Alle origini della " Divozione " |
B147-A1
( Continuazione )
L'uomo che intende vivere veramente da uomo, cioè in armonico e quieto equilibrio di spirito, di mente, di cuore, non si arroga virtù o poteri che non gli competano, ma sta nei limiti assegnatigli da Dio.
Sa di essere, in tutto, subordinato a Dio, di cui vuole fare, sempre, la volontà, lasciandosi perciò condurre da lui con ispirazioni e per forza di circostanze, vagliate nel suo calore ed alla sua luce.
Unico cammino che regga al tempo. Solo la vita da vita.
In questo senso, si può ben dire che Iddio stesso opera attraverso l'uomo, che osserva la norma logica ed elementare di essergli soggetto secondo il rapporto intercorrente tra creato e Creatore.
E, scendendo dal generale al particolare, si può dire con altrettanta sicurezza che Gesù Crocifisso stesso ci ha dato la sua « Divozione »
a ) in testo, attraverso Fra Leopoldo,
b ) in vita, attraverso il Fratel Teodoreto,
c ) in opera, attraverso i figli spirituali di quest'ultimo.
Il testo è la « Divozione a Gesù Crocifisso ».
La vita di quel testo è l"Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, i quali si propongono di praticarne gli insegnamenti, quasi fossero preghiera viva.
L'Opera è la Casa di Carità Arti e Mestieri, nata da quella vita, come frutto da pianta.
Delle origini della prima e della seconda si è già parlato.
C'è dunque da dire ancora dell'Opera.
Non occorre ripetere che anche quest'indagine si muove unicamente nell'orbita del messaggio rivolto da Gesù Crocifisso - attraverso Fra Leopoldo - all'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
L'8 settembre 1925, Natività di Maria, due Catechisti dell'Unione del SS. Crocifisso s'incontrarono casualmente per via, poco dopo le 18.
Uno di essi, che fu poi congregato, era diretto alla chiesa di Nostra Signora della Pace, dove insegnava catechismo ai ragazzi di quell'oratorio, mandatevi dall'Unione stessa uno o due anni prima.
L'altro, un catechista - secondo la denominazione di allora - « ammissibile », era avviato verso casa.
Percorrendo un pezzo di strada insieme, vennero a parlare d'un argomento che stava a cuore al primo: come far breccia tra i grandi del circolo di quella parrocchia, per istruirli più a fondo in temi di religione. ( Vari tentativi già fatti erano andati a vuoto ).
L'altro catechista affacciò allora l'idea, trattandosi in genere di elemento operaio, di indire delle riunioni per i soci del circolo, le quali offrissero loro anche un interesse pratico, d'ordine tecnico, di modo che l'uditorio sarebbe stato intrattenuto su argomenti di religione e di lavoro.
L'idea piacque. E senza frapporre indugio, i due mutarono direzione, recandosi in via delle Resine a sottoporre la cosa al parere del Fratel Teodoreto, direttore dell'Unione Catechisti.
Il quale ascoltò, riflesse e suggerì: « E perché non dare all'idea addirittura un orientamento scolastico di tipo gratuito popolare, senza pretese, tanto per incominciare?
Ma fareste qualche cosa di organico, con molto maggior probabilità di durata ».
E chiese al proponente di compilare al più presto uno schema, subito fatto, ed approvato poi il giorno seguente dal Fratel Teodoreto.
Si adibì a scuola una cappella, non aperta al culto e distinta dalla chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Pace, con accesso da via Malone ( barriera di Milano ).
Si iniziò il primo corso nell'ottobre del 1925 stesso, con orario serale, sull'esempio della scuola serale dei Fratelli, di via delle Rosine.
Ma dopo quindici o venti giorni, le lezioni furono interrotte di sera, non disponendo di luce conveniente ( il corso si svolgeva a lume di candela; balaustra la cattedra; banchi, quelli della cappella ) e non essendo comodo l'orario per gli operai che lavoravano lontano, negli altri quartieri periferici della città.
Fu così che le lezioni si tennero di domenica e la scuola fu festiva.
Gli allievi furono inizialmente sei e durante l'anno, non subendo le ammissioni limiti di tempo, raggiunsero sì e no la trentina, comprendendo anche i non soci del circolo.
La scuola si chiamò « Professionale Festiva Nostra Signora della Pace ».
Ne rispondeva il Fratel Teodoreto, ufficialmente, ogni documento recando la sua firma.
Non si faceva nulla senza ottenere prima il consenso di lui.
Ben presto la scuola si estese dalla cappella ad un fabbricato modesto, di pian terreno, nel cortile della parrocchia, corrente lungo il muro di via Malone, verso il corso Palermo.
Poi invase parte dei sotterranei della chiesa ed infine un altro fabbricato, pure di pian terreno, costruito apposta e corrente lungo il muro di via Malone, ma verso il corso Ponte Mosca ( ora corso Giulio Cesare ).
Erano, se si vuole, ripieghi. Perciò, per risolvere meno inadeguatamente il problema di locali più capaci e meno male adattati, si pensò di acquistare uno stabile con terreno.
Il progetto, sottoposto all'approvazione del Cardinale Giuseppe Gamba, Arcivescovo di Torino, ottenne da quel cuore paterno consenso benedicente.
E la scuola, che con l'ottobre del 1929 era diventata anche serale, si trasferì l'anno seguente in via Feletto angolo via Soana, sempre alla Barriera di Milano, e si chiamò « Casa di Carità », Scuola Professionale Festiva e Serale, sempre condotta dai Catechisti dell'Unione del SS. Crocifisso.
Con l'ottobre del 1931 si unì ad essa la Scuola Serale di via delle Rosine, limitatamente alla sezione industriale.
I 370 allievi del 1932 andarono via via aumentando fino agli 800 del 1939, con una inevitabile flessione durante la guerra ed una rapida ripresa dopo.
Finché nell'ottobre 1948, fatto un esperimento nell'anno scolastico precedente, ai corsi serali e festivi furono definitivamente aggiunti quelli diurni.
Ed ecco nuovamente affacciarsi nel frattempo il problema di nuovi locali, ma veramente capaci, razionali, confacenti.
Si arrivò alla conclusione, concordemente sentita, di affrontare l'onere di un edificio, espressamente costruito.
La spesa sarebbe stata ingente. C'era di che sgomentarsi.
Si pose l'iniziativa sotto la protezione di San Giuseppe.
Ad auspicio di lieto successo si promise d'intitolare la nuova Scuola col nome completo di « Casa di Carità Arti e Mestieri ».
Le trattative per l'acquisto di un'area fabbricabile ( circa 10.000 m2 ), sita nel cuore di uno dei grandi massicci industriali torinesi, nella Borgata Vittoria, durarono dal 1939 al 1940.
La data per la firma del contratto fu fissata al 31 maggio 1940, dal notaio che ignorava ricorresse in quel giorno la festa del Sacro Cuore di Gesù.
Ma quel che nessuno, né il notaio né il Fratel Teodoreto né i Catechisti, avrebbe allora potuto supporre, è la singolare coincidenza di quella data col giorno consacrato quattordici anni dopo dalla Santità del Papa Pio XII alla celebrazione della festa liturgica della Regalità universale di Maria.
Appena trascorsi dieci giorni da quel 31 maggio 1940, l'Italia entrava in guerra.
Se l'acquisto non fosse stato già concluso, il prezzo sarebbe salito ad una cifra senza paragone più alta.
A guerra finita, furono intrapresi i lavori.
Vi diede decisivo impulso un munifico contributo dell'A.U.S.A., di cui si ebbe notizia telegrafica nel giorno stesso di San Giuseppe, 1948.
La « Casa di Carità Arti e Mestieri » - completamente gratuita - aprì i battenti della nuova sede nell'ottobre 1950, Anno Santo.
Furono eliminati i corsi festivi ed aggiunti quelli pre-serali.
Attualmente la frequenza della popolazione scolastica è la seguente:
- Corsi normali diurni, pre-serali, serali, teorico-pratici di addestramento e di qualifica … allievi 752,
- Corsi complementari di insegnamento per apprendisti … allievi 801,
- Vari … allievi 39,
- Dipendenza di Settimo Torinese … allievi 87,
cioè, in totale, allievi 1.679.
Scrivendo queste notizie, necessariamente sommarie, per non distrarre l'attenzione dal motivo conduttore di questa ricerca, viene alla mente tutta una catena di grazie e di favori insigni che costellano il cammino percorso e l'illuminano un passo dopo l'altro.
Andando a ritroso attraverso questo decorso di trentatrè anni, si deve obbiettivamente ammettere che la « Casa di Carità Arti e Mestieri » non è affatto il frutto di un disegno umano, sapientemente concepito, organicamente preordinato, sistematicamente tradotto in atto.
Non per nulla, nel giorno della tumulazione della salma di Fra Leopoldo nella cappella di Nostra Signora del Sacro Cuore, in San Tommaso, a Torino, riferendosi agli sviluppi della Casa stessa, il Fratel Teodoreto ebbe a dire: « Anche l'Unione Catechisti si è svolta così.
Né Fra Leopoldo né io avevamo un piano prestabilito. Ci siamo lasciati guidare … ».
I due uomini di Dio, camminando con i piedi per terra, avevano lo sguardo fisso al cielo.
Avevano rinunciato alla propria vista.
Perciò, non potevano inciampare.
Poiché, per loro, guardava - e guardava lontano - Iddio.
Come il Fondatore e Direttore dell'Unione si limitò a suggerire fin dall'inizio ai suoi Catechisti l'orientamento scolastico di tipo gratuito, lasciando fare a loro, così egli informò poi, sempre, il proprio contegno, nei confronti dell'Opera nata ed evolvente, all'atteggiamento di chi non cammina davanti, ma di fianco; di chi non toglie o riduce il campo visuale, ma lo lascia libero, aiutando a vedere; di chi non cammina per l'altro, ma sostiene.
Tuttavia, non si prenda abbaglio.
Se si deve obbiettivamente affermare che la « Casa di Carità A. M. » è opera dei Catechisti dell'Unione del SS. Crocifisso, da ciò non si venga indotti in errore, menomando in alcunché il concorso decisivo del Fratel Teodoreto.
Senza di lui, nulla sarebbe stato fatto.
Il sommo agricoltore Iddio aveva legato il fusticello dell'Opera alla canna del Fratello delle Scuole Cristiane.
Senza quella canna, il fusticello si sarebbe curvato, cadendo miseramente a terra.
I Catechisti non avrebbero avuto coraggio ad agire, senza quel coraggio che assicurava.
Lo provano cento documenti inoppugnabili.
Per sé - caro e santo Fratel Teodoreto! - scelse l'ombra: e che ombra luminosa!
Dal suo angolino, sempre più inosservato, egli vedeva il fusticello crescere, irrobustirsi, assumere proporzioni di fusto e di altezza.
Ne godeva e ne ringraziava intenerito Iddio.
Ne godeva per i Catechisti, suoi figli spirituali.
La loro vita di Carità non poteva che generare un'Opera di Carità.
Quanto più perfetta la vita, tanto più perfetta l'Opera.
Interni della Casa di Carità Arti e Mestieri ( foto 71 )
E l'Opera - per il numero esiguo dei promotori, per la loro trascurabile disponibilità personale di mezzi, per la gratuità totale dell'impresa, per le difficoltà d'ogni genere, sempre insorgenti ( non esclusi dissensi, incomprensioni, scissure ), ma per tenacia di lavoro, oculatezza di amministrazione, fedeltà d'intenti, metodicità d'azione, disinteresse di persona, occhio alle circostanze e principalmente fiducia ed abbandono estremi nella Provvidenza sicura di Dio - l'Opera avrebbe un giorno gridato in loro favore.
Sarebbe stato nuovo documento insigne di quanto possa l'uomo, ove subordini e rivolga tutto a Dio, all'amore di lui e, per lui, all'amore del prossimo: puramente, cristallinamente, trasparentemente.
L'Opera avrebbe gridato non essere d'uomo, ma di Dio, richiamando sguardi, scuotendo torpori, incitando a moltiplicarla come mezzo più potente a pacificare la società nell'ordine convinto della giustizia.
Ne godeva, il caro e santo Fratello delle Scuole Cristiane, anche per un'altra ragione: per una memoria che gli era sacra, per l'amico messaggero di quell'idea di pace sociale, per il suo Fra Leopoldo.
Sarebbe apparso in tutta la sua luce di figlio di San Francesco.
I suoi scritti - quelle confidenze, quegli orientamenti, quegli ordini dall'Alto, da Nostro Signore Gesù Crocifisso - non sarebbero più parsi sospetti, né avrebbero più sollevato dubbi e neppure acceso opposizioni.
Si sarebbe mostrato a luce meridiana che chiunque, di ed in qualsiasi condizione, avesse tentato l'impresa, vi sarebbe certamente riuscito, purché agisse in puro spirito di Carità.
L'Opera era là, viva, operante, che parlava da sé.
Ed era proprio sorta così, come era stato predetto negli scritti di Fra Leopoldo.
Il segreto si era andato svelando a poco a poco.
A mano a mano, un passo dopo l'altro, tutto appariva chiaro.
Sì. Certo. Davvero. Quegli scritti dovevano essere integralmente applicati.
Quegli scritti erano, sono la chiave del successo.
- 27 dicembre 1919: « Tutto l'andamento delle Case di Carità che si edificheranno, splenda cristianamente e cattolicamente ».
- 16 febbraio 1920: « Ci vuole un po' di tempo. Tutto sta che vi incamminiate ».
- 2 maggio 1920: « … incamminarsi dal poco. Il grande verrà: tutto quel che desiderano ».
- 22 luglio 1920: « Non vorrei col tempo, molto avanti, che vi si speculasse sopra: si deve sempre domandare la carità per ottenere che venga l'aiuto …
Non è per arricchire nessuno, ma per le anime redente …
In primo luogo, ricordino l'accettazione dei figli poveri … ».
- 17 gennaio 1921: « Si ricordino sempre di domandare la carità.
Di' loro che l'ho detto tre volte, di avere fede in me e nei miei detti, e confidenza nel cooperare ».
- 10 marzo 1921: « Di' loro che non voglio un'opera umana.
Voglio un'Opera divina e un andamento … secondo il mio Cuore ».
- 28 aprile 1921: « Da quelli che vogliono offrire denaro, lo prendano pure: non a scopo di paga, ma di carità » ( è fatta qui esplicita allusione, tra gli offerenti, anche agli allievi.
Ciò che significa non esservi alcuno superiore in Carità, ma tutti uguali, concorrendo ciascuno in Carità, secondo la propria misura ).
- 27 ottobre 1920: « Gli offerenti sanno pure che le loro offerte vanno in buone mani e che sono spese in fior di Carità secondo il Cuore di Dio ».
- 30 luglio 1920: « Faremo una cosa che farà strabiliare il mondo.
Ci vorranno tempo e fatiche. E vi saranno anche intrighi che non fanno per noi ».
- 5 marzo 1920: « Le Opere di Dio hanno il contrassegno di essere contraddette.
Sono uomini di poca fede quelli che si rifiutano ».
- 10 gennaio 1920: « Debellerò tutti gli artifizì diabolici e di gente malvagia che le faranno contro ».
- 4 aprile 1920: « Devesi più che mai parlare ai Vescovi, di questa istituzione, ed in ogni città inculcare ai ricchi di profondere le loro ricchezze ».
Cosicché i figli spirituali del Fratel Teodoreto, applicando a mano a mano i detti di Fra Leopoldo, prima senza saperlo, poi volutamente, sono riusciti a mettere in piedi una Scuola tecnico-professionale, nell'ordine dell'amor di Dio e del prossimo, completamente gratuita, per operai e figli di operai, preferibilmente poveri.
La quale, pur non essendo ancora, come proporzioni, quel che deve essere, incomincia tuttavia a farsi sentire.
Ma quel che non si è detto ancora è questo: mentre il nuovo direttore della Scuola di via delle Rosine, il Fratel Isidoro di Maria S.C., studia nel novembre 1919 il modo di lanciare una Scuola popolare gratuita di carattere professionale, Fra Leopoldo, completamente all'oscuro di codesto progetto, esattamente il 24 novembre 1919, mentre recita la Divozione a Gesù Crocifisso e sta per incominciare l'Adorazione della piaga della mano sinistra del Salvatore e la conseguente preghiera per i peccatori, specialmente gli irriducibili in punto di morte, si sente dire dal Crocifisso: « Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si deve aprire una Casa di Carità, per far imparare ai giovani Arti e Mestieri ».
Questo avviene a Torino, nell'immediato dopoguerra, in quel periodo di fermento disorientante di lotta di classe che si inasprisce ed eccede in incendi di chiese, in fatti di sangue e nell'occupazione delle fabbriche da parte delle guardie rosse ( agosto 1920 ).
Mentre la società malata sta per sussultare in delirio, ecco apprestarlesi la formula della medicina salutare.
Occorre che la formula venga preparata in medicina attiva.
Occorre più che mai: oggi più di ieri; domani più di oggi.
Non ci vuole soltanto l'operaio specializzato, ma il cittadino, l'uomo, il cristiano.
Bisogna incominciare dai giovani.
Ci vuole la scuola.
È urgente « educare operai e dirigenti ai principi del Santo Vangelo ed alle regole sociali emanate dai Sommi Pontefici di questi ultimi tempi »1 erigendo scuole così fatte « in tutte le Diocesi per la riforma del mondo mediante la carità cristiana per la soluzione del grave problema che tiene in lotta padroni ed operai ».2
Nessuno che abbia a cuore le sorti del mondo civile, può mettere in dubbio la solidità valida della formula.
Ne lo mettevano in dubbio i componenti del Comitato preposto a quel primo progetto del 1919-1920.
Ma la sua impostazione, inizialmente troppo vasta - contrariamente alle esortazioni prudenti dei due Fratelli, membri del Consiglio esecutivo - determinò dubbi, perplessità, astensioni.
E la divisione si scavò poi incolmabile di fronte al quesito della denominazione da adottarsi: se si dovesse o no inserire nel titolo della Scuola - ad enunciazione programmatica ed a garanzia di fedeltà al fine soprannaturale - il termine « Carità ».
Qui non interessa, per non uscire dal seminato, accennare ai particolari della vicenda di quel primo progetto.
Basterà dire che, sempre contrariamente al parere espresso dai Fratelli in Consiglio, il termine « Carità » fu soppresso, per non urtare gran parte dei promotori e per scongiurare quindi il naufragio del progetto.
Interessa invece mettere a fuoco questo:
1 - Si è già detto che, quanto alla « Divozione », Fra Leopoldo ignorava completamente, all'inizio dei suoi colloqui col Crocifisso, a chi si alludesse con l'espressione di « fratelli laici ».
Come pure, quanto alla Unione Catechisti, era del tutto all'oscuro, nel 1906, del disegno del Fratel Teodoreto, di fondare un'associazione di giovani che conducessero una vita intensamente cristiana.
Allo stesso modo, non fu per nulla al corrente, nel 1919, dell'idea di Fratel Isidoro di Maria, di far sorgere una scuola professionale popolare di tipo gratuito.
Quel che colpisce, è che, nonostante codesta totale ignoranza di fatti avvenire o presenti, il pio laico francescano abbia annotato nel suo Diario, nelle stesse identiche date, frasi che si riferiscono inequivocabilmente a quei fatti e ne predicono gli sviluppi grandiosi: ripetutamente, anzi con un'insistenza che fa davvero meraviglia.
E non si è meno vivamente colpiti, constatando che in tutti tre i casi, si tratta sempre e soltanto di attività condotta ( « Divozione » ) o di progetti ideati ( Unione Catechisti e Casa di Carità Arti e Mestieri ) da Fratelli delle Scuole Cristiane.
2 - Non basta. In questo caso, si ha un elemento che è come la prova del nove per la moltiplica.
Come ad indicare che sono proprio i Fratelli che si devono occupare delle Case di Carità Arti e Mestieri.
Anche quest'Opera è proprio affidata a loro.
Poiché, quel che non riesce fatto all'eccellente Fratel Isidoro di Maria, volendo, riesce invece, senza volerlo, al Fratel Teodoreto, per mezzo dei suoi Catechisti, i quali si accorgono a poco a poco di tradurre in atto i détti del Diario di Fra Leopoldo.
3 - Tra i quali detti, per non citarne che uno, assolutamente chiaro ed inoppugnabile, c'è questo, scritto di pugno di Fra Leopoldo su un foglio sciolto, la cui riproduzione fotografica è esposta nella vetrina della saletta dei a ricordi », nella Casa di Carità A.M. : « 6 gennaio. Epifania del Signore » ( l'anno che è taciuto, è certa mente il 1920, per ragioni facilmente desumibili ).
« … Benedite, o Signore, i Benefattori e tutti quelli che si interessano per la Casa, che diverrà con l'aiuto di Dio e colle premure e pazienza la riforma del mondo … »
« … Queste scuole devono sempre sussistere in mano a Religiosi Fratelli delle Scuole Cristiane.
È Opera di Dio e di sua misericordiosissima volontà, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime ».
Non pare si possa con maggior evidenza riferire ai Fratelli la missione di cui sono investiti, secondo i detti di Fra Leopoldo, anche per le Case di Carità A.M. da moltiplicarsi nel mondo.
E non meno sicuramente pare ( non volendo usare verbo più categorico ) che il termine « Carità », in quest'ordine d'impresa, non debba mai venire ammainato dal titolo dell'Opera, ma, anzi, più che mai issato sul suo più alto pennone.
Poiché la massima dignità di quel titolo è in quel termine glorioso. Carità.
Da scriversi a caratteri cubitali.
Carità. Non nel significato comune prevalso. Ma in quello fondamentalmente cristiano. Non elemosina. Ma Amore.
Infatti, lo ribadisce il Fratel Teodoreto, a pagina 198 del suo già citato libro, Fra Leopoldo « considerava tale nome come programma e mezzo per mantenere all'istituzione il carattere cristiano soprannaturale, dal quale essa non deve allontanarsi mai »!
Per adamantina fedeltà a questo carattere cristiano soprannaturale, Fra Leopoldo aveva insistito ( 4 luglio 1920 ): « Ciò che raccomando di più a quelli del Comitato è che, se a qualcuno venisse in mente di mettere in dubbio l'Opera e di farla indietreggiare, se ne guardi, per amor del Cielo! è meglio che esca lui stesso, perché con Dio non si scherza ».
Fu proprio quel dito minaccioso a braccio alzato, puntato in alto, con lo sguardo severo del giudice che condanna in nome di Dio, fu proprio quell'atteggiamento consapevolmente fermo a suscitare contro il santo Francescano il malumore, il risentimento, la malevolenza, la reazione di più d'uno di « quelli del Comitato ».
Ma come! Un modestissimo fraticello, sempliciotto e chiacchierone, né colto né istruito, addirittura un illetterato, per di più cuoco, esperto fin che si vuole a deodorare intingoli e soffritti dall'aglio e dalla cipolla, ma senza importanza alcuna nella società, vorrebbe dettar legge ed arrogare a sé il privilegio inaudito, non solo di trasmettere ordini da Dio, ma di minacciare, di condannare in nome suo?
A dirgli ciarlatano insolente, è solo tutto quel che si merita!
Si parlò d'un'inchiesta e Fra Leopoldo fu invitato a non ricevere più nessuno, a troncare ogni rapporto con l'esterno.
Ad uno ad uno, si diradarono tutti.
Anche il miglior amico, anche il Fratel Teodoreto, per un malinteso, sospese le visite.
Ed intorno al povero interlocutore del Crocifisso, si fece un lancinante gran vuoto.
Nel silenzio degli uomini e delle cose, un gemito: fievole, sommesso: « Tutti mi hanno abbandonato! … » ( 14 dicembre 1921 ).
Ed il Crocifisso: « Fa coraggio! Non siamo due amici? ».
Su quel lamento rincuorato si chiude il Diario, iniziato col sogno della Vergine Addolorata, predicente la prova di Vercelli: aprentesi e chiudentesi cioè tra il principio e la fine delle due massime prove patite dal Servo di Dio.
Fra Leopoldo muore il 27 gennaio 1922.
Vercelli. 1889. Torino. 1922. Trentatre anni.
La fiamma, accesasi per il Crocifisso trentatre anni prima, si era via via appuntita per sfumare poi in lievissimo incenso di Anima eternamente adorante.
Gaetano G. di Sales
1 e 2 cfr. Fra Leopoldo del Fratel Teodoreto F.S.C-, prima edizione, pagine rispettivamente 179 e 287. Il libro è in ristampa.