Mistero
… PasqualeSommario
I - Mistero pasqualeLa voce mistero pasquale non è riportata, per quanto ne sappiamo, da nessun dizionario biblico o di teologia. La sacra scrittura, d'altra parte, parla solo di « mistero di Dio » ( Col 2,2 ), di « mistero di Cristo » ( Col 4,3; Ef 3,4 ) e la spiritualità cristiana, nella riflessione sull'opera salvifica di Gesù, ha posto l'accento alternativamente ora sul primato della croce, ora su quello della risurrezione.1 La tradizione della chiesa occidentale, per cause varie, ha privilegiato il primato della croce, sulla scia soprattutto della dottrina soteriologica di s. Anselmo, che, nel presentare la redenzione operata dal Figlio di Dio fatto uomo, prescinde completamente dal ruolo della risurrezione. Molti ordini o congregazioni religiose hanno ispirato la loro formazione spirituale alla croce e alla passione di Nostro Signore ( Passionisti, Stimmatini, Società del preziosissimo Sangue di Gesù, ecc. ) e quasi nessuno alla risurrezione.2 Per contro, nel periodo immediatamente precedente e seguente il Vat II, si è avuta una fioritura di ricerche sulla risurrezione, e, sia nella liturgia che nella vita di pietà, si è fatta risaltare, quasi esclusivamente, la festa, la gioia, la vita.3 Ora, è chiaro che il mistero pasquale, nella sua integralità, abbraccia la morte e la risurrezione di Cristo, come le due punte estreme del mistero di Cristo, i momenti culminanti della sua missione salvifica e redentiva. Durante i primi tre secoli i cristiani celebravano una sola festa, cioè la veglia pasquale, per cinquanta giorni, nella quale si commemoravano insieme il giovedì, il venerdì, il sabato santo, la domenica di Pasqua, l'ascensione, la pentecoste, vale a dire il mistero pasquale nella sua fase completa. Per s. Giovanni il mistero pasquale è la consumazione della discesa del Verbo nella carne, e morte e risurrezione di Cristo costituiscono due momenti o due tappe di un unico avvenimento, condizionantisi ed interpretantisi a vicenda.4 Raramente l'annuncio della morte non contiene anche quello della risurrezione ( Lc 9,44; Mt 26,2 ). Nelle tre solenni predizioni della passione, riferite dai sinottici, il programma della vita di Gesù si chiude con la risurrezione ( Mt 16,21; Mt 17,22; Mt 20,17 e par. ).5 Se ci fosse solo il segno della morte, l'amore si rivelerebbe dono ma non vita eterna, la morte di Cristo sarebbe una testimonianza per la "giustizia" ma non una vittoria sulla morte. Se invece Cristo avesse manifestato solo la sua potenza messianica, l'amore di Dio non si sarebbe manifestato nella nostra condizione. La morte e la risurrezione sono dunque l'epifania del mistero di Dio nella condizione umana.6 Dopo aver presentato la morte e la risurrezione come le due facce dello stesso mistero di salvezza, vedremo ora come questo mistero è stato vissuto nell'esperienza di Gesù Cristo ( II ), nella vita della chiesa ( III ) ed in quella del cristiano ( IV ). II - Il mistero pasquale nella vita di Gesù1. La vita di Gesù nel mistero della croceLa vita terrena di Gesù è il compimento di un programma o di una missione, in una dimensione di obbedienza radicale ( Gv 4,34; Gv 5,19; Gv 6,38; Gv 8,55; Gv 12,49 ). L'incondizionatezza con cui egli compie questa missione gli procura dapprima il contraddittorio e alla fine l'opposizione attiva ( Mc 3,6 ). Tuttavia Gesù rimane fedele alla sua missione e si identifica con essa anche quando la resistenza al suo messaggio e alla sua azione diventa opposizione contro la sua stessa persona e si manifesta nell'annientamento violento ( Mc 12,6-8 ).7 Il vertice di questa esistenza obbedienziale, che si è tradotta in un sì deciso alla volontà del Padre, è, per Fil 2,8, la morte sulla croce e cioè una morte oltraggiosa ed infamante. Gesù cammina ed arriva alla morte in croce non a causa di un incidente e tanto meno di un fallimento della sua missione, ma secondo un disegno eterno del Padre: « Dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso » ( At 2,23 ). L'agente originario rimane Dio Padre, perché « tutto ha origine da Dio Padre, che ci ha riconciliato con sé attraverso il Cristo ed ha affidato a noi il servizio della riconciliazione » ( 2 Cor 5,18 ). Gesù è cosciente del suo destino e fin dal principio vive in virtù dell'ora: anzi, dalla distanza di questa ora misura ogni sua azione ( Gv 2,4; Gv 7,30; Gv 8,20; Gv 12,23; Gv 13,1; Gv 16,32; Gv 17,1 ). La croce, che egli non anticipa, la cui conoscenza egli rimette al Padre ( Mc 13,32 ), è la misura della sua esistenza.8 Più volte predisse ai suoi discepoli la passione ( Mt 16,21; Mc 8,31; Lc 9,22 ) e la necessità che egli passasse attraverso la sofferenza per arrivare alla gloria ( Lc 24,26 ). La risposta ai figli di Zebedeo sul calice e sul battesimo che li attendono, la parabola dei vignaiuoli omicidi ( Lc 12,49-50 ), alcune circostanze del suo ministero, come la violazione del sabato ( Mc 2,23-28 ) e l'accusa di bestemmia ( Mc 2,7 ), manifestano chiaramente che Gesù era consapevole di andare incontro ad una morte crudele e ad un destino doloroso.9 Ma è necessario notare che il linguaggio ed il comportamento di Gesù non è quello di un veggente che decifra un avvenire che sta per svolgersi davanti a lui, bensì quello di un inviato del Padre, consapevole della sua missione e del risultato cui essa porterà.10 La sua esistenza, conseguentemente, non è l'anticipazione della passione, perché "l'ora" conserva in tutte le circostanze della sua esistenza terrena una sua autentica temporalità. Privare Gesù della possibilità di affidarsi al destino di Dio e farlo avanzare verso una fine conosciuta in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità d'uomo. L'orto del Getsemani, con il « prostarsi a terra » (
Mc 14,35 ), il suo « terrore solitario » (
Mc 14,33 ) Nell'orto del Getsemani accadde ciò che Abramo non ebbe il bisogno di fare con Isacco: Cristo viene abbandonato con assoluta premeditazione dal Padre al destino della morte; Dio lo spinge in braccio alle potenze della corruzione, sia che queste prendano il nome di uomini o della morte; lo maledice, lo fa peccato ( 2 Cor 5,21 ).12 Dio, dunque, consegna per amore il Figlio suo ( Rm 8,32; 2 Cor 5,21 ) e Gesù assume attivamente a sua volta nell'amore i nostri peccati e la nostra maledizione ( Gal 3,13; Col 2,13 ), nell'esecuzione del giudizio divino sul "peccato". Egli, infatti, ormai dinanzi al rifiuto del suo annuncio del regno di Dio, centro della sua predicazione e della sua opera, prevede che dovrà prendere su di sé il giudizio di Dio, nel senso giudaico della morte. È proprio la concezione biblica della morte, intesa come salario del peccato, segno della rivolta dell'uomo contro Dio e quindi accompagnata sempre dalla separazione dell'uomo da Dio, che spiega la paura di Gesù dinanzi alla morte fisica, in contrasto, per es., con la calma che dinanzi alla morte ha Socrate. La concezione greca della morte, infatti, vedeva in essa il distacco dell'anima immortale e divina dalla materia mortale e terrena, la liberazione dell'anima dalla prigione del corpo, per accedere all'immortalità beata.13 Gesù sente tutto il peso del giudizio di Dio su Israele, oggetto dell'ira divina, ed in esso su tutta l'umanità orgogliosa è peccatrice; vede come sulla sua morte in croce, misura originale della fede cristiana e spartiacque di ogni antropologia e ideologia, si divideranno gli uomini di tutti i tempi: alcuni vedranno in essa uno scandalo o una follia e prepareranno il giudizio per la propria condanna, altri vi vedranno un dono di Dio all'uomo è anticiperanno il giudizio della propria salvezza. Gesù è il primo che accetta la propria morte senza dubitare di Dio o scandalizzarsi di lui, ma rassicurando anzi i discepoli che la signoria di Dio sarebbe realizzata pienamente e promettendo di continuare con loro il banchetto nel regno dei cieli ( Lc 22,14-18 ).14 2. La vita di Gesù alla luce della risurrezioneLa missione del Figlio che viene dal Padre e a lui deve ritornare è suggellata dal Padre stesso, che esalta il Figlio nel giorno della pasqua. Questo giorno, che contiene l'evento più decisivo di tutta la storia umana, è indicato o rappresentato per mezzo di categorie uniche: nel linguaggio e nell'esperienza umana non esistono analogie che servano ad indicare il fenomeno della risurrezione, non più intesa come rianimazione di un cadavere.15 D'altra parte sia l'inizio che la conclusione dell'itinerario terreno del Salvatore si realizzano nella totale assenza di testimoni umani. La risurrezione di Gesù indica il passaggio da una forma di esistenza mortale ( Rm 6,10 ) ad un'altra nella gloria eterna del Padre ( 1 Pt 3,18 ); è la risposta di Dio che dichiara redentrice la morte di Gesù, che illumina e da senso alla croce e alla sepoltura.16 Gesù, a differenza di Davide e di tutti coloro che egli stesso ha fatto risorgere, è preservato dalla corruzione ( At 13,34 ), vive per Iddio nei secoli dei secoli e ha le chiavi della morte e dell'Ade ( At 1,17 ). Il crocifisso è vivo ed ha associato nel movimento di esaltazione anche il suo corpo, che diviene così un corpo che ha sofferto ed è glorificato e rende possibile il riconoscimento della continuità tra il Risorto e Gesù di Nazaret.17 Si può dire effettivamente che la croce documenta la risurrezione. In s. Luca, Gesù dice: « Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io » ( Lc 24,39 ), ed in s. Giovanni: « Porta qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio fianco » ( Gv 20,27 ). Nonostante Gesù risorga per virtù propria e si manifesti a testimoni prescelti in modo sovranamente libero, l'iniziativa dell'avvenimento salvifico è sempre ascritta al Padre come la più cospicua manifestazione della sua potenza ( « …quale è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza, che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti », Ef 1,19-20 ) e della sua gloria ( « Cristo è stato risuscitato dai morti nella gloria del Padre », Rm 6,4 ), ed allo Spirito santo quale strumento della risurrezione e tramite attraverso cui essa estende la sua efficacia nella chiesa e nel cosmo.18 La risurrezione comporta in Cristo la trasfigurazione da servo sofferente in messia glorioso, che ha ogni potere in cielo e sulla terra ( Mt 28,18 ) e sulle ricchezze dello Spirito ( At 2,33 ); in Signore dei morti e dei vivi ( Rm 14,9 ) e principio del cosmo ( Col 1,15-17 ); in Figlio di Dio nella potenza che non conosce più ostacoli di nessun genere e che supera le leggi della natura e della stessa ragione ( 1 Cor 14 ); in sacerdote eterno che siede accanto al Padre e intercede per noi con la sola presenza ( Eb 9,24 ), diventando principio di eterna salvezza. La circoncisione della sua morte e risurrezione lo ha sopraelevato dalla nazionalità giudaica e lo ha costituito uomo universale, su cui potrà venire costruita la chiesa mondiale, i cui membri non sono più ne giudei, ne greci, ne barbari. Gesù è il medesimo e tuttavia la libertà di cui gode lo rende diverso. È il medesimo, perché egli non è solo spirito, ha le piaghe della sua passione, è vivo in tutto il suo essere totale. È diverso, perché egli non è più sottoposto ai nostri condizionamenti; la sua iniziativa è assoluta.19 Gesù si incontra con i discepoli e l'incontro è dono puro, nella parola e nel segno, nel saluto e nella benedizione, nell'invito e nell'allocuzione e nell'istruzione, nella consolazione, nell'esaltazione e nella missione, nella fondazione di una nuova comunità.20 L'incontro pasquale non costituisce solo una gioia pasquale pura ( Gv 20,21 ), ma comporta anche biasimo ( Lc 24,25; Mc 16,14 ), tristezza ( Gv 21,17 ), un insieme di timore e di gioia ( Mt 28,8; Lc 24,41 ) e per Pietro proietta sull'orizzonte della sua vita la prospettiva, oltre che del servizio, anche della sofferenza ( Gv 21,18 ). Ai discepoli, ormai arricchiti della sua missione e soprattutto del suo Spirito, affida il compito di continuare la sua stessa opera di salvezza, di predicare il regno di Dio ad ogni creatura. Ciò che prima di pasqua si chiamava sequela, ormai si chiama, dopo pasqua, missione verso tutti: « L'apostolato cristiano primitivo non sta in dipendenza della missione storica dei discepoli da parte del rabbi di Nazaret, ma si fonda sulle apparizioni del risorto ».21 Attraverso la morte e la risurrezione di Cristo il mondo è stato riconciliato con il Padre ( Col 1,19 ), e la chiesa dovrà continuare questa opera di riconciliazione mediante il suo ministero di comunione. Anche se la gloria di questo ministero è contenuta nei vasi di creta d'una esistenza piena di debolezze ed umane miserie, circondata da ogni genere di tribolazioni e di ansie, sempre esposta alla morte ( 2 Cor 4,7-12 ), resta fermo che chi vive in Cristo, incarnazione della nuova ed eterna alleanza, è partecipe d'una nuova relazione con Dio. Chi è animato dallo spirito del risorto ha la giustizia di Dio, ha la pace e l'armonia tra Dio e il mondo, ed introduce nel mondo, con la sua testimonianza, più che una dottrina, una presenza vivente e operante, poiché « la vita di Gesù è manifestata nella nostra carne mortale» ( 2 Cor 4,11 ). III - Il mistero pasquale nella vita della ChiesaCon il compimento del mistero pasquale la chiesa ha acquistato una nuova vita ( Rm 8,9 ), una nuova conoscenza ( Fil 3,10 ), una nuova morale ( Rm 7,16 ). Ma mentre Cristo è ormai diventato vincitore del mondo ( Gv 16,33 ) ed ha sottomesso al suo dominio tutte le potenze, la chiesa vive ancora immersa nel mondo, essendo ad un tempo regno di Dio e segno e strumento di questo regno. Anche se essa è il corpo del Cristo glorioso e vive dello Spirito, geme ancora sotto il peso d'una esistenza mondana e nella fatica d'un cammino di fede, non ancora illuminato completamente dalla visione ( 2 Cor 5,4-8 ). Persistono all'interno della chiesa, comunità redenta, le tensioni tra la carne ed il peccato da una parte e lo spirito e la grazia dall'altra, e, sebbene i suoi membri non debbano più conformare la loro condotta alle esigenze degli elementi del mondo, di fatto rimangono sotto la loro tirannia ed il loro malefico influsso. Anzi, « dopo la vittoria del Gesù storico e della sua esaltazione a Signore del mondo, il cristiano rimane molto più inesorabilmente costretto alla croce del Cristo, diviso tra il possesso anticipato della cittadinanza celeste ( Eb 12,22 ) e l'esigenza di avviare ciò che ivi è stato realizzato, in un mondo che non possiede i presupposti per una realizzazione siffatta e si erge quindi con tutti i propri istinti di autoconservazione contro l'irruzione del regno di Dio escatologico ».22 Il tempo della chiesa, tempo della pazienza di Dio e dell'uomo, tempo della celebrazione dell'eucaristia finché egli venga ( 1 Cor 11,26 ), tempo del già e del non ancora, è collocato fra la risurrezione iniziale che la fa nascere alla storia e la risurrezione finale che la fa nascere all'eternità. Fino a quando non si affermi la carità nel possesso eterno della stessa vita di Dio, ci sarà uno stato di vita, la verginità [ v. Celibato e verginità ], che testimonierà al mondo la presenza del mistero pasquale nella chiesa e la relativizzazione di tutte le situazioni umane di fronte alla potenza del regno dei cieli. E ci sarà una virtù, la ( v. ) speranza, che, prendendo il suo avvio dal possesso attuale dello Spirito, alimenterà l'attesa della redenzione totale dell'umanità ( Rm 8,23). La chiesa soffre l'incompiutezza della sua risurrezione in Cristo, quando sopporta la persecuzione dei suoi membri derisi nella loro fede e calpestati nella loro dignità di persone umane, quando è soggetta alla debolezza e all'incoerenza nel testimoniare una comunità di salvezza e d'amore, quando subisce la tentazione dell'ambiguo potere e dimentica di servire Dio crocifisso. Questa chiesa, che nella sua dimensione storica porta i contrassegni delle due condizioni antitetiche d'un destino celeste e d'una realtà umana, trova l'equilibrio tra lo scoraggiamento e l'ottimismo, la stanchezza e lo slancio, la sofferenza e la gioia solo in Cristo, l'Uno che ha raggiunto l'identità della croce e della risurrezione. Essa diventa se stessa, quando si espropria della sua esistenza e si tuffa in Cristo Gesù: « nessuno di noi vive per se stesso. Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo o moriamo siamo quindi del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è risorto a nuova vita, per regnare come Signore sui vivi e sui morti » ( Rm 14,7-8 ).23 IV - Il mistero pasquale nella vita del cristiano1. Mistero pasquale e fondamento della salvezzaGesù, nella sua morte e risurrezione, ha portato a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre: la redenzione umana e la perfetta glorificazione di Dio ( DV 4 ). Egli, infatti, « morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ci ha ridonato la vita » ( SC 7 e prefazio pasquale del messale romano ); unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione ha redento l'uomo e l'ha trasformato in una nuova creatura ( Gal 6,15; 2 Cor 5,17; LG 7 ); con la sua morte e la sua risurrezione completò in sé i misteri della nostra salvezza e dell'universale restaurazione ( AG 5 ); sulla croce ha compiuto l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà ( DH 11 ). Il mistero pasquale è, quindi, il fondamento della salvezza cristiana, offerta a tutti gli uomini indistintamente, anche a coloro che sono fuori dai confini giuridici della chiesa. Pure questi infatti, nel modo che Dio conosce, hanno dallo Spirito santo la possibilità di venire a contatto con esso ( GS 22). La morte e la risurrezione formano un blocco completo ed inseparabile nell'opera d'amore del Padre, del Figlio, dello Spirito santo. Sono due aspetti dell'unico evento salvifico o componenti di un unico mistero. Nella sacra scrittura la salvezza spesso viene attribuita direttamente alla morte di Gesù sulla croce ( Rm 3,25; Rm 5,9; Gal 2,20b; Ef 5,26; Tt 2,14 ), altre volte alla risurrezione ( At 26,23; 1 Pt 1,3; 1 Pt 3,21 ) ed altre volte ad entrambe, come nel testo di s. Paolo: « Il quale [ Gesù ] è stato messo a morte ed è stato risuscitato per i nostri peccati e per la nostra giustificazione » ( Rm 4,25 ).24 Nello sviluppo del pensiero paolino sul significato della morte e risurrezione di Cristo nella storia della salvezza si possono individuare chiaramente tre stadi, riassunti in tre testi fondamentali. In 1 Ts 5,10, dove l'attenzione è incentrata nella parusia, la morte e risurrezione sono viste in se stesse, cioè indipendentemente dall'influsso che esercitano sulla vita cristiana. In 2 Cor 5,15 e Rm 6,3, che ricordano che la passione e la risurrezione sono già presenti nella vita terrena del battezzato, esse divengono storia della salvezza. In Rm 14,9 e Rm 4,25, che considerano la risurrezione associata alla causalità redentiva della morte di Cristo, i due eventi divengono fasi complementari della salvezza".25 I padri dell'Oriente considerano la morte e la risurrezione come le concause della salvezza. S. Giovanni Crisostomo scrive che « Gesù è morto ed è risorto perché noi divenissimo giusti » ( PG 60, 467 ) e s. Cirillo di Alessandria riassume i due effetti salvifici nella frase « siamo stati giustificati in Cristo » ( PG 76, 1408 ). Altrettanto fanno i padri latini, nonostante fra di essi si riveli spesso la tendenza a considerare la risurrezione come qualcosa di puramente "morale". Ci basti ricordare s. Ilario: « Ci ha redento per mezzo del suo sangue, della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione. Questi sono i prezzi alti della nostra vita » ( PL 9, 776 ), e s. Agostino: « Come nella sua morte veniamo seminati, così nella sua risurrezione germogliamo. Nella sua consegna alla morte guarisce il delitto, nella sua risurrezione riporta la giustizia » ( PL 37, 1321 ). Il Vat II ha collocato la croce, compresa nell'integrità del mistero pasquale, al centro della teologia e della morale. Per il concilio il mistero pasquale costituisce il vertice della rivelazione. « Perciò egli… specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, ed infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna » ( DV 4 ). Cristo, nella sua morte sulla croce, si manifesta come il servo di Jahve che ama il suo popolo, il buon pastore che è venuto non per essere servito ma per servire ( Mt 20,28; Mc 10,45 ) e dare la sua vita per le pecore ( Gv 10,11; LG 27 ). Da un punto di vista più strettamente teologico, si può parlare, secondo s. Tommaso, di causalità diverse: la morte ha una causalità meritoria, redentrice, riparatrice, sacrificale; la risurrezione ha solo causalità strumentale, intenzionale « ad modum signi » : la risurrezione fisica del Cristo, sacramento primordiale di salvezza, è nel suo fieri un grande sacramento celebrato una volta per sempre, il quale significa ( in forza dell'umanità ) e produce efficacemente ( in forza della divinità ) la nostra risurrezione spirituale e anche fisica finale del corpo. « In ragione dell'efficacia che dipende dalla virtù divina, scrive il dottore angelico, tanto la morte di Cristo, come anche, in comune con essa, la risurrezione, sono causa sia della distruzione della morte, sia della riparazione della vita. Ma in ragione dell'esemplarità la morte di Cristo, per la quale si separò dalla vita mortale, è causa della distruzione della nostra morte; la risurrezione, invece, mediante la quale iniziò la vita celeste, è causa della riparazione della nostra vita. La passione di Cristo è inoltre causa meritoria ».26 2. Mistero pasquale ed effusione dello SpiritoDurante la sua esistenza terrena Gesù era stato presente agli uomini, ma, come un chicco di grano solitario, era loro rimasto estraneo, persino al proprio ambiente, conducendo, come noi, un'esistenza nella carne, tutta chiusa in se stessa nell'autonomia della sua debolezza. Nel mistero della pasqua egli muore alla carne e ai suoi limiti e vive nello Spirito che è potenza divina, apertura infinita ed effusione totale. Il chicco è divenuto la spiga turgida che si piega sotto il peso della sua fecondità.27 Di questa nuova esistenza è principio lo Spirito, che lo ha risuscitato dai morti e che era stato il segno della sua santità filiale e della sua missione: « Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito è quello che battezza nello Spirito santo. Ed io ho visto ed ho testimoniato che è il Figlio di Dio » ( Gv 1,33 ). Lo stesso Spirito, nel giorno della risurrezione, Gesù lo dona agli apostoli: « Ricevete lo Spirito santo » ( Gv 20,22 ) e a questo dono accompagna la comunicazione della sua santità e la trasmissione della sua missione e del suo potere. Per gli apostoli, come per Gesù, il principio vitale non è più la psiche nella sua debolezza, ma lo pneuma nella sua potenza. All'inizio dell'esistenza carnale c'è il soffio vitale che fa diventare il primo Adamo un'anima vivente ( Gen 2,7 ). All'inizio della nuova esistenza c'è una nuova azione dello Spirito che fa diventare il corpo di Cristo risorto vero spirito vivificante ( 1 Cor 15,45 ). Due umanità si contrappongono: quella della nostra vita terrena e quella della gloriosa risurrezione. La prima si riallaccia alla creazione di Adamo, la seconda si riallaccia all'azione dello Spirito sul secondo Adamo, divenuto il principio ed il prototipo della nuova progenie umana, un essere celeste vivente della vita dello Spirito. Lo Spirito che si impadronisce di Cristo, risuscitato per noi, per la nostra giustificazione, produce anche nel cristiano una nuova esistenza, in quanto tutti coloro che si trovano in Gesù, in lui sono risuscitati. Anche al cristiano è stato destinato lo Spirito della risurrezione, che agisce contemporaneamente nel Cristo e su di noi. Fin d'ora lo Spirito ci trasforma e fin d'ora è in noi santità, potenza e gloria a un tempo, come nel giorno della risurrezione. Esso ci rende liberi da ogni schiavitù, compresa quella di qualsiasi legge morale, che non sia quella della nuova vita, e ci rende abili ad azioni e manifestazioni carismatiche che sfidano le leggi della natura e della stessa ragione ( 1 Cor 14 ). Coloro che sono mossi dallo Spirito, infatti, non sono più sotto la legge ( Gal 5,18 ) e lo Spirito è il principio della morale degli ultimi tempi, retta dal mistero pasquale, ossia da una legge di sacrificio per la vita. Questa nuova legge regola l'attività morale secondo il passaggio, operato nel fedele, dal dominio della carne in quello dello spirito ( Rm 6,2-5; Col 3,1 ). La vita cristiana si presenta come una morte e una novità: è rinunzia ai vizi che caratterizzano l'uomo carnale, la dissolutezza, l'idolatria, l'odio ed è un attendere alla giustizia, alla bontà, alla purezza ( Gal 5,19-23 ). « Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e concupiscenze. Se viviamo per opera dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito » ( Gal 5,24 ). L'ideale morale verso il quale tende il fedele non è quello della saggezza e della mistica greca, che trovano la loro ultima perfezione nella gnosi divina, non consiste nella pratica eroica delle virtù umane: anche se possedesse tutta la gnosi e tutte le virtù eroiche, il fedele sarebbe ancora un nulla ( 1 Cor 13,1-3 ). L'ideale non consiste più neppure nella giustizia conferita dalla legge. L'ideale sta nel Cristo morto e risorto, fondamento dell'unica giustizia, della giustificazione di vita ( Rm 5,18 ), e nella partecipazione dello spirito d'amore che anima il Cristo. D'altra parte, la croce proclama che non l'uomo è colui che costruisce la carità, con le sue decisioni ed i suoi piani, ma è la carità di Cristo che costruisce l'uomo nuovo. 3. Mistero pasquale e vita sacramentaleTutta la vita sacramentale del cristiano è un ricordo del mistero pasquale, poiché, secondo il Vat II, quasi tutti gli avvenimenti della vita dei fedeli ben disposti sono santificati per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale della passione, morte, risurrezione di Cristo, dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali ( SC 61). La relazione dei sacramenti con il mistero pasquale e con il sacrificio appare dall'insegnamento del concilio anche quando esso invita a conferire la confermazione nel corso della messa ( SC 71 ), dispone che il matrimonio venga celebrato abitualmente durante la messa ( SC 78 ) e loda l'uso di emettere nel corso della messa anche la professione religiosa ( SC 80 ).28 La chiesa, identificata con il Cristo, trova la salvezza della risurrezione perché è incorporata al Salvatore non in un istante qualsiasi della sua esistenza, a Betlemme, a Nazaret, sulle vie della Palestina o in una esistenza celeste successiva all'atto redentore; ma perché gli è unita nell'atto stesso della redenzione: essa è il corpo del Cristo in un istante preciso ed ormai eterno, nell'istante in cui la redenzione si compie, nell'istante della morte sulla croce in cui il Cristo è glorificato dal Padre.29 Chi vive nel Cristo conduce una esistenza pasquale, percorre la via al Padre che Gesù ha aperto sulla croce, nella sua carne ( Eb 10,20 ). L'inizio di questa via di salvezza, di questo vado ad Patrem cristiano è il battesimo. Esso introduce nel mistero della redenzione il fedele, che vi resta in modo stabile e non cessa di celebrare la sua unione a Cristo nella morte e nella glorificazione fino al giorno in cui essa sarà completa, quando egli si addormenterà con Cristo nella morte ( 2 Tm 2,11 ), e con lui risusciterà nel giorno finale ( Rm 6,8 ). Secondo il rito antico del battesimo, immergersi nell'acqua era morire ed essere sepolti con Cristo, morire all'uomo vecchio, ai vizi e alle concupiscenze. Riemergere dall'acqua era risuscitare con Cristo. Perciò s. Paolo scrive ai fedeli di Roma che « fummo sepolti insieme con Lui mediante il battesimo nella morte, affinché, come Cristo risuscitò dai morti per opera della gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita » ( Rm 6,4; Ef 2,6; Col 3,1; 2 Tm 2,11 ). S. Cirillo di Gerusalemme scriveva ai suoi fedeli: « Quando siete stati immersi nell'acqua eravate nella notte e non avete visto nulla, mentre, quando siete usciti dall'acqua, vi trovate come in piena luce. Nello stesso atto morivate e nascevate: quest'acqua salutare era per voi, allo stesso tempo, sepolcro e madre» ( PG 33, 1080c ). La vita del cristiano è uno sviluppo del battesimo e del sacerdozio universale in esso ricevuto. I battezzati devono « offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce ( 1 Pt 2,4-10 ). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio ( At 2,42-47 ), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio ( Rm 12,1 ), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richiede, rendano ragione della loro speranza della vita eterna ( 1 Pt 3,15 ) » ( LG 10 ). Questo principio nuovo di vita redenta è contenuto in una natura ferita dal peccato e sottoposta all'incoerenza e alla debolezza della carne. Perciò ci è assicurato un cibo che è il corpo di Cristo nel suo atto redentore: « Prendete e mangiate, questo è il mio corpo consegnato per voi ». Anche l'eucaristia è un sacramento che fa entrare in contatto con la morte e la risurrezione, in quanto unisce il fedele alla morte di Cristo associandolo alla risurrezione. Le parole dell'istituzione la riallacciano alla croce, il rito della frazione del pane l'avvicina alla risurrezione. La frazione del pane prolunga nell'intimità del pasto dei discepoli l'esperienza della presenza del Cristo glorificato, mentre la cena e la sua commemorazione si presentano innanzitutto come il pasto sacrificale della croce. S. Ignazio definisce l'eucaristia « la carne… che ha sofferto per i nostri peccati e che il Padre ha risuscitato per la sua bontà » ( Ad Smyrn., 7,1 ). Gli elementi stessi dell'eucaristia significano in qualche modo la simultaneità e la reciproca implicazione della morte e della risurrezione. Il corpo ed il sangue, nelle parole di Gesù: « questo è il mio corpo… questo è il mio sangue », in quanto simbolo di elementi separati, sono un segno dell'immolazione e dunque della morte. Ma essi sono allo stesso tempo un cibo ed una bevanda, cioè un principio di vita. Essi, prima ancora di essere memoria del sacrificio e della morte, sono in se stessi un cibo, un mezzo di crescita e di conseguenza sono un segno della vita e della continuazione di questa vita. L'eucaristia è un pasto sacrificale. Gli effetti che questo pasto sacrificale produce soprattutto nella chiesa sono diversi. Esso, innanzitutto, cementa l'unità della chiesa, la comunità messianica della nuova alleanza ( Lc 22,20; 1 Cor 11,25 ), poiché ogni pasto sacrificale annoda i legami indissolubili tra i convitati, così come già il pasto dell'agnello sigillava un tempo l'unità del popolo di Dio ( Es 12,43-48 ). I fedeli che mangiano l'unico pane, che è il corpo di Cristo, formano un solo corpo, cioè il corpo di Cristo. Esso, poi, introduce la pienezza del sacrificio di Cristo nel corpo terrestre, la chiesa, che offre tanti sacrifici nella sua storia quotidiana di lotta e di sofferenza per far trionfare la verità e l'amore. Infine il pasto sacrificale eucaristico, in quanto banchetto della fine dei tempi, produce la parusia, cioè realizza la presenza di Cristo, che giudica gli uomini e purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente nel mondo ( AG 9 ). Si può affermare che l'eucaristia unisce i credenti alle due estremità della storia, alla pasqua che inaugura la redenzione e alla parusia che la compie. La chiesa non si sente scindere in due da questa orientazione verso i due punti estremi della sua storia, perché ha all'origine della sua esistenza e della sua forza un unico avvenimento, che ricorda una passione e garantisce una glorificazione futura. « Mangerete l'agnello per intero, aveva raccomandato Mosè, "la testa con i piedi" ( Es 12,9 ); cioè, vi comunicherete a Cristo nel suo mistero totale, al Cristo dei due estremi del tempo » ( In Pascha 2, PG 59, 728 ). Naturalmente l'eucaristia non è semplicemente un gesto rituale, un canto, un segno, insomma un culto esteriore, ma una partecipazione al Cristo nella sua morte al mondo e nella sua vita di gloria. Gesù non ha offerto un sacrificio esteriore a se stesso, ma col suo proprio sangue è entrato una volta per tutte nel santo dei santi ( Eb 9,12 ) e spirando sulla croce ha fatto crollare il tempio del culto terrestre. Così anche il sacerdote cessa di esercitare il sacerdozio cristiano se si limita a offrire un sacrificio esteriore alla sua persona, un'ostia che sia solo sulle sue mani. Il cristiano non celebrerà autenticamente l'eucaristia senza una comunione col corpo e un impegno personale nel mistero redentore di Cristo. Chi non s'associa personalmente all'atto redentore rimane un ministro del segno, di ciò che nel culto cristiano è imperfetto e terrestre, è simile al sacerdote dell'AT, che offriva una vittima esteriore. La celebrazione eucaristica è dunque inseparabile dalla vita e va oltre il tempo del culto sacramentale. Non solo nel sacramento s. Paolo afferma di "morire con" e "risuscitare con", ma in tutta la sua vita: « Io sono crocifisso col Cristo; non più io vivo, ma il Cristo vive in me » ( Gal 2,19s ). Perciò la chiesa celebra il sacrificio del Cristo anche al di fuori dell'azione liturgica; lo celebra nei suoi fedeli che muoiono a se stessi, per l'obbedienza, col Cristo in croce; in quelli che lottano per un amore celeste, che si elevano da questo mondo verso la purezza e la povertà del cuore col Cristo che è andato al Padre; in tutti i suoi fedeli che lavorano e soffrono per la salvezza degli altri. Così come l'eucaristia, anche la penitenza, secondo battesimo, è una partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo. Perché il suo peccato sia cancellato, ogni uomo deve partecipare all'immolazione di Cristo: bisogna che egli prenda parte alla stessa morte, che faccia scendere su di lui « il sangue prezioso dell'agnello senza difetto e senza macchia » ( 1 Pt 1,19 ). Il riconoscimento della propria miseria peccatrice, la contrizione, la confessione, la penitenza sono gli atti che immergono il cristiano nel Cristo redentore. Nella misura in cui il cristiano penitente prende parte alla morte di Cristo, partecipa anche alla sua risurrezione perché viene trasfigurato, rinnovato nelle sue forze, rilanciato nell'adempimento della sua missione nella chiesa e nel mondo. 4. Mistero pasquale e crescita spiritualeLa maturità cristiana consiste nel conseguimento dello stato di uomo perfetto ( Ef 4,13 ), nel rivestimento dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera ( Ef 4,24 ), in risposta totale a Cristo, dono personale di Dio all'umanità. [ v. Maturità spirituale I ]. Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, nel mistero redentivo di morte e risurrezione, « si fa lui pure più uomo » ( GS 41,1 ), poiché più si diventa simili a Gesù, più ci si avvicina non soltanto a ciò che è divino in lui ma anche a ciò che è umano. Ora, Gesù ha raggiunto la perfezione della sua umanità nel "dare" supremo sulla croce, in quanto ciò che ci fa uomo o donna è appunto l'amore, il dare. L'uomo, che in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto in se stessa, non può ritrovarsi pienamente, se non attraverso il suo disinteressato dono di sé ( GS 4,3 ).30 Chi dice amore, nel senso autentico della parola, dice croce, e chi dice croce, se si tratta non di qualsiasi croce, ma della croce del Signore, dice necessariamente amore: la croce è veramente l'epifania dell'amore.31 Dopo la passione di Cristo, la via del dolore appare inseparabile da quella dell'amore, cioè dalla capacità di sacrificarsi per gli altri, nella convinzione cristiana che ogni amore umano che non è dono di sé e non è seguito almeno implicitamente dal segno e dal sangue della croce, non è che mera caricatura dell'amore.32 Il cristiano muore con Gesù in croce quando riconosce la debolezza radicale della sua natura, segnata dalla triste realtà del peccato, e la sua povertà umana fino alla radice dell'essere. Porsi sotto il segno della croce, vuol dire seguire un ritmo di crescita, che spesso, è scandito in contrapposizione ai valori mondani del potere e della gloria, e dalla percezione intuitiva che la lotta, lo sforzo, il controllo, l'impegno e anche la frustrazione sono necessari per uno sviluppo armonico della propria personalità. Il primo Adamo si è perduto volendo elevarsi al disopra della sua natura. Il Cristo ha acquistato la salvezza, invece, accettando la propria debolezza d'uomo sino alla suprema impotenza, la morte. È chiaro che la croce non dovrà essere mai un inutile sacrificio dell'intelletto umano o dell'uomo in genere, in una mistificante assolutizzazione del dolore che proviene dalla malizia umana o in una indebita attribuzione d'una anima e d'uno spirito rinunciatari al cristianesimo. Essa infatti non fu una necessità imposta dal di fuori, da una divinità avida di una compensazione del proprio onore offeso: storicamente, è anche il risultato della lotta di Gesù Cristo contro gli oppressori.33 Se è vero che l'umanesimo della croce è la croce degli umanesimi, è anche vero che ogni dolore dell'uomo che venga vissuto nel "dolore di Dio" non rimane sterile o egoisticamente chiuso nella compassione masochista di se stessi, ma sprigiona una forza di liberazione per l'uomo stesso e contiene la garanzia divina d'una promozione veramente integrale dell'uomo. I grandi testimoni della fede cristiana, i santi, i quali si conformarono nella loro esperienza spirituale al Cristo sofferente, non sono stati passivi riguardo al cambiamento del destino dell'uomo, ma hanno impersonato valori nuovi ed originari, hanno seminato germi fecondi d'una nuova vitalità. Basti pensare al messaggio rivoluzionario d'un s. Francesco d'Assisi, d'un s. Ignazio di Loyola, d'un s. Giovanni della Croce e a tutto il fiorire d'uomini e istituzioni nell'epoca moderna, le quali si gloriano di servire Cristo nei poveri e nei piccoli. Accanto a mistici che si sentono « vittima per i peccati » ( s. Gemma Galgani ) o che si vogliono « tuffare nel sangue di Cristo » ( s. Caterina da Siena ) abbiamo altri mistici che non si accontentano di essere vittime di riparazione, ma si danno senza riserva ai poveri e alle fanciulle abbandonate ( s. Bartolomea Capitanio ), santi fondatori che tra i primi voti aggiungono quello di "vittima", ma cambiandolo in « forma personale di puro amore » ( P. Giovanni Leone Dehon ).34 Solo una fede maturata all'esperienza della croce sarà in grado di gettare un raggio di luce sul mistero della sofferenza umana, sotto tutte le sue forme, e in modo particolare quella degli innocenti; sul mistero del male morale o del peccato, con cui l'uomo liberamente si oppone a Dio, nel nostro mondo secolarizzato che ha perso il senso della trascendenza e che per mezzo di una critica corrosiva senza pietà polverizza tutte le concezioni morali e religiose.35 Naturalmente la croce è un cammino, non il termine di un cammino, poiché il fine del piano divino è che gli uomini siano resi partecipi della vita e della felicità eterna della Trinità « Cognitio trinitatis in unitate est finis et fructus totius vitae nostrae » ( s. Tommaso, I Sent. d. 2. q. 1 ) ed il NT non separa mai il Calvario dal mattino della pasqua, ne l'elevazione del Cristo sulla croce dalla sua elevazione nella gloria. Sul cristiano che partecipa della risurrezione del Figlio di Dio si posa la potenza del Cristo e la debolezza si trasforma in fortezza ( 2 Cor 12,9 ), il fallimento in successo, la morte in vita ( 2 Tm 2,11 ). In esso si inaugura l'umanità nuova dell'Apocalisse, dove « non ci sarà più la morte, ne lutto, ne lamento, ne affanno, perché le cose di prima sono passate » ( Ap 21,4 ). Il fedele, risorto in Cristo, acquista il pieno dominio della propria personalità, perché riesce a stabilire con gli altri simili e persino con l'universo rapporti di comunione. Lo spirito, come già nel giorno della pentecoste, trasforma gli uomini risorti in una "comunità", segno ed anticipazione della comunità celeste, in cui ognuno diventa trasparente all'altro e a Dio. La crescita e l' ( v. ) itinerario spirituale del cristiano non sono un'impresa solitaria, ma avvengono nella chiesa, la grande comunità in cammino verso il santuario celeste, verso la grande liturgia dell'eternità. È nella chiesa, città nuova, custode e matrice del nuovo universo, sebbene operante in seno al nostro mondo terrestre e perituro, che Dio ricrea e riforma il genere umano.36 E sarà nella chiesa che il cristiano darà testimonianza al mondo del mistero di morte e di risurrezione del Cristo, che ha inaugurato l' "ottavo giorno", ha sostituito la successione dei valori storici con la comunione dei valori eterni, ha rivelato all'uomo di essere destinato ad un mondo superiore, ad una patria, nella quale abita la giustizia ( 2 Pt 3,13 ).37 |
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… e fede | Assoluto II |
Itinerario IV,2b | |
… e teologia | Modelli I |
… e scienze antropologiche | Modelli I |
… e i modelli | Ateo II,3 |
… pasquale |
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Pasqua | |
Morte | |
… in Cristo | Uomo sp. IV |
… causa di nuova vita | Antinomie II |
Antinomie IV | |
Ascesi IV,1 | |
Santo IV | |
Uomo ev. II,3 | |
Chiesa kenotica | Chiesa I,2 |
Centro del NT | Martire I,3 |
… nella storia | Celebrazione II,2 |
Revisione IV,3 | |
… e mortificazione | Amicizia VIII |
Ascesi III,1 | |
… e anziano | Anziano II,2 |
… e ateo | Ateo IV |
S. G. B. de La Salle |
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Siamo obbligati a pregare per gli alunni a cui dobbiamo insegnare | MD 37,2 |
Ascensione di N. S. Gesù Cristo | MD 40,1 |
Festa della SS.ma Trinità | MD 46 |
Festa del SS.mo Sacramento | MD 47,2 |
Dovrete rendere conto di come avete compiuto il vostro dovere | MD 61,2 |
San Francesco Saverio | MF 79,3 |
San Leone Magno | MF 114,2 |
San Pietro da Verona | MF 117,3 |
San Cassiano vescovo e martire | MF 155,2 |
San Girolamo | MF 170,1-2 |
I Santi Angeli Custodi | MF 172,2 |
San Francesco di Assisi | MF 173,2 |
San Dionigi | MF 175,3 |
È Dio che, nella sua Provvidenza, ha fondato le Scuole Cristiane | MR 193,1 |
Istruire i giovani è uno dei compiti più necessari alla Chiesa | MR 199,1 |
Cosa dovete fare per rendere il vostro ministero utile alla Chiesa | MR 200,3 |
Un maestro deve rendere conto a Dio del modo con cui ha svolto la sua missione | MR 205,1 |
1 | B. Rinaldi, Studio bibliografico su il mistero pasquale in SC 4 (1971), suppl. bibl., 115,1 |
2 | G. O' Collins, Il Gesù pasquale, Assisi, Cittadella 1975, 166-167 |
3 | G. Ghiberti, in Resurrexit. Actes du Symposium international sur la Rérurrection de Jésus, Città del Vaticano 1974, 643-764 |
4 | K. Rahner, Risurrezione di Gesù in SM VII, 167 |
5 | F. X. Durrwell, La resurrezione di Gesù mistero di salvezza, Roma, Edizioni Paoline 1965, 22 |
6 | C. Duquoc, Cristologia, Broscia. Queriniana 1972, 207-208 |
7 | D. Wiederkehr, La morte di Gesù come attuazione radicale del suo rapporto con Dio in MS V, 778 |
8 | H. Urs von Balthasar, Mysterium Paschale in MS VI, 240 |
9 | J. Jeremias, Teologia del NT, Brescia, Paideia 19762, 227; A. George, Comment Jésus a-t-il percu sa propre mori in LumVie 4 (1971) 34-59. Il P. Ortensie da Spinetoli sostiene invece che « la morte in croce, più che rientrare in una precisa programmazione divina, è una fatalità a cui Gesù stesso ha dovuto, con fatica, rassegnarsi » (Itinerario spirituale di Cristo, III, Il Salvatore, Assisi, Cittadella 1974, 82-83) |
10 | J. Guillet, Gesù di fronte alla sua vita e alla sua morte, Assisi, Cittadella 1972, 153 |
11 | H. Urs von Balthasar, Mysterium Paschale, 248; A. Feuillet, L'agonie de Gethsemani, Parigi 1977, 5 |
12 | W. Popkes. Christus traditus. Eine Untersuchung zum Begrilf des Dahingabe im NT, Zurigo 1967, 286-287; J. Moltmann, Il Dio crocifisso, Brescia, Queriniana 1973, 142-143 |
13 | O. Cullmann, Immortalile de l'àme ou Résurrection des morts, Neuchàtel 1956, 23-35 |
14 | I. Sanna, Redenzione in Dizionario Teologico Interdisciplinare, Torino, Marietti 1977, 26 |
15 | H. Urs von Balthasar, W. Kunneth, J. Kremer, G. Delling sono d'accordo nel dire che manca nell'esperienza umana una qualsiasi analogia al fenomeno della risurrezione. Cf von Balthasar, o. c., 331 |
16 | X. Léon-Dufour, Risurrezione di Gesù e messaggio pasquale, Roma, Edizioni Paoline 1973, 45 |
17 | La menzione della sepoltura va vista alla luce della mentalità ebraica, secondo la quale essa serve per conservare l'identità del defunto. Le tombe sono oggetto di particolare venerazione appunto perché garantiscono l'identità della persona che vi è inumata. Cf Léon-Dufour, o. c., 46 |
18 | K. Rahner, Risurrezione di Gesù, 166; il von Balthasar fa notare che dynamis, doxa, pneusma, che vengono vicendevolmente Scambiati come principi della risurrezione, sono assolutamente interscambiabili (o. c., 350) |
19 | C. Duquoc, Cristologia, 165 |
20 | H. Schlier, Vber die Auferstehung Jesu, Einsiedein 1968, 38 |
21 | W. Kunneth, Theologie der Auferstehung, Monaco 1968, 92 |
22 | H. Urs von Balthasar, Mysterium Paschale, 402 |
23 | H. U. von Balthasar, o. c., 404 |
24 | A. Charbel, Croce e resurrezione unico mistero salvifico In La sapienza della croce oggi, I, Torino, LDC 1976, 386-395 |
25 | D. M. Stanley, Christ's resurrection in pauline soteriology, Roma 1961 |
26 | M. Nicoiau, I sacramenti memoria della passione in La sapienza della croce oggi, I, 422-423 |
27 | F. X. Durrwell, Nel Cristo redentore, Roma, Edizioni Paoline 1962, 21-22 |
28 | M. Nicoiau, Teologia del segno sacramentale, Roma, Edizioni Paoline 1971 |
29 | F. X. Durrwell, Nel Cristo redentore, 23-24 |
30 | St. Lyonnet, Croce e promozione umana nella Sacra Scrittura in SC 4 (1977) 294 |
31 | C. Spicq, Agape, Parigi, Gabalda 1959, 128 |
32 | A. Feuillet, L'agonie du Gethsemani, 261 |
33 | C. Duquoc, Attualità teologica della croce in La sapienza della croce oggi, I, 15 |
34 | Per tutto questo problema, si veda il vol. II de La sapienza delta croce oggi, Torino, LDC 1976, dedicato alla spiritualità della croce negli ordini e nelle congregazioni religiose |
35 | A. Feuillet, L'agonie du Gethsemani, 261 |
36 | S. Agostino, Epist. 118, e. 5, n. 33: « totum culmen auctoritatis lumenque rationis in ilio uno salutari nomine atque in una eius ecclesia recreando et reformando humano generi constitutum est » (PL 33, 448) |
37 | H. De Lubac, Meditazioni sulla chiesa, Milano, Edizioni Paoline 1955, 225: « L'uomo senza Dio è sempre l'uomo solo. La nostra età, sostituendo i valori storici ai valori eterni, sostituisce alla comunione la successione» |