Formazione al celibato sacerdotale |
Matrimonio e celibato sono due stati di vita autenticamente cristiana.
Ambedue sono modi di realizzazione specifica della vocazione cristiana.11
Il celibato per il regno dei cieli ( Mt 19,12 ) è un dono fatto da Gesù Cristo alla sua Chiesa.
Non è un carisma che appartenga essenzialmente ed esclusivamente al sacerdozio; non è quindi una vocazione necessaria e unica del sacerdote.
Esso può essere vissuto, nella Chiesa, da gruppi di persone che sono chiamate, in forme diverse, all'esperienza delle virtù evangeliche.
Il celibato costituisce, perciò, un segno che va inquadrato nel posto che gli compete tra gli altri valori evangelici.
In quanto è scelto e vissuto per il regno dei cieli, esso è strettamente legato alle altre virtù evangeliche della povertà e dell'obbedienza; infatti, tali virtù, prese nel loro insieme, sono tra loro collegate e complementari, ed esprimono un'esistenza totalmente inserita nel vangelo.
I sacramenti del battesimo e dell'ordine fanno partecipare, attraverso il mistero pasquale del Signore, al sacerdozio del Cristo.
L'ordine sacro è una partecipazione alla funzione « capitale » del Cristo sacerdote; conferisce il sacerdozio ministeriale, che differisce essenzialmente - e non solo di grado - dal sacerdozio comune conferito dal battesimo;12 costituisce i sacerdoti « ministri », cioè rappresentanti di Gesù Cristo, come capo della Chiesa, e partecipi dell'autorità con la quale egli stesso fa crescere, santifica e governa il suo corpo mistico.13
I presbiteri, « in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura al Cristo sacerdote ».14
Essi, come il Cristo e nella sua carità, sono inviati per la salvezza del popolo di Dio; sono chiamati ad indirizzare gli uomini, mediante la comunità ecclesiale, fondata sulla parola di Dio e l'eucaristia, verso una sempre più estesa e profonda vita nello spirito del Cristo, così da testimoniare sempre più la sua resurrezione.
Le virtù evangeliche si iscrivono, contemporaneamente, sia come imperativi sia come grazie nella consacrazione sacerdotale.
Il candidato al sacerdozio, consacrandosi al Cristo sacerdote, ne assume gli impegni evangelici, prolungando la sua stessa missione e testimoniandolo con una vita evangelica.
Il sacerdozio ministeriale richiede quella forma particolare di amore che è la carità pastorale, con la quale il sacerdote tende a donare tutta la sua vita per la salvezza degli altri, e la esige proprio in quanto la dona.
Le virtù evangeliche sono precisamente al servizio di questa carità pastorale.
Se è vero che ogni cristiano è consacrato a Dio nel Cristo ed è al servizio dei fratelli, non è meno vero che la consacrazione a Dio nel sacerdozio esige una partecipazione più generosa e più completa, che trova appunto nell'esercizio delle virtù evangeliche la risposta più adeguata all'ideale di perfezione sacerdotale.
Il celibato ha un evidente valore positivo come totale disponibilità all'esercizio del ministero sacerdotale e come mezzo di consacrazione a Dio con cuore indiviso; ha un valore di segno e di testimonianza dell'amore quasi paradossale per il regno dei cieli.
A proposito del fondamento del celibato, nel documento conclusivo del Sinodo citato si legge che « il celibato dei sacerdoti concorda pienamente con la chiamata alla sequela apostolica del Cristo e anche con la risposta incondizionata del chiamato, il quale assume il servizio pastorale ».15
Viene parimenti fatto rilevare che, « se il celibato, poi, è vissuto in spirito evangelico, nell'orazione e nella vigilanza, con povertà, in letizia, nel disprezzo degli onori e in amore fraterno, esso è un segno che non può restare a lungo nascosto, ma proclama efficacemente il Cristo agli uomini anche della nostra età ».16
Il celibato trascende le vie comuni e implica un impegno totale della persona.
Esso non si conserva se non mediante la collaborazione con la grazia di Dio; più che come una legge ecclesiastica, il celibato va inteso come una « qualificazione », alla quale viene conferito il valore di un'offerta pubblica davanti alla Chiesa.
Il celibato quindi è un'offerta, un'oblazione, un vero e proprio sacrificio di carattere pubblico oltre che personale; non è una semplice rinunzia ad un sacramento - qual è il matrimonio - per il regno dei cieli.
« Il candidato deve concepire questa forma di vita non come imposta dal di fuori, ma piuttosto come la manifestazione della sua libera donazione, che viene accettata e ratificata dalla Chiesa per mezzo del vescovo ».17
Nessuno dubita che Gesù Cristo ha posto davanti agli occhi di tutti i discepoli le massime esigenze per la sua sequela.
In questo contesto ha richiesto ancora più profonde disposizioni da coloro che ha chiamato al compito apostolico.
Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni lasciarono tutto per seguire il Cristo ( Mc 1,16-20 ), il quale esaltò il celibato abbracciato per il regno dei cieli ( Mt 19,12 ).
Paolo Apostolo visse questo radicalismo evangelico e lo considerò come dono divino, che consente di meglio dedicarsi, con cuore indiviso, al Signore.
In tale modo, nei ministri della Chiesa con il celibato si rafforza la disponibilità nell'opera del vangelo, si aumenta la loro capacità di testimonianza e si custodisce la libertà per contestare ogni oppressione.
Nel celibato si ha una mirabile partecipazione a quella kénosis che fu la via del Cristo nel suo mistero pasquale.
Innestato nella vita sacerdotale, il celibato, pur non essendo necessario in modo assoluto né all'esistenza né all'esercizio del sacerdozio, tuttavia gli è così confacente da illuminarne la natura e favorirne l'azione.
Esso realizza in modo eminente le dimensioni di consacrazione a Dio, di configurazione al Cristo, di dedizione alla Chiesa, che sono caratteristiche proprie del sacerdozio; esprime l'ideale che il carattere sacerdotale tende a promuovere.
Il celibato tende ad illuminare e a potenziare la stessa carità del sacerdote: perfeziona e, in certo modo, anticipa la futura vita caritativa risorta nel Cristo, cui il sacerdozio orienta.18
Con il celibato abbracciato e vissuto per il regno dei cieli, il sacerdote risponde all'appello della configurazione al Cristo e anticipa il mondo futuro, già presente per mezzo della fede e della carità.
Tale consacrazione costituisce così un segno della speranza escatologica, un segno profetico della realtà futura, quando tutti gli uomini, unificati nel Cristo dal suo Spirito, non vivranno che per la lode del Padre.
Ogni cristiano peraltro ha il dovere di testimoniare nel mondo la carità del Cristo, e tutta la vita cristiana - dal martirio alla vita religiosa, dal sacerdozio alla vita coniugale - appare permeata del carattere escatologico. Non è, propriamente parlando, il celibato che conferisce il senso escatologico al sacerdozio.
Questo già lo possiede per se stesso, come lo possiedono, per se stessi e in modo complementare, tutti gli altri stati o vocazioni di vita cristiana.
Tuttavia, il celibato sacerdotale è armonizzato con il senso escatologico del sacerdozio e, sotto certi aspetti, lo potenzia ulteriormente e in modo singolare;19 gli offre la possibilità di immedesimarsi più pienamente con la perfetta carità del Cristo risorto.20
C'è chi si chiede, oggi, se non si potrebbe rimanere buon sacerdote anche senza vivere nello stato celibe.
Certamente il celibato sacerdotale, introducendo una scelta del tutto particolare nella vita sia umana sia cristiana, implica il sacrificio di qualche bene.
È senz'altro possibile pensare che lo stato matrimoniale, in certe situazioni, possa in qualche modo maggiormente facilitare l'accesso alla vocazione sacerdotale e, persino, presso qualche sacerdote favorire un equilibrio umano affettivo più profondo; però ciò non toglie che il celibato, in se stesso, sia più appropriato alla missione sacerdotale e che la conseguente rinunzia possa tradursi in carità redentiva.
Non esiste stato o vocazione che non comporti la rinunzia a certi valori, non solamente in quanto vissuti da creature umane, ma anche perché in esse deve potersi effondere la grazia del mistero pasquale del Signore.
La convenienza della connessione del celibato con l'ufficio sacerdotale o della loro limitata disgiunzione non costituisce una semplice scelta disciplinare: è decisione pastorale di governo ecclesiastico, la quale non può basarsi in forma esclusiva né sulla sola luce della fede né sulla mera indagine sociologica, ma deve risultare dalla fusione armonica dei due elementi.21
Sono codeterminanti l'approfondimento dei valori sacerdotali, comunicati da una fede viva, e la riflessione attenta sull'esperienza sacerdotale.
Nell'esigere il celibato, la Chiesa ha motivazioni profonde, che si fondano sull'imitazione del Cristo, sulla funzione di rappresentatività del Cristo capo della comunità e sulla disponibilità di servizio come mezzo indispensabile per edificare continuamente la Chiesa.22
Essa non è mossa da ragioni di « purezza rituale » o dal concetto che solo per mezzo del celibato si possa giungere alla santificazione.
Tra le motivazioni storicamente addotte per giustificare il celibato sacerdotale vi possono essere anche quelle che si rivelano caduche con il passare del tempo; ma ciò non deve condurre a rinnegare la convenienza tra celibato e sacerdozio, perché questa è un'esperienza viva della Chiesa collegata non tanto con questa o con quell'altra motivazione, quanto piuttosto con la realtà fondamentale del cristianesimo, che è la persona di Gesù Cristo, il quale fu, nello stesso tempo, vergine e sacerdote.23
Nel senso proposto dalla Chiesa, il celibato non è un elemento esterno, impersonale, ma è parte integrante della vita e del ministero sacerdotale.
Originariamente esso è sempre un dono conferito dall'alto; un dono, però, che deve pervadere la vocazione sacerdotale, divenendone una componente quanto mai importante e qualificante.
La convenienza tra celibato e sacerdozio appare sempre maggiore a mano a mano che si mette in luce l'aspetto cristologico, ecclesiologico ed escatologico del celibato.
Per questo il Concilio Vaticano II parla di « multimodam convenientiam », con riferimento alla consacrazione e alla missione del sacerdote nell'ambito del mistero del Cristo e della Chiesa.24
Il Sinodo summenzionato riafferma la legge vigente del celibato « in ragione dell'intima e molteplice convenienza tra l'ufficio pastorale e la vita celibe ».25
Il sacerdote è rappresentante della persona del Cristo, deputato dalla sua ordinazione non solo al compito di edificare il popolo di Dio, mediante il ministero della parola e l'eucaristia, ma anche a manifestare in un modo unico e sacramentale l'amore fraterno, servendo così ugualmente la causa dell'edificazione del regno.
L'invito fatto da Gesù agli Apostoli di lasciare tutto, oltre che mirare ad una maggiore disponibilità per l'avvento del regno, comprendeva anche la prospettiva di entrare nella comunione apostolica, ove si possono realizzare profonde e benefiche relazioni interpersonali.
Il celibato sacerdotale è una comunione con il celibato del Cristo.
La novità del sacerdozio cristiano partecipa intimamente della novità del Cristo,26 perché una visione di fede presiede a tutto lo svolgimento delle ragioni che militano a favore del sacro celibato nel suo significato cristologico, ecclesiologico ed escatologico.27
Il sacerdote, partecipando realmente dell'unico sacerdozio del Redentore, ha in lui anche « il modello diretto e il supremo ideale » che, appunto in quanto supremo, è logicamente aperto a tutti gli eroismi e alle più ardue conquiste.28
Di qui l'ansia di voler riprodurre, nell'esercizio del sacerdozio, lo stesso stato e la stessa sorte del Signore, per una configurazione a lui più perfetta possibile.29
Sembra che il celibato sacerdotale non sia favorito dall'ambiente sociologico odierno.30
Le idee sono in radicale processo di revisione e la società non opera certo in favore della stabilità della vocazione, ma piuttosto in senso contrario.
Tutto questo fa sì che il celibato sia particolarmente esposto alla crisi.
Esso sembra, oggi, secondo alcuni, parzialmente ostacolare la missione sacerdotale nel porsi al servizio degli umili e dei poveri.
Il sacerdote desidera essere inserito nella vicenda umana senza privilegi, esenzioni o limitazioni; amerebbe partecipare alle fondamentali esperienze dell'uomo ( lavoro, insicurezza, abitazione, amore, cultura, divertimento ecc. ); soprattutto sente il forte richiamo dell'amore umano.
Il celibato sacerdotale, oltre ad essere, oggi, non facilmente comprensibile da molti, riesce particolarmente difficile quando è vissuto da persona che si crede lesa nella sua autonomia e misconosciuta nelle sue rivendicazioni.
In tale situazione, il soggetto cerca istintivamente, per compensazione, di rivalersi richiedendo un supplemento di affetto, anche se vietato.
La ricerca di compensazioni affettive può essere favorita anche dal semplice fatto che le donne - con le quali il sacerdote ha rapporti in forza del suo ministero - sono portate a confidarsi con lui, anche perché il suo stato celibe suscita fiducia; esse talvolta ricercano, presso di lui, un appoggio maschile.
Inoltre, nel diffuso ambiente promiscuo, la situazione è resa più difficile per i pericoli ai quali particolarmente nella società d'oggi è esposta la castità dei candidati.31
Il celibato, considerato nella sua prospettiva concreta d'oggi, pone in evidenza la necessità di consentire una maturità affettiva umana e, insieme, di far vivere la continenza come espressione della carità apostolica.32
Una continenza non interiormente dominata dalla carità apostolica non è per nulla evangelica, nè d'altronde potrebbe essere praticata dalla persona consacrata, la quale ha scelto il celibato per vivere e comunicare la carità ecclesiale in modo più intenso e originale.
La persona celibe, matura affettivamente e spiritualmente, non si sente sotto la costrizione della legge canonica esteriore, nè giudica le precauzioni necessarie come prescrizione imposta dall'esterno.
La castità celibataria non è tanto un tributo che si paga al Signore, quanto piuttosto un dono che si riceve dalla sua misericordia.
La persona che entra in questo stato di vita deve essere consapevole che non si assume solo un peso, ma riceve soprattutto una grazia liberatrice.
Lo scopo della formazione seminaristica è di preparare un uomo maturo, responsabile, un sacerdote perfetto e fedele.
Però le condizioni odierne del mondo non facilitano una tale maturazione e perfezione; questa situazione socio-ambientale negativa impone pertanto un accrescimento di responsabilità personale nei candidati al sacerdozio; infatti, il compito di attuare pienamente la loro vocazione ricade, in fondo, su di essi stessi.
Indice |
11 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 20 |
12 | Cfr. Lumen gentium, n. 10 |
13 | Cfr. Presbyterorum ordinis, n. 2 |
14 |
Presbyterorum ordinis, n. 2; cfr. Lumen gentium, n. 28; Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 19 segg |
15 | Doc. SYN. EP., 30 nov. 1971, De sacerdotio ministeriali, cit., p.915 |
16 | Doc. SYN. EP., 30 nov. 1971, De sacerdotio ministeriali, cit., p.915 |
17 | Doc. SYN. EP., 30 nov. 1971, De sacerdotio ministeriali, cit., p.917 |
18 | Cfr.
Optatam totius, n. 10; Decr. Presbyterorum ordinis, n. 16 |
19 | Cfr.
Presbyterorum ordinis, n. 16; Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 17 |
20 | Cfr.
Optatam totius, n. 10; Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, nn. 33-34 |
21 | Cfr.
Lumen gentium, n. 29; Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n.42 |
22 | Cfr.
Presbyterorum ordinis, n. 16; Doc. SYN. EP., 30 nov. 1971, De sacerdotio ministeriali, cit., p.915 |
23 | Cfr. Lumen gentium, n. 43, n. 46 |
24 | Cfr. Presbyterorum ordinis, n. 16 |
25 | Doc. SYN. EP., 30 nov. 1971, De sacerdotio ministeriali, cit., p.916 |
26 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 19 |
27 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, nn. 17-34 |
28 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 19, n. 24 |
29 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 21 |
30 | Cfr. Paolo VI, Lett. Encicl. Sacerdotalis caelibatus, n. 1 |
31 | Cfr. Optatam totius, n. 10 |
32 | Cfr. Optatam totius, nn. 10-11 |