Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. È infatti tanto sacrilego ciò che ha intrapreso la vergognosa prevaricazione di Babilonia da negare voi quanto obiettiamo noi, ed è tanto santo ciò che crediamo noi da desiderare voi di nascondervi alla sua ombra, pur con mente perversa.
Infatti, nel cercare di esprimere tutto quello che era contenuto nelle membra sparse della vostra discussione e nel sintetizzare in breve la sostanza della questione per mettere in luce quanta e quale essa fosse senza fumo e nebbie, io ho detto che voi negate il libero arbitrio e la creazione divina di coloro che nascono, e che noi al contrario difendiamo ambedue queste verità.
Per questo voi avete sollevato agli occhi di persone ignare un chiasso inutile di nomi di personaggi cattolici che si affaticano con noi a pro della fede cattolica difesa da noi.
Sicché quanti temevano d'essere chiamati celestiani da voi abbandonavano la dignità della fede celestiale e quanti paventavano d'essere chiamati pelagiani da voi si precipitavano nel pelago dei manichei, ed ogni ignorante credeva di non potersi chiamare cristiano se i traduciani l'avessero chiamato pelagiano, mentre all'inverso i sapienti stabilivano che ognuno deve sostenere qualsiasi odiosità e ingiuria di nomi piuttosto che abbandonare la fede cattolica.
Ma perché non ti glori nemmeno di questo modo di offendere come di un'invenzione del vostro ingegno, ricordatevi che noi siamo abituati a ricevere proprio da tutti gli eretici diversi appellativi.
Nel sinodo di Rimini rifulse però fin troppo che cosa di scellerato possa ottenere presso animi plumbei o l'ambiguità di una parola o la minaccia di un nuovo vocabolo.
Infatti quando sotto un imperatore ariano, un uomo di grande carattere e di sanissima fede, Atanasio, vescovo di Alessandria, si oppose quasi al mondo intero, caduto dalla fede degli Apostoli, e a tempi spietati, e fu per questo costretto all'esilio, di seicentocinquanta vescovi se ne trovarono appena sette, si racconta, ai quali fossero più cari i precetti di Dio che quelli del re, che cioè né approvarono la condanna di Atanasio, né rinnegarono la professione della Trinità.
Ebbene, tutta quella moltitudine di vigliacchi, a parte il timore delle ingiustizie, fu ingannata soprattutto o dalla minaccia di un nome, ossia di essere chiamata atanasiana, o dall'astuzia dell'interrogazione.
Agostino. A chiamare atanasiani, oppure omousiani i cattolici sono gli ariani e non anche gli altri eretici.
Voi invece, non solo dai cattolici, ma pure da eretici che non sono simili a voi e da eretici che dissentono da voi siete chiamati pelagiani, come gli ariani sono chiamati ariani non solo dalla Cattolica, ma anche dalle eresie.
Al contrario voi soli date a noi l'appellativo di traduciani, come gli ariani l'appellativo di omousiani, come i donatisti l'appellativo di macariani, come i manichei l'appellativo di farisei, e come tutti gli altri eretici dànno a noi diversi appellativi.
Giuliano. Infatti gli ariani che allora spadroneggiavano proposero: " Volete seguire l'omousios o il Cristo "?
Costoro, quasi si trattasse di un personaggio ecclesiastico, risposero immediatamente che seguivano il Cristo e ripudiarono l'Omousios.
E così uscirono esultanti come se credessero al Cristo che avevano già rinnegato negando che fosse omousios, ossia dell'unica sostanza del Padre.
Altrettanto anche voi adesso, fabbricatori di frodi, atterrite gli orecchi delle persone ignare perché, se non vogliono essere asperse del nome di uomini che si affaticano a pro della fede, neghino e il libero arbitrio e la creazione divina degli uomini.
Questa dunque risulta l'obiezione fatta da me in quel passo, e la presente discussione renderà palese quanto non l'abbia fatta falsamente.
Tu rispondesti dunque in questo modo: Noi non neghiamo il libero arbitrio e nient'altro aggiungesti di tuo.
Sarebbe stato logico che tu completassi senza tergiversazione la tua sentenza e, dopo aver premesso che non negavi la libertà dell'arbitrio, aggiungessi: Ma confessiamo che la libertà dell'arbitrio data da Dio rimane nella natura umana.
Agostino. In che modo rimane la libertà in coloro che per essere liberati dalla schiavitù che li ha avvinti al peccato, vincitore su di loro, hanno bisogno della grazia divina, se non nel senso che sono liberi anch'essi, ma dalla giustizia, come dice l'Apostolo: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia? ( Rm 6,20 )
Giuliano. Con questo tuo discorrere avevi infatti compiuto qualcosa, contro cui se tu in seguito avessi parlato, saresti potuto apparire troppo imprudente; se invece avessi parlato in modo coerente, saresti potuto apparire almeno in ritardo un poco più corretto.
Adesso al contrario dici che io inganno, mentre ciò che ho obiettato lo provo per mezzo di te, e tu subito mentisci in ciò che credi di aver messo in piedi sapientemente.
Dici appunto: Noi non neghiamo il libero arbitrio e poi fai seguire la testimonianza del Vangelo: Se il Figlio vi farà liberi, dice la Verità, sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 )
Poiché consta che ciò in quel luogo non fu proferito dal Signore nostro Gesù in riferimento al libero arbitrio, rimandando per poco l'esposizione di tale sentenza, spieghiamo con definizioni e con distinzioni che cosa ritenga ciascuno di noi due.
Secondo appunto la disciplina di tutti i dotti, l'inizio di una discussione si deve prendere dalla definizione.
Agostino. Allora gli Apostoli, che non presero gli inizi delle loro discussioni dalla definizione, non erano dotti?
Eppure erano Dottori delle Genti e disprezzatori di quei tali dottori di cui ti piace vantarti.
Tenterai certamente di travolgere alla tua sentenza la frase del Signore: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero, ma come essa non ti segua apparirà appena comincerai a tentarlo.
Giuliano. Come dice Cicerone, ogni disputa che si faccia ragionando su un qualche argomento deve partire dalla definizione, perché si capisca di che cosa si discute.63
Anche noi dunque, come sopra abbiamo dissertato sulla definizione della giustizia e del peccato, adesso vediamo altresì quale definizione competa alla libertà dell'arbitrio, perché sia chiaro chi concordi con tale definizione e chi discordi da essa.
La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è stato emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato e di astenersi dal peccato.
Agostino. Dici essere stato l'uomo emancipato da Dio e non tieni conto del fatto che con l'emancipato si agisce così che egli non sia nella famiglia del padre.
Giuliano. L'uomo infatti fu creato animale ragionevole, mortale, capace di virtù e di vizio, in grado per possibilità concessagli o di osservare i comandamenti di Dio o di trasgredirli; in grado di rispettare il diritto della società umana per il magistero della natura, libero di fare volontariamente l'una o l'altra scelta: e in questo sta essenzialmente il peccato e la giustizia.
Infatti quando l'uomo per sua virtù a favore dei bisognosi spreme qualcosa o dalle fonti della sua misericordia o dalle mammelle della giustizia, a fare questo esteriormente è già quella stessa giustizia che una volontà santa ha concepita e partorita interiormente.
Agostino. Se la volontà abbia concepito di suo la giustizia è quanto si discute con voi che, ignorando la giustizia di Dio, volete stabilire la vostra. ( Rm 10,3 )
Certamente una volontà santa concepisce la giustizia con una santa riflessione, della quale è scritto: La buona riflessione ti custodirà. ( Pr 2,12 sec. LXX )
Ma l'Apostolo dice: Non che da noi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio. ( 2 Cor 3,5 )
Se capite questo, capirete che nient'altro è l'arbitrio lodevolmente libero se non l'arbitrio liberato da Dio per mezzo della sua grazia.
Giuliano. Così pure all'inverso, quando qualcuno è stato o iniquo o crudele stabilendo di agire malamente a danno di altri, l'operazione con la quale nuoce ad altri esce fuori dalla nequizia che la cattiva volontà ha seminata e generata dentro.
Quando però manca alla forza della volontà segreta la facoltà di erompere fuori contro il prossimo, la natura della benignità o della malignità ha tuttavia ricevuto soddisfazione al di dentro della stessa e sola volontà, che abbia fatto qualcosa o di buono o di cattivo, con non un breve impulso, ma con riflessione e desiderio.
Agostino. Se, come capisci che la volontà anche con il solo pensare può dare compimento alla natura o della benignità o della malignità, allo stesso modo capisci ciò che dice l'Apostolo parlando del pensare buono e santo, che noi non siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, potrai essere corretto e accogliere umile la grazia, di cui la superbia ti ha fatto nemico, perché tu vuoi essere tra quelli che confidano nella propria forza ( Sal 49,7 ) e non tra quelli che dicono: Ti amo, o Signore, mia forza. ( Sal 18,2 )
Giuliano. È buona dunque la possibilità e del bene e del male, perché poter fare il bene è l'atrio della virtù e poter fare il male è testimonianza di libertà.
Agostino. Dunque non è libero Dio, del quale è detto: Non può rinnegare se stesso, ( 2 Tm 2,13 ) e del quale anche tu hai scritto: Dio non può essere che giusto, e in un altro passo: Ma Dio non può essere se non pio e giusto.64
Giuliano. Mette dunque l'uomo in grado di avere il proprio bene quella stessa dote che gli consente di poter fare il male.
Perciò tutta la pienezza della giustizia divina è così interessata con questa libertà degli uomini che riconoscere l'una possibilità è conoscerle ambedue.
Ne consegue che le viola entrambe chi ne viola una.
Si rispetti quindi anche la libertà dell'arbitrio umano come si rispetta l'equità divina.
Questo è il modo d'intendere il libero arbitrio che ha soggiogato alla verità ecclesiastica e l'opinione dei fati e i calcoli dei Caldei e le fantasie dei manichei.
Questo è il modo d'intendere che, insieme a quelli ora enumerati, dimostra estranei al Cristo anche voi.
La libertà dell'arbitrio è quindi la possibilità o di commettere il peccato o di evitarlo; possibilità che, immune da necessità cogente, ha naturalmente in suo diritto la scelta di seguire o la parte di coloro che risorgono, cioè di seguire gli ardui e aspri sentieri delle virtù, o le depressioni e le paludi delle voluttà.
Agostino. L'uomo, finché stette nella volontà buona del libero arbitrio, non aveva bisogno della grazia che lo sollevasse, come se non potesse risorgere da se stesso.
Adesso invece nella sua rovina è libero dalla giustizia e schiavo del peccato, né può essere schiavo della giustizia e libero dal dominio del peccato se non quando il Signore l'abbia liberato.
Giuliano. Per concludere brevemente su tale argomento, la possibilità vigila su questo soltanto: che l'uomo non sia spinto da nessuno al peccato, o non sia distolto dal peccato per schiavitù di volontà.
La quale volontà che non possa essere fatta schiava, se non vuole arrendersi da se stessa, lo attesta la fortezza, i cui muscoli si sono assiduamente coperti di gloria nel disprezzare i dolori e in mezzo ai pagani e in mezzo ai Cristiani.
Agostino. È proprio questo che fa la vostra eresia: voi aggiungete qui anche i pagani, perché non si creda che i Cristiani abbiano potuto fare o abbiano fatto con la grazia di Dio l'opera della pia fortezza, che è propria dei Cristiani e non comune a Cristiani e pagani.
Udite dunque e intendete bene: la fortezza dei pagani la fa l'ambizione mondana, la fortezza dei Cristiani la fa la carità divina, la quale è stata riversata nei nostri cuori, non per mezzo dell'arbitrio della volontà che viene da noi, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Giuliano. Se dunque la libertà dell'arbitrio, come ha fatto capire la ragione, caccia via le necessità, perché o buono o cattivo non sia nessuno che non abbia la libertà del contrario, come mai tu o hai confessato il libero arbitrio, pronto ad usare una testimonianza tale che si addice agli schiavi, o hai introdotto tale testimonianza dopo aver confessato il libero arbitrio?
Tu dici infatti: Noi non neghiamo il libero arbitrio, ma " se il Figlio vi farà liberi ", dice la Verità, " sarete liberi davvero ". ( Gv 8,36 )
È manifesto che in quel luogo il Cristo rivolgeva le sue parole ad una coscienza schiava, che denunziava non libera, ma esposta a quella giustizia che condanna i peccati commessi con libera volontà.
La quale sentenza, intendendola male o forse non intendendola dentro di te e tirandola qua contro la ripugnanza della sua natura, l'hai messa in un punto dove con tutto il suo senso letterale discorda dai tuoi ragionamenti.
Accoppiando infatti le stesse parole: Ciò che si libera è schiavo, ciò che è schiavo non è libero, ciò che è libero non è schiavo.
Agostino. Altro è la remissione dei peccati nelle azioni fatte malamente, altro è la carità che rende libero l'uomo di fare le buone azioni che sono da fare.
In ambedue i modi il Cristo libera: perché e toglie l'iniquità perdonando e dona la carità ispirando.
Giuliano. Confessa tu qui semplicemente quella che vuoi delle due sentenze e smetti di cavillare: o dichiari con noi che l'arbitrio è libero e rimuovi la testimonianza che a suo tempo fu proferita congruamente, o, come in questi libri che hai mandati ora per mano di Alipio a Bonifacio, dichiara che è schiavo l'arbitrio che noi diciamo libero, e smetti di negare che sei manicheo.
Agostino. Manicheo mescola follemente alla natura del suo Dio la sostanza immutabile del male, o piuttosto fa corruttibile la medesima natura di Dio e vuole che sia schiava sotto una natura a lui estranea.
La fede cattolica afferma invece che la creatura umana, buona ma mutevole, è stata mutata in peggio dalla sua volontà e per questo, dopo che è stata depravata e viziata la sua natura, è tenuta come rea in condizione di schiavitù, non sotto un'altra sostanza, ma sotto il suo peccato.
Conseguentemente la nostra sentenza è molto diversa da quella di Manicheo anche nei riguardi dello stesso liberatore.
Manicheo infatti dice che il liberatore è necessario per separare da noi la natura estranea; noi invece per ridare sanità e vita alla natura nostra.
Mostra dunque, se puoi, che non sei un ausiliare di Manicheo tu che, non volendo attribuire alla nostra natura viziata dal peccato le miserie degli uomini, con le quali il genere umano consente senza dubbio di nascere perché senza dubbio le sente, fai sì che Manicheo le attribuisca ad una natura estranea che si sia mescolata a noi.
Giuliano. Del resto coteste due realtà che accoppi, libero e non libero, cioè libero e schiavo, quanto alla situazione di cui si tratta, non le possono convenire; quanto poi a te, esse attestano la presenza in te di una stoltezza singolare, di una sfacciataggine nuova, di un'empietà vecchia.
Agostino. Noi diciamo liberi di fare le opere di pietà coloro ai quali l'Apostolo dice: Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino finale avete la vita eterna. ( Rm 6,22 )
Questo frutto di santificazione, che è senza dubbio la carità con le sue opere, non lo possiamo avere in nessun modo da noi, ma lo abbiamo per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Dello stesso frutto parlava appunto il Dio maestro, quando ai tralci che rimangono in lui diceva: Senza di me non potete far nulla. ( Gv 15,5 )
Ma tu ci oltraggi per la presenza in noi di una stoltezza singolare, perché Dio è per noi la nostra forza e non confidiamo nella forza nostra; per la presenza in noi di una sfacciataggine nuova, perché non lodiamo con la tua faccia la concupiscenza della carne per la quale la carne concupisce contro lo spirito; per la presenza in noi di una empietà vecchia, perché contro la vostra perversità novizia difendiamo con il nostro lavoro, per quanto piccolo, gli antichi dogmi cattolici, insegnati da coloro che ressero prima di noi la Chiesa del Cristo nella sua grazia.
Riconosci dunque in te la stoltezza, in te la sfacciataggine, in te l'empietà, non certo vecchia, ma nuova.
Giuliano. Ma è tempo ormai che si discuta della sentenza evangelica.
Scrive l'evangelista Giovanni: Diceva Gesù a quei Giudei che avevano creduto in lui: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. ( Gv 8,31-32 )
Cioè il nostro Signore Gesù parlava a persone che gli credevano: raccomandava che non godessero di nessuna nobiltà mondana, né si rivendicassero la gloria di discendere dal seme di Abramo, si sforzassero e si studiassero di praticare le virtù e di non essere schiavi di nessun peccato dopo la conoscenza del Cristo, per conservare la vera libertà nella gioia della coscienza e per la speranza dei beni certi, cioè eterni, essere sottratti alla cupidigia di tutti gli altri beni, che per la loro fragilità si dicono frequentemente beni vani e falsi.
Allora, non comprendendo di quale libertà avesse parlato Gesù, i Giudei gli risposero: Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno.
Come puoi tu dire: Diventerete liberi? ( Gv 8,33 )
Infatti in riferimento a molti contesti si può parlare di libertà: per esempio in questo passo in riferimento alla santità, come in riferimento alla risurrezione nell'Apostolo, dove dice che la creazione viene liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. ( Rm 8,21 )
La libertà che è più nota si dice in opposizione alla schiavitù.
Con il medesimo nome di libertà s'indica pure la libertà dell'arbitrio.
Si distinguano dunque i contesti, perché realtà molto diverse non si confondano per la comunanza di un nome.
Qui dunque il Signore non dice che ha da essere liberata la libertà dell'arbitrio, ma, rimanendo questa nella sua integrità, invita i Giudei perché accogliendo l'indulgenza si liberino dai reati e conquistino quella libertà che presso Dio è la massima libertà, cominciando a non dovere più nulla ai peccati.
L'Evangelista prosegue: Gesù rispose: In verità, in verità vi dico: ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato.
Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta per sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. ( Gv 8,34-36 )
Agostino. Nota che è stato detto: Ognuno che fa il peccato.
Non dice infatti: " Chi ha fatto "; dice: Chi fa.
E tu non vuoi che Gesù liberi gli uomini da questo male, non vuoi che in questo luogo egli ci prometta tale libertà da non fare il peccato, ma ci liberi soltanto perché l'abbiamo fatto.
Giuliano. Apertamente ha detto di quale schiavitù parlasse.
Dice: Ognuno che ha fatto il peccato è schiavo del peccato. ( Gv 8,34 )
Ma quanto è forte contro il vostro errore il fatto stesso di dire che non è schiavo del peccato se non colui che ha fatto in propria persona il peccato, e che a nessuno si può attaccare un peccato che non sia stato commesso in propria persona da colui di cui si tratta o con l'azione o almeno con la sola volontà!
Quanto inoltre dimostra che l'universalità del genere umano non può essere già ora posseduta dal diavolo il fatto che distingue tra schiavo e figlio, ossia tra giusto e ingiusto!
Qui infatti il Cristo come separava se stesso, così separava anche ciascuno dei santi dalla condizione degli schiavi.
E di santi ne vissero anche prima dell'Antico Testamento e nell'Antico Testamento, e di essi egli dichiara che restano nella casa di suo Padre e godono alla sua mensa. ( Lc 13,28-29 )
Ma tutto questo genere esortatorio sarebbe stato adoperato inopportunamente se Gesù non si fosse rivolto ad uomini di libero arbitrio.
Agostino. Evidentemente si rivolge a coloro che in tanto fanno il peccato in quanto sono schiavi del peccato, perché, accogliendo la libertà che promette, cessino di fare il peccato.
Tanto regnava infatti il peccato nel loro corpo mortale che si sottomettevano ai suoi desideri e offrivano al peccato le loro membra come strumenti d'ingiustizia. ( Rm 6,12-13.17-19 )
Contro questo male dunque che li faceva peccare avevano bisogno della libertà che Gesù prometteva.
Non dice infatti: " Ognuno che ha fatto ", ma dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato.
Perché tenti di oscurare parole limpide con discussioni caliginose?
Erompono per forza e anche contro la tua opposizione vincono con il loro fulgore le tue tenebre.
Dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato.
Senti dire: Che fa, e tu vuoi non esporre, ma supporre: " Che ha fatto ".
Ascoltino dunque quelli a cui egli stesso apre la mente all'intelligenza delle Scritture, ascoltino: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato.
E cerchino di ottenere la libertà di non fare il peccato, gridando a colui al quale si dice: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male. ( Sal 119,133 )
Perché poi ti prendi gioco delle intelligenze tarde e spieghi le parole del Signore così da insinuare che egli abbia detto che non è schiavo del peccato se non chi l'abbia fatto personalmente da sé?
Tu agisci con frode: non ha detto questo.
Infatti non dice: " Nessuno è schiavo del peccato se non colui che ha fatto il peccato ", ma dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato.
Sono infatti schiavi del peccato originale coloro che non fanno ancora il peccato in persona propria, e sono sciolti da tale vincolo di schiavitù con la rigenerazione.
Non dunque ognuno che è schiavo del peccato fa il peccato, ma ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato; come non ogni animale è cavallo, ma tuttavia ogni cavallo è animale.
Dov'è la tua dialettica, di cui fosti solito andare tronfio?
A te così dotto e acuto perché sfuggono queste osservazioni?
O se non ti sfuggono, perché trami insidie alle persone non dotte e tarde?
Chi poi di noi dice che l'universalità degli uomini sia posseduta dal diavolo, mentre ci sono tante migliaia di santi che non sono posseduti dal diavolo?
Ma diciamo che non sono posseduti dal diavolo soltanto quelli che rende liberi la grazia del Cristo, della quale voi siete nemici.
Se infatti non combatteste contro questa grazia, ma la capiste, vedreste senza dubbio, liberati dalla medesima grazia del Cristo tutti i santi che anche prima dell'Antico Testamento e al tempo dell'Antico Testamento furono separati dalla condizione degli schiavi.
Giuliano. Inoltre, perché tu capisca che non li rimprovera della natura, ma della vita, seguita a dire: So che siete discendenza di Abramo. ( Gv 8,37 )
Ecco per quale dignità di origine quelli si erano detti liberi, e Gesù dimostra a quale schiavitù siano ora soggetti dicendo: Cercate di uccidermi, perché la mia parola non trova posto in voi.
Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal Padre vostro. ( Gv 8,37-38 )
Agostino. Che significa la frase: La mia parola non trova posto in voi, se nella natura, anche tale e quale è adesso che ha bisogno di chi la liberi, trova già posto la sua parola, anche senza che la sua grazia apra la mente, come l'aprì agli Apostoli all'intelligenza delle Scritture ( Lc 24,27 ) e come l'aprì a quella commerciante di porpora di Tiàtira per aderire alle parole di Paolo? ( At 16,14 )
Giuliano. Osserva quanto sia diversa la condizione della natura da quella della volontà.
Gesù non negò che la loro carne appartenesse alla discendenza di Abramo, ma svela a loro che, per la cattiveria della volontà, erano passati ad avere come padre il diavolo, il quale per questo è detto loro genitore, perché è accusato di essere maestro di crimini.
Dice: Gli risposero e gli dissero i Giudei: Il nostro padre è Abramo.
Rispose Gesù: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!
Ora invece cercate di uccidere me che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.
Voi fate le opere del padre vostro. ( Gv 8,39-41 )
Ti accorgi o no quali distinzioni faccia la Sapienza nelle sue parole?
Nega che siano figli di Abramo quelli che sopra aveva detti figli di Abramo; ma, essendo diverso parlare della natura e parlare della volontà, mostra che altro è il procreatore di una carne innocente, altro il seduttore di una volontà misera.
Agostino. Incautamente tu dici la verità.
Nel paradiso infatti il diavolo fu seduttore di una volontà beata, che seducendola rese misera; adesso invece è, come confessi tu, seduttore di una volontà misera.
Da questa miseria dunque - perché ora a causa della miseria la volontà non sia sedotta più facilmente di quanto lo fu allora per cadere nella miseria - non la libera se non Colui al quale tutta la Chiesa quotidianamente grida: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 )
Giuliano. Qui dunque dove il Signore ha detto: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero, ( Gv 8,36 ) ha promesso l'indulgenza ai rei che peccando non hanno perduto la libertà dell'arbitrio, ma la coscienza della giustizia.
Quanto al libero arbitrio, esso anche dopo i peccati è pieno come lo è stato prima dei peccati: tant'è vero che per opera del libero arbitrio i più rinunziano a vergogne occulte, ( 2 Cor 4,2 ) e, buttate via le brutture delle scelleratezze, si adornano delle insegne delle virtù.
Agostino. Ascolta almeno te stesso dove dici65 che è stato scritto per la consuetudine dei peccati il testo: Non come voglio io agisco, ma quello che detesto io faccio. ( Rm 7,15.19 )
In che modo dunque è libero l'arbitrio dopo i peccati, dei quali, se non per la propaggine che non volete ammettere, certamente tuttavia per la consuetudine, la sola che voi, vinti e non convinti, concedete a questa situazione di necessità, ha perduto così la libertà che il suo gemito ferisce i vostri orecchi e vi fa abbassare la fronte quanto udite: Non come voglio io agisco; e: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio io faccio? ( Rm 7,19 )
Giuliano. Smetti dunque di farti empio - se tuttavia ti rimane qualche distinzione del bene e del male - esponendo così le parole del Cristo da far apparire che egli abbia negato il libero arbitrio, senza la cui integrità non gli si può salvare l'equità del giudizio che gli è propria.
Agostino. Anzi, proprio perché gli si salva l'equità del giudizio, addosso ai figli di Adamo dal giorno in cui escono dal seno materno gravita un giogo pesante, ( Sir 40,1 ) che sarebbe assolutamente iniquo, se gli uomini non contraessero il peccato originale, che ha reso l'uomo simile ad un soffio vano. ( Sal 144,4 )
Giuliano. Ascolta bene dove Gesù indica la forza della libertà umana: Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome lo ricevereste. ( Gv 5,43 )
E ugualmente: Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo. ( Mt 12,33 )
Ancora: Se non volete credere a me, credete alle opere. ( Gv 10,38 )
E quello più veemente di tutti gli altri testi dove dice che la sua intenzione è stata impedita dalla volontà umana: Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina i suoi pulcini sotto le sue ali, e non hai voluto! ( Mt 23,37 )
Dopo di che non seguita: Ma li ho raccolti contro la tua volontà, bensì: La vostra casa vi sarà lasciata deserta, ( Mt 23,38 ) per mostrare che essi sono puniti, sì, giustamente per la loro cattiva condotta, ma non devono essere strappati per nessuna necessità alla propria intenzione.
Così infatti aveva parlato anche per bocca del Profeta: Se sarete docili e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra; se vi ostinerete e non ascolterete, sarete divorati dalla spada. ( Is 1,19-20 )
In che modo dunque tu non neghi il libero arbitrio, se l'hai dichiarato non libero, non con il tuo linguaggio, ma con la testimonianza evangelica, intesa però a modo tuo?
Agostino. Bisogna perdonare che in un problema molto oscuro t'inganni come uomo.
Lungi da noi dire che l'uomo impedisca l'intenzione di Dio, il quale è onnipotente e previdente di tutto.
In questo argomento così grande poco riflettono e non arrivano a riflettere sufficientemente quanti pensano che Dio voglia qualcosa e non lo possa perché glielo impedisce la debolezza dell'uomo.
Come è certo che Gerusalemme non volle che i suoi figli fossero raccolti da Gesù, così è certo che Gesù anche contro la volontà di Gerusalemme ne raccolse di essi tutti quelli che volle.
Dio infatti, come dice Ambrogio, suo uomo, chiama chi si degna di chiamare e fa religioso chi vuole.66
La Scrittura poi invita abitualmente la volontà dell'uomo, perché, avvertito così, senta quello che non ha e quello che non può e nel suo bisogno chieda a Colui dal quale vengono tutti i beni.
Se infatti sarà esaudito nella petizione che a tutti noi è comandato di fare: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) certamente non sarà ingannato da nessuna ignoranza e non sarà vinto da nessuna cupidigia.
Appunto per questo il Profeta disse: Se vi ostinerete e non mi ascolterete, sarete divorati dalla spada ( Is 1,20 ) etc., perché, avendo trovato in se stessi delle cupidità vincitrici, sapessero a chi dovevano chiedere l'aiuto per respingere il male.
La frase poi: La vostra casa vi sarà lasciata deserta ( At 9,1 ) è dettata dalla presenza sul posto di molti che Gesù aveva giudicati, con giudizio occulto ma tuttavia giusto, degni d'indurimento e di abbandono.
Perché se, come dici tu, l'uomo non dev'essere strappato per nessuna necessità alla propria intenzione, perché, ripeto, l'apostolo Paolo, ancora Saulo, fremente di stragi e assetato di sangue, è strappato alla sua pessima intenzione da una violenta cecità corporale e da una voce terribile che veniva dall'alto, e dal persecutore prostrato a terra si rialza il futuro predicatore del Vangelo, da lui combattuto, predicatore più infaticabile di tutti gli altri? ( At 9,4-5.20 )
Riconosci la grazia: chi in un modo chi in un altro, Dio chiama chi si degna di chiamare, e lo Spirito soffia dove vuole. ( Gv 3,8 )
Giuliano. In quell'opera infatti che ho già detta mandata da te a Roma recentemente manifesti con più audacia il tuo sentire.
Nel primo libro infatti, avendoti io ugualmente opposto la nostra obiezione che voi negate il libero arbitrio, tu da controversista tenacissimo e sottilissimo disserti così: Chi mai di noi poi direbbe che per il peccato del primo uomo sia sparito dal genere umano il libero arbitrio?
Certo per il peccato sparì la libertà, ma la libertà che esisteva nel paradiso di possedere la piena giustizia insieme alla immortalità.
Per tale perdita la natura umana ha bisogno della grazia divina, secondo le parole del Signore nel suo Vangelo: " Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero "; ( Gv 8,36 ) liberi s'intende per poter vivere in modo buono e giusto.
Infatti è tanto vero che non è sparito nel peccatore il libero arbitrio che proprio per mezzo di esso peccano gli uomini, specialmente tutti coloro che peccano con dilettazione e amore del peccato, piacendo ad essi quello che soddisfa la loro libidine.
Per cui anche l'Apostolo scrive: " Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia ". ( Rm 6,20 )
Ecco, si dichiara che non avrebbero potuto sottostare in nessun modo nemmeno alla schiavitù del peccato se non in forza di un'altra libertà.
Liberi nei riguardi della giustizia non lo sono dunque se non in forza dell'arbitrio della volontà, ma liberi dal peccato non lo diventano se non in forza della grazia del Salvatore.
Per questo appunto l'ammirabile Dottore ha differenziato anche gli stessi vocaboli scrivendo: " Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia.
Ma quale frutto raccoglieste allora da cose di cui ora vi vergognate?
Infatti il loro destino è la morte.
Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna ". ( Rm 6,20-22 )
Ha detto liberi nei riguardi della giustizia, non liberati; dal peccato invece non ha detto liberi perché non lo attribuissero a sé, ma con grande vigilanza ha preferito dire liberati, riferendosi alla famosa sentenza del Signore: " Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero ".
Poiché dunque i figli degli uomini non vivono bene se non dopo essere diventati figli di Dio, che pretesa è quella di costui di attribuire al libero arbitrio il potere di vivere bene, quando tale potere non è dato " se non dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore ", ( Rm 7,25 ) come dice il Vangelo: " A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio "?67
E parimenti di lì a poco: Il potere dunque, dici, di diventare figli di Dio è dato a coloro che credono in Gesù.
Il qual potere, se non è dato da Dio, non si può avere in nessun modo dal libero arbitrio, perché nel bene non sarà nemmeno libero l'arbitrio che non sia stato liberato dal Liberatore; nel male invece ha libero l'arbitrio l'uomo che porta dentro di sé la dilettazione della malizia, seminata da un impostore occulto o manifesto, o assorbita per autosuggestione.
Non è dunque vero, come alcuni dicono, che noi diciamo e come costui osa per giunta scrivere, che "tutti sono costretti al peccato dalla necessità della loro carne", quasi che pecchino contro la propria volontà.
È vero invece che quanti sono già in età di disporre dell'arbitrio della propria mente e rimangono nel peccato per volontà loro e da un peccato precipitano in un altro per volontà loro.
Ma la ragione per cui questa volontà, libera nel male perché si diletta del male, non è libera nel bene, sta nel fatto che non è stata liberata.
Né può l'uomo volere qualcosa di buono, se non è aiutato da colui che non può volere il male.68
In tutte queste tue parole da me riferite vedo il nome della grazia così intrecciato con la negazione del libero arbitrio che, non tanto i mali evocati con gli appellativi del tuo modo di sentire possano essere rivendicati ai buoni, quanto la dignità dei nomi sia avvilita per l'aderenza dei tuoi dogmi.
Con questi discorsi dunque non hai nobilitato te, ma hai deturpato gli stessi ornamenti.
Noi tuttavia separiamo le realtà che tu hai congiunte, perché la divinità della grazia, svincolata da sinistri collegamenti, non sia scossa dalla tua risposta e sia lodata dalla gravità dei cattolici, non dall'adulazione dei manichei.
Noi pertanto professiamo una molteplice grazia del Cristo.
Il primo suo dono è che siamo stati fatti dal nulla.
Il secondo è la nostra superiorità, come sui viventi per il senso, così sui senzienti per la ragione, la quale è stata impressa nell'animo in tal modo da presentarsi come l'immagine del Creatore, e alla cui dignità guarda ugualmente la concessione della libertà dell'arbitrio.
Alla stessa grazia attribuiamo anche il continuo crescere dei benefici che non cessa di donarci.
Per la stessa grazia Dio mandò in aiuto la legge. ( Is 8,20 sec. LXX )
All'ufficio della legge spettava di stimolare con insegnamenti di vario genere e d'incoraggiare con il suo invito il lume della ragione, che gli esempi della depravazione e la consuetudine dei vizi attutivano.
Alla pienezza dunque di cotesta grazia, cioè della benevolenza divina che diede origine alle cose, spettò che il Verbo si facesse carne e abitasse in mezzo a noi. ( Gv 1,14 )
Dio infatti, chiedendo alla sua immagine il contraccambio dell'amore, rese manifesto come avesse fatto tutto per una inestimabile carità verso di noi, perché, pur in ritardo, riamassimo lui ( Rm 5,8 ) che a dimostrazione del suo amore per noi non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi, ( Rm 8,32 ) con la promessa che, se avessimo voluto poi obbedire alla sua volontà, ci avrebbe concesso di essere coeredi del suo Unigenito. ( Rm 8,17 )
Agostino. O uomo pelagiano, è la carità che vuole il bene, e la carità viene da Dio, non attraverso la lettera della legge, ma attraverso lo spirito della grazia.
In questo la lettera è di aiuto ai predestinati: comandando e non aiutando, essa ammonisce i deboli a ricorrere allo spirito della grazia.
Così fanno uso legittimo della legge coloro per i quali essa è buona, ( 1 Tm 1,8 ) ossia utile: altrimenti per essa la lettera uccide, ( 2 Cor 3,6 ) perché comandando il bene e non donando la carità, che è la sola a volere il bene, fa rei di trasgressione.
Giuliano. Questa grazia dunque, che nel battesimo non solo condona i peccati, ma insieme a tale beneficio d'indulgenza e promuove e adotta e consacra, questa grazia, dico, cambia il merito dei rei, non dà origine al libero arbitrio, che riceviamo nel momento in cui siamo creati e che usiamo invece dal momento in cui acquistiamo il valore della differenza tra il bene e il male.
Che pertanto a disposizione della buona volontà ci siano innumerevoli specie di aiuto divino non lo neghiamo, ma in tal modo che per mezzo dei generi di aiuto o non sia ricostruita la libertà dell'arbitrio, come se essa fosse andata distrutta, o si creda che, esclusa una volta la libertà, incomba su ciascuno la necessità del bene o del male; al contrario ogni aiuto coopera con il libero arbitrio.
Agostino. Se la grazia non previene la volontà per suscitarla, ma coopera con la volontà preesistente, in che modo è vero che è Dio a suscitare in voi anche il volere? ( Fil 2,13 )
In che modo la volontà è preparata dal Signore? ( Pr 8,35 sec. LXX )
In che modo è da Dio la carità, ( 1 Gv 4,7 ) che è sola a volere il bene beatifico?
Oppure, se è la scienza della legge e delle parole di Dio a suscitare in noi la carità, sicché non per il dono di Dio, ma per l'arbitrio della nostra volontà amiamo ciò che alla scuola di Dio conosciamo nostro dovere di amare, in che modo un bene minore viene a noi da Dio e uno maggiore viene a noi da noi?
Perché, senza che Dio ci faccia il dono della scienza, cioè senza che Dio ci faccia scuola, noi non possiamo conoscere; invece senza che Dio ci faccia dono della carità, che sorpassa la scienza, ( Ef 3,19 ) noi possiamo amare.
Ad avere questa " sapienza " non sono se non i pelagiani, nuovi eretici, nemici ad oltranza della grazia di Dio.
Giuliano. Questo libero arbitrio dunque, a causa del quale soltanto il Maestro delle Genti scrive che noi compariremo dinanzi al tribunale del Cristo, perché ciascuno riceva la ricompensa delle opere o buone o cattive compiute nella sua vita corporale, ( 2 Cor 5,10 ) come lo riconoscono con certezza i cattolici, così voi non solo con Manicheo, ma anche con Gioviniano, che tu osi buttarci addosso, lo negate in modo dissimile, si, ma con empietà simile.
E perché questo si faccia più chiaro, si ricorra all'esame delle distinzioni.
Noi diciamo che per il peccato dell'uomo non cambia lo stato della natura, ma la qualità del merito, ossia anche in chi pecca la natura del libero arbitrio, con la quale può desistere dal peccato, è la medesima che in lui c'è stata per poter deviare dalla giustizia.
Agostino. Sappiamo che la ragione per cui dite che per il peccato dell'uomo non si cambia lo stato di natura è che avete abbandonato la fede cattolica, la quale insegna che il primo uomo fu fatto in modo da non aver la necessità di morire e che per il peccato questo stato di natura si cambiò talmente da essere necessario all'uomo di morire, fino al punto che anche a coloro che spiritualmente sono già stati rigenerati e risuscitati l'Apostolo dice: Se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto, a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione.
E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 )
In tanto ha detto appunto: Darà la vita anche ai vostri corpi mortali, e lo speriamo nella risurrezione della carne, in quanto aveva detto: Il vostro corpo è morto a causa del peccato.
E voi non volete che per il peccato si sia mutato lo stato di natura!
Tuttavia però, essendo stato obiettato nel Concilio Palestinese a Pelagio di dire che i bambini nati da poco sono in quello stato in cui Adamo fu prima del peccato, egli negò di dirlo e lo condannò.69
Se l'avesse fatto con cuore sincero, forse la vostra eresia sarebbe sparita già allora o almeno lui sarebbe finalmente guarito da quella peste.
Chiedo inoltre se la natura peccatrice sia esente da vizio: se ciò è assurdissimo, ha dunque un vizio; se ha un vizio, è stata certamente viziata.
In che modo dunque non è stata mutata, se da sana che era è stata viziata?
Perciò, anche escluso quel peccato del quale Giovanni Costantinopoliano dice: Adamo commise quel grande peccato e condannò tutti in blocco,70 anche escluso, dico, questo peccato, dal quale la natura umana trae originalmente la condanna, in che modo si può dire con saggezza che lo stato di natura non è stato mutato in un uomo che afferma: La legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato.
Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ( Rm 7,14-15 ) e le altre parole simili, anche se questa mutazione non l'ha tratta in lui la condizione del nascere, ma come volete voi, l'ha contratta in lui la consuetudine del peccare?
Non vi accorgete delle falsità della vostra affermazione: " Per il peccato dell'uomo non si cambia lo stato della natura, ma la qualità del merito "?
A meno che non diciate che per il peccato non si cambia la natura, ma l'uomo.
E questo cos'è se non negare che l'uomo sia una natura?
Quando mai direste questi spropositi, se pensaste con mente sana a quello che dite?
Giuliano. Manicheo dice che la volontà cattiva è ispirata da quella natura che non può volere il bene, la volontà buona è infusa da quella natura che non può volere il male.
In questo modo Manicheo sottopone a necessità le nature degli individui, sicché le volontà personali non possono volere il contrario.
Tra noi e Manicheo certamente c'è un grande abisso.
Vediamo ora quanto tu ti sia allontanato da lui.
Dici che la volontà è libera, ma solamente per fare il male; non è invece libera di desistere dal fare il male, se non le sia stata imposta la necessità di volere il bene da quella natura che non può volere il male,71 per usare le tue parole.
Definisci dunque che il genere umano con il libero arbitrio non fa altro che peccare, né altro può fare.
Con questo dichiari assolutamente che la natura umana brama sempre e solo ciò che è male e non può volere il contrario.
Invece la natura di Dio non può volere il male, e perciò se Dio non fa la natura cattiva degli uomini partecipe della propria necessità non ci può essere nella natura umana bontà di attività.
Dopo di che veda Dio se nel segreto del tuo cuore tu non ami Manicheo di un amore molto grande.
È certo tuttavia, per quanto apparisce dalla fratellanza germana dei dogmi, che non hai fatto assolutamente nient'altro che congegnare con ordine diverso le medesime tesi di Manicheo.
Agostino. Volesse il cielo che tu distruggessi con forza Manicheo e non lo aiutassi con vergogna.
Poiché egli, pervertito da un eccesso d'insania, non dice che il principio del male è costretto a fare il bene da un altro principio del bene, il quale non può volere il male; ma dice che il principio del bene è costretto a fare il male da quel principio del male il quale non può volere il bene, e quindi per una mostruosa pazzia Manicheo vuole che sia immutabile il principio del male e sia invece mutevole il principio del bene.
Perciò Manicheo certamente dice che la volontà cattiva è ispirata da quel principio che non può volere il bene; ma non dice, come tu congetturi troppo benevolmente di lui, che la volontà buona sia infusa dal quel principio che non può volere il male.
Poiché Manicheo non crede che il principio del bene, il quale non può volere il male, sia in nessun modo immutabile, e crede che al principio del bene sia ispirata la volontà cattiva da quel principio che non può volere il bene.
E così avviene che per il principio del male voglia il male il principio del bene, che Manicheo non vuole sia nient'altro che la natura di Dio.
Tu dunque, negando che la natura umana sia stata viziata dal peccato del primo uomo, aiuti Manicheo ad attribuire al principio del male da lui inventato tutto quanto trova di male nella manifestissima miseria dei bambini.
Inoltre, quando ti dispiace che l'uomo non possa volere il bene se non è aiutato da Colui che non può volere il male, non ti avvedi di contraddire Colui che dice: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 ) e la Scrittura dove si legge: La volontà è preparata da Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) e dove si legge: È Dio infatti che suscita in noi anche il volere, ( Fil 2,13 ) e dove si legge: Dio dirige i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino? ( Sal 37,23 )
E qui io non mi meraviglio di nulla se non donde tu ti dica cristiano, sebbene tu contraddica queste così numerose e così chiare voci divine.
Giuliano. In una parte però ti unisci a Gioviniano: egli infatti nel secondo libro della sua opera dice che l'uomo battezzato non può peccare, mentre prima del battesimo può peccare e non peccare.
Con te dunque egli pensa che dal momento del battesimo si imponga agli uomini la necessità del bene: il che è altrettanto falso quanto che prima del battesimo ci sia negli uomini la necessità di fare il male, come pensi tu.
Infatti quando tu dici: L'uomo non può volere qualcosa di buono se non è aiutato da Colui che non può volere il male,72 vuoi appunto che l'uomo acquisti la possibilità di fare il bene partecipando alla grazia e alla natura buona, e dici comunque che ciò può avvenire dal momento del battesimo.
Quindi a metà strada tra l'empietà e la paura ti sei accompagnato alla combriccola di Gioviniano, ma non hai ancora abbandonato il lupanare di Manicheo.
Tuttavia però tanto più innocente di te Gioviniano, quanto di Gioviniano più sacrilego Manicheo.
Per riassumere infatti più brevemente tutto questo di cui abbiamo trattato, Manicheo dice: In tutti gli uomini pecca la natura delle tenebre, ispiratrice della volontà cattiva e non può fare altro.
Tu dici: In tutti gli uomini pecca la natura infettata dalle tenebre del primo peccato e autrice per questo della volontà cattiva, e non può volere il bene.
Gioviniano dice: È certamente la volontà degli uomini a peccare, ma fino al battesimo; dopo di esso invece non può volere altro che il bene.
I cattolici, ossia noi, diciamo: dall'inizio alla fine, anche prima del battesimo, è la volontà che senza nessuna coazione naturale pecca in ciascuno, ed essa nello stesso tempo che pecca ha la possibilità di recedere dal male e di fare il bene, perché si salvi la natura della libertà.
È certo quindi che per nessuno di voi si salva la verità dei dogmi.
Tuttavia, essendo voi venuti fuori da un unico principio di errore, sarebbe stato perfino meno disonesto se tu avessi accettato le conseguenze e, poiché dici con Manicheo che si pecca per la natura cattiva, cioè per la mancanza di libertà, dicessi con il medesimo Manicheo che la natura non si può in nessun modo mondare, e certo altrove lo affermi, ma aggiungessi la necessaria conseguenza: non le servono perciò i sacramenti del battesimo.
Oppure se asserisci con Gioviniano che dal tempo dell'accettazione della fede si imprimono buone cupidità, dicessi con il medesimo che anche prima del battesimo è stata buona la natura, la quale, benché avesse la possibilità del male, tuttavia non ebbe la necessità del male, e perciò, una volta che fu consacrata, arrivò al bene verace.
In questo modo infatti, pur contravvenendo alla ragione, non contravverresti tuttavia ai dogmi di coloro che segui.
Agostino. Hai dimenticato che cosa sia quello che diciamo. Rammentalo, prego.
Noi siamo quelli che contro le vostre proteste diciamo che anche ai giusti finché sono in questa vita non mancano motivi di dire nella loro orazione con sincerità rispetto a se stessi: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )
Perché se dicono che sono senza peccato, ingannano se stessi e la verità non è in loro. ( 1 Gv 1,8 )
Cos'è dunque quello che dici inconsistentemente: in una parte mi unisco a Gioviniano, dove asserisce che il battezzato non può peccare?
Dio ci guardi dall'essere talmente sordi e muti da non udire la voce dei battezzati o da non dire con essi: Rimetti a noi i nostri debiti.
Dal momento poi che l'uomo comincia ad avere l'uso dell'arbitrio della volontà può e peccare e non peccare, però a non peccare non ci riesce se non aiutato da Colui che ha detto: Senza di me non potete far nulla; ( Gv 15,5 ) a peccare invece riesce con la propria volontà, sia che rimanga sedotto o da se stesso o da un altro seduttore, sia che venga aggiudicato come schiavo al peccato.
Conosciamo poi uomini aiutati dallo Spirito di Dio a volere le cose di Dio prima del battesimo, come Cornelio, ( At 10,1-3 ) e alcuni non disposti a volerle nemmeno dopo il battesimo, come Simone Mago. ( At 8,9-13.18-24 )
I giudizi di Dio sono infatti come il grande abisso ( Sal 36,7 ) e la sua grazia non viene dalle opere: altrimenti non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 )
Smettila dunque d'insultarci con il nome di Manicheo e di Gioviniano: quali personaggi tu insulti in noi che, seguendoli, non possiamo negare il peccato originale, lo vedresti se tu avessi gli occhi, e taceresti se tu avessi un po' di faccia.
Sei poi tanto calunnioso da dire che io ho affermato altrove che l'uomo non può essere mondato dai peccati, quando io dico che lo può tanto da essere condotto anche là dove, beatissimo, non possa peccare.
Giuliano. Ora invece, perfido contro tutti, dici che nella natura della carne è stata introdotta la necessità del peccato.
Agostino. Nega tu che l'Apostolo abbia detto: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. ( Rm 6,20 )
Oppure, se non neghi che l'abbia detto, accusalo di non averlo detto bene.
Se poi non osi negarlo, nega, se puoi, che coloro ai quali lo dice abbiano avuto nel male volontà libera quando sono stati liberi nei riguardi della giustizia, o l'abbiano avuta libera nel bene quando sono stati sotto la schiavitù del peccato, e osa dire che da questa schiavitù si sono liberati da se stessi e non sono stati liberati per mezzo della grazia di Dio coloro a cui dice: Ora invece, liberati dal peccato, siete diventati schiavi della giustizia. ( Rm 6,18 )
Ma se dici che per mezzo della grazia di Dio sono stati liberati dal reato dei mali trascorsi e non dalla dominazione del peccato, che non lascia a nessuno di essere giusto, e dici che hanno potuto ottenere da se stessi con la loro volontà che il peccato non dominasse su loro, e per questo non hanno avuto bisogno della grazia del Salvatore, dove metti colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio? ( Rm 7,19 )
Se infatti parla così uno che si trova sotto la legge e non sotto la grazia, nega che costui gema sotto il grave peso della necessità, dichiaralo libero di vivere bene e di agire rettamente in forza dell'arbitrio della volontà, benché ti gridi: Mentisci o ti sbagli; io faccio il male che non voglio.
Se invece, come meglio intende Ambrogio, l'Apostolo, lo dice anche di se stesso, nemmeno i giusti in questa vita hanno per fare il bene tanta libertà di volontà personale quanta ce ne sarà in quella vita dove non si dirà: Io faccio il male che non voglio.
Indice |
63 | Cicero, De officiis 1, 7 |
64 | Sopra 28; Sopra 67 |
65 | Sopra 69 |
66 | Ambrosius, In Luc. 7, 27 |
67 | Gv
1,12; C. duas epp. Pelag. 1,2,4 |
68 | C. duas epp. Pelag. 1,6-7 |
69 | De gestis Pelag. 11, 23-24 |
70 | Ioannes Constantinop., Ep. ad Olymp. 3, 3 |
71 | C. duas epp. Pelag. 1,7 |
72 | C. duas epp. Pelag. 1, 7 |