Comunità
… di vitaSommario
IntroduzioneOgni uomo appartiene ad una comunità; anzi, ciascun uomo appartiene a più comunità: alla comunità umana, alla comunità familiare, alla comunità cristiana, nazionale, internazionale, politica, alla comunità locale, e via di seguito. La vita comunitaria, di cui qui si parla, è soprattutto quella della vita religiosa [ v. Vita consacrata ]. Il discorso però si allarga a svariati tipi di vita comunitaria, compresi quelli caratteristici di questi ultimi anni, quali ad es. le comunità catecumenali, comunità di base e gruppi dalle diverse denominazioni. Bisogna subito premettere che la comunità religiosa, "luogo" della sequela di Cristo, è una comunità fondata sul vincolo della fede e non sul vincolo del sangue. Non si può quindi da essa pretendere ciò che normalmente si pretende da una famiglia. D'altra parte però, dal momento che il vincolo di fede non è inferiore al vincolo di sangue, si dovrebbero tradurre nella vita comunitaria delle persone consacrate tutti i valori autenticamente umani e cristiani, perché provenienti dalla compartecipazione alla vita trinitaria. Non è la famiglia umana il prototipo della vita comunitaria, ma la vita trinitaria: che è unità nella pluralità delle persone. Sarà una comunità che si edifica nella grazia e nella sofferenza, tra fratelli uniti da un medesimo ideale e da un medesimo proponimento. I - Valore e significato della vita comunitaria1. La dimensione sociale e dialogale dell'uomoIl significato e il valore della vita comunitaria oggi sono oggetto di molta attenzione perché nell'uomo moderno affiora un profondo desiderio di comunicazione e di comunione interpersonale.1 Ci si trova davanti a un pullulare di esperienze, più o meno valide, ma sempre espressive di questo fenomeno. Le scienze umane e anche quelle teologiche si sono fatte particolarmente attente alla dimensione sociale e dialogale:2 l'uomo diventa uomo se in comunione con altri uomini, ossia con persone come lui, che vivono con gli altri e per gli altri.3 Un tratto della persona adulta particolarmente sottolineato è quello della capacità di convivere, di associarsi, di collaborare alla vita di comunità. Da un punto di vista sociale viene affermato che la maturità è raggiunta solo quando l'individuo riesce ad accettare gli altri e a collaborare con loro.4 S. Francesco d'Assisi ha avvertito profondamente l'importanza delle relazioni interpersonali e la ricchezza che proviene all'esistenza umana dal vivere con gli altri e per gli altri. Quando Tommaso da Celano, suo primo biografo, narra il formarsi della prima comunità francescana, insiste nella descrizione della conversione e della venuta di Bernardo da Quintavalle e nota che esse « riempirono Francesco di una gioia straordinaria: gli parve che il Signore avesse cura di lui, dandogli il compagno di cui ognuno ha bisogno e un amico fedele ».5 Il carattere di ( v. ) "fraternità" è tipico di s. Francesco: egli ha un senso di fratellanza universale, che estende a tutte le creature e quando nel Testamento ricorda i primi compagni, dice: « Quando piacque al Signore di darmi dei fratelli… » e vuole che, dovunque siano e si trovino, si mostrino familiari tra di loro.6 2. Atteggiamenti peculiari della comunità cristianaLa missione del cristiano è di vivere in mezzo agli altri. « Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! » ( Sal 133,1 ). La misura con cui un cristiano può esperimentare il dono di una comunità, che è una comunione di vita mediante Cristo e in Cristo, è molto varia: la visita di un fratello cristiano, una preghiera in comune, una lettera scrittagli da mano cristiana, la comunione nella celebrazione domenicale della s. messa; altri possono vivere una vita cristiana nella comunità familiare; altri ancora, per un certo tempo, si ritrovano a vivere insieme con altri cristiani per corsi di esercizi spirituali, giornate di studio, di preghiera, di ricerca.7 Negli Atti degli apostoli, gli atteggiamenti peculiari di ogni autentica comunità cristiana sono così riassunti: i membri erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane, nella preghiera, nella comunione fraterna ( At 2,42-47 ). La descrizione di Luca dimostra che la prima comunità di Gerusalemme si nutriva della parola di Dio e dell'eucaristia; che dalla parola di Dio, dall'eucaristia e dalla preghiera traeva alimento tanto che la comunione dei membri non era solo a livello spirituale ma anche a livello materiale: tenevano ogni cosa in comune e distribuivano secondo il bisogno di ciascuno. Volendo, nel versetto su citato, spiegare la parola "insieme", cioè "concordi", si può dire che i fratelli vivono insieme in Cristo, perché Gesù Cristo solo è la nostra concordia. « Egli infatti è la nostra pace » ( Ef 2,14 ). Solo tramite lui possiamo incontrarci, godere gli uni degli altri, avere comunione gli uni con gli altri. 3. Atteggiamenti peculiari della comunità religiosaI fondatori degli istituti religiosi, nel riproporre l'ideale della fraternità, più che all'esempio della prima comunità di Gerusalemme si rifanno a Cristo e agli apostoli e quando vogliono precisare il significato della loro famiglia, la descrivono come una famiglia formata da fratelli secondo lo spirito che, sulla base della fede e della comune ( v. ) vocazione-missione liberamente condivisa e accettata, si ritrovano a vivere insieme la forma di vita evangelica.8 Si tratta di una comunità che l'adesione comune a Gesù Cristo conduce incessantemente a una profonda comunione interiore; essa non deve la sua esistenza alla pressione e all'azione di affinità naturali; queste vi hanno certo un'importanza considerevole, ma non primaria. Quel che avvicina i membri della comunità religiosa è la loro vocazione, è il proposito di un'esistenza da costruire sulla comunione a un medesimo ideale evangelico. I fratelli non vengono scelti, ma è Dio stesso che, attraverso la chiamata, attraverso cioè la Vocazione, li dona a noi e dona noi a loro. II - Le caratteristiche della vita comunitariaLa comunità dovrebbe avere le caratteristiche di un "ambiente educativo". In pedagogia, un ambiente è giudicato educativo se presenta le seguenti caratteristiche: se è proporzionato e adeguato al livello di maturazione di chi lo abita, se si costituisce come fattore di stimolazione, di esplicazione, di sistemazione e di direzione del processo formativo secondo finalità ben definite; se si pone come mediatore tra la personalità in formazione e il mondo esterno; se costituisce un "filtro" o uno "schermo" per salvaguardare la persona da eventuali esperienze che potrebbero nuocere al suo processo di formazione.9 Non è che tali caratteristiche siano tutte e allo stesso modo richieste anche per l'ambiente comunitario di cui qui si parla, ma è un fatto incontestabile che queste comunità, le persone che vivono insieme e vi creano reciproci rapporti, i luoghi che sono teatro dell'attività e dell'esperienza quotidiana, esercitano pressioni, offrono stimoli, ai quali ognuno reagisce a suo modo. Ora è evidente che si deve essere preoccupati perché l'ambiente sia tale da interagire in maniera da provocare nelle persone reazioni, risposte e esperienze che abbiano valore nei confronti delle capacità e dei bisogni dei membri e non siano invece di ostacolo alla personale vocazione. Segnaliamo alcune caratteristiche che sembrano favorire la vita comunitaria. 1. Spirito di sano realismoLa comune vocazione-missione esige nella comunità un sano spirito di realismo per affrontare le varie situazioni senza pretendere l'impossibile; per non trasformare le ombre in giganti, per valutare rettamente uomini ed eventi; per studiare, comprendere e assimilare gli elementi validi del progresso con atteggiamento critico e creativo. Lo spirito di un sano realismo si oppone al formalismo e al fariseismo, alla preoccupazione di voler salvare ad ogni costo le apparenze. Il formalismo proviene da grettezza d'animo o da egoismo; occorre una buona aderenza alla realtà, una visione oggettiva delle circostanze per scorgervi la presenza di Dio e compiere la sua volontà.10 2. Incontro di persone adulteLa vocazione trova un clima favorevole quando la vita comunitaria è contrassegnata da una discreta atmosfera di maturità che fa di ogni individuo una persona di carattere, la quale, nel rispetto dei compiti propri di ciascuno, sa raggiungere l'equilibrio sufficiente per pensare, volere ed agire da persona adulta. L'infantilismo, segno di emotività e di dipendenza eccessiva, è un forte impedimento alla fedeltà alla propria vocazione. Per progredire nella via intrapresa, occorre saper tenere la direzione della propria vita e aver raggiunto un grado tale di maturità e di autonomia da non lasciarsi sballottare dalle onde e portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina ( Ef 4,14 ). 3. Grandezza d'animoLa vita comunitaria deve essere caratterizzata da un'atmosfera di entusiasmo, di magnanimità che trascina verso le vette e suscita grandi ideali. La vocazione, per conservare il vigore delle origini, ha bisogno di aria molto ossigenata. Bisogna fare attenzione al pericolo dell'imborghesimento, della banalità, della mediocrità soddisfatta, che può creare nella comunità un clima tale da dissipare o spegnere lungo la strada gli entusiasmi della partenza. L'ambiente deve essere abbastanza fervente per preservare dall'affievolimento dell'ideale, per conservare vive le motivazioni della scelta e impedire di diventare degli annoiati che si rassegnano lentamente a una vita mancata. 4. Partecipazione all'impegno apostolicoSe la comunità si sottrae all'impegno apostolico, la vita comunitaria perde la sua linfa vitale. Vi saranno modalità diverse, proprie del carisma specifico di ogni istituto, ma per ogni comunità s'impone il dovere di lavorare, sia con la preghiera, sia anche con l'opera attiva, a radicare e consolidare negli animi il regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra ( LG 44 ). Si abbia però la premura di non confondere l'attività apostolica con l'affanno e l'attivismo scomposto, che rende impossibile l'esperienza del "vivere insieme". Il legame tra comunione fraterna e apostolato costituisce una delle caratteristiche più nette dell'azione ecclesiale delle persone consacrate " [ v. Apostolato ].11 5. Una comunità cultualeLa comunità religiosa è una comunità di persone consacrate con Cristo a lode di Dio e al servizio della chiesa. La vita comunitaria e la stessa vocazione si troveranno di fronte a gravi difficoltà se la comunità perde la coscienza della relazione con Dio, attorno alla quale essa si costruisce. Pretendere di eliminare dalle preoccupazioni quotidiane la sosta per la lode e l'adorazione di Dio significa non capire più la vera missione che i membri della comunità hanno nel mondo secolarizzato. Di fronte ad altre comunità, di fronte ad altri gruppi ai quali qualcuno della comunità religiosa stessa potrebbe appartenere, la comunità, di cui qui si tratta, si caratterizza come comunità cultuale il cui asse portante è Dio e che sa di esistere solo perché è un dono della grazia dello Spirito e non può non orientarsi verso la propria sorgente. La comunità, quando cessa di ravvivare nella preghiera la propria relazione con Dio, mette in causa il suo stesso tessuto fraterno. 6. Efficiente idea di gruppoUna comunità alimenta e favorisce la vita comunitaria quando conserva vivace e vigoroso il comune unico fine del vivere insieme. Quando le motivazioni vengono meno il gruppo si dissolve. Una comunità che non sa più perché rimane unita è già morta. È necessario, quindi, condividere l'idea di gruppo, cioè la comune vocazione-missione, e offrire la propria collaborazione per realizzare quella stessa idea per la quale la comunità compatta si organizza, vive e lavora. Non tutti, è evidente, avranno lo stesso servizio; ciascuno infatti ha i suoi doni, le sue attitudini, le sue inclinazioni e ciascuno compie quanto attraverso un'obbedienza attiva e responsabile gli viene affidato. Però, nella varietà dei doni e dei servizi, la convergenza dei carismi personali all'idea di gruppo promuove la realizzazione piena della propria persona e tutti partecipano alla stessa vocazione-missione che crea la vera fraternità e la vera comunione di vita. III - Limiti e difficoltà della vita comunitariaOccorre subito affermare che il progetto tracciato, come qualsiasi progetto quando è grande, supera i limiti di chi se lo propone. La vocazione non avrà mai il suo ambiente ideale. Pretenderlo vuoi dire vivere fuori dalla realtà; vuoi dire non saper accettare della chiesa l'aspetto umano: la chiesa è santa e peccatrice insieme e quindi sempre bisognosa di perdono e di purificazione ( LG 8 ). La comunità rappresenta per l'uomo peccatore una proposta la cui attuazione rimarrà sempre al di qua dell'ideale intravisto.12 È bene saperlo per tempo, fino dai primi anni del cammino vocazionale. In ogni comunità si possono trovare ombre e povertà. Ma le ombre e la povertà, quando la comunità - nonostante le sue miserie - persevera nel mutuo perdono e nella compartecipazione, rendono testimonianza alla potenza di Dio e richiamano il bisogno di essere salvati. 1. I limiti della comunicazioneSe ( v. ) celibato e verginità consacrata per il regno dei cieli da una parte aumentano la possibilità di legami personali e di amicizie profonde e possono far acquistare maggior delicatezza spirituale, dall'altra non è detto che le relazioni comunitarie siano necessariamente più serie e più profonde delle relazioni proprie della comunità del matrimonio; potrebbero anzi portare il segno di una povertà nel campo delle relazioni umane. La vita comunitaria esige che si resti vigili e lucidi per non correre dietro a chimere. L'apertura all'altro, che uno cerca con tutto se stesso di procurare, rappresenta sempre un'impresa costosa. L'ideale di una trasparenza completa, in pratica, risulta difficilmente raggiungibile. Anche su questa realtà, occorre, a suo tempo, un'informazione onesta e discreta. Tutte le comunità, anche più salde, incontrano necessariamente dei limiti nella comunicazione. Non è possibile diventare l'intimo di tutti: possono esistere amicizie privilegiate [ v. Amicizia ] e possono nascere avversioni spontanee. Pur trovandosi uniti nello stesso proposito, non è detto che ciò conduca alla comunicazione qualitativamente identica con tutti. Ciò può condurre ad isolamenti e creare tensioni. La vocazione che ha riunito insieme più persone delinea un ideale più ambizioso delle possibilità concrete dell'uomo. È un mistero di povertà continuamente sofferto. E tutti i giorni bisogna soffiare sulla brace: l'importante è che ci sia la brace e che non ci si stanchi di soffiare. 2. Impegni in compiti secolariLa sequela di Cristo nella comunità non avviene in fila indiana, ne gli uni a fianco degli altri, ma in un essere-con gli altri, in un faccia-a-faccia dinamico e difficile. Affinché questo sfoci nella comunione e non in un incontro superficiale o in un sentimentalismo compensatore, più che alla quantità si dovrà dare importanza alla qualità e all'intensità delle relazioni. Oggi infatti l'impegno in compiti secolari, con orari differenti per ogni persona, l'appartenenza a una pluralità di gruppi, fanno sì che i membri di una comunità apostolica non possono più trovarsi insieme come in passato, attendere allo stesso lavoro, mangiare, divertirsi, pregare insieme. Bisognerà puntare di più sulla responsabilità personale, sulla solidità delle motivazioni, sulla qualità delle relazioni. 3. La pluralità delle appartenenzeOgni comunità è chiamata a inserirsi sempre più nella società in cui vive per sopravvivere e rendere testimonianza al vangelo. L'integrazione sociale della persona si compie sempre più attraverso la partecipazione a una larga gamma di gruppi: gruppo di lavoro, gruppo culturale, gruppo religioso, gruppo politico… Ogni membro della comunità è chiamato a creare nella propria vita personale l'unità delle diverse appartenenze del proprio essere-al-mondo. È evidente che tale evoluzione procura nuove difficoltà. La diversità delle appartenenze extra-comunitarie, che implicano delle partecipazioni più o meno profonde, fa sì che i membri della fraternità non si sentano più interamente trasparenti gli uni agli altri. Alcuni individui non conoscono o non sanno comprendere quello che fanno i loro fratelli. Il lavoro paziente ed arido di taluni può sembrare ad altri un passatempo; lo sforzo leale di altri che tentano di inserirsi in un certo ambiente sembrerà a qualcuno una fuga dalle responsabilità comunitarie. A causa di queste diverse appartenenze a gruppi extra-comunitari può succedere che non tutti domandino più le stesse cose alla fraternità. Chi trova piena soddisfazione nel suo gruppo di lavoro, senza dubbio, esige meno dalla sua comunità di quanto non esiga un altro privo di occupazioni esteriori o che si trova a urtare contro un muro di freddezza. Al primo garba poco l'intimismo fatto di sospiri e di un'attenzione avida di dettagli; il secondo cercherà maggior calore e più inviti alla confidenza; un terzo troverà nel suo ambiente di lavoro il tempo libero di cui ha bisogno e giudicherà insopportabili le distensioni comunitarie che i fratelli gli vogliono imporre e che hanno per lui un sapore d'infantilismo e di compensazione artificiale. Tutto ciò può causare frizioni e frustrazioni, soprattutto in un gruppo piccolo. Dove tracciare la soglia della tolleranza? Occorre ripensare l'equilibrio persona-comunità. IV - La comunità si costruisce insiemeSenza aspettarsi tutto dalla comunità, la singola persona dovrà addossarsi il compito della propria integrazione. Molti aspetti che un tempo dipendevano dalla pressione del gruppo, ora dipendono dalla responsabilità personale. Ciò che da senso a tutto e forma l'asse d'equilibrio tra persona e comunità è la sequela di Cristo nella propria forma di vita. Nella fedeltà a questo impegno è posta l'intenzione fondamentale dell'esistenza. Occorre certo considerare, e con molta franchezza e coraggio, fino a che punto i vari gruppi cui si appartiene siano un'espressione e un'esigenza della vocazione o non piuttosto un compromesso con la scelta evangelica che si è fatta. Ad ogni modo non bisogna lasciarsi assorbire, ne chiudersi in un ghetto, ma conservare una sufficiente libertà interiore, che permetta un'adeguata partecipazione alla propria comunità, sentita come luogo di formazione, di verifica, di sostegno per la vocazione. 1. Rispettare l'intimità e il bisogno di solitudineL'evoluzione presente non deve far dimenticare che la comunione interpersonale, per essere autentica, deve rispettare la soglia d'intimità a cui si arresta la comunicazione e che non può essere violata da nessuno. L'uomo riconosce nell'altro uomo un nucleo incomunicabile. La sofferenza inerente ad ogni amicizia autentica, anche a quella della coppia, nasce da questo limite insormontabile, senza di cui non ci sarebbe ne l'Io ne il Tu: l'altro, resta l'altro.13 Ogni amore urta così contro la propria povertà. Esistono un ritegno e un pudore che vanno rispettati e che non hanno nulla a che fare con la "franchezza evangelica" invocata da qualcuno come paravento di un certo vuoto interiore fatto di chiacchiere intemperanti. Non si tratta di volersi isolare, ne si vuole una comunità-dormitorio, bensì un vero centro di vita fraterna. Non va dimenticato però che senza il rispetto della solitudine di cui ciascuno ha bisogno e nella quale è impresso il sigillo della relazione con Dio, la comunità rischia di perdersi in sproloqui di superficialità soddisfatte, tanto più che in quella solitudine si maturano le esperienze vissute nel confronto quotidiano con l'ambiente di lavoro e con i compiti apostolici. Dovrebbe essere impegno di tutti i membri conservare la necessaria attenzione ad una comunione nella profondità e nello stesso tempo alla solitudine di cui si sta parlando: sembrano così assicurate sia la qualità evangelica della comunità, sia l'edificazione delle persone. 2. Le differenze non devono rompere l'unitàNella comunità vi è un fascio di relazioni immediate e di sforzi coraggiosamente dispiegati perché la fraternità vi si traduca in gioia anche esteriore. Ma tutto questo non deve diventare l'albero che nasconde la foresta. Cosa può esservi al di là di quella gioia esteriore? Vi sono sentimenti austeri che male si esprimono nel groviglio dei legami fraterni e che tuttavia sono più profondi e più costruttivi della gioia gomito a gomito. Quando lo sguardo fraterno sa penetrare sino al fondo dei cuori, giunge a scoprire con sua grande sorpresa una comunione di volontà tese verso il Signore e impegnate sul medesimo cammino; si diviene capaci di cambiare il modo di considerare coloro che formano la comunità: si accetta che il fratello sia differente, che non sia quello che spontaneamente si vorrebbe che fosse, anche nei propri confronti, che abbia il diritto di essere se stesso e non semplicemente una replica di quel che sono gli altri.14 Particolarità, diversità, dispute, litigi, conflitti… sembrano ineluttabilmente presenti nel cuore del destino umano; ma occorre saper accettare che negli altri ci sia sempre qualche cosa d'altro, irriducibile ai propri punti di vista e che può ferire la propria sensibilità. Non si devono trasformare le differenze in pure e semplici incompatibilità o in opposizioni di partiti; come pure non si devono limare le differenze in vista di una unanimità che corrisponda al dominio del più forte o al conformismo dei più deboli; soprattutto occorre uno spirito di tolleranza o, meglio ancora, di accettazione, da non confondersi con la fredda indifferenza; un'accettazione cioè impregnata di larghezza di vedute e di benevolenza, che tende a considerare l'altro come un fratello dato da Cristo. Come sarà precisato più avanti, il problema è di non caratterizzare con una nota di dualismo e di antagonismo il binomio persona-comunità. E sempre difficile conciliare i termini di questo binomio, il bene della persona e il bene comune, ma le posizioni che accentuano indiscriminatamente l'uno o l'altro dei termini sono errate e ingiuste. Ogni posizione unilaterale causa nuovi squilibri di segno opposto a quelli che si vogliono condannare. È cosi che, « al mito delle istituzioni in nome della "santa uniformità", si arriva a sostituire il mito degli individui in nome del "santo individualismo", e tutto questo in un tempo di proclamata demitizzazione ».15 3. Al primo posto la sequela di CristoLa ( v. ) sequela di Cristo, il proposito comune - non è male ripeterlo -, nella misura in cui tutti ancora lo condividono, riesce a radunare coloro che si trovano in opposizione per i loro disaccordi, a far sì che si amino senza mascherare le differenze che pur li fanno soffrire. È un'illusione credere e pretendere di sempre intendersi e sempre piacersi; è possibile invece una solidarietà fondamentale, costruita sulla sequela di Cristo che abbraccia nel suo dinamismo sia il proposito sostanziale della comunione, sia il rispetto delle diversità. Di fronte a tutte le difficoltà di nuovo genere, il punto di riferimento comune deve essere l'ideale da cui ogni fratello è stato conquistato e al quale deve sentirsi avvinto nel profondo della propria vita, con una tonalità infinitamente più primordiale che non quella della sua integrazione sociale e delle stesse forme, sempre contingenti, dell'essere insieme comunitario. La forza unitiva dovrà derivare dalla volontà di vivere con intransigenza l'asse del vangelo in un atto di fede comune e nella forma specifica del proprio istituto. Le relazioni interpersonali, la ricerca dell'intimità spirituale, il desiderio di una comunità in cui ciascuno possa essere pienamente riconosciuto da tutti, sono contenuti nella volontà primaria e assoluta della sequela di Cristo. 4. Una comunità ricreata dalla conversioneA questo punto si dovrà affermare con maggior chiarezza che la comunità di cui si parla è una comunità di riconciliazione ed è segnata con il segno della ( v. ) croce. L'originalità della vita comunitaria delle persone consacrate consiste in un vivere insieme nel nome del vangelo, accettando l'altro così come il Signore lo dona e rimanendogli unito a dispetto di tutto. E questo "tutto" abbraccia molte situazioni: l'urto delle generazioni punteggiato di tensioni; lo scontro di volontà piene di zelo e di buone intenzioni deluse; opposizioni di santità esemplari e di mediocrità corrosive; disaccordi di slanci apostolici sani e di slittamenti pericolosi.16 La fedeltà alla vocazione, il carattere della comunità scelto e condiviso conducono a restare solidali nonostante tutto e a porre la riconciliazione pasquale al centro di ogni sforzo per vivere il vangelo in un atto di fede realista. E poiché si è pur sempre "poveri peccatori" e non è possibile esigere da tutti l'eroismo [ v. Eroismo I ], questa riconciliazione batterà sovente la via del perdono delle offese. Un ragionamento viene spontaneo: il fratello mi ha ferito, il suo gesto e le sue parole aspre continuano a tormentarmi come un morso e tendono a rendermelo detestabile; ma egli rimane colui che Cristo ha amato allo stesso titolo per cui ha amato me e che egli mi ha donato non perché io lo scomunichi, ma perché ricambi il suo perdono. Nei momenti più difficili, quando il compito della comunità può apparire così lontano e così indifferente al problema della propria vocazione, occorre ricordare che con la totale consacrazione a Dio si è scelto di seguire Cristo e Cristo crocifisso. Se si è suoi familiari, con la sua vita e la sua missione, bisogna saper condividere, all'occorrenza, anche la sua sorte. Se si prende sul serio la comunità, viene il momento in cui ci si trova di fronte a se stessi per una rilettura delle proprie opzioni e dei propri piani alla luce del punto di vista degli altri, dei loro bisogni e delle esigenze comunitarie, sempre nella prospettiva del progredire insieme. Qual è il contributo che viene dato per costruire giorno per giorno, insieme con i fratelli, la comunità? V - Formazione al senso comunitarioPer lo stretto rapporto che intercorre tra il grado di formazione comunitaria raggiunto e la crescita vocazionale, tutta la formazione dovrebbe mirare a conservare limpido e vigoroso il proposito di vita nel clima dell'ambiente. Perciò soprattutto nei primi anni del cammino vocazionale è necessario che la persona sia inserita in una comunità educativa, dove le relazioni sono improntate ad uno spirito di mutua fiducia, di rispetto e di stima. 1. Comunità e personaL'imprudenza e la fretta nell'introdurre certe innovazioni, una certa impreparazione o immaturità da parte dei responsabili e dei singoli membri delle comunità sembrano aver accentuato il dissidio tra persona e comunità, confondendo la pluriformità con il particolarismo. La pluriformità considera e valuta in modo legittimo e retto le reali diversità di persona, di regione, di situazioni, di tempi, e ne tiene conto entro i limiti della necessaria unità nella carità e in spirito di fraternità. Il particolarismo invece esagera le differenze, stimola l'individualismo, spezza l'unità, alimenta con divisioni e contrasti una vicendevole intolleranza. La formazione al senso comunitario esige che ognuno sappia esaminarsi, con senso critico sulle proprie opinioni e sui propri desideri in modo che, coltivando una sana pluriformità, sia evitato il vizio del particolarismo. La società e la persona infatti, anche nella vita religiosa, si completano a vicenda e si perfezionano nell'equilibrata integrazione delle esigenze personali con quelle comunitarie. Anzi, il vero concetto di persona esige che l'uomo, superando il vizio dell'individualismo, si integri nella comunione con gli altri. Questa realtà va ricordata specialmente quando le visuali personali vengono a conflitto con le esigenze legittime della comunità.17 2. L'egocentrismo e il suo superamentoPiù avanti si avrà l'occasione di sottolineare l'importanza del dialogo nella vita comunitaria [ VII,3 ]; qui, nel contesto della formazione al senso comunitario, è indispensabile un accenno alla necessità di superare l'egocentrismo per partecipare agli altri i frutti del proprio lavoro e delle proprie esperienze e saper accogliere con animo grato i frutti delle esperienze altrui. È "egocentrico" chi è incapace di comprendere il punto di vista altrui per quanto riguarda opinioni, gusti, inclinazioni, modi di vivere; e chi, pur essendo capace di tale comprensione, non agisce tuttavia in modo corrispondente. Esiste infatti l'egocentrico che non comprende gli altri, e perciò agisce senza tener conto di mentalità differenti dalla sua, ed esiste l'egocentrico che "capisce" gli altri ma agisce senza tener conto di essi. Gli effetti dell'egocentrismo sono differenti secondo che l'egocentrico sia un soggetto dalla psicologia forte o dalla psicologia debole. Il primo s'impone agli altri e se ne serve, con sopraffazione; il secondo cerca di schivare urti e di smorzare i problemi uniformandosi agli altri in direzioni difensive e chiudendosi nel minimo di individualità consentitagli dalla sottomissione di sé agli altri. Conseguenza generale dell'egocentrismo è il senso di isolamento e di paura. Oggi soprattutto si nota che quanto più gli uomini vivono insieme tanto più si sentono soli; tanto più avvertono il senso doloroso della propria incompiutezza e della propria inettitudine a difendersi da minacce cui non sanno dare un nome. Il superamento dell'egocentrismo avviene educandosi alla disponibilità e alla fedeltà all'impegno.18 Uno è "disponibile" quando vede l'altro non come oggetto di fronte a sé, ma come soggetto egli stesso; l'altro costituisce un Tu, e cioè una presenza, unito agli altri dalla comune speranza, nella fedeltà alla persona assoluta, Dio. La fedeltà all'impegno è disponibilità alla comunione con l'altro, è presenza nella prova. Mai, l'altro, è considerato oggetto, mezzo, strumento o spettacolo; l'altro è persona nella misura stessa in cui io sono persona. L'egocentrismo si supera educandosi a un atteggiamento di comprensione e sviluppando la disponibilità in tutte quelle direzioni che possono darle concretezza: rispetto, benevolenza, capacità di simpatizzare, solidarietà. Il "rispetto" verso la personalità altrui esclude l'indiscrezione, la curiosità, la violazione dell'intimità e del bisogno di solitudine di cui si è parlato precedentemente [ IV,1 ]. Il principio del rispetto non dovrà però diventare un alibi per l'indifferenza alla personalità altrui. La "benevolenza" porta a cogliere nella personalità altrui innanzitutto gli aspetti positivi e a cercare di farli valere contro la malevolenza e cioè contro il gusto di scoprire e di denunciare specialmente gli aspetti negativi della personalità o quelli che sembrano tali, o che si vorrebbero tali. Benevolenza non vuoi dire però cecità: giudicare tutti buoni e giudicare tutto bene. La benevolenza non ignora le mille mistificazioni in cui l'egocentrismo sa affermarsi; ma è anche consapevole delle mille forme in cui la generosità sa essere presente e da credito perciò alle possibilità dell'altro. La "capacità di simpatizzare" della persona disponibile, diciamo subito che non è consonanza sentimentale con gli altri e neppure tendenza a "rendersi simpatico", a piacere, a interessare. È capacità di trasferirsi nel mondo altrui al fine d'intenderne sino in fondo motivazioni e impulsi, al fine di essere presenti nell'altro con la lucidità dell'intelligenza e con la sagacia dell'intuito. È comprensione, rispettosa e benevola, della personalità altrui. La disponibilità però non è soltanto questo. Si può essere benevoli e comprensivi ed incapaci di muovere un dito a favore di chicchessia. Le qualità sopraindicate infatti, lasciate a se stesse, possono mantenere l'uomo ancora sul piano di quell'egocentrismo che non è sufficiente neutralizzare con buoni sentimenti. È facile compassionare gli altri e sentirsi buoni; è meno facile invece scomodarsi e fare qualche cosa. La disponibilità verso l'altro deve essere attiva e operante. L'interesse discreto, benevolo e comprensivo verso gli altri occorre che si rafforzi e affronti il "rischio della solidarietà" in tutte le direzioni in cui vi sia appello ad essa. 3. Apertura e presenza al mondoLa formazione al senso comunitario deve considerare anche l'importanza di una mentalità profondamente universale. La vita fraterna non può essere limitata all'ambito di una comunità, ma va estesa all'intero istituto e a tutta la chiesa, così da rendere sempre più aperta la visione del mondo e la concezione della vita. Quest'apertura dovrà essere tale che anche il più piccolo dei fratelli conosca i grandi problemi umani: le necessità della chiesa e del mondo, le aspirazioni dei ( v. ) giovani, le esperienze degli ( v. ) anziani, in modo da conseguire maggiore maturità e meglio capire il servizio che la chiesa e l'istituto attendono da ciascuno. Inoltre, così facendo, la comunità, meno concentrata sulle sue questioni domestiche e meno portata ad esagerare le conseguenze delle sue sofferenze e dei suoi insuccessi, imparerà a giudicarsi con un pizzico di umorismo. 4. Educare a "tenersi su"L'azione educativa che accompagna la crescita del senso comunitario deve tener presente un pericolo cui si va facilmente incontro con il passare degli anni. Il prolungato vivere insieme in un'esistenza austera, privo dello sguardo esigente dell'altro sesso, richiede lo sforzo paziente e costante di "tenersi su", altrimenti si rischia di scivolare in una trascuratezza che rasenta la volgarità. La semplicità evangelica non autorizza, certo, a mettere da parte le « misure igieniche » ( GS 30 ), la cortesia, la gentilezza, il controllo di sé, il rispetto costante ella giustizia, la fedeltà alla parola data, la discrezione, la cura nel conservare al clima comunitario una certa delicatezza ( OT 3; OT 11; AA 4 ). Certi "cari vizi", non sufficientemente combattuti durante la giovinezza, mano mano che si va avanti con gli anni tendono a diventare tirannici ed ossessivi. 5. Collaborazione e corresponsabilitàLa formazione al senso comunitario dovrà avvenire contemporaneamente alla formazione alla collaborazione, alla corresponsabilità, all'uso graduale e retto della libertà per un'adeguata maturità umana. A questo scopo è di grande importanza affidare incarichi che comportino un senso di responsabilità personale, stimolare a organizzare bene il lavoro e il ( v. ) tempo libero, favorire l'iniziativa personale e l'autodisciplina nell'esecuzione dei propri impegni, ammettere gradualmente i giovani a partecipare all'organizzazione della vita stessa della comunità e discutere con loro tutto ciò che li riguarda direttamente, in un clima di fiducia fra tutti. VI - Tentativi per risolvere alcuni problemi comunitariIn questi ultimi anni, per promuovere le vocazioni, per valorizzare pienamente la relazione interpersonale e perché ciascuno possa sentirsi investito della propria responsabilità nel gruppo, sono state costituite "piccole fraternità", con spirito di semplicità e povertà, in mezzo agli uomini, in piena comunione con l'ambiente circostante. 1. La creazione di"piccole fraternità"Nella crisi attuale le piccole fraternità sembrano rappresentare uno dei grandi poli di speranza. Certo, anche prima ne esistevano un po' da per tutto; ma la "novità" del fenomeno dice molto di più che una questione di numero, poiché include l'adozione di uno stile nuovo di comportamento comunitario. In esse è possibile ritrovare l'autenticità di cui vanno in cerca i piccoli gruppi più o meno ecclesiali; ma vi possiamo trovare anche il medesimo rischio d'insuccesso. L'entusiasmo degli inizi declina rapidamente e molte di tali fraternità hanno avuto solo un'esistenza effimera. La piccola fraternità di cinque o sei membri non rappresenta l'unica valida soluzione di rinnovamento rispondente al fine particolare di tutti gli istituti. Altre comunità di grandezza media stanno ottenendo ottimi frutti: maggiore ricchezza interiore, maggiore simbiosi, presenza, sempre, di un piccolo nucleo per una preghiera e una discussione serena. Vi si può trovare anzi un margine d'intimità, che la promiscuità della piccola fraternità non sempre garantisce. 2. Successi e insuccessi di un'esperienzaMa è proprio vero che il piccolo gruppo ha sempre il potere di creare relazioni armoniose? La dimensione ridotta di una comunità non è l'unico fattore di successo: parecchie piccole comunità, anziché offrire uno stimolo e una pienezza, possono far regredire verso comportamenti infantili e diventare anche focolai di nevrosi. Vi è infatti il pericolo di cercarvi una specie di sostituto dell'affettività familiare, dimenticando l'origine tutta particolare del legame familiare e l'esclusione che ( v. ) celibato e verginità consacrata fanno di tutto un livello di prossimità umana. In alcuni casi l'insuccesso di certi tentativi di fraternità può essere causato dal fatto che il fine perseguito consisteva più nella fuga dal grande gruppo attanagliato nel suo formalismo che non nel desiderio di una presenza evangelica radicale. Il successo di queste piccole fraternità inoltre dipende molto dalla qualità delle persone. Se sono psicologicamente serene e radicate nella volontà di vivere veramente il vangelo o nel desiderio di assicurare un apporto migliore al popolo di Dio, tutto andrà probabilmente per il meglio. Se invece si tratta di persone che cercano solo la felicità dell'essere-insieme, esse si perdono lungo la strada o si dirigono verso un muro, contro cui è probabile che un giorno finiscano per rovinarsi. Vi è un altro aspetto da tener presente; i fratelli vengono dati. E volendo essere realisti, si deve dire che la promiscuità del piccolo gruppo accresce i rischi dell'esasperazione provenienti da temperamenti inadatti gli uni agli altri. Sarebbe un tentare la Provvidenza costringere a vivere insieme persone per natura poco in armonia. Negli insuccessi di queste piccole fraternità, la questione dell'incompatibilità personale si riscontra fra le cause più frequenti. VII - Momenti forti della vita comunitariaS'intende, ora, sottolineare l'importanza di alcuni momenti più efficaci della vita comunitaria e la loro 1. La celebrazione dell''EucaristiaIl momento primario della vita comunitaria è indubbiamente la celebrazione dell'eucaristia, sacramento della riconciliazione e della comunione.19 L'eucaristia, mentre è memoria del passato e annunzio del futuro, fino a quando Egli verrà, è anche il momento più importante dell'incontro di Dio con gli uomini, degli uomini con Dio, degli uomini tra di loro. Essa costruisce ed esprime la comunità. In mezzo ai problemi e alle difficoltà, ai conflitti e alle tensioni, la celebrazione dell'eucaristia rinsalda ciascuno dei membri nel proposito di un santo rinnovamento, nella speranza di poter sempre ricominciare daccapo, ed esprime il suo profondo significato riconciliatore. Vivere insieme l'eucaristia, comunicare al medesimo pane e al medesimo calice, mentre nella vita quotidiana le opzioni e i punti di vista in qualche modo dividono, non deve equivalere a una menzogna, ma al contrario può e deve proclamare con maggiore forza che le parole e le stesse diversità sono radicate in una comune volontà di comunione al vangelo, nella fedeltà alla medesima vocazione [ v. Celebrazione liturgica; Eucaristia ]. 2. Le riunioni comunitarieQuando le riunioni comunitarie sono caratterizzate dalla partecipazione attiva e responsabile di tutti, oltre che provvedere al buon andamento della casa, favorire la collaborazione nell'organizzazione dei piani di lavoro, nella ( v. ) revisione di vita, sono senza dubbio particolarmente adatte per una formazione permanente della vocazione. Non bisogna quindi perdersi d'animo di fronte ad alcuni insuccessi. Si cercherà d'individuarne le cause e di provvedervi nel modo migliore, poiché esse hanno una funzione insostituibile nella vita comunitaria e nel cammino vocazionale. Chi è più timido o meno preparato non dovrebbe sentirsi avvilito o offeso da giudizi d'incapacità che nessuno è autorizzato a dare, perché si è riuniti insieme nel nome del Signore non per giudicarsi a vicenda ma per aiutarsi a camminare rettamente davanti a lui. Si dovrà far attenzione a non perdere il tempo in quisquilie anziché puntare all'essenziale del problema. Occorre prendere coscienza di quanto vi è d'inesatto nella costante divisione delle opzioni in due blocchi: conservatori e progressisti. La realtà è più complessa e non si devono adottare le categorie del costume politico con le loro divisioni in partiti desiderosi di vincere. Bisogna ascoltarsi a lungo, spiegarsi, non bruciare le tappe con votazioni precipitose. La decisione non deve tanto rappresentare il trionfo di un blocco, quanto piuttosto il frutto di un cammino comune. C'è da chiedersi infatti se non sia meglio arrivare un poco dopo, ma tutti insieme o nel maggior numero possibile, piuttosto che subito ma da soli o in pochi, spaccando la comunità. Il problema diventa scottante quando numerose comunità, rompendola con la loro tradizione, si danno un volto democratico, rifiutando le procedure istituzionalizzate e cercando di decidere tutto in forma assembleare, ma senza tener conto dei "capi informali" che in un modo o nell'altro spuntano sempre fuori. Il valore reale di una maggioranza non proviene da un semplice computo matematico: il suo peso infatti può aumentare attraverso le voci di persone senza opinione, spesso assenti dalle attività centrali della comunità; o attraverso il voto di persone deboli o scarsamente formate, facile conquista sia dei "maneggioni" abili e intriganti, sia, più spesso ancora, proprio di coloro che si oppongono a tutto ciò che rompe con il conformismo e con la "routine". Non si deve quindi credere di aver detto tutto quando si è decretata la democrazia. L'apertura democratica esige un apprendistato paziente ed ha il suo prezzo. La vera democrazia non è fatta ne di discorsi strampalati ne di spavalderia leggera, ma di una tenace e coraggiosa vittoria sul proprio orgoglio e sul proprio egoismo per una comprensione rispettosa e benevola degli altri. 3. L'importanza del dialogo nella vita comuneFra i momenti importanti della vita comunitaria, che possono costituire il filo coordinatore di un'educazione permanente e comparativa della vocazione, oltre la celebrazione dell'eucaristia e le riunioni comunitarie di vario tipo, si possono collocare la liturgia delle ore, le giornate di ritiro o di studio, gli ( v. ) esercizi spirituali, gli onomastici, i compleanni, gli anniversari, gli avvenimenti lieti o tristi lungo il cammino di tutti e di ciascuno. Tuttavia, perché questi momenti siano davvero atti a rinfrancare e a dare vigore ed entusiasmo, occorre che nella comunità vi sia la possibilità di un dialogo sincero e cordiale.20 Condizione preliminare al dialogo è la stima reciproca. Alcuni membri tendono ad imporre con alterigia i propri punti di vista; altri, cauti o furbi, evitano ogni atteggiamento autoritario, ma da "buoni parlatori" sanno imporre la tirannia dei maneggioni. Bisogna guardarsi dalla presunzione d'imporre come verità assoluta la propria opinione: tutti devono educarsi a saper ascoltare, discutere e comprendere il punto di vista altrui. Chi trova difficoltà ad esprimersi dovrebbe essere aiutato a manifestare la propria opinione. Il dialogo esclude la polemica e conserva sempre il rispetto dell'altra persona.21 Perché l'amore fraterno non resti una semplice etichetta, deve essere coniugato nei tre verbi: conoscersi, amarsi, donarsi. È vero che non si deve fare del piacere di essere insieme lo scopo della fraternità, ma è anche vero che, per restare fedeli alla comune volontà di seguire Cristo, è necessario creare all'interno della comunità un clima di pace e di gioia che componga e superi conflitti e tensioni. I divertimenti hanno certamente la loro importanza nella vita comunitaria, però, come è stato rilevato precedentemente [ III,3 ], non ci si deve meravigliare se non tutti ne sentono lo stesso bisogno. D'altra parte, si deve ricordare che è senza dubbio più necessario applicarsi, con cura, alle piccole delicatezze quotidiane e alle attenzioni reciproche che costituiscono la gioia dell'esistenza civilizzata. Chi dopo un'intensa giornata di lavoro rientra stanco in comunità non desidera tanto le agitazioni sonore di una gioia troppo facile, quanto l'accoglienza comprensiva e riposante dei fratelli. Ci si può chiedere se nel presente momento di sofferta riflessione per ridare vigore alla vita di consacrati a Cristo per un generoso servizio alla chiesa e ai fratelli, sia sufficiente il contributo attualmente dato alla vita comunitaria. Il disorientamento vocazionale e le stesse defezioni in atto potrebbero avere un rapporto con la "povertà" di certe comunità di vita. In questo caso, il recupero di un'autentica vita comunitaria potrebbe contribuire non poco a ridonare chiarezza di idee e di orientamenti per la propria specifica vocazione e rinnovata capacità di un aiuto reciproco per recuperare la gioia della scelta iniziale. VIII - Problematiche ed esperienze attualiData per scontata come prima forma naturale di vita comune la famiglia, considerata nei limiti richiesti dalle sue modalità di funzione la comunità cristiana, si è dedicato qui un più ampio spazio alla comunità religiosa nelle forme specifiche di consacrazione. Negli ultimi anni, il dinamismo proprio di queste comunità e delle varie concezioni della vita ha creato nuove immagini del fatto preso in esame: le comunità catecumenali, le comunità di base, i gruppi dalle diverse denominazioni.22 Va premesso che s'intende riferirsi alle comunità ecclesiali, in cui, oltre al dato della comune fede, in un modo o nell'altro è assicurata la comunione con la chiesa. 1. Le comunità catecumenaliIl primo aspetto rilevante di queste comunità che, del resto, non ignorano i problemi, i vantaggi e le difficoltà delle comunità lumeggiate in precedenza, è la quasi rituale presenza di un "leader spirituale", o animatore, attorno al quale ruotano tutte le iniziative, prendendo da lui l'avvio e l'approvazione, pur nella richiesta di ogni possibile consenso della base. In genere, però, queste comunità catecumenali fanno capo al "catechista", personalità di spicco per competenza dottrinale ed esperienza di fede e di preghiera, generalmente laico; a lui si aggiunge il sacerdote come celebrante dell'eucaristia e dei sacramenti e consultore circa i problemi più teologici e spirituali che si presentano. Secondo le esperienze più note, in base alle finalità che queste comunità si assumono, si rileva che in genere sono centralizzate nell'iniziazione cristiana come cammino all'indietro per la comprensione dei sacramenti già ricevuti e quindi riassunti in un lavoro eminentemente catechetico. Lo specifico "comunitario", qui, consiste nel compiere in comune atti di culto, atti sacramentali, morali, sociali, in unanime concordanza di spirito e di sentimenti, nell'aiuto reciproco sul cammino della fede e anche nell'aiuto materiale nei casi di evidente necessità. In alcune di esse, sul modello delle comunità cristiane primitive, tutto viene messo in comune: danaro, vestiario, viveri, quanto è voluto dalle necessità della vita materiale.23 Le comunità catecumenali non seguono un unico modello, ma differiscono da luogo a luogo, da catechista a catechista, da situazioni a situazioni, fino a differenziarsi notevolmente nei fattori più qualificanti: crescita continua nella "socializzazione" o diminuzione evidente della "comunitarietà", secondo i tipi delle dirigenze o conduzioni. Emerge, in genere, il dato fede-comunione con la chiesa, primato sacramentale dell'eucaristia preparata e vissuta durante tutta la settimana, partecipazione di soggetti di ogni età, a prescindere dai fanciulli, ammissione d'interi nuclei familiari, attenzione massima al concetto di conversione come cammino ininterrotto sulle vie della vita cristiana, portata al suo primitivo stile di vita disciplinata, austera, evangelica [ v. Neocatecumenato ]. 2. Le comunità di baseSotto questa denominazione s'intrecciano gruppi che, nei loro inizi, sono partiti con intenti di fedeltà al vangelo nella sua integra purezza, talvolta in contrasto con altre forme istituzionalizzate di vita cristiana, come le parrocchie, quasi in competizione e per finalità di recupero dei valori genuini del vangelo. In seguito, però, per le eccessive concessioni agli stimoli della contestazione [ v. Contestazione profetica ], sono divenute autonome, perdendo il senso originario della loro vocazione e presenza nella chiesa. Ciò non vuoi dire che non esistano comunità di base che si prefiggono lo scopo di accogliere persone desiderose di un cristianesimo più impegnato, più fedele ai servizi della carità, ma principalmente più intente ad ascoltare, meditare e confrontarsi con la parola di Dio. In genere si caratterizzano per l'amore, un culto quasi, per la ( v. ) parola di Dio, con la quale si familiarizzano, in essa verificano la loro vita e il loro comportamento personale e comunitario, con essa animano i sacramenti che alimentano la loro fede.24 Generalmente questo tipo di comunità sorge dove la vita parrocchiale languisce o dove, per motivi particolari, si concede troppo al conformismo o al ritualismo, con l'assenza parziale o completa della visione cristiana della vita che impegna alle opere e poco concede alle parole. Il loro senso comunitario, in genere, e secondo i modelli più frequenti, consiste nelle decisioni prese in comune, negli atti sacramentali e nelle catechesi in comune, in uno spirito di partecipazione molto sentito. La loro vocazione è di perseguire l'autenticità cristiana, condivisa da tutti i partecipanti e da ciascuno in particolare; è l'espressione degli Atti: « un cuor solo e un'anima sola » ( At 4,32 ). Di solito sono guidate da un "carismatico", il personaggio che, per attitudini naturali e disposizioni di spirito, si presenta come un soggetto credibile e degno di ogni fiducia. I problemi della convivenza o vita comune sono identici a quelli di altre forme di vita comunitaria, con sfumature di scarso valore differenziale. Le attività delle comunità di base sono diverse e numerose: non seguono un modello comune. Secondo il fine per cui sorgono localmente, secondo lo spirito dei "leaders" che le animano, esse si assumono finalità tipicamente "ecclesiali", cioè far chiesa, essere-chiesa nel senso originario della parola; è ovvio che la persona, l'opera e il messaggio di Cristo primeggiano nel programma operativo, e la lettura meditata e commentata del vangelo occupa uno spazio onorato. 3. I Piccoli gruppiDopo un crescendo di comunità catecumenaii e di base, con il seguito d'immancabili crisi e facili estinzioni, si è avvertita una fioritura di "piccoli gruppi", composti di pochi soggetti, con finalità e per attività varie: gruppi di esperienza di preghiera, gruppi del vangelo, gruppi missionari, gruppi caritativi, gruppi di esperienza di vita comunitaria in senso evangelico, sul modello dei dodici apostoli di Gesù, ecc. La nota dominante è la "spontaneità", in quanto si associano soggetti per attrazione di ideali, per comunanza di sentimenti, per eguaglianza di intenti operativi. La loro valutazione, come per altri tipi associativi, è il principio di fede comune, la comunione con la chiesa gerarchica, l'ascolto della parola di Dio, una certa preferenza per l'eucaristia e soprattutto lo spirito di partecipazione che consente di mettere in comune coi fratelli valori posseduti a livello spirituale, scambio di esperienze, testimonianza cristiana e l'amore-carità come anima di tutto.25 La consistenza dei piccoli gruppi varia secondo le situazioni e gli uomini. In genere sono privilegiati dai ( v. ) giovani, che se ne servono per risolvere problemi propri dell'età, difficoltà o interrogativi di fede, per l'approfondimento di particolari verità del messaggio evangelico, e anche per attuare opere e iniziative d'ordine caritativo sociale, oggi assai celebrate: educazione degli handicappati, aiuti al terzo mondo, presenza e assistenza agli ( v. ) anziani, ricupero dei drogati e degli alcolizzati, alfabetizzazione degli indotti, ecc. La nota distintiva dei piccoli gruppi giovanili è l'attività accompagnata dalla preghiera comunitaria, come la liturgia delle ore celebrata insieme e con ponderazione, l'eucaristia domestica, celebrazioni penitenziali. Si avverte un fenomeno spiegabile con l'età: quando i giovani oltrepassano il valico della giovinezza, il gruppo lentamente si estingue. Il problema è quello di ri-creare gruppi più consoni all'età adulta, con finalità e programmi più adeguati alla maturità cristiana e alla crescita della fede. 4. Il "nuovo" e l' "antico" nelle nuove formeLa vita comune ebbe il suo spicco maggiore nelle forme classiche della vita consacrata: monasteri, abbazie, conventi, istituti, residenze religiose, fraternità. La pedagogia e l'ascetica comunitaria attingono a queste fonti, sia per una ricognizione dei valori positivi, sia per la sottolineatura delle tensioni e delle conflittualità. Le nuove forme a cui si è accennato in questo ultimo paragrafo riprendono, forse con più acuta rimarcatezza, i valori e le debolezze della "comunitarietà", evitando, per la sensibilità dei nuovi tempi, l'istituzionalizzazione degli uni e delle altre e, quindi, la divulgazione dei fenomeni. Le tecniche della "socializzazione" a cui s'ispirano, del resto, tutte le forme della vita comunitaria, indugiano in normative, descrizioni, caratterizzazioni, distinzioni tra gruppi e gruppi, che la psicologia sociale tenta di lumeggiare con i suoi interventi interpretativi.26 Nella "novità" delle nuove forme comunitarie vi è quasi tutto l' "antico", anche se in modi meno ufficializzati, specialmente nelle fraternità di vita consacrata laicale e nei terzi ordini religiosi; ma vi è indubbiamente del "nuovo", non solo nelle forme, ma soprattutto nei contenuti, ispirati al vangelo, all'autenticità della chiesa come popolo di Dio, al valore sociale e comunitario della preghiera liturgica, al primato della carità come amore fraterno e come azione di aiuto e di supplenza a ciò che manca nell'attuazione del programma cristiano.27 Sia consentito concludere dicendo che tutto il passato della vita comunitaria non si è trasfuso in quella d'oggi, ma è avvenuta una verifica sostanziale di ciò che ancora vale e di ciò che più non vale. La scelta sembra non sia stata, tranne alcune eccezioni, errata. Lo Spirito del Signore guida il suo popolo nel nuovo esodo incontro alla nuova venuta di Gesù tra di noi. |
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… di base |
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Sua natura | Apostolato V |
Spiritualità I,2 | |
… e religiosità popolare | Religiosità IV,3 |
… di vita |
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Comunicazione | |
Fraternità | |
… con Dio in Cristo | Antinomie III |
Figli IV,3b | |
Obbedienza I | |
Sequela III | |
… apostolica | Apostolato II,4 |
Apostolato V | |
Consigli I,5b | |
Carismatica ecclesiale | Artista VIII |
Chiesa I,a | |
Chiesa I,4a | |
Corpo II,1 | |
Parola II | |
Santo V | |
Sequela III,2 | |
Sacramentale | Celebrazione I,2a |
Eucaristia I,2 | |
Penitenziale | Penitente I |
Penitente III,4 | |
Cristiana e religiosa | Comunità I |
Esperienza sp. Bib. II,5d | |
Spiritualità I,2 | |
Spiritualità III,4c | |
Nella preghiera | Preghiera III,2 |
… e direzione spirituale | Discernimento IV,4 |
Padre VIII,1 | |
Padre VIII,2b | |
… francescana | Antinomie III |
Comunità I | |
… in istituti secolari | Vita III,4 |
… presso i focolarini | Spiritualità I,2 |
… familiare | Amicizia X |
Famiglia IV,3 | |
… comunista | Utopia I,2 |
S. G. B. de La Salle |
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Amiamo la vita ritirata imitando Gesù che si rifugiò e visse sconosciuto in Egitto | MD 6,1 |
Necessità dell'obbedienza | MD 7,2-3 |
Dobbiamo essere fedeli all'obbedienza, nonostante le tentazioni più violente | MD 10,1 |
L'obbedienza ottiene spesso grandi risultati, anche se - in se stessa - sembra ben poca cosa | MD 12,3 |
Le persone consacrate a Dio hanno bisogno di essere esercitate nella pratica dell'obbedienza | MD 13,1-2 |
Tre tipi di disobbedienti | MD 14,1 |
Tre tipi di persone che obbediscono ma non hanno il merito dell'obbedienza cieca | MD 15,3 |
Come dobbiamo comportarci quando conversiamo con gli altri | MD 30,2 |
Vantaggi che procurano le sofferenze, sia interiori che esteriori | MD 35,2-3 |
Festa del SS.mo Sacramento | MD 47,1 |
La cattiva comunione: cause e rimedi | MD 52,1 |
Pretesti che molti adducono per non comunicarsi spesso | MD 55,2 |
Riusciremo sempre, se agiremo per obbedienza | MD 57,3 |
IX domenica dopo Pentecoste | MD 62,1 |
La sordità spirituale | MD 64,1 |
Unione con i Confratelli | MD 65 |
Chi ha rinunciato allo spirito del proprio stato, quali mezzi deve prendere per riacquistarlo? | MD 68,3 |
I Fratelli sono obbligati a edificare il prossimo | MD 69,2 |
Molti sono chiamati, ma pochi sono eletti a vivere in Comunità | MD 72,1 |
Non dobbiamo aspettarci che Dio compia miracoli per farci contenti | MD 73 |
Chi vive in Comunità ha l'obbligo di sopportare i difetti dei Confratelli | MD 74 |
Bandire il rispetto umano | MD 75,1 |
In comunità ci sono diversi che hanno lasciato il mondo ma non ne hanno abbandonato lo spirito | MD 76,1-3 |
Il peccato e la sregolatezza in una Comunità sono l'abominazione e la desolazione nel luogo santo | MD 77 |
I Santi innocenti | MF 89,1 |
Qual'è stato il nostro comportamento verso il prossimo durante quest'anno e quali sono state le nostre colpe | MF 91,2 |
San Francesco da Paola | MF 113,2 |
San Basilio | MF 136,3 |
Sant'Agostino | MF 161,1-2 |
San Cipriano | MF 166,1 |
San Michele | MF 169,3 |
San Bruno | MF 174,3 |
Sant'Ilarione | MF 180,1 |
Ricompensa che deve aspettarsi in cielo un Fratello delle Scuole Cristiane se è stato sempre fedele al suo lavoro | MR 208,2 |
Metodo di orazione |
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Unione a N. S. in … | 28-29-30-31-32-37a-38 |
Orazione in … | 129a - 149c |
Vita di … anticipazione del paradiso | 149c |
Grazie della vita di … | 147c - 148 |
S. Giuseppe patrono e protettore della vita di … | 240 |
Bene temporale della … | 317f |
1 | B. Mondin, L'uomo: Chi è?, Milano, Massimo 1975, 173-191; E. Spaltro, Fenomenologia e dinamica della socializzazione in Nuove Questioni di Psicologia (a cura di L. Ancona), Brescia, La Scuola 1972, voi. II, 11-48; G. Flores d'Arcais, L'educazione sociale in Questioni di Pedagogia, (a cura di G. Flores d'Arcais), Brescia, La Scuola 1973, 245-263; G. M. Bertin, Educazione alla socialità, Roma, Armando 1966, tutta l'opera e in particolare 255-268 |
2 | J. Gevaert, Antropologia e Catechesi, Torino, LDC 1971, 20; A. Brien, II cammino della fede, Torino, Boria 1967, 51-61 |
3 | J. Gevaert, Il problema dell'uomo, Torino, LDC 1973, 29-51; G. Marcel, Homo viator, Torino, Boria 1967, 21-36 |
4 | G. Allport, Psicologia della personalità, Zurigo, Pas-Verlag 1973, 236-245 |
5 | Tommaso da Celano, Vita prima, 24 |
6 | Francesco d'Assisi, Seconda Regola, 6 |
7 | D. Bonhoeffer, La vita comune, Brescia, Queriniana 19695, 55-60 |
8 | M. Conti, Lettura biblica della regola francescana. Roma, Antonianum 1977, 104-132 |
9 | G. Giugni, Introduzione alto studio della pedagogia, Torino, SEI 1972, 143-147 |
10 | G. Lesage, Giovani d'oggi e lavita religiosa, Alba, Edizioni Paoline 1966, 106-113 |
11 | J.-M. Roger Tillard, Davanti a Dio e per il mondo, Alba, Edizioni Paoline 1975, 241-243 |
12 | M. Deibrel, Comunità secondo il vangelo, Brescia, Morcelliana 19762, 61-64; A. Aluffi, Conflitto e dialogo, Milano, Ancora 1971 61-112 |
13 | E. Levinas, Totatité et infini. Essai sur l'extériorité, Den Haag 1961, 37-50; A. Babolin, Essere e alterila in Martin Buber, Roma, Gregoriana 1965: l'opera contiene una sintesi del pensiero di M. Buber sulla struttura dialogale o interpersonaie dell'uomo |
14 | G. Nosengo, La persona umana e l'educazione, Broscia, La Scuola 1967, 9-21; G. Catalfamo, I fondamenti del personalismo pedagogico. Roma, Armando 1966, 49-81; R. Zavalloni, Le strutture umane della vita spirituale, Broscia, Morcelliana 1971, 61-66 |
15 | L. Rulla, Psicologia del profondo e vocazione: Le Persone, Torino, Marietti 1975, 216 |
16 | Nell'o. e. di G. Lesage (nota 10) vi è una raccolta di opinioni correnti sul problema attuale dell'adattamento |
17 | Su questo tema cf P. Resigno, Persona e comunità, Bologna, U Mulino 1966. |
18 | G. M. Bertin, o. e. alla nota 1, 99-115; S. Banchetti, L'educazione alla democrazia e la pedagogia dell'impegno, Bologna, Cooperativa Libraria Universitaria 1975, 101-109 |
19 | J.-M. Roger Tillard, o. e. alla nota 11, 277-292 |
20 | B. Giordani, II colloquio psicologico nell'azione pastorale, Brescia, La Scuola - Roma, Antonianum 1973, 143-157; Id., La relazione di aiuto secondo l'indirizzo di Cari R. Rogers, Brescia, La Scuola - Roma, Antonianum 1977, 85-244; F. Mòntuschi, Comunicazione e vita di gruppo, Brescia, La Scuola - Roma, Antonianum 1976, 98-103 |
21 | Populorum progressio, 54, 73 |
22 | Sull'argomento si possono confrontare i seguenti studi: A. Mazzoleni, L'evangelizzazione nella comunità parrocchiale, Alba, Edizioni Paoline 1976; M. Delespesse, Questa comunità che si chiama chiesa, Milano, Jaca Book 1968; D. Barbe, Domani, le comunità di base, Milano, Jaca Book 1971; T. Warnier, II fenomeno delle co'munita di base, Milano, Jaca Book 1973; R. Tonelli, La vita dei gruppi ecclesiali, Torino, LDC 1974 |
23 | A. Fallico, Quando un gruppo diventa chiesa, Assisi, Cittadella 1974: vi è sviluppato tutto l'argomento |
24 | Sul tema in genere cf Aa. Vv., Diocesi, parrocchia e comunità di base, Roma, Irades 1972 |
25 | M. Cuminetti, Il significato dei piccoli gruppi nella chiesa in Aa. Vv., I piccoli gruppi nella chiesa, Assisi, Cittadella 1970, 26-35 |
26 | Sull'argomento cf M. Mistrorigo, Itinerari catecumenati ieri e oggi, riflessioni e indicazioni, Vicenza, Favero 1974 |
27 | Ottime indicazioni sull'argomento in A. Mazzoleni, Le strutture comunitarie della nuova parrocchia, Roma, Edizioni Paoline 1977 |