Sichem ( 24,1-29 ); infine le tradizioni sui sepolcri di Giosuè, di Giuseppe e di Eleazaro ( 24,30-33 ).
Il libro, come si vede, non offre un resoconto storico completo degli avvenimenti successi dalla morte di Mosè a quella di Giosuè.
La relazione, ora viva e minuziosa come per la presa di Gerico, Ai e Gabaon, ora schematica ed essenziale come per la spedizione nel sud ( 10,29-43 ) e nel nord ( 11,12-15 ), è in genere lacunosa, frammentaria e senza ordine cronologico; i fatti vengono collegati con indicazioni vaghe: allora o in quel tempo ( 5,2; 6,26; 8,30; 10,12 ).
Soprattutto, non appare chiara la visione dell'insieme della conquista: mentre, da una parte, si ha l'impressione che essa sia stata di breve durata e che Giosuè sia passato di trionfo in trionfo, riuscendo con due campagne a distruggere il nemico e a conquistare tutto il paese ( 11,16 ), dall'altra si legge che la conquista era stata parziale ( 13,1-5 ), era durata molti anni ( 11,18 ) e non era sempre stata vittoriosa, perché Israele non era riuscito a occupare le piazzeforti di Gerusalemme ( 15,63 ), di Gezer ( 16,10 ) ne le città della pianura di Esdrelon ( 17,12 ).
L'A. non ha però voluto riportare i fatti per i fatti ne precisarne la successione cronologica, ma soltanto mostrare che la conquista fu opera divina, non umana, poiché Jahve combatteva per Israele ( 10,14 ).
Sotto quest'aspetto religioso sono disposti e orientali alcuni fra gli episodi più salienti della conquista per mettere in luce la fedeltà del Signore nel mantenere le promesse, e per eccitare il popolo a corrispondere fedelmente all'alleanza col Signore.
Questo scopo religioso domina tutto il libro ed è direttamente espresso in 24,8.12-14.
Questa prospettiva religiosa da una innegabile unità all'opera.
Per questo, nel canone cristiano il libro è classificato primo tra i libri storici e nel canone ebraico primo fra i profeti anteriori, essendo considerata la storia come profezia, poiché i benefici divini, rivelati dagli avvenimenti del passato, si perpetueranno in avvenire.
La paternità del libro non può essere ascritta a Giosuè perché vi si parla della morte di lui ( 24,29 ) e vi sono inseriti racconti di avvenimenti, posteriori.
L'annotazione di 4,14 e la frase tante volte ripetuta fino a oggi mettono un intervallo tra il fatto e la relazione scritta.
La menzione dei monti di Giuda e di Israele ( 11,16.21 ), dei villaggi di Jair ( 13,30 ), della conquista dei Chalebiti ( 15,13-19 ) e del trasferimento dei Daniti ( 19,47 ), ma specialmente la citazione del libro del Giusto ( 10,13 ) suppongono un autore anonimo, distante dagli avvenimenti.
Gli indizi in contrario e a cui si riferiscono antiche opinioni talmudiche e scarsissime testimonianze cristiane sono spiegabili diversamente; 24,26 si riferisce agli atti del congresso di Sichem e non a tutto il libro; Fuso della prima persona ( 4,23; 5,1 ) è una lezione dubbia o proviene dall'inserimento di un documento contemporaneo.
Resterà sempre difficile decidere se tutto il libro provenga da tradizioni orali o scritte e quali siano le parti da attribuire all'una o all'altra fonte.
Che l'A. si sia servito di documenti scritti è indicato dalla citazione del libro del Giusto ( 10,13 ), ma che il blocco dei racconti dell'arca ( cc. 3-5 ) possa provenire da tradizioni orali, recitate fra il ceto sacerdotale di Galgala ai pellegrini che ne visitavano il santuario è più che probabile, dato il tono del racconto e la clausola fino a oggi.
Le liste delle città conquistate, dei re vinti e le frontiere di ogni singola tribù sembrano provenire da un'antica numerazione descrittiva delle vittorie di Israele che l'A. avrebbe adattato dove servivano meglio al suo scopo.
Le scuole critiche ritardano la formazione del libro ai tempi dopo l'esilio; esso sarebbe parte integrante del Pentateuco e gli stessi documenti avrebbero servito alla sua compilazione.
Contro la teoria classica documentaria una più recente scuola afferma che mai è esistito un Esateuco e che Gios. per il contenuto e per la struttura differisce dal Pentateuco e ha una propria autonomia.
Un autore della scuola deuteronomica avrebbe riunito nel libro antiche saghe eziologiche, episodi eroici e liste geografiche tardive del regno di Giuda.
Se questa nuova ipotesi porta un colpo fatale alla teoria documentaria, tende però, col principio eziologico, a eliminare la personalità di Giosuè e a rendere antistorica e falsa la rappresentazione della conquista.
Le scoperte archeologiche e la interpretazione dei documenti letterari hanno fatto conoscere con quanta cura i popoli antichi conservassero le proprie tradizioni fissate in formule e schemi.
Con quanta cura Israele abbia conservato i ricordi della vita nazionale è indicato dal discorso di Giosuè a Gaigaia ( 4,20-24 ), nell'inaugurazione del monumento delle dodici pietre, che avrebbe dovuto testimoniare alle generazioni future le meraviglie operate dal Signore nel passaggio delle dodici tribù al Giordano.
Un popolo giovane, dinamico, unito dai vincoli della religione e delle relazioni di clan e di famiglia, un popolo che non si era mai staccato dal terreno conquistato, non poteva trascurare le tradizioni della propria storia e tanto meno permettere che venissero travisate.
Queste considerazioni minimizzano la possibilità della teoria eziologica e ci assicurano l'attendibilità delle tradizioni riportate in Gios., patrimonio di un popolo tenace e conservatore.
Considerazioni di ordine artistico, sintattiche e grammaticali portano a distinguere Gios. dai libri posteriori all'esilio.
Il tono eroico di alcuni racconti indica un'epoca vicina agli avvenimenti, e le notizie di 16,10 ( i Cananei non furono scacciati da Gezer ) e le altre sulla posizione e occupazione di Gerusalemme ( 15,8.63 ) rispecchiano il periodo preesilico.
Non c'è dubbio che le liste delle città e le frontiere delle tribù siano state aggiornate, ma dell'antichità di queste liste geografiche restano tracce nei nomi di città abbandonate al tempo dell'esilio e nelle spiegazioni apposte ai nomi di antiche città: Kiriat-Arba, oggi Hebron.
Queste notizie geografiche e tradizioni orali furono forse raccolte e riunite quando alla lotta era succeduta la pace, grazie al dominio sul paese acquistato dalla potenza politica e militare di Israele con il re David, affinché il popolo riconoscesse che questo predominio era già voluto e previsto dalla provvidenza divina.
Ma la redazione definitiva sembra avvenuta al tempo di Ezechia o di Giosia ( 2 Re 22,3 ), quando nello spirito di Num. e di Deut. la storia del passato fu utilizzata ad ammaestramento per il futuro.
Nessun dato sicuro è offerto in Gios. che permetta di sincronizzare il periodo della conquista nel quadro della storia generale.
La esplorazione archeologica e specialmente gli scavi di Khazor, Bethel, Gezer e Lachish e il carteggio epistolare di el-Amama possono illustrare soltanto in modo generale l'epoca della conquista, ma non fissarne la cronologia, che dipende dalla data scelta per l'esodo ( introd. a Es. ).
Le condizioni politiche interne, senza autorità centrale e con tanti piccoli re, sempre ostili fra di loro, la poca probabilità d'aiuto militare dall'estero e anzi la lotta dei Filistei per stabilirsi sulla costa marittima favorirono da est il movimento aggressivo di Israele.
Questo può essere ricostruito sul terreno, poiché, nonostante le lacune, il libro manifesta un piano strategicamente ben concepito e tatticamente ben manovrato che garantisce per ciò stesso la sua veridicità storica.
Passato il Giordano proprio quando era in piena, conquistata la pianura di Gerico con la presa di questa città per mezzo di uno stratagemma, l'arma delle astute genti del deserto, Israele riuscì a raggiungere il centro del paese, dividendo le forze del sud da quelle del nord, allargando la zona d'influenza mediante pacifiche alleanze con la confederazione hivvea a Gabaon e a Sichem, potè rivolgere la spedizione a sud fino alla frontiera meridionale di Canaan e infine a nord con la battaglia alle acque di Merom.
Queste spedizioni seminarono il terrore nel paese.
Scorrerie e razzie, stratagemmi e ardimento ( marce forzate di notte, sorprese e inseguimento del nemico ) caratterizzano questo sconvolgimento nel paese che durò più anni, senza però permettere l'assedio e la distruzione delle città della costa, come di quelle della pianura che caddero solo al tempo della monarchia.
Ne seguì poi la divisione del paese tra i membri della confederazione, con la distribuzione del territorio nel quale ogni gruppo avrebbe dovuto consolidarsi e organizzarsi.
Questo movimento di masse suppone la direzione di un capo; minimizzare o eliminare l'azione di Giosuè è rendere inintelligibile la conquista.
La possibilità di inserire il racconto nel quadro topografico, geografico e politico della storia generale costituisce già un segno positivo di credibilità, sebbene non si possa arrivare a precisare tempo e data.
La caratteristica principale del libro è il suo aspetto e valore religioso.
Vi è rappresentato il puro jahvismo mosaico di Deut. Jahve è Signore di tutta la terra ( 3,13 ) di cui i pagani stessi proclamano la divinità e onnipotenza ( 2,11; 9,9-10 ).
Egli è il vero e unico Dio di Israele a cui da la vittoria e assicura la continua protezione se corrisponderà fedelmente agli ordini del Signore ( 11,15; 22,5; 24,14-19 ); poiché l'alleanza è una grazia del Signore che ha scelto liberamente il suo popolo ( Dt 7,6 ) ma è anche un patto, perché Dio assicura la sua protezione in ricompensa dell'obbedienza di Israele ( Dt 26,17-19 ).
La terra conquistata è santa e dovrà ospitare soltanto il popolo eletto, perciò devono essere sterminati tutti i nemici; Jahve non tollera nessun contatto con quanto è straniero e per questo indurisce i cuori dei popoli perché facciano guerra a Israele in modo che questo sia obbligato a sterminarli senza misericordia ( 11,20; Nm 33,51-55 ).
L'anatema sulle città e lo sterminio dei Cananei erano disposizioni provvidenziali per salvare Israele da una possibilità di acclimatarsi troppo rapida e disastrosa per la nuova fede.
Jahve è un Dio santo e vuole essere servito santamente; è un Dio geloso e non ammette rivali; segno della sua potenza è l'arca dell'alleanza, intorno alla quale devono concretarsi gli atti di culto ed evitarsi le pratiche idolairiche.
Nella letteratura cristiana il figlio di Nun godè grande prestigio, specialmente per il nome di Giosuè ( = Gesù ) che permetteva felici accostamenti: Gesù ci liberò dal giogo del peccato e ci introdusse nel regno dei cieli; Giosuè aveva soggiogato i nemici di Jahve e introdotto il suo popolo nella terra promessa.
Don Federico Tartaglia
Don Claudio Doglio
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