Venite e vedrete |
CCC nn. 2598-2606 ( vedi pure nn. 238-242; 441-445; 2746-2751 ) CdA nn. 165-172; 293-294; 960 CdG1 pp. 62-64
La preghiera rivela sempre con molta chiarezza la concezione che un uomo ha di se stesso, della vita, delle sue relazioni con gli altri uomini, del mondo, soprattutto del suo rapporto con Dio.
Il rapporto fra Gesù e il Padre è il nucleo più profondo dell'identità di Gesù.
E la preghiera è senza dubbio uno dei luoghi privilegiati che manifestano il rapporto di Gesù con il Padre.
La preghiera di Gesù ci riguarda, perché è lo specchio della nostra preghiera, e il rapporto con Dio che essa manifesta è lo specchio del nostro.
Ma se ora parliamo della preghiera di Gesù è perché vogliamo conoscere la sua identità.
I Vangeli ricordano che, nel ritmo incalzante della sua giornata piena di lavoro, Gesù trova posto per la preghiera: prega al mattino presto o alla sera tardi, dopo aver congedato la folla ( Mc 1,35; Lc 5,16 ).
E prega in tutti i momenti più importanti e decisivi della sua missione: così accade al battesimo ( Lc 3,21 ) e alla trasfigurazione ( Lc 9,28-29 ), nel Getsèmani ( Lc 22,39-46 ) e sulla croce ( Mt 27,46; Lc 23,34.46 ).
Un primo tratto, confermato da tutte le testimonianze, è che Gesù si rivolge sempre a Dio con il nome di Padre.
La preghiera di Gesù è una preghiera filiale.
Egli chiama Dio: "Abbà, Padre!" ( Mc 14,36 ).
Gesù svela così tutta la sua confidenza di Figlio di fronte a Dio.
La preghiera di Gesù scaturisce dalla sua coscienza di essere Figlio e si traduce in colloquio.
I Vangeli ricordano un secondo tratto: Gesù si ritira a pregare da solo ( Mc 1,35; Lc 6,12 ).
A lui non basta parlare con le folle o con i discepoli, né gli basta servire i fratelli.
Avverte una solitudine che solo il Padre può colmare, una ricchezza che solo il Padre può capire e condividere.
La preghiera di Gesù esprime la nostalgia del Padre.
La preghiera di Gesù è filiale e al tempo stesso obbediente.
È insieme la preghiera del Figlio e del Servo del Signore.
Già nel termine Padre sono incluse le due dimensioni della familiarità e della sottomissione.
Nella preghiera del Getsèmani, dove più chiaramente esprime la sua confidenza di Figlio, Gesù esprime con altrettanta forza la sua obbedienza: "Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" ( Mc 14,36 ).
Coscienza della propria filiazione e totale dipendenza dal Padre sono i due poli della preghiera di Gesù.
Giovanni Bellini, La preghiera nell'orto del Getsemani.
Gesù, nel colloquio con il Padre, cerca la direzione del proprio cammino e la chiarezza delle proprie scelte.
E gli si sottrae alla folla, che lo cerca per trattenerlo, mentre la sua missione gli impone di andare altrove ( Lc 4,42-44 ).
Dopo la moltiplicazione dei pani costringe i discepoli ad allontanarsi dalla folla entusiasta e si ritira nella solitudine a pregare, sottraendosi al tentativo di farlo re ( Mt 14,22-23; Gv 6,15 ).
Nel Getsèmani supera con la preghiera l'angoscia e la paura, consegnandosi totalmente alla volontà del Padre ( Mt 26,39 ).
Specialmente l'evangelista Luca mostra che la preghiera non è un atteggiamento tra gli altri nella vita di Gesù, ma una dimensione costante ed essenziale di tutta la sua esistenza.
Vivere davanti al Padre è la condizione per avere una giusta visione di sé, del mondo e degli uomini.
Di sé, non più come centro a cui tutto deve servire, ma come un dono che si apre all'obbedienza e alla gioia del Padre e al servizio nei confronti degli uomini.
Del mondo, come una realtà di cui godere, ma anche da rispettare, perché non appartiene del tutto all'uomo; il suo proprietario infatti è Dio.
Degli altri, non più visti come stranieri, o peggio come concorrenti, ma come fratelli della stessa famiglia, degni di essere sempre rispettati, aiutati e perdonati ( Lc 11,5-13 ).
Ma la preghiera di Gesù rivela anche un'altra caratteristica: la sua costante meditazione delle Scritture.
Essa è una preghiera di ascolto e di ricerca.
Non raramente le parole di Gesù che prega contengono reminiscenze delle Scritture e si rifanno alle grandi esperienze della storia di Israele.
Sulla croce Gesù fa sua la domanda del giusto sofferente del Salmo 22: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mc 15,34 ).
Sempre sulla croce fa proprio anche il fiducioso abbandono di cui parla il Salmo 31: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" ( Lc 23,46 ).
Nell'esperienza dei giusti del passato Gesù legge la propria esperienza e la comprende.
Al primo posto, nell'esperienza di Gesù c'è la preghiera di benedizione, di lode e di contemplazione.
Sui cinque pani e i due pesci, che poi vengono moltiplicati e distribuiti, Gesù pronuncia la benedizione ( Mc 6,41 ) e così fa anche nell'istituzione dell'Eucaristia ( Mc 14,22 ).
La benedizione, nell'ebraismo del tempo di Gesù, è la preghiera per eccellenza.
In essa sta il senso e il contesto di ogni altra preghiera.
Qui si manifesta la concezione che l'ebreo credente ha del mondo e degli uomini.
La benedizione è una preghiera che esprime riconoscimento, ringraziamento e ammirazione.
Scaturisce da un sentimento acuto del dono di Dio e si conclude nella fraternità.
Pronunciando la benedizione, l'ebreo rinuncia a considerarsi proprietario dei beni che lo circondano e rinuncia a farsene un possesso esclusivo.
Il vero proprietario è Dio che ne fa dono a tutti i suoi figli.
Così la benedizione è, allo stesso tempo, riconoscimento di Dio, visione del mondo, accolto e goduto nella gioia in quanto dono dell'amore del Padre, e impegno di fraternità.
La preghiera di Gesù ha respirato questa atmosfera, assai viva nella pietà del suo tempo, e i Vangeli ne hanno conservato le tracce: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" ( Mt 11,25 ).
Accanto alla lode e al ringraziamento, nella preghiera di Gesù c'è anche la domanda.
Si tratta, per lo più, di una domanda ecclesiale e apostolica: Gesù prega perché la fede di Pietro non venga meno ( Lc 22,32 ); prega perché il Padre invii lo Spirito a riunire le genti nella Chiesa ( Gv 14,16 ); prega perché i suoi crocifissori siano perdonati ( Lc 23,34 ).
Ma nel Getsèmani Gesù prega per sé.
È questa la più umana e la più drammatica delle preghiere di Gesù: una vera preghiera di supplica, come ne troviamo tante nei Salmi.
È tipico del Vangelo di Marco presentare Gesù in tutto lo spessore della sua umanità.
E qui, al Getsèmani, presenta Gesù come un uomo sgomento, angosciato, triste, quasi disorientato.
Gesù sembra rivivere nella sua esperienza umana lo sconcerto di chi si sente abbandonato da Dio - nel quale, tuttavia, continua a confidare -, di chi urta contro un piano di salvezza che sembra smentirsi.
In questa situazione, analoga a quella di Giobbe, di Geremia e di tanti altri, nasce in Gesù la preghiera della supplica.
Una supplica che esprime, al di là di tutto e nonostante tutto, confidenza, consapevolezza del proprio rapporto filiale, fiducia.
Proprio in questa preghiera Gesù si rivolge a Dio chiamandolo: "Abbà" ( Mc 14,36 ).
L'invocazione: "Padre! Tutto è possibile a te", è un pieno riconoscimento dell'amore e della potenza di Dio.
Ma proprio da questo riconoscimento sgorga l'implorazione: "Allontana da me questo calice!".
Se Dio è buono e onnipotente, perché non interviene?
Ma dopo la domanda e la lacerazione dell'anima, ecco la fiducia rinnovata, l'abbandono senza riserve, l'accettazione incondizionata: "Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu".
La supplica di Gesù nasce dall'angoscia, ma si conclude nella fiducia.
Gesù ha utilizzato le diverse forme della preghiera biblica, cioè le diverse forme della preghiera umana: la lode e il ringraziamento, la ricerca della volontà di Dio, la domanda e la supplica, ma non troviamo mai sulle sue labbra la preghiera della colpa e del perdono: Gesù prega come uno che non conosce peccato.
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