Contro le due lettere dei Pelagiani |
Qui continuano ancora le calunnie che costoro scagliano contro di noi e non cominciano ancora a tessere le tesi della loro stessa dottrina.
Ma per evitare che la prolissità dei volumi offendesse i lettori, abbiamo distribuito le loro obiezioni in due libri, dei quali, finito il precedente che è il secondo di tutta quest'opera, ne impostiamo da qui un altro e lo congiungiamo come terzo al primo e al secondo.
Ci accusano di dire: "La legge dell'Antico Testamento non fu data per giustificare coloro che le obbedivano, ma per diventare causa di più grave peccato".
Assolutamente non capiscono cosa diciamo noi della legge, perché diciamo quello che dice l'Apostolo che essi non capiscono.
Chi dirà infatti che non sono giustificati coloro che obbediscono alla legge, quando non potrebbero obbedire alla legge se non fossero già giustificati?
Ma noi diciamo: la legge fa udire cosa Dio vuole che sia fatto, la grazia invece fa obbedire alla legge.
Poiché, dice l'Apostolo, non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. ( Rm 2,13 )
La legge dunque fa uditori della giustizia, la grazia esecutori.
Dice il medesimo Apostolo: Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio l'ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito. ( Rm 8,3-4 )
Ecco quello che diciamo noi. Preghino di capire finalmente e non litighino con il pericolo di non capire perpetuamente.
È impossibile infatti che la legge si possa osservare per mezzo della carne, cioè della presunzione carnale dei superbi che, ignorando la giustizia di Dio, ossia quella che viene da Dio all'uomo per essere giusto, e cercando di stabilire la propria, come se la legge si possa osservare con il loro arbitrio senza l'aiuto divino, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
Perciò la giustizia della legge si adempie in coloro che non camminano secondo la carne, cioè secondo l'uomo che ignora la giustizia di Dio e cerca di stabilire la propria, ma camminano secondo lo spirito.
Ora, chi altri cammina secondo lo spirito se non chi è guidato dallo Spirito di Dio?
Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )
Dunque la lettera uccide, lo Spirito dà vita. ( 2 Cor 3,6 )
Né la lettera è un male perché uccide, ma convince di trasgressione i cattivi.
Infatti la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. ( Rm 7,12 )
Ciò che è bene è allora diventato morte per me?, chiede l'Apostolo. E risponde: No davvero!
È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. ( Rm 7,13 )
Ecco che vuol dire: La lettera uccide. Infatti il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,56 )
Acuisce appunto i desideri del peccato proibendo, ed è per questo che dà morte, se la grazia soccorrendo non dà vita.
Ecco quello che diciamo, ecco perché ci rinfacciano di dire: "La legge è stata data perché sia causa di più grave peccato", non prestando essi orecchio all'Apostolo che dice: La legge infatti provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione, ( Rm 4,15 ) e ancora: La legge fu aggiunta per le trasgressioni fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, ( Gal 3,19 ) e: Se fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 )
Questa è la ragione per cui il Vecchio Testamento del monte Sinai dove fu data la legge genera nella schiavitù, rappresentata da Agar. ( Gal 4,24 )
Noi invece, afferma, non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera. ( Gal 4,31 )
Non sono pertanto figli della donna libera coloro che hanno ricevuto la legge della lettera, che li possa mostrare non solo peccatori, ma per giunta anche trasgressori, bensì coloro che hanno ricevuto lo spirito della grazia, con il quale si possa adempiere la stessa legge, santa, giusta e buona.
Ecco quello che noi diciamo: intendano costoro e non contendano, s'illuminino e non calunnino.
Scrivono di noi: Asseriscono pure che il battesimo non fa gli uomini veramente nuovi, cioè non dà la piena remissione dei peccati, ma sostengono che i battezzati diventano figli di Dio sotto un aspetto e rimangono figli del secolo, ossia del diavolo, sotto un altro.
Costoro mentiscono, insidiano, cavillano. Non è questo che noi diciamo.
Infatti tutti gli uomini che sono figli del diavolo li diciamo pure figli del secolo, ma non tutti i figli del secolo li diciamo pure figli del diavolo.
Lungi da noi infatti il dire che sono stati figli del diavolo i santi patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe e gli altri simili a loro, quando generavano per mezzo delle nozze, e quei fedeli che generano finora e genereranno in seguito.
Eppure non possiamo contraddire il Signore che dichiara: Sono i figli di questo secolo che prendono moglie e maritano le figlie. ( Lc 20,34 )
Certuni dunque sono figli di questo secolo senza essere figli del diavolo.
Benché infatti il diavolo sia l'ispiratore e il principe di tutti i peccatori, non tutti i peccati però fanno figli del diavolo i peccatori.
Peccano infatti anche i figli di Dio, perché, se dicono che sono senza peccato, ingannano se stessi e la verità non è in loro. ( 1 Gv 1,8 )
Ma peccano per la condizione che li fa essere ancora figli di questo secolo, in forza invece della grazia che li fa essere figli di Dio non peccano certamente, perché chiunque è nato da Dio non commette peccato. ( 1 Gv 3,9 )
Ora, a fare figli del diavolo è la mancanza di fede: un peccato questo che, quando non si specifica la qualità del peccato, si chiama peccato in senso così proprio come se fosse l'unico peccato.
Come quando si dice l'Apostolo senza precisare quale apostolo, non s'intende se non Paolo, perché è più noto per il maggior numero di Lettere e perché ha faticato più di tutti gli altri. ( 1 Cor 15,10 )
Perciò in quello che il Signore disse dello Spirito Santo: Egli convincerà il mondo quanto al peccato, volle che s'intendesse la mancanza di fede. E infatti spiegandolo disse: Quanto al peccato, perché non credono in me. ( Gv 16,8-9 )
Così pure nel testo: Se non fossi venuto e non avessi parlato a loro, non avrebbero alcun peccato. ( Gv 15,22 )
Non che prima non avessero il peccato, ma volle che s'intendesse il peccato della "diffidenza", a causa della quale non credettero a lui, benché fosse presente e parlasse, dimostrando così di appartenere al diavolo, del quale l'Apostolo dice: Seguendo il principe delle potenze dell'aria, che ora opera nei figli della diffidenza. ( Ef 2,2 )
Figli del diavolo sono dunque coloro che non hanno fede, perché nel loro intimo non c'è nulla per cui si rimettano ad essi tutti quei peccati che l'uomo commette o per debolezza o per ignoranza o addirittura per una qualche cattiva volontà umana.
Verso i figli di Dio invece, i quali, se dicono d'esser senza peccato, certo ingannano se stessi e non hanno la verità dentro di sé, sicuramente, come seguita a dire Giovanni, "se riconoscono i propri peccati - e i figli del diavolo non lo fanno o lo fanno ma non con la fede che è propria dei figli di Dio -, il Signore è così fedele e giusto da rimettere a loro i peccati e purificarli da ogni colpa". ( 1 Gv 1,9 )
Ma perché si capisca più appieno quello che diciamo, si ascolti lo stesso Gesù che parlava certamente a figli di Dio quando diceva: Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! ( Mt 7,11 )
Se infatti non fossero figli di Dio, non direbbe ad essi: Il Padre vostro che è nei cieli.
E tuttavia dice che sono cattivi e che sanno dare cose buone ai loro figli.
Cattivi forse e figli di Dio sotto il medesimo aspetto?
Non sia mai! ma cattivi sotto l'aspetto per cui sono figli ancora del secolo, e tuttavia già fatti figli di Dio per il pegno dello Spirito Santo.
Il battesimo dunque lava, sì, da tutti i peccati, assolutamente da tutti: dai peccati delle opere, delle parole, dei pensieri; siano peccati originali, siano peccati aggiunti, siano peccati commessi per ignoranza, siano peccati commessi scientemente, ma non toglie la debolezza, alla quale il rigenerato non cede quando combatte la sua buona battaglia e viceversa cede quando come uomo è sorpreso da qualche colpa, ( 2 Tm 4,7 ) godendo nel rendere grazie per non aver ceduto, gemendo nell'allegare orazioni per aver ceduto.
Nel primo caso dice: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? ( Sal 116,12 )
Nel secondo caso dice: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Per il beneficio dice: Ti amo, Signore, mia forza. ( Sal 18,2 )
Per la colpa: Pietà di me, Signore: vengo meno. ( Sal 6,3 )
Per la vittoria dice: Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede. ( Sal 25,15 )
Per la sconfitta dice: Per l'ira è turbato il mio occhio. ( Sal 31,10 )
E altre innumerevoli espressioni che riempiono le Scritture divine e che, nelle alterne vicende, o esultando dei beni dati da Dio o dolendoci dei mali fatti da noi, sono dette per ispirazione di fede dai figli di Dio finché continuano ad essere figli anche di questo secolo secondo la debolezza di questa vita.
I quali tuttavia Dio li separa dai figli del diavolo ( Tt 3,5 ) non solo con il lavacro della rigenerazione, ma anche con la probità della stessa fede che opera per mezzo della carità, ( Gal 5,6 ) poiché il giusto vive mediante la fede. ( Rm 1,17 )
Tale debolezza però, con la quale fino alla morte corporale combattiamo nell'alternanza di mancamenti e di avanzamenti - e conta parecchio che cosa vinca in noi -, sarà fatta finire dall'altra rigenerazione, della quale il Signore dice: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su dodici troni, ecc. ( Mt 19,28 )
Rigenerazione appunto in questo luogo chiama - e nessuno ne dubita - la risurrezione finale, che l'apostolo Paolo denomina pure adozione e redenzione scrivendo: Ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23 )
Che forse non siamo stati rigenerati, adottati, redenti, per mezzo del santo lavacro?
E tuttavia resta la rigenerazione, l'adozione e la redenzione che è ancora da venire al momento della fine e che adesso dobbiamo aspettare pazientemente per non essere più allora sotto nessun aspetto figli di questo secolo.
Chiunque perciò detrae dal battesimo quello che riceviamo attualmente per mezzo di esso, corrompe la fede; chiunque poi attribuisce al battesimo già fin d'ora quello che riceveremo, sì, per mezzo di esso, ma alla fine, mutila la speranza.
Se qualcuno infatti mi chiederà se siamo stati salvati per mezzo del battesimo, non lo potrò negare, dicendo l'Apostolo: Ci ha salvati mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo. ( Tt 3,5 )
Ma se mi domanderà se per mezzo del medesimo lavacro ci ha già salvati assolutamente sotto tutti gli aspetti, risponderò: Non è così.
Lo stesso dice appunto il medesimo Apostolo: Poiché nella speranza noi siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza: infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?
Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,24-25 )
La salvezza dunque dell'uomo è stata fatta nel battesimo, perché è stato rimesso quello che di peccato ha contratto dai genitori o anche qualsiasi peccato che egli stesso abbia commesso personalmente prima del battesimo; ma alla fine la sua salvezza sarà tanta da non poter più peccare in nessun modo.
Poiché queste sono le nostre posizioni, da esse si confutano anche le obiezioni che ci muovono nel seguito.
Chi tra i cattolici infatti potrà dire quello che costoro spargono come detto da noi: "Lo Spirito Santo nel Vecchio Testamento non ha prestato aiuto alla virtù" se non quando intendiamo il Vecchio Testamento nel senso in cui l'Apostolo ha detto: Quello del monte Sinai che genera nella schiavitù? ( Gal 4,24 )
Poiché però nel Vecchio Testamento era prefigurato il Nuovo, gli uomini di Dio che allora capivano questa verità, sebbene secondo la distribuzione dei tempi fossero senz'altro dispensatori e portatori del Vecchio Testamento, si mostrano tuttavia eredi del Nuovo.
O forse negheremo l'appartenenza al Nuovo Testamento di colui che prega così: Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo? ( Sal 51,12 )
O di colui che dice: I miei piedi ha stabiliti sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi; mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio? ( Sal 40,3-4 )
O del famoso padre dei credenti, che è anteriore al Vecchio Testamento del monte Sinai e del quale l'Apostolo scrive: Fratelli, ecco, vi faccio un esempio comune: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa.
Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse.
Non dice la Scrittura: - ai tuoi discendenti -, come se si trattasse di molti, ma: - e alla tua discendenza -, come a uno solo, cioè il Cristo.
Poi dichiara: Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso non può dichiararlo nullo una legge che è venuta quattrocentotrent'anni dopo, annullando così la promessa.
Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa. ( Gal 3,15-18 )
Certamente se qui cerchiamo di sapere se in questo Testamento che, stabilito da Dio, l'Apostolo dice non annullato dalla legge, emanata quattrocentotrent'anni dopo, sia da intendersi quello Nuovo o quello Vecchio, chi dubiterà di rispondere: Quello Nuovo, ma occultato nelle oscurità profetiche, finché non arrivasse il tempo della sua rivelazione nel Cristo?
Se infatti diremo: Quello Vecchio, che cosa sarà il Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù? ( Gal 4,24 )
Lassù infatti dopo quattrocentotrent'anni fu emanata la legge che l'Apostolo dichiara incapace d'annullare questo Testamento della promessa fatta ad Abramo; e la promessa fatta ad Abramo l'Apostolo vuole che sia riferita piuttosto a noi che vuole figli della donna libera e non della schiava, eredi per la promessa e non per la legge, quando dice: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa. ( Gal 3,18 )
Che dopo quattrocentotrent'anni sia stata fatta la legge vuol dire che essa sopraggiunse perché abbondasse la colpa, dal momento che attraverso il peccato della trasgressione si smaschera la superbia dell'uomo presuntuoso della propria giustizia: ma laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia ( Rm 5,20 ) attraverso la fede dell'uomo già umile che, mancando nella legge, si rifugia nella misericordia di Dio.
Perciò dopo aver detto: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa, come se gli si chiedesse: Perché mai dunque è stata fatta successivamente la legge? ha soggiunto domandandosi: Perché allora la legge?
Al quale interrogativo dà immediatamente la risposta: Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa. ( Gal 3,19 )
Lo dice ugualmente così: Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa.
La legge infatti provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione. ( Rm 4,14-15 )
Quello che dice nel passo: Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa, ( Gal 3,18 ) lo ripete in questo passo: Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa, ( Rm 4,14 ) facendo sufficientemente capire che alla nostra fede, la quale è certo del Nuovo Testamento, si riferisce il favore che Dio concesse ad Abramo mediante la promessa.
E quello che ha detto nella domanda: Perché allora la legge? e nella risposta: Essa fu aggiunta per le trasgressioni, ( Gal 3,19 ) lo ripete similmente in questo luogo: La legge infatti provoca l'ira, al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione. ( Rm 4,15 )
E Abramo dunque e i giusti prima di lui e i giusti dopo di lui fino allo stesso Mosè, per mezzo del quale fu dato il Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù, e tutti gli altri profeti dopo di lui e i santi uomini di Dio fino a Giovanni Battista sono figli della promessa e della grazia a somiglianza d'Isacco, figlio della donna libera, e non in base alla legge, ma in base alla promessa sono eredi di Dio e coeredi del Cristo.
Lungi da noi infatti il negare che il giusto Noè e i giusti delle epoche precedenti e tutti i giusti che poterono esserci da lui fino ad Abramo, o manifesti o occulti, appartengano alla Gerusalemme di lassù che è la nostra madre, ( Gal 4,26 ) benché si trovino ad essere anteriori a Sara, la quale portava in sé la profezia e l'immagine della stessa nostra libera madre.
Quanto più evidentemente sono dunque da ritenersi figli della promessa tutti coloro che piacquero a Dio dopo Abramo, al quale Dio fece la stessa promessa così da chiamarlo padre di una moltitudine di popoli! ( Gen 17,4; Rm 9,8 )
Non è infatti che da Abramo in poi si trovi più vera la generazione dei giusti, ma si trova più manifesta la profezia.
Appartengono invece al Vecchio Testamento, che è del monte Sinai e genera nella schiavitù, rappresentata da Agar, ( Gal 4,24 ) coloro che, avendo ricevuto una legge santa e giusta e buona, credono che possa bastare ad essi per la vita la lettera della legge e quindi non ricercano la misericordia divina che li faccia diventare esecutori della legge, ma, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
A questa categoria appartenne quella moltitudine che nel deserto mormorò contro Dio e si costruì un idolo, e quella moltitudine che già in possesso della stessa terra promessa si prostituì agli dèi stranieri.
Ma questa moltitudine fu fortemente riprovata anche nello stesso Vecchio Testamento.
Inoltre costoro, tutti quelli che appartenevano a tale categoria in qualsiasi modo, andando dietro ai soli beni terreni promessi allora da Dio e ignorando che cosa essi significassero in ordine al Nuovo Testamento, osservavano i comandamenti di Dio per l'amore dell'acquisizione di quei beni e per il timore della loro perdita; anzi non li osservavano, ma sembrava ad essi d'osservarli.
In loro infatti non operava la fede mediante la carità, ( Gal 5,6 ) ma la cupidità terrena e la timidità carnale.
Ora, chi osserva i comandamenti in tale maniera, li osserva certamente contro voglia e quindi non li osserva nell'animo, perché stando alle sue brame e alle sue paure vorrebbe piuttosto non osservarli affatto, se fosse permesso impunemente.
E per questo è reo nell'intimo della sua volontà, dove lo stesso Dio che comanda ben figge lo sguardo.
Tali erano i figli della Gerusalemme terrena, della quale l'Apostolo scrive: È schiava insieme ai suoi figli, appartenendo essi al Vecchio Testamento del monte Sinai che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar. ( Gal 4,25.24 )
Alla stessa categoria appartennero coloro che crocifissero il Signore e rimasero nella medesima incredulità.
Da quella parte stanno attualmente anche i loro figli, nella grandissima moltitudine dei Giudei, benché ormai, come fu profetato, il Nuovo Testamento sia stato manifestato e ratificato con il sangue del Cristo e il suo Vangelo sia stato fatto conoscere fino agli estremi paesi della terra, a partire dal fiume dove Gesù fu battezzato ed esercitò il suo magistero. ( Sal 72,8; Mt 3,16-17; At 1,8 )
I quali Giudei, secondo le profezie che hanno l'abitudine di leggere, sono dispersi dovunque in ogni parte della terra, perché non manchi alla verità cristiana una testimonianza anche dai loro codici.
Anche il Vecchio Testamento fu dunque istituito da Dio, perché piacque a Dio di velare fino alla pienezza del tempo con promesse di beni terreni, posti come in premio, le promesse celesti, e di dare una legge spirituale, sì, ma tuttavia in tavole di pietra, ad un popolo che smaniava per i beni della terra e aveva perciò un cuore duro. ( Es 24,12 )
Eccettuati appunto nei Libri antichi i sacramenti, che furono comandati per sola ragione simbolica - sebbene la legge giustamente si dica spirituale anche in tali sacramenti, poiché devono intendersi in modo spirituale -, è certo che tutte le altre prescrizioni concernenti la pietà e la morale non sono da ridursi per nessuna interpretazione a un qualche senso simbolico, ma sono assolutamente da osservarsi così come sono state espresse.
Che quella legge di Dio non solo al popolo di allora, ma anche a noi di ora sia necessaria per governare in modo utile la vita, nessuno sicuramente ne dubiterà.
Infatti il Cristo ci ha tolto il gravissimo giogo di molte osservanze: di non essere circoncisi nella carne, di non immolare vittime di animali, di non astenerci dalle opere anche necessarie ogni sabato che torna ogni settimana sulla ruota dei giorni, e di altre simili, ma le conserviamo intendendole spiritualmente e, rimosse le ombre dei simboli, stiamo attenti a cogliere la luce delle stesse realtà che sono significate.
Ma ci autorizza forse per questo a dire che non ci riguarda la norma scritta che ciascuno, se trova una qualsiasi cosa perduta da altri, la restituisca a chi l'ha perduta, ( Lv 6,3-4 ) e molte altre norme simili dalle quali s'impara a vivere piamente e onestamente, e soprattutto lo stesso Decalogo, contenuto in quelle due tavole di pietra, fuorché l'osservanza materiale del sabato, che significa la santificazione e la quiete spirituale? ( Es 20,11 )
Chi infatti dirà che i cristiani non sono tenuti a servire con l'ossequio della religione a Dio soltanto, a non adorare gli idoli, a non nominare invano il nome di Dio, a onorare i genitori, a non commettere adultèri, omicidi, furti, false testimonianze, a non desiderare la moglie e assolutamente nessuna cosa altrui? ( Es 20,11 )
Chi è tanto empio da dire che questi precetti della legge non li osserva precisamente per il fatto che è cristiano né si trova a vivere sotto la legge, ma sotto la grazia? ( Rm 6,14 )
Ma qui c'è palesemente una grande differenza: coloro che vivono sotto la legge e che la lettera uccide, ( 2 Cor 3,6 ) osservano tali comandamenti per la bramosia di raggiungere la felicità terrena o per la paura di perderla, e in tanto non li osservano veramente in quanto la cupidità carnale, che fa piuttosto variare e aumentare il peccato, non è risanata dall'altra cupidità.
Costoro appartengono al Vecchio Testamento che genera nella schiavitù, perché li rende schiavi la paura e la cupidità carnale, e non li rende liberi la fede, la speranza, la carità evangelica. ( Gal 4,24 )
Coloro invece che vivono sotto la grazia e ai quali dà vita lo Spirito, ( Gal 5,6 ) osservano i comandamenti in forza della fede che opera mediante la carità, con la speranza di beni non carnali ma spirituali, non terreni ma celesti, non temporali ma eterni, e soprattutto credendo nel Mediatore, per mezzo del quale non dubitano e che si somministri ad essi lo spirito della grazia per osservare bene i comandamenti e possa perdonarsi ad essi se peccano.
Costoro appartengono al Nuovo Testamento, figli della promessa, rigenerati da un padre che è Dio e da una madre che è libera.
A questa categoria appartennero tutti i giusti dell'antichità e lo stesso Mosè, ministro del Vecchio Testamento ed erede del Nuovo, perché vissero mediante l'unica e medesima fede mediante la quale viviamo noi, credendo venture l'incarnazione, la passione e la risurrezione del Cristo, come noi le crediamo venute.
Tale categoria giunge fino allo stesso Giovanni Battista, limite per così dire della provvidenza del passato, il quale non ha indicato l'avvento dello stesso Mediatore con qualche adombrazione dell'avvenire o con qualche significazione allegorica o con qualche predizione profetica, ma l'ha mostrato a dito dicendo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo, ( Gv 1,29 ) quasi per dire: "Colui che molti giusti ebbero il desiderio di vedere, ( Mt 13,17 ) colui che fino dall'inizio del genere umano credettero venturo, colui che fu promesso ad Abramo, colui del quale scrisse Mosè, ( Gal 3,16 ) colui del quale sono testimoni la Legge e i Profeti, ( Rm 3,21 ) eccolo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo".
Da questo Giovanni in poi cominciarono a farsi passati o presenti gli avvenimenti riguardanti il Cristo che da tutti quei giusti del tempo antico si credevano, si speravano, si desideravano futuri.
C'è dunque la medesima fede e in coloro che già furono cristiani antecedentemente, non ancora di nome ma di fatto, e in questi di oggi che non lo sono soltanto ma anche si chiamano cristiani, e in tutti, di un tempo e dell'altro, c'è la medesima grazia per mezzo dello Spirito Santo.
L'Apostolo scrive per questo: Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: - Ho creduto, perciò ho parlato -, anche noi crediamo e perciò parliamo. ( 2 Cor 4,13 )
In un senso dunque si dice Antico Testamento, per l'abitudine del linguaggio che ormai si tiene, l'insieme della Legge e dei Profeti che profetarono fino a Giovanni - e questo insieme sarebbe più appropriato chiamarlo Vecchio Insegnamento che Vecchio Testamento -; in un altro senso poi si dice Vecchio Testamento nel modo in cui lo chiama così l'autorità dell'Apostolo, sia adoperando esplicitamente questo vocabolo, sia alludendo implicitamente al Vecchio Testamento.
L'adopera esplicitamente infatti dove dice: Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore nella lettura del Vecchio Testamento, non essendo ancora rimosso, poiché è solo nel Cristo che il velo viene eliminato. ( 2 Cor 3,14-15 )
In questo modo infatti mette molto evidentemente il Vecchio Testamento in relazione al ministero di Mosè.
Implicitamente nello stesso senso dice: Per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel vecchio regime della lettera, ( Rm 7,6 ) alludendo al medesimo Vecchio Testamento con il nome di lettera. ( Rm 7,6 )
Lo stesso quando altrove scrive: Dio ci ha resi ministri adatti di un Nuovo Testamento, non della lettera, ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita. ( 2 Cor 3,6 )
Anche qui nel nominare il Nuovo Testamento ha voluto certamente che si pensasse al Vecchio Testamento.
Ma molto più evidentemente, pur senza dire né Vecchio né Nuovo, ha distinto gli stessi due Testamenti nei due figli di Abramo, l'uno nato da una donna schiava e l'altro da una donna libera: è un fatto che abbiamo già ricordato più sopra.
Che cosa infatti di più esplicito di questo suo modo di parlare? Scrive: Ditemi.
Voi che volete essere sotto la legge, non sentiste forse cosa dice la legge?
Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera.
Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa.
Ora, tali cose sono state dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano i due Testamenti; uno, quello del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar - il Sinai è un monte dell'Arabia -; esso corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli.
Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. ( Gal 4,21-26 )
Che cosa di più chiaro, di più certo, di più lontano da ogni oscurità e ambiguità?
E poco dopo dice: Ora noi, fratelli, siamo i figli della promessa alla maniera di Isacco. ( Gal 4,28 )
Lo stesso ancora un poco dopo: Fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera. Il Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. ( Gal 4,31; Gal 5,1 )
Scegliamo dunque: se dire gli antichi giusti figli della donna schiava oppure della donna libera.
Non sia mai che diciamo della donna schiava. Se dunque della donna libera, essi appartengono al Nuovo Testamento nello Spirito Santo, che l'Apostolo oppone come datore di vita alla lettera datrice di morte.
Per quale ragione infatti non apparterrebbero alla grazia del Nuovo Testamento costoro le cui parole e libri ci servono a confutare e convincere i più dementi e ingrati nemici della medesima grazia?
Ma domanderà qualcuno: Perché si chiama Vecchio il Testamento che fu fatto per mezzo di Mosè quattrocentotrent'anni dopo Abramo e si dice Nuovo il Testamento che fu dato con Abramo tanti anni prima?
Chi è mosso da questa difficoltà, non per litigare ma per indagare, comprenda prima di tutto che nel dire Vecchio Testamento quello che viene da un tempo anteriore e Nuovo Testamento quello che viene da un tempo posteriore, si considerano in queste denominazioni le rivelazioni e non le istituzioni dei due Testamenti.
Il Vecchio Testamento fu rivelato appunto per mezzo di Mosè, mediante il quale fu data la legge, santa e giusta e buona, ( Rm 7,12 ) destinata non all'abolizione del peccato, ma alla sua cognizione, destinata a disingannare i superbi, che cercavano di stabilire la propria giustizia, come se non avessero bisogno dell'aiuto di Dio, e farli ricorrere, divenuti rei della lettera, allo spirito della grazia, per essere giustificati non dalla giustizia propria, ma dalla giustizia di Dio, cioè da quella che veniva a loro da Dio.
Lo dice l'Apostolo: Per mezzo della legge si ha solo la cognizione del peccato.
Ora invece, indipendentemente dalla legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti. ( Rm 3,20-21 )
La legge appunto, per il fatto stesso che nessuno in essa viene giustificato, testimonia la giustizia di Dio.
Infatti che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal.fatto che il giusto vive in virtù della fede. ( Gal 3,11 )
Così dunque la legge, non giustificando l'empio, convinto di trasgressione, lo rimanda a Dio che giustifica, e in tal modo rende testimonianza alla giustizia di Dio.
Quanto poi ai Profeti, essi rendono testimonianza alla giustizia di Dio preannunziando il Cristo, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31; Ger 9,23 )
Questa legge però era occulta all'inizio, quando la natura stessa convinceva di peccato gli uomini malvagi, che facevano agli altri ciò che non avrebbero voluto per sé.
La rivelazione poi del Nuovo Testamento è stata fatta nel Cristo, quando egli si manifestò nella carne ( 1 Tm 3,16 ) e in lui apparve la giustizia di Dio, cioè quella che viene agli uomini da Dio.
È infatti per questo che dice: Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio ( Rm 3,21 )
Ecco per quale ragione l'uno si chiama Vecchio Testamento: perché fu rivelato anteriormente; e l'altro si chiama Nuovo Testamento: perché fu rivelato posteriormente.
Un'altra ragione è che il Vecchio Testamento spetta all'uomo vecchio, dal quale deve necessariamente cominciare l'uomo, e il Nuovo Testamento spetta invece all'uomo nuovo al quale l'uomo deve passare dal suo vecchio regime.
Perciò nel primo ci sono promesse terrene, nel secondo promesse celesti, perché anche questo rientra nella misericordia di Dio: che la stessa felicità terrena, qualunque essa sia, non si ritenga che possa essere conferita a chicchessia da nessuno tranne che da Dio, creatore dell'universo.
Ma se è per questa felicità che si onora Dio, allora il culto è servile e proprio dei figli della donna schiava; se invece Dio si onora per lui stesso, perché nella vita eterna Dio sia tutto in tutti, ( 1 Cor 15,28 ) allora il culto di Dio è servitù liberale, propria dei figli della donna libera, che è la nostra madre eterna nei cieli.
La quale appariva prima come se fosse sterile, quando non aveva figli visibili; ma ora vediamo la realtà di ciò che fu profetato di lei: Esulta, o sterile che non hai mai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori, perché più sono i figli dell'abbandonata che i figli della maritata, ( Is 54,1 ) cioè più numerosi dei figli di quella Gerusalemme che fu maritata per modo di dire sotto il vincolo della legge ed è schiava insieme ai suoi figli.
Noi dunque diciamo che lo Spirito Santo al tempo del Vecchio Testamento in coloro che anche allora erano figli della promessa a somiglianza d'Isacco fu non solo il collaboratore della virtù, come costoro ritengono sufficiente al proprio dogma, ma fu anche il donatore della virtù; e ciò essi negano, perché attribuiscono la virtù piuttosto al libero arbitrio, contraddetti dai padri, che a Dio sapevano gridare con sincera pietà: Ti amo, Signore, mia virtù! ( Sal 18,2 )
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