28 giugno 1986
1. "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore" ( Gv 15,9 ).
Le parole del Vangelo testé ascoltato, tratte dai discorsi dell'ultima cena, danno un senso profondo a questo nostro incontro nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo.
Lo incentrano, com'è in realtà, sull'amore.
Signori cardinali, fratelli, e sorelle carissimi.
È sempre una gioia per me trovarmi con i collaboratori della Curia Romana, del Vicariato della diocesi di Roma e con i dipendenti del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; tanto più in occasione come questa:
un'occasione di preghiera, presso il sepolcro di Pietro, nel luogo del suo martirio e dell'irradiamento universale del suo ministero;
sento vicini a noi anche coloro che, pur lontani, rappresentano e prolungano nel mondo il ministero petrino: i nunzi e i delegati apostolici, e tutto il personale delle rappresentanze pontificie, sparse nel mondo.
A tutti voi il mio ringraziamento, profondo e sincero, per l'opera che prestate alla Chiesa e alla Sede apostolica, e che svolgete con competenza, con impegno, con generosità, con umiltà: so bene che il vostro servizio tocca non di rado, e per non pochi tra voi, questioni importanti per la Chiesa e per la Sede apostolica; esso suppone pertanto una vasta preparazione dottrinale e una diuturna esperienza, unite a doti di prudenza e di equilibrio: un insieme, cioè, di qualità non comuni, che vengono messe a disposizione della Chiesa nel silenzio e nel nascondimento.
Ma il Signore vede, e saprà ricompensare.
A tutti mi è caro ripetere che prego il Signore per voi e per le vostre care famiglie, raccomandando a lui tutte le vostre intenzioni, in modo particolare quelle pene nascoste che possono accompagnare la nostra vita.
E poiché ci troviamo ormai prossimi al tradizionale periodo delle vacanze, auguro a tutti voi anche un sano riposo, da meritatamente godere insieme con i vostri cari.
Tutti avete il privilegio e la vocazione di collaborare a questa universale missione del ministero petrino: a diverso titolo e con diversa responsabilità, ma tutti accomunati dallo stesso ideale di servizio della e alla Chiesa:
servizio anzitutto in una visione di fede, che ci orienta, come ha ricordato san Paolo nella prima lettura, unicamente verso Dio-Trinità: "Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti" ( 1 Cor 12,4ss ).
Ma specialmente servizio in una luce di amore, dove la complementarietà delle vostre attività trova il denominatore comune: l'amore di Cristo "Redentore dell'uomo", che è rivelazione del Padre "ricco di misericordia", nello Spirito "che è Signore e dà la vita"; e l'amore tra di noi, suoi fratelli.
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore … questo vi comando: amatevi gli uni gli altri" ( Gv 15,9.17 ).
In tal modo l'incontro odierno offre l'occasione per ravvivare sempre di nuovo l'amore fraterno, in questa luce dell'amore come risposta a Cristo, che si manifesta mediante la partecipazione al servizio della Sede apostolica, fatto "per il bene dei fratelli".
Se il ministero petrino di "pascere il gregge del Signore" è, secondo la nota espressione agostiniana, "amoris officium": "dovere di amore" ( S. Augustini In Io., 123, 5 ), l'essere chiamati, come lo è ciascuno di voi, a prestare la propria collaborazione affinché esso possa raggiungere tutti gli uomini secondo le crescenti esigenze dell'ora presente, diventa anch'esso, dunque, un dovere d'amore.
Vi saluto pertanto, carissimi, nella consapevole realtà di questo amore, che suscita echi profondi nel nostro cuore.
E ringrazio il cardinale Angelo Rossi che si è reso interprete dei vostri sentimenti.
L'incontro che si svolge in occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo mi offre ogni anno l'opportunità di gettare lo sguardo sull'attività, vista nel suo complesso, oppure in alcuni settori particolari, che la Santa Sede svolge all'interno della Chiesa.
Quest'anno la mia e vostra attenzione non può non essere rivolta all'avvenimento che ha polarizzato l'attenzione di tutta la comunità ecclesiale, nel 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II: la celebrazione della seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi nello scorso autunno.
È bene che riflettiamo insieme sul significato che l'evento ha assunto per la via che la Chiesa deve seguire nel "kairós" che per essa ha significato il Vaticano II, nei due versanti che Paolo VI indicava già nella sua prima enciclica, la Ecclesiam Suam:
da una parte è "questa l'ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, deve meditare sul mistero che le è proprio, deve esplorare … la dottrina … sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale" ( Pauli VI Ecclesiam Suam, 10 );
dall'altra, continuava il mio predecessore, "la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere.
La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio" ( Pauli VI Ecclesiam Suam, 67 ).
Ecco le due direzioni di questa via della Chiesa: contemporaneamente "ad intra" e "ad extra", poiché tali dimensioni, sono complementari, sono, diciamo così, organicamente unite.
Ebbene, il Concilio Vaticano II ha corrisposto a queste attese.
Con mirabile fusione di cuori, di intelletti e di volontà, la Chiesa si sentì intimamente unita, come nelle sue origini apostoliche, nella comprensione della via da percorrere per essere fedele a Cristo nel tempo nostro, come sempre lo è stata nel passato; e si sentì immersa nell'amore di Cristo.
"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore …
Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".
Vent'anni fa, intorno alla stessa Confessione di Pietro, dove oggi ci incontriamo noi, lavoravano i Padri del Vaticano II.
Fu, quella, una particolare espressione della collegialità dell'Episcopato - e quindi una reale espressione di questo amore, che, secondo le parole del Salvatore, deve sempre costruire l'unità dei discepoli, cioè l'unità della Chiesa, mediante la verità e la carità.
In questo senso il Concilio è stato, si può dire, il più grande avvenimento della vita della Chiesa anzi nella cristianità nel nostro secolo.
Il Vaticano II, con l'aiuto dello Spirito di verità, col sostegno del Paraclito, ha tracciato la via, nella duplice direzione già sottolineata, che la Chiesa deve seguire in questa tappa della sua storia.
Dopo vent'anni dalla conclusione del Concilio sembrava utile, o addirittura necessario, gettare collegialmente uno sguardo sull'orientamento che questa via ha tenuto finora.
Tanto più che in particolare "ad extra" siamo stati testimoni di siffatte tendenze o interpretazioni del Vaticano II che volevano, o almeno potevano, portare fuori della strada seguita dal Concilio stesso.
Il Sinodo, come indicavo fin dal primo annunzio che ne feci il 25 gennaio 1985 dalla basilica di San Paolo, voleva perciò mandare al Vaticano II come all'"avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea", poiché "occorre incessantemente rifarsi a quella sorgente".
Bisognava "vivere in qualche modo quell'atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale, che caratterizzò l'Assise ecumenica,
nella vicendevole partecipazione delle sofferenze e delle gioie, delle lotte e delle speranze, che son proprie del corpo di Cristo nelle varie parti della terra;
scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l'applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari;
favorire l'ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze" ( Attività della Santa Sede 1985, pp. 66 s. ).
E questo è stato l'orientamento fondamentale del Sinodo, accolto con molta attenzione e seguito con partecipe interesse dall'opinione pubblica nel mondo.
Come rilevavo al termine dei lavori, si è manifestato in esso "in maniera eccellente lo spirito di collegialità" ( Ioannis Pauli PP. II Post expletam Synodum Extraordinariam in festo B. Mariae Virginis Immaculatae in basilica Petriana habita, 5, die 7 dec. 1985 ).
Soprattutto si è manifestata in quella occasione la convergenza di tutta la Chiesa attorno al Concilio.
A vent'anni dalla sua chiusura, e facendo un bilancio di quell'insieme di studi, di iniziative, di orientamenti, di tentativi, di sperimentazioni a cui il Vaticano II aveva dato origine in questi due decenni, si è sentito il bisogno di una pausa di raccoglimento e di riflessione
per fare il punto della situazione con obiettività, alla luce della parola di Dio e con l'aiuto della grazia del Signore,
per cogliere con rinnovata acutezza, sotto l'impulso dello Spirito Santo, gli appelli dei segni dei tempi;
per riformulare piani di azione pastorale e collegiale sulla linea dei documenti conciliari, soprattutto delle quattro grandi Costituzioni;
per vedere che cosa di veramente valido sia stato compiuto e quale ulteriore slancio in avanti sia possibile e doveroso compiere.
L'intera Chiesa si è sentita coinvolta da questa consapevolezza.
Desidero esprimere qui, ancora una volta, il mio apprezzamento commosso per la prontezza e la solidarietà con cui fu accolto l'invito al Sinodo, per lo scopo indicato, fin dal primo suo annuncio: effettivamente, tutta la comunità ecclesiale ha unanimemente dimostrato - attraverso i vescovi inviati quali rappresentanti delle Chiese Orientali e delle varie Conferenze episcopali, e quali portavoce delle attese di tutte le componenti del popolo di Dio - di voler confrontarsi con le consegne del Concilio, studiarne più a fondo tutte le implicazioni, e applicarle a raggio sempre più vasto, per le gravi responsabilità dell'evangelizzazione del mondo intero.
Si è visto limpidamente che il Vaticano II è l'anima di questa azione pastorale della Chiesa di oggi, e che vi è una seria volontà di portarne avanti le grandi linee direttrici e di seguire la via da esso indicata.
Ne siano rese grazie a Dio.
Lo Spirito Santo ha favorito e protetto i lavori sinodali.
Così come, vent'anni fa, fu doveroso ringraziare il Paraclito per il dono del Concilio, da lui fatto alla Chiesa, così in questa tappa, contrassegnata dal Sinodo straordinario, occorre ringraziarlo per la sua discreta ma efficace chiamata, dalla quale è scaturita l'iniziativa della celebrazione, e si sono sviluppati poi gli incontri dei Presidenti delle conferenze degli episcopati di tutto il mondo, dei cardinali, prefetti dei Dicasteri della Curia Romana, dei superiori generali, dei vari membri della vita religiosa e del laicato, uomini e donne del nostro tempo, nell'ambito del Sinodo straordinario, sotto il saggio coordinamento del Segretario Generale e dei suoi collaboratori.
Il ringraziamento deve innalzarsi verso il divino Spirito anche per il fatto che il servizio sinodale, nei suoi vari livelli, si è rivelato come un'efficace ed evidente conferma della sua natura istituzionale e delle sue finalità.
In questo modo la Chiesa intera, e ogni Chiesa particolare nell'universale unione di intenti e di lavori - "cor unum et anima una" ( At 4,32 ) - si è nuovamente consolidata nella comune presa di coscienza dell'orientamento conciliare e si è sentita nuovamente chiamata al compimento, nell'amore, della missione da Cristo affidata a Pietro e agli apostoli.
"Rimanete nel mio amore".
Dell'accennata sollecitudine collegiale e dello sforzo comune di contribuire alla costante e crescente valorizzazione dei documenti del Vaticano II è stata testimonianza eloquente la Relatio finalis, documento conclusivo del Sinodo straordinario dello scorso anno.
È stato, quello, uno sguardo gettato con serena obiettività e con viva ansia pastorale, sui problemi della Chiesa nel dopo-Concilio:
una disamina che ha preso atto della situazione venutasi a creare in questi venti anni, con tutte le sue splendide acquisizioni, ma anche con le zone d'ombra che hanno potuto accompagnarne gli sviluppi;
e, conseguentemente, la Relatio ha considerato a fondo, dando gli opportuni suggerimenti, i problemi più importanti e cruciali della vita della Chiesa contemporanea:
il mistero della Chiesa, inquadrato nel mistero di Dio-Trinità, nel quale logicamente si radica e si proietta la chiamata universale alla santità;
le fonti di cui la Chiesa vive: anzitutto la parola di Dio e le esigenze di una appropriata evangelizzazione all'uomo d'oggi, senza trascurare il mutuo apporto del magistero dei vescovi e dell'opera dei teologi;
e in secondo luogo la liturgia, che "deve favorire e far risplendere il senso del sacro", privilegiando a tale scopo la "catechesi mistagogica";
la realtà della Chiesa intesa come comunione, nell'armonia profonda tra le esigenze di unità e di pluriformità, nell'interscambio tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente, nell'apporto delle Conferenze episcopali;
la missione della Chiesa con le enormi implicanze dell'aggiornamento, dell'inculturazione, del dialogo con le religioni non cristiane e i non credenti, dell'opzione preferenziale per i poveri, della promozione umana, nel solco tracciato dalla Gaudium et Spes e secondo l'insegnamento sociale della Chiesa.
Altro punto che è stato tenuto vivamente a cuore nelle riunioni sinodali è stato quello della formazione dei futuri sacerdoti:
la Chiesa del terzo millennio sarà nelle loro mani, e la loro azione pastorale, traduzione vivente degli insegnamenti conciliari, avrà enormi responsabilità.
Così sono stati accolti assai favorevolmente gli echi in campo ecumenico: infatti, i padri sinodali hanno insistito molto fortemente sull'arricchimento che il Vaticano II ha portato negli sviluppi dell'ecumenismo, in una progressione calma e pur costante, che sta portando frutti promettenti.
Tale impegno ecumenico è stato anche sottolineato dal Servizio di preghiera, a cui ho partecipato insieme con i dieci osservatori delle Comunioni e Chiese mondiali, oggi impegnate nel dialogo teologico con la Chiesa cattolica.
L'insieme di tutti questi elementi è stato di una profonda suggestività ed eloquenza: davvero, ancora una volta, lo Spirito ha parlato alle Chiese "con la voce di molte acque" ( cf. Ap 1,15; Ap 2,7.11.17.29; Ap 3,6.13.22 ).
Il documento della Relatio finalis si trova ora, consegnato alla Chiesa, come un insieme di riflessioni e di voti, affinché tutti ne traggano, non solo a parole, ma con un serio impegno di ascolto e di applicazione, le linee per l'azione pastorale per tutto questo scorcio finale del secondo millennio.
Come ho detto ancora nella citata allocuzione conclusiva, "spetta ai vescovi, in quanto pastori delle anime, affiancati dai loro sacerdoti, di istruire i fedeli sulle cose che il Sinodo ha proposto come salutari e di esortarli ad attingere con rinnovato fervore dai tesori del Concilio incitamento a vivere cristianamente in modo sempre più aderente ai principi della fede" ( Ioannis Pauli PP. II Post expletam Synodum Extraordinariam in festo B. Mariae Virginis Immaculatae in basilica Petriana habita, 8, die 7 dec. 1985 ).
Mi sia consentito ricordare ancora - nel contesto dell'applicazione del Concilio, di cui il Sinodo straordinario dei vescovi è stato chiara testimonianza - l'indizione del "Sinodo pastorale diocesano" di Roma, che ho già annunciato nella grande veglia di Pentecoste, lo scorso 17 maggio.
È di questi giorni la costituzione dell'apposita "Commissione antepreparatoria", che raccoglierà gli elementi necessari per elaborare il piano di lavoro vero e proprio per l'immediata realizzazione dell'iniziativa.
Il Sinodo pastorale, dopo quello celebrato da Giovanni XXIII, vuol essere la risposta concreta della diocesi di Roma alle consegne del Vaticano II sui vari fronti della Chiesa, sia al suo interno sia proiettata nel dialogo e nei contatti con tutte le forme della moderna vita civile e sociale: per questo non ci stancheremo di raccomandare al Signore la buona riuscita del lavoro che ci attende, per le future sorti della Chiesa che è in Roma.
Ritengo utile ricordare ora alcuni compiti specifici, che non possono essere direttamente assolti dalle Chiese particolari e sono stati indicati con attenzione prioritaria al termine dell'assemblea del Sinodo straordinario.
Essi sono:
la pubblicazione del Codice di diritto canonico per le Chiese orientali;
la preparazione di un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica;
l'approfondimento dello studio della natura delle conferenze episcopali.
Il Consiglio della Segreteria generale del Sinodo, chiamato a collaborare a tale piano di lavoro, si è occupato, nella sua riunione del marzo scorso, del modo di attuare i suggerimenti sinodali.
a) Per quanto riguarda il Codice di diritto canonico orientale, l'apposita Commissione sta lavorando perché in un tempo abbastanza breve sia dato alle venerate Chiese d'Oriente un Codice, nel quale esse possano riconoscere non solo le loro tradizioni e discipline, ma anche e soprattutto il loro ruolo e la loro missione nel futuro della Chiesa universale e nell'ampliamento della dimensione del Regno di Cristo Pantocrator.
b) La preparazione del catechismo corrisponde anch'essa a un preciso voto del Sinodo straordinario per l'esigenza, acutamente avvertita in tutta la Chiesa, di maggiore chiarezza e sicurezza dottrinale per porre termine a insegnamenti o interpretazioni della fede e della morale, non concordi fra di loro o col magistero universale.
A tale scopo è stato auspicato un compendio della dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, affinché possa essere un punto di riferimento per i catechismi preparati o da preparare nelle diverse regioni ( cf. Relatio finalis, II B, a 4 ).
Non era la prima volta che i pastori richiedevano una linea direttrice per la catechesi contemporanea.
Se ne parlò in modo particolare in occasione del Sinodo ordinario del 1977: e nell'esortazione apostolica Catechesi Tradendae ( n. 50 ), facendo eco alle "Proposizioni" del Sinodo, mi rivolgevo alle Conferenze episcopali perché intraprendessero "con pazienza, ma anche con ferma risolutezza, l'imponente lavoro da compiere d'intesa con la Sede apostolica, per approntare dei catechismi ben fatti, fedeli ai contenuti essenziali della rivelazione e aggiornati per quanto riguarda la metodologia, capaci di educare a una fede solida le generazioni cristiane dei tempi nuovi" ( cf. Synodi Extraordinariae Episcoporum Relatio Finalis, II B, a 4 ).
L'unanimità dei consensi della seconda Assemblea generale straordinaria ha richiesto che si procedesse quanto prima alla preparazione di un catechismo per la Chiesa universale, da promuovere dalla Santa Sede allo scopo indicato.
L'iniziativa richiederà due fasi: la preparazione di un progetto e la consultazione delle Chiese orientali e delle Conferenze episcopali sullo stesso progetto.
L'elaborazione di questo richiede un riferimento e un collegamento costanti alle esigenze della Chiesa universale.
Per la redazione del progetto è sembrato perciò importante affidarla a un gruppo ristretto ma rappresentativo di pastori dei vari continenti e di responsabili dei competenti Dicasteri della Curia Romana.
Seguirà la consultazione dei vescovi e dei maestri dell'annuncio della Parola, per cogliere i loro suggerimenti e i loro pareri, come si è fatto per il nuovo Codice di diritto canonico, affinché l'opera compiuta sia una vera risposta alle attese della Chiesa.
Tenendo conto di queste considerazioni, si è ritenuto opportuno di costituire una particolare commissione, della quale è stata data notizia il 10 giugno scorso:
essa consta di 12 tra cardinali e vescovi rappresentanti della Curia Romana, di Chiese particolari e della segreteria del Sinodo, sotto la presidenza del Progetto della Congregazione per la dottrina della fede;
la Commissione potrà fare appello, per lo svolgimento del suo lavoro, a consultori e ad esperti, affinché la preparazione del Catechismo sia fatta nello stile e nel modo auspicati dai padri sinodali e richiesti dalle esigenze pedagogiche, psicologiche e tecniche della società e cultura moderna.
Il risultato della successiva consultazione dovrebbe portare a un vero e proprio progetto di catechismo, da proporre a una delle prossime Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei vescovi, in vista della approvazione pontificia e della successiva pubblicazione, che, con l'aiuto del Signore, potrebbe avvenire in occasione del XXV anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II.
c) Quanto alle Conferenze episcopali, esse sono diventate in questi anni una realtà concreta, viva ed efficiente in tutte le parti del mondo.
Il Sinodo ha auspicato che sia approfondito lo studio teologico delle Conferenze episcopali e soprattutto dei loro compiti dottrinali.
Non mancano, è vero, contributi di valore sulle Conferenze episcopali, ma la crescita delle loro strutture e della loro influenza fa nascere anche problemi dottrinali e pastorali, risultanti dalla logica del loro sviluppo e della loro importanza.
I suggerimenti del Sinodo per approfondire lo studio della natura, delle competenze e della sfera di azione delle Conferenze episcopali si richiama al decreto Christus Dominus ( Christus Dominus, 30 ) e al Codice di diritto canonico, il quale stabilisce che nelle Conferenze episcopali i vescovi "esercitino congiuntamente alcune funzioni per promuovere maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini" soprattutto mediante forme e modalità di apostolato opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo ( Codex Iuris Caonici, can. 447 ).
Lo studio auspicato concerne quindi aspetti dottrinali circa la natura e l'autorità delle Conferenze episcopali.
Proprio in vista dell'intima importanza, che la natura stessa e l'ampiezza di tale studio possono suscitare, è stato stabilito che esso sia affidato a un organismo centrale della Chiesa che, grazie alla sua esperienza e alla sua struttura, possa rispondere alle esigenze dottrinali e all'impostazione del metodo di lavoro.
Di conseguenza, con lettera del 19 maggio scorso, ho affidato al cardinale prefetto della Congregazione per i vescovi la responsabilità per lo studio della presente questione.
Il procedimento previsto è fondato sulla consultazione delle Chiese locali e sulla collaborazione di organi rappresentativi e competenti della Curia Romana.
In tale contesto vorrei aggiungere alcune considerazioni sul tema della sussidiarietà, strettamente legato a quello della natura e dello scopo delle Conferenze episcopali.
La Relatio finalis ( II, C, 8 c ) ha infatti anche raccomandato che "uno studio esamini se il principio di sussidiarietà vigente nella società umana possa essere applicato alla Chiesa e in quale grado e senso tale applicazione possa e debba essere fatta" ( Synodi Extraordinariae Relatio Finalis, II, C, 8 c ).
Come si vede è una questione sottile, che prende origine da problemi di natura sociale, non ecclesiale.
Già i miei predecessori Pio XI e Pio XII di v. m. l'avevano accolto come principio valido per la vita sociale mentre, per la vita della Chiesa, avevano rilevato che ogni applicazione va fatta "senza pregiudizio della sua struttura gerarchica", come si espresse Pio XII il 20 febbraio 1946, dopo l'imposizione della berretta ai cardinali allora eletti, come pure senza pregiudizio della natura o dell'esercizio del primato del Romano Pontefice ( cf. Conc. Vat. I ).
Il Sinodo straordinario del 1969 aveva già trattato della questione, chiedendo che fosse meglio studiata e precisata la competenza dei vescovi, sia singolarmente presi sia riuniti in Conferenza.
Successivamente il Codice ( "praefatio" ), nella sua prefazione, ha demandato "sia ai diritti particolari, sia alla potestà esecutiva ciò che non è necessario all'unità della disciplina della Chiesa universale" ( Codex Iuris Caonici, Praefatio ).
Il Concilio e, successivamente, il Codice, pur evitando di utilizzare il termine "sussidiarietà", hanno incoraggiato la partecipazione e la comunione tra gli organismi della Chiesa.
Come si vede, non è soltanto una questione di terminologia, ma anche di concetti.
Per questo il Sinodo ne ha auspicato l'ulteriore approfondimento mediante un apposito studio.
Le possibilità e i modi di realizzarlo sono di tale ampiezza che il Consiglio della Segreteria del Synodus Episcoporum mi ha chiesto, e l'ho concesso volentieri, che un'ulteriore riflessione sia fatta sul tema specifico per raccogliere maggiori elementi e idee, e sia stabilito uno "Status quaestionis".
Il lavoro è iniziato, e i primi risultati saranno esaminati nella prossima assemblea autunnale dello stesso Consiglio.
Il Vaticano II ha dato inizio a una nuova riflessione sulla teologia dell'episcopato, che sta dando i suoi effetti concreti nell'applicazione della collegialità e della comunione ecclesiale.
Nuove forme di collaborazione e di corresponsabilità suscitano nuovi concetti e nuovi sentieri per il pensiero teologico.
Ma l'ecclesiologia conciliare, ricca di idee e di termini nuovi, è anche attenta a non creare tensione inadeguata tra l'ordine teologico e quello pastorale.
Inoltre l'ecclesiologia del Vaticano II, sotto i suoi diversi aspetti ( communio, mistero, collegialità, carismi, collaborazione ), rimane estranea al principio filosofico-politico di democrazia, giacché "l'appartenenza alla Chiesa come popolo di Dio deriva da una chiamata particolare, unita all'azione salvifica della grazia" ( Redemptor Hominis, 21 ).
Carissimi fratelli e sorelle.
Giunti alla conclusione di questo incontro, che ci vede riuniti in preghiera nel ricordo e presso le spoglie mortali di Pietro, non posso non rinnovare insieme con voi la mia adorazione e il mio ringraziamento allo Spirito Santo, che ha guidato la Chiesa del nostro tempo nell'arduo cammino di rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II.
Sotto la sua guida anche il Sinodo straordinario dei vescovi dello scorso anno è stato condotto a termine, con una rinnovata consapevolezza - e nei padri sinodali e nella Chiesa intera - che senza l'aiuto dello Spirito nulla può essere fatto di santo e di decisivo per continuare nel mondo il mandato missionario di Cristo.
"Sine tuo numine, nihil".
Lo Spirito Santo ha guidato i lavori del Concilio Vaticano II, ha guidato i lavori dei Sinodi successivi fino a quello più recente, con il fuoco del suo amore e la brezza del suo refrigerio.
"In labore requies".
Egli ha riempito i cuori di tutti i pastori e del popolo di Dio: "reple cordis intima tuorum fidelium".
Così egli ci ha condotto a quella conoscenza della verità - "docebit vos omnem veritatem" ( Gv 16,13 ) - che Cristo ha promesso agli apostoli nel cenacolo prima della passione e risurrezione, e che continua a realizzarsi in ogni epoca della Chiesa, specie in quelle più cruciali com'è la nostra.
E voi, miei diletti collaboratori, avete vissuto con me questo avvenimento e, in un modo o nell'altro, siete stati coinvolti nella prosecuzione dell'attività della Sede apostolica.
Siamo tutti sotto l'influsso dello Spirito "che è Signore e dà la vita".
Per questo vorrei che l'enciclica, recentemente pubblicata con la data della Pentecoste, sia da voi accolta anche come segno di riconoscenza al divino Spirito, che tutti ci guida, ci istruisce e ci conforta.
Che ci immerge sempre di nuovo in una nuova Pentecoste.
"In mezzo ai problemi, alle delusioni e alle speranze, alle diserzioni e ai ritorni di questi tempi, la Chiesa rimane fedele al mistero della sua nascita.
Se è un fatto storico che la Chiesa è uscita dal cenacolo il giorno di Pentecoste, in un certo senso si può dire che non lo ha mai lasciato.
Spiritualmente l'evento della Pentecoste non appartiene solo al passato; la Chiesa è sempre nel cenacolo, che porta nel cuore.
La Chiesa persevera nella preghiera, come gli apostoli insieme a Maria" ( Dominum et Vivificantem, 66 ).
Ringraziamo il Signore che ci fa vivere continuamente in queste esperienze fondamentali.
E beati noi se ci lasceremo condurre docilmente da lui, per vivere di lui nel servizio della Chiesa e dei fratelli.
È l'augurio che vi faccio con le parole di sant'Agostino: "Si … vultis vivere de Spiritu Sancto, tenete caritatem, amate veritatem, desiderate unitatem, ut perveniatis ad aeternitatem: se volete che lo Spirito sia la vostra vita, conservate la carità, amate la verità, desiderate l'unità, per giungere all'eternità" ( Sermo 267, 4 ).
E nell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, tutti vi benedico.