Opera incompiuta contro Giuliano

Indice

Libro VI

12 - Il primo peccato non ebbe piú efficacia della prima giustizia

Giuliano. Dopo, per seguire i precipizi della tua opinione, tu argomenti che il libero arbitrio fu programmato con tale condizione: perdesse la sua forza per il merito della volontà che fosse seguita e rimanesse successivamente sottomesso alla necessità della qualità che avesse scelta.

A questo dunque poni attenzione: a che cosa si replichi da noi.

Reputi tu forse che l'uomo sia stato creato tale da patire in ambedue le parti la necessità della qualità che avesse scelto, cioè se avesse voluto il bene non potesse ulteriormente peccare e se avesse scelto il male non si potesse poi emendare?

O soltanto alla parte mala seguisse la necessità del male, mentre nella parte buona non accadesse nulla di simile, ma fosse l'uomo sempre esposto ai rischi delle variazioni?

Di queste due ipotesi scegli quella che vuoi.

Se dirai che la natura umana fu fatta tale da patire soltanto la necessità del male, a nessuno rimarrà il dubbio di definirla tristissima, dovendole attribuire la violenza della parte peggiore, e si prova che anche Adamo fu di natura cattiva, e non rimarrà l'ombra del compimento di nessun atto volontario sotto la quale nasconderti.

Se invece confessi che anche dalla parte del bene ci sarebbe stata la medesima conseguenza, cioè se avesse voluto il bene non avrebbe poi potuto peccare ulteriormente, io replico: Per quale ragione dunque peccò?

Per quale ragione non patì nessuna necessità del bene così da apparire impenetrabile alle insidie del diavolo Adamo, che prima di peccare si trova per qualche tempo obbediente a Dio?

Non è infatti che il limo, appena sentì il tepore dell'ingresso dell'anima, divampò nell'appetito della volontà cattiva.

Anzi si legge che, trasferito alla coltivazione e alla custodia del paradiso, ricevé da Dio il precetto di cibarsi pure di tutti i frutti, ma di astenersi per obbedienza dall'albero della scienza del bene e del male.

Prima dunque che dal suo fianco fosse formato il corpo della moglie, rimase obbediente al comando, coltivatore innocente di una campagna amena, e dopo di ciò egli meritò l'aiuto di una consorte simile a lui.

Ha inculcato queste distinzioni di tempi l'autorità della Scrittura.

Ma dopo che ebbe veduto pronta già per lui la donna, serviva al precetto di Dio con tanto diligente impegno da intimare anche alla donna la legge che aveva ricevuto.

Non soltanto quindi custode del comando divino, ma anche suo proclamatore, istruì Eva e sulla deferenza dovuta al legislatore e sul genere della loro servitù e sulla causa del timore.

Così si spiega appunto che anche la donna, alla quale Dio non aveva comandato nulla, lottando sollecitamente contro l'assalto del diavolo, respinge coraggiosamente le menzogne del serpente e dice che non era stata imposta a loro l'astinenza da tutti gli alberi, come aveva inventato il serpente, ma solamente di guardarsi da un solo piccolo albero con il permesso di tutto il resto della vegetazione, e dice che era stato messo davanti a loro il timore della morte, dal quale i trasgressori sarebbero stati perseguitati giustamente.

Non dunque per breve tempo appare che Adamo custodì il comando, ma appare che ebbe cura della devozione anche Eva, la quale cadde per l'amore di conseguire la scienza e la divinità.

Per quale ragione dunque quella giustizia, quella devozione che in Adamo ebbe vigoria a lungo e in Eva per un qualche tempo, non tolse la possibilità di delinquere, cosicché la necessità del bene li mostrasse impenetrabili alle criminali suggestioni?

Furono dunque obbedienti finché vollero, né tuttavia per il merito della devozione persero la facoltà di prevaricare, e poi caddero. ( Gen 2-3 )

Quindi anche dopo che peccarono è manifesto che non poterono in nessun modo perdere la forza della correzione.

E perciò, come in tutti gli altri luoghi, anche qui hai perduto tutto quello che avevi inventato, perché quel peccato dei primi uomini né fece nessuna necessità di crimini, né passò nella natura, come non passò nella natura la giustizia che lo precedé, né introdusse la necessità delle virtù, né rivendicò a sé le vie dei semi.

Agostino. Tutto quello che hai detto con tanta abbondanza e con tanta oscurità di parole si potrebbe dire brevemente così: Per quale ragione Adamo, tu dici, agendo male perse la possibilità di agire bene e precedentemente agendo bene non perse la possibilità di peccare?

E vuoi far intendere che, se così è, non fu creato di buona natura, ma di mala natura, l'uomo nel quale valse più la mala azione perché non potesse agire bene che la buona azione perché non potesse agire male.

Tu potresti in questo modo dire che fu creato male l'uomo con gli occhi, perché se li estingue viene in lui l'impossibilità di vedere, mentre il dono di vedere non ha messo in lui l'impossibilità di estinguerli; o che fu creato male tutto il corpo dell'uomo, perché egli ha in suo potere di uccidersi, né ha in suo potere di risuscitarsi da sé, e la morte mette nell'uomo l'impossibilità di vivificarsi, né la vita gli dà l'impossibilità di uccidersi.

Se non lo dici, perché ti accorgi quanto sia insulso, per quale ragione dici che Dio ha creato cattiva la natura dell'uomo, se la volontà cattiva causò in lui l'impossibilità di tornare al bene, benché la volontà buona non abbia causato nell'uomo l'impossibilità di andare al male?

Infatti fu creato con il libero arbitrio così da poter non peccare se non voleva peccare, non così da peccare impunemente se voleva peccare.

Che c'è dunque da meravigliarsi, se mancando egli, ossia se mutando per depravazione la sua rettitudine nella quale era stato fatto, seguì insieme al castigo l'impossibilità di agire rettamente?

Finché però stette nella medesima rettitudine nella quale aveva la possibilità di non peccare, per questo non ricevé qualcosa di più grande, ossia il dono di non poter peccare, perché nel dono che ebbe non volle permanere fino al momento del premio.

Ciò che infatti riceveranno i santi, che nel secolo futuro avranno da vivere in un corpo spirituale, lo avrebbe ricevuto Adamo senza l'intervento della morte, perché, ascendendo dal dono di poter non morire giungesse al dono di non poter morire, e ascendendo dal dono di poter non peccare giungesse dove non potesse peccare.

Non era stato fatto appunto in un corpo spirituale, ma in un corpo animale, benché assolutamente non morituro se non avesse peccato.

Perché, come dice l'Apostolo, non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale e poi lo spirituale. ( 1 Cor 15,46 )

Per cui il beato Ambrogio dice che Adamo fu creato nell'ombra della vita, dalla quale poteva cadere non per necessità ma per volontà.11

Nella quale "ombra " se fosse rimasto, avrebbe certamente ricevuto quella vita di cui la prima era l'ombra, avrebbe ricevuto la vita che riceveranno i santi e dalla quale non potranno mai cadere.

Anche questa mortalità nella quale decorre il secolo presente, la intende Ambrogio all'opposto come ombra della morte, mentre ricorda quella morte della quale questa è l'ombra, la morte che si dice seconda, ( Ap 20,6 ) dalla quale non ritornerà indietro nessuno che vi sia caduto.

Tutti coloro poi che sono liberati da questa ombra di morte, non ritornano all'ombra della vita, ma vengono destinati ad andare a quella vita dalla quale nessuno potrà mai uscire.

Ivi sarà anche lo stesso Adamo, perché è giusto crederlo già sciolto dai vincoli dell'inferno per la venuta del Signore e per la sua discesa agli inferi, così che il primo " plasma " di Dio, che non ebbe genitore, ma soltanto Dio come creatore, il primo padre del Cristo secondo la carne, non rimanesse oltre in quei vincoli e non perisse nell'eterno supplizio.

Là poi dove la misericordia sorpassa la giustizia ( Gc 2,13 ) non dobbiamo pensare ai meriti, bensì alla grazia.

Della quale è tanto grande, tanto inscrutabile e ininvestigabile la profondità che dopo la sentenza: Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio, ( Gv 3,5 ) vediamo talvolta che a fedeli ben meritevoli non è concesso che i loro figli siano insieme ai loro genitori nel regno di Dio, ma da piccoli escano da questa vita non rigenerati, mentre talvolta, e pur desiderandolo ardentemente i loro stessi genitori e pur affrettandolo con alacrità i ministri dei sacramenti, non viene differita di qualche istante dall'onnipotentissimo e misericordiosissimo Dio la loro morte, perché, i nati dai cristiani, da qui escano rinati, né periscano per il regno del Cristo e per i loro genitori.

Invece spirano prima che si battezzino, mentre a volte a figli infanti di infedeli e di bestemmiatori della stessa grazia del Cristo, condotti dalla mirabile provvidenza di Dio nelle mani dei cristiani, si presta questa grazia di arrivare al regno di Dio, separati dai loro empi genitori.

Dove, se ti si domanda che giustizia sia questa, certamente non la trovi in quel tuo sermone dialettico e filosofico con il quale ti sembra di avere disquisito diligentissimamente sulla giustizia di Dio.

Il Signore conosce infatti che le escogitazioni dei sapienti sono vane ( Sal 94,11 ) e, tenendo nascoste questa realtà ai sapienti e agli intelligenti, le ha rivelate ai piccoli, ( Mt 11,25 ) ossia a coloro che sono umili e non confidano nella loro forza ma nel Signore: ciò che tu o mai o non ancora ti degni di essere.

Se dunque cerchi dove e quando si dia all'uomo di non poter peccare, cerca i premi dei santi, che essi hanno da ricevere dopo questa vita.

Se poi non credi che il libero arbitrio dell'uomo, con il quale egli poté e dové agire rettamente, venne a mancare per la malizia del peccato, sta' attento almeno a colui che dice: Non quello che voglio io compio, ma faccio quello che detesto, e che voi non volete malato per un vizio di origine, ma per il prevalere su di lui di una cattiva abitudine; e così anche voi confessate che il libero arbitrio può venire meno usando male di se stesso, e non volete che da quel peccato, tanto grande da essere stato maggiore e peggiore di ogni mala abitudine, abbia potuto essere viziato il libero arbitrio della natura umana, nel depravare la quale dite che tanto può un'abitudine cattiva da far gridare ad un uomo di volere compiere il bene e di non poterlo compiere.

Ma immutabile è quella libertà della volontà, con la quale l'uomo fu creato ed è creato, e per la quale noi tutti vogliamo essere beati e non possiamo non volerlo.

Ma ad essere beato e a vivere rettamente per essere beato non basta a nessuno questa libertà, perché la libertà di una volontà immutabile con la quale voglia e possa agire bene non è così congenita nell'uomo come è congenita in lui la libertà con la quale vuol essere beato: il che vogliamo tutti, anche coloro che non vogliono agire rettamente.

13 - La nostra libertà è stata viziata dal primo peccato

Giuliano. Quale risultato si è dunque ottenuto?

Che si impone una sola delle due alternative: o confessi che Adamo fu fatto di una buona sostanza e che la sua natura non fu distrutta da una qualità volontaria, e abbandoni il peccato naturale; o, se, come hai creduto finora, insisti nel dire che Adamo è causa di mali naturali, dichiarerai che egli stesso è di una pessima sostanza, appartenente al dio vostro, ossia al dio tuo e al dio di Manicheo.

Agostino. Che non sia stato ottenuto il risultato che tu reputi ottenuto lo mette in chiaro la nostra risposta precedente.

Infatti, poiché si discute tra noi se per il cattivo uso del libero arbitrio, con il quale l'uomo fu creato, abbia potuto questa libertà umana essere così viziata da non essere idoneo a vivere rettamente chi visse malamente, se non nel caso che sia stato sanato dalla forza della grazia, per omettere tutte le altre numerosissime osservazioni che sono state fatte nella medesima risposta, troviamo un uomo che nell'autorità somma delle divine Scritture dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio.

Nelle quali parole appare evidente che il libero arbitrio fu viziato dal suo cattivo uso.

Non avrebbe infatti potuto dire questo l'uomo prima del peccato con il quale usò male del libero arbitrio, collocato in quella felicità del paradiso e in una grande facilità di agire bene.

Ma questo voi non lo attribuite alla natura umana viziata nel primo uomo, bensì alla cattiva abitudine di un qualsiasi uomo, che volendo vincerne la prevalenza, né valendo a vincerla e non trovando la sua libertà integra a portare il bene a compimento, è forzato a dire quelle parole, quasi però che a patire l'insuperabile violenza della cattiva abitudine, così da chiedere di essere liberata da essa mediante la grazia di Dio, non sia se non una natura infirmata.

Chi esprimeva infatti cotesti sentimenti, dopo essere giunto alle parole: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra, esclama: Sono uno sventurato!

Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,15.23-25 )

Il corpo della morte interpretatelo come volete.

Tuttavia, infirmato il libero arbitrio, faceva queste affermazioni la natura infirmata e desiderava di essere liberata mediante la grazia di Dio dal corpo di morte, dove non compiva il bene che voleva, ma faceva il male che odiava.

Ma da una documentazione più evidente voi siete vinti a pensare che quel peccato del primo uomo fu tanto grande da esser maggiore e peggiore di ogni violenza dell'abitudine, quando vi si mettono dinanzi i mali dei bambini, mali che non sarebbero esistiti sicuramente nel paradiso, se l'uomo per non essere cacciato fosse rimasto nella felicità di quella rettitudine nella quale fu fatta la natura umana.

Infatti, per tacere di altre simili considerazioni che abbiamo già fatto in più luoghi e per tralasciare l'infanzia, non solo indòtta ma anche indocile, non è forse vero che un qualche ragazzo nel ricevere dal suo maestro qualcosa da ritenere a memoria, volendo tenerlo e non valendo a tenerlo, se potesse dirlo, direbbe con tutta verità: " Vedo nella mia anima un'altra legge che muove guerra alla legge della mia volontà e mi rende schiavo della legge delle ferule che incombe sulle mie membra?

Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte?

Un corpo corruttibile appesantisce infatti l'anima, così da non poter tenere a mente ciò che vuole ".

E da questo corpo corruttibile chi libera se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore?

Libera, sia quando, spogliata di questo corpo, l'anima redenta dal sangue del Cristo, riposa; sia quando questo corpo corruttibile si rivestirà della incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ) e dopo le tribolazioni del corpo morto a causa del peccato anche i nostri corpi mortali riceveranno la vita per mezzo dello Spirito del Cristo che abita in noi.

Contro la grazia del quale Cristo voi difendete l'arbitrio della libera volontà, della volontà ancella del peccato.

Noi poi siamo ben lontani da Manicheo, perché della natura buona tanto nei grandi quanto nei bambini noi confessiamo e il vizio e il Medico.

14 - I primi uomini avevano i medesimi nostri malanni

Giuliano. Ho disputato finora come richiedeva l'uso della nostra fede; ma, non contento di questa parte soltanto, agirò con te benignamente e farò intenzionalmente la parte di uno che sembri simpatizzare con la sentenza del tuo precettore.

Ma questo sarà fatto allo scopo che tu sia costretto ad opporti a Manicheo, se discordi da lui.

Che la serie delle nostre asserzioni non abbia nulla di astuto sarà dimostrato da questo stesso fatto che il traduciano non trovi dove potersi opporre a Manicheo.

Apparirà pertanto quanta congiura ci sia tra voi, e come voi procuriate tutto con mutui profitti, quando non si sarà potuto suscitare nessun litigio tra voi.

Stia quindi fitto nell'animo del lettore quale sia stato il proposito da me dichiarato nell'affrontare questa prova.

Adesso facciamo ormai parlare la " persona " che assumiamo.

Sbagliano assolutamente coloro che reputano che questa concrezione del corpo sia abile alla giustizia: a tutte le buone intenzioni ripugna la vile natura della carne e del sangue.

Tutto ciò che c'è di eccitamenti per la seduzione dei sensi sdrucciola fino al perturbamento, anzi fino al sovvertimento della mente, che,  gettata non so da quale infelicità in questa lordura, perde nella mescolanza del fango i suoi nobili sprazzi.

Essa, per quanto è da lei, tende al suo luogo, ossia ai valori superiori, ma è afflitta dall'ergastolo terreno.

Quando poi vorrà volare alla pudicizia, sperimenta il glutine e il vischio della voluttà oscena che sale dalle viscere riarse.

Appena concupisce la liberalità della munificenza, viene legata dalle strettissime catene dell'avarizia che si copre con il velo della frugalità.

Se poi vuole accomodarsi in qualche serenità di un fermo equilibrio, è sommersa subito dalla grandine del timore, dalle tempeste del dolore e, sfinita da dubbi di ogni genere, non riesce più a mantenere il controllo di sé.

Aggiungi a questo la notte delle realtà ignorate che la circonda come una piena.

Che cosa supporre di lodevole in un animale che non ha nemmeno occhi capaci di utili scelte e non basta a contare i suoi naufragi tra le tempeste delle passioni e delle difficoltà?

Né tuttavia qualcuno mentisca che questi mali sono accaduti alla sostanza umana, perché si è spontaneamente depravata: la stessa istituzione dei primi uomini si trova soggetta a questi malanni.

Infatti, per provarlo anche con la testimonianza di Mosè, venerato dai cattolici, sperimentavano i primi uomini la carneficina del timore, atterriti dalla minaccia del pericolo, se non avessero obbedito, e, per quanto dobbiamo misurare dal confronto con gli avvenimenti, riteniamo che i primi uomini furono più paurosi dei posteri, perché afflitti da una pena che non era ancora nota a nessuno.

Perché infatti sarebbero stati scossi dalla minaccia della morte, se non sapevano quali danni comportasse il morire?

Li sconvolgevano appunto soltanto le supposizioni dei mali.

In quale tranquillità poteva dunque adagiarsi quell'animo che sommoveva tanto aspro inverno di paura?

Poi, quanto profonda ignoranza e quanto dura la condizione di patirla, così da non poter esserne liberato se non con la prevaricazione: la scienza appunto del bene e del male non l'avrebbe conquistata in nessun modo senza un'audacia condannabile!

Questo animale lo rendeva così cieco e tribolato anche un'ingiusta innata cupidità, che era fatta irritante dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito.

E come se tutto questo fosse poco per esprimere la sua infelicità, l'uomo viene esposto all'assalto di una natura superiore.

Chi dunque sarà così stolto da giudicare che qualcosa di buono ci sia stato là dove riconosce istituiti gli strumenti di tante miserie?

Cotesta carne quindi in cotesti primi uomini espresse ciò che teneva di suo fino dall'esordio nella sua pessima condizione e nella sua pessima natura.

Ma questa sostanza tanto cattiva non la poté fabbricare il Dio buono!

Che resta dunque a noi se non confessare che altri è il datore dell'anima e altri è il creatore dei fanghi?

Sta certamente ben schierato in campo l'esercito di Manicheo, di cui avevo indossato la " persona ".

Tu capisci che cosa noi ci attendiamo: cioè che chi è contro Manicheo lo dimostri con una logica confutazione.

Il vostro dogma quindi si batta con lui: apparirà se possa muoversi anche solo di un poco senza la propria rovina.

Manicheo ha certamente dichiarato che non solo tutti gli uomini nascono " criminosi " dalla mescolanza dei corpi, ma che lo stesso Adamo prese la necessità delle colpe dalla concrezione delle viscere e dalle sozzure del limo con il quale fu fatto.

La natura della carne, dice, fu rea già nei primi uomini ed essa imprigionò, imbevve, estinse la stessa scintilla dell'animo che traluceva del desiderio dell'onestà.

Sono sciocchi davvero i cattolici che resistono alle testimonianze di coloro che peccano, e non si arrendono nemmeno alle proprie acquisizioni e, vedendo che non operano il bene che vogliono, ma il male che esecrano, tuttavia reputano che nella carne non ci sia la necessità del male.

Lotti dunque, se può, il traduciano contro queste affermazioni tanto spiacevoli: io per il momento faccio lo spettatore e attendo l'esito del vostro conflitto.

Che risponderai pertanto a chi giura che la natura fu cattiva anche nei primi uomini?

Replicherai senza dubbio che Dio, formatore degli uomini, non poté creare cattivo ciò che creò, e proprio perché Dio che non fa il male fece gli uomini, non si può assolutamente provare che essi siano mali naturaliter.

Hai detto qualcosa e lo hai detto con veracità, ma rifletti se tu lo avresti dovuto proferire ai miei orecchi.

Non mi interessa molto infatti con quanta forza tu abbia colpito Manicheo: per ora tu sei passato tutto nei miei diritti.

Mi diletta ormai divertirmi con te, fatto mio prigioniero.

Accolgo appunto con grande gioia la tua professione e ti ammonisco di ricordarla.

Per la dignità infatti dell'autore, ossia di Dio che non fa il male, hai dichiarato che devono asserirsi buone le sue opere.

Tutti gli uomini dunque generati dalla mescolanza dei sessi, istituita da Dio, li reputi fatti da Dio o dal diavolo?

Se da Dio, in che modo osi sentenziarli rei e cattivi, dopo aver detto che l'unica testimonianza che Adamo non poté essere fatto di cattiva natura sta nella dichiarazione che fu creato da Dio, il quale è ottimo?

Se dunque per credere che la sostanza dei primi uomini non sia stata creata rea è un argomento forte la sua stessa creazione da parte di Dio che confessiamo buono, resta a rovina della traduce che la medesima testimonianza della loro creazione da parte di Dio che confessiamo buono valga anche a provare che non possono essere creati iniqui coloro che vengono generati dal matrimonio.

Ma se anche dopo di ciò una rabbiosa impudenza persisterà nel giurare che i bambini e vengono fatti da Dio e sono tuttavia naturaliter mali, certamente al Dio cattolico, come pure al nostro Dio, non si reca nessun pregiudizio da queste menzogne, tuttavia risulta che da voi non è stato espugnato Manicheo, il quale abbraccia volentieri che tu incrimini Dio, contento che ti sia crollato l'argomento con il quale avevi tentato di provare buona la creazione di Adamo.

Agostino. Quando con faconda cecità mi proponi il duello contro Manicheo da intraprendere da me e da contemplare da te, rovesci incautamente le tue parti e offri, anche a coloro che sono ritardati nella loro intelligenza, la possibilità di capire in che modo tu aiuti, quasi con il pestifero alito del tuo dogma, quella orribilissima lue che un funesto errore attaccò a Manicheo.

Ciascuno infatti, quando udrà o leggerà le affermazioni che hai fatto copiosamente ed eloquentemente sulle miserie di questa vita mortale e corruttibile, riconoscerà che, non solo nel tuo ragionare, ma anche nella realtà delle vicende umane, tu hai colto nel vero.

Per Manicheo appunto, al quale hai prestato le parole come se parlasse contro di noi, non fu nulla di grande o di difficile e intuire in questa vita mortale, abbattuta e bandita dalla felicità del paradiso per merito del peccato, le verità dette da te su di essa, e garrire, come fai tu o anche più abbondantemente e diffusamente, tuttavia i medesimi mali, che sono tanto manifesti da leggerli ripetutamente anche in moltissimi passi delle Scritture divine, e che provengono dall'onere del corpo corruttibile e dall'appesantimento che esso causa all'anima.

Onde, anche nei santi che lottano nell'agone di questa vita, la carne concupisce contro lo spirito e lo spirito contro la carne, ( Gal 5,17 ) perché lo spirito, come dice il gloriosissimo Cipriano, cerca i beni celesti e divini, la carne concupisce i beni terreni e secolari.12

Di qui proviene quel conflitto che il suddetto martire spiega diligentemente ed eloquentemente nel suo libro De mortalitate, dicendo tra l'altro che a noi tocca una lotta assidua e molesta contro i vizi carnali e gli allettamenti secolari.13

Ma già il beato Gregorio pone davanti agli occhi questo duello che abbiamo nel corpo di questa morte, in modo tale che non c'è nessun atleta di questo agone che non si riconosca nelle sue parole come in uno specchio.

Dentro noi stessi, dice, siamo combattuti dai propri vizi e dalle proprie passioni.

Giorno e notte ci trafiggono gli speroni brucianti del corpo di questa umile condizione e del corpo di questa morte, provocandoci dovunque, a volte segretamente, a volte anche palesemente, e irritandoci gli allettamenti delle realtà visibili, esalando questo fango schifoso nel quale ci troviamo il fetore del suo sudiciume da vene troppo capaci, ma inoltre movendo guerra la legge del peccato, la quale è nelle nostre membra, alla legge dello spirito, mentre si studia di fare sua schiava l'immagine regale che è dentro di noi, perché finisca tra le sue spoglie tutto quello che Dio fece affluire in noi con il beneficio di quella sua divina e prima creazione.14

Queste parole dell'uomo di Dio sono state riportate da me e nel secondo dei sei libri che pubblicai contro i tuoi quattro15 e in questa opera nel rispondere al tuo primo volume,16

là dove credesti di dover intendere in modo diverso il corpo di morte, dal quale dice l'Apostolo di essere liberato mediante la grazia di Dio. ( Rm 7,25 )

Anche il santo vescovo Ambrogio, dopo avere scritto: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, perché è viziata la nostra stessa origine, come hai letto nelle parole di Davide: "Ecco nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre ", ( Sal 51,7 ) soggiunse immediatamente: Perché la carne di Paolo era un corpo di morte, come dice egli stesso: " Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 ) ".17

Che c'è dunque da meravigliarsi, se Manicheo, intuendo i mali di questa vita: e il corpo di questa morte che appesantisce l'anima, e la discordia tra la carne e lo spirito, e il grave giogo che sta sui figli di Adamo dal giorno della uscita dal grembo della loro madre fino al giorno della sepoltura nel grembo della madre comune, fa anche con la tua bocca, quasi parlasse contro di noi, affermazioni tali e quali vediamo fatte da Gregorio contro di voi?

Donde risulta che i mali di questa vita, che è una prova sulla terra, ( Sir 40,1 ) i mali di cui è pieno il mondo nella storia del genere umano per il grave giogo che pesa sui figli di Adamo dal giorno dell'uscita dal grembo della loro madre fino al giorno della sepoltura nel grembo della comune madre, ( Gb 7,1 sec. LXX ) anche i manichei li confessano insieme ai cattolici, ma sulla questione donde siano questi mali non dicono lo stesso gli uni e gli altri, e c'è su tale questione una grande distanza tra loro, perché i manichei attribuiscono i mali ad una natura cattiva e aliena, i cattolici invece ad una natura e nostra e buona, ma viziata dal peccato e punita meritatamente.

Tu che non vuoi dire ciò che diciamo noi, che cosa dici per conto tuo?

In che modo rispondi a Manicheo sul problema donde siano questi mali con i quali nascono gli uomini e che non nascerebbero nel paradiso, se nessuno avesse peccato e se la nostra natura vi fosse rimasta non depravata, ma retta, come fu creata?

Se è congenito il vizio nel quale l'uomo grida: Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo, ( Rm 7,18 ) e se il vizio non viene dalla natura viziata a causa della prevaricazione del primo uomo, di' donde venga.

Se poi questi vizi non sono congeniti, di' donde vengano.

Dirai: dall'abitudine di peccare che ognuno si è fatta con la libera volontà.

Dove tu confessi per il momento ciò che non vuoi, ossia che la libertà della volontà poté perire per il suo cattivo uso, perché a forza di fare il male è diventata meno idonea a fare il bene.

Ma è proprio vero che uno sia duro di cuore per volontà? O che uno sia smemorato per volontà?

O che uno sia fatuo per volontà? Questi e altri vizi della mente stessa e dell'animo, con i quali nessuno dubita che nascano alcuni uomini, se tu dici che non vengono dalla origine viziata, di' donde vengano.

Né infatti dirai certamente che il paradiso avrebbe potuto avere cotesti vizi, se nessuno avesse peccato.

Infine che il corpo corruttibile appesantisca l'anima con una soma miserevole sotto la quale gemono tutti gli uomini che non siano completamente stupidi, di' donde venga.

Non dirai certamente che i primi uomini siano stati creati così che l'anima di qualcuno di essi fosse appesantita da un corpo corruttibile, o dirai che dopo quel loro grande peccato qualcuno nasca senza un tale corpo.

Per quale ragione dunque tu loquacissimo introduci Manicheo loquace contro di noi, quando, negando tu ciò che diciamo noi, non sei in grado di rispondere a lui?

Al quale risponde Cipriano, mostrando che la carne e lo spirito discordano tra loro, così tuttavia che la concordia di ambedue sia da chiedere a Dio Padre.18

Al quale risponde Gregorio che, dopo aver fatto sulla carne le medesime affermazioni che mettesti insieme tu per farle dire a Manicheo contro di noi, tuttavia attesta che entrambi, spirito e carne, essendo propizio Dio, sono da riportarsi a Dio stesso.

Al quale risponde Ambrogio che, dopo aver detto che la carne deve sottomettersi all'arbitrio dell'anima, più equilibrata, spiega, quale fu la carne quando ricevé come sua residenza le parti segrete del paradiso, prima che, infettata dal veleno del serpente pestifero, conoscesse la fame sacrilega.19

Infatti con queste loro sentenze tali antistiti cattolici insegnarono sufficientemente e apertamente che della carne non è mala la natura, ma è malo il vizio: sanato il quale, la carne ritorna a non appesantire più l'anima con nessuna delle sue corruzioni, come fu istituita primieramente, e a non avere nessuna discordia con lo spirito, concupiscendo atteggiamenti contrari ad esso.

Da questa discordia fu ingannato Manicheo a fantasticare che a noi sia stata mescolata una sostanza mala e aliena.

Di questi antistiti cattolici se tu volessi seguire con noi la fede, sbaraglieresti i manichei invece di aiutarli.

Adesso però tu non tenti di distruggerli, ma di far crescere ancora di più il loro edificio.

Negando infatti i mali che gli uomini contraggono nel nascere da una origine viziata, non ottieni che noi non crediamo affatto ai mali naturali, poiché essi sono troppo manifesti, ma ottieni piuttosto che cotesti mali si reputino provenienti da una natura mala e aliena, che l'insania dei manichei favoleggia essere stata mescolata a noi, e non si indichino come promananti dalla nostra natura buona, viziata dalla prevaricazione del primo uomo, che è quanto dice la sanità dei cattolici.

Manicheo però, tu dici, detesta così tanto anche la stessa carne del primo uomo, quale fu prima che egli peccasse, da sforzarsi di dimostrarla cattiva.

Così, certo, lo fai parlare tu, con il risultato di provocare non solo per me, ma anche per te una tal quale difficoltà nel rispondere.

Infatti dove Manicheo dice che la carne del primo uomo fu fatta da un creatore cattivo, noi gli rispondiamo di comune accordo che una creatura tanto buona da poter non peccare se non voleva peccare, per quanto non venga equiparata al suo creatore, non poté tuttavia avere se non un Creatore buono.

Dove poi Manicheo dice misero l'uomo anche prima di peccare per il timore della morte che Dio gli minacciò qualora avesse peccato, rispondiamo di comune accordo che per un uomo, il quale non avrebbe mai potuto peccare se non avesse mai voluto peccare, la precauzione di dover evitare quella pena che sarebbe seguita al peccato era una precauzione tranquilla, non era un'angoscia turbolenta.

Questo, sì, possiamo rispondere al comune avversario, come si è detto, di comune accordo.

Ma io contro Manicheo accresco le lodi di quella prima creatura ragionevole, che non solo non era tormentata da nessuna paura, ma anzi godeva una grande letizia, perché aveva la possibilità di non soffrire il male della morte, dal quale rifuggono i cuori di tutti i fedeli o di quasi tutti.

Poiché a questa nostra fede è avverso l'errore vostro di reputare che Adamo sarebbe morto, sia che peccasse, sia che non peccasse, che cosa rispondi qui a Manicheo quando dice che fu creata misera la natura, la quale, peccasse o non peccasse, la morte incombente tormentava con la sua paura?

Se infatti dirai che fu creata tale da non temere la morte, indubbiamente presto o tardi ventura, confesserai certamente che la natura umana, quale è adesso nei posteri di Adamo, nasce misera, perché vediamo che la paura della morte è per lei tanto congenita che perfino coloro che con fedele speranza concupiscono i gaudi della vita futura, tuttavia lottano in questa vita con la paura della morte: non vogliono infatti essere spogliati, ma sopravvestiti, perché questa vita, per quanto concerne la loro volontà, non finisca con la morte, ma ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,4 )

Dal che discende che, se porrai la paura della morte nel paradiso prima del peccato, sarai vinto dai manichei, i quali credono e vogliono far credere che anche nel primo uomo la natura umana fu creata misera; se al contrario risponderai che la paura della morte, dalla quale l'animo dei mortali non è assillato senza miseria, non ci fu prima del peccato, sarai vinto da noi, perché non muterebbe in peggio se non una natura viziata.

Da capo, in ciò che fai dire a Manicheo contro di noi: Questo animale cieco e tribolato era reso anche inquieto dalla sua innata cupidità, irritata dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito, riconosci, o Giuliano, il naufragio del tuo dogma quasi contro uno scoglio inevitabile.

Noi infatti diciamo che in quella beatitudine non ci fu nessuna cupidità che resistesse alla volontà.

Ora, se quegli uomini bramavano il frutto dal quale piuttosto volevano astenersi, senza dubbio alla loro volontà resisteva la loro cupidità.

Questo dunque non contro di me, ma contro di te hai fatto dire a Manicheo con le tue parole.

Se infatti costoro erano tali che in essi la cupidità resisteva alla volontà, già allora la carne concupiva contro lo spirito e lo spirito concupiva contro la carne, dove si intende il manifestissimo vizio della carne, a causa del quale l'Apostolo diceva ai fedeli: Queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 )

Nessuno appunto c'è tra i santi che non voglia fare in modo che la carne non concupisca contro lo spirito, sebbene resista alla carne per non portare a compimento con il suo consenso la concupiscenza della carne, ascoltando il medesimo Apostolo che scrive: Vi dico dunque: camminate secondo lo spirito e non portate a soddisfazione i desideri della carne. ( Gal 5,16 )

Non dice: Non abbiate i desideri contrari della carne, perché vedeva che una pace perfetta tra la carne e lo spirito non può essere realizzata nel corpo di questa morte.

Ma dice: Non portate a soddisfazione i desideri della carne, dove ci ha proposto piuttosto la battaglia che dobbiamo combattere contro la carne che ci avversa, perché non diamo esecuzione alle sue concupiscenze consentendo, ma le vinciamo resistendo.

La pace però, dove non patire tali concupiscenze opposte e riottose, ci fu nel corpo di quella vita, che noi perdemmo per la natura viziata dalla prevaricazione del primo uomo.

Se infatti nemmeno allora, prima del peccato, ci fu la pace tra la carne e lo spirito, e se è falso che la discordia tra loro due si sia cambiata, come dice Ambrogio, nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo,20 sarà vera, e non sia mai, questa sentenza con la quale hai fatto parlare Manicheo contro di noi: Fu creato come un misero animale il primo uomo, che era reso inquieto da una innata cupidità, irritata dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito.

Noi all'opposto diciamo che quell'uomo fu tanto beato prima del peccato e tanto libero di volontà che osservando il precetto di Dio con le grandi forze della sua mente non pativa in nessun conflitto la resistenza della carne, né sentiva assolutamente da una qualche cupidità nulla che non volesse.

La sua volontà fu precedentemente viziata dalla velenosa persuasione del serpente, perché sorgesse la cupidità che seguisse la volontà piuttosto che resistere alla volontà, e perché, perpetrato il peccato, anche la concupiscenza della carne movesse ormai guerra alla mente infirmata dalla pena.

E per questo, se l'uomo peccando non faceva prima ciò che voleva, non pativa ciò che non voleva concupiscendo.

Ecco in che modo noi vinciamo Manicheo, che tenta d'introdurre un cattivo creatore della natura dell'uomo.

Tu invece, che a tuo arbitrio hai scelto di fare da spettatore al nostro scontro, a queste stesse tue parole che ti parve di dover dare a Manicheo contro di noi, con quale arte, ti prego, con quali forze oserai opporti, o uomo che dici che la concupiscenza della carne, quale è adesso, quale la vediamo lottare contro lo spirito, tale fu anche nel paradiso prima del peccato?

Ti sbalziamo dunque giù dalle tribune del teatro nell'arena, volente o nolente, e da spettatore ti facciamo lottatore.

Ingaggia il duello e vinci, se puoi, l'avversario comune, poiché tu pure confessi di adorare Dio come creatore anche della carne.

Vinci quindi il nemico che tenta di persuadere che sia un Dio cattivo quello che creò la carne, la cui concupiscenza faceva già guerra allo spirito quando lo spirito non era stato ancora depravato dalla prevaricazione, e faceva misero l'uomo per il suo lottare.

O forse sei pronto a dire: Assolutamente, e aveva una tale concupiscenza l'uomo, e tuttavia non era misero?

Questo è forse un superare l'avversario o piuttosto non è questo un aiutare Manicheo e un ribellarsi contro l'Apostolo?

Hai forse dimenticato completamente chi abbia detto: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente, soggiungendo subito dopo: Sono uno sventurato?

Se dunque Adamo, mentre voleva obbedire al precetto divino, si sentiva irritato dalla cupidità a mangiare il cibo proibito e se in lui la concupiscenza della carne, che tu gli attribuisci anche in quel tempo quale quella di ora, faceva guerra allo spirito che concupiva in senso contrario, non avrebbe detto con tutta verità, se lo avesse voluto dire: Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente? ( Rm 7,22-24 )

In che modo dunque Adamo non era un uomo misero, se dopo tali parole l'Apostolo esclama: Sono uno sventurato?

Infine in che modo non era misero e in che modo aveva la volontà libera, se concupiscendo la carne contro lo spirito, non faceva certamente ciò che voleva, per testimonianza dello stesso Apostolo?

Poiché dunque, se dirai che la concupiscenza della carne tale fu prima del peccato quale è adesso, ti vincerà senza dubbio Manicheo; passa alla mia sentenza, e perché ambedue vinciamo Manicheo, approviamo ambedue Ambrogio, il quale dice che la discordia tra la carne e lo spirito si cambiò nella nostra natura a causa della prevaricazione del primo uomo.

Con le tue parole, che gli hai composte per fargliele fintamente recitare e, alla maniera che suole avvenire nelle scuole dei retori, per fargliele dire come parole di altri, Manicheo ha detto che Adamo fu creato non solo " tribolato ", ma anche " cieco ".

Per quale ragione " cieco ", se non perché non conosceva il peccato? E questo è stato detto tra le lodi del Cristo. ( 2 Cor 5,21 )

Tutti i mali infatti di qualsiasi genere che si imparano non per mezzo della sapienza, ma per mezzo della esperienza, si ignorano felicemente.

Questo però lo dici forse anche tu con me contro Manicheo, che calunnia il primo uomo d'ignoranza.

Cerca invece che cosa rispondergli sulla morte del corpo e sulla concupiscenza della carne, secondo le risposte che abbiamo date ora noi a te.

Da queste due evidentissime realtà appare infatti che altra fu la condizione dei primi uomini, i quali non furono generati da nessuna stirpe di genitori, altra è invece la condizione di coloro che sono creati da Dio in modo da essere anche procreati dagli uomini.

Da Dio ricevono il modo della loro istituzione, dagli uomini derivano il merito dell'origine: debitori della loro conformazione all'opificio del Creatore, della loro obbligazione al giudizio del Creatore, della loro liberazione al beneficio del Creatore.

Dei quali uomini vedendo i mali con cui nascono, i manichei tentano d'introdurre un cattivo opifice dell'uomo.

Della cui stessa carne, per tacere dell'anima che è la vita della carne, la struttura organica attesta che il suo opifice è il Dio dal quale vengono tutti i beni, siano celesti, siano terrestri.

Ed è un bene tale la struttura organica della carne da prendere il beato Apostolo dalla concordia delle sue membra una similitudine per il più grande elogio della carità, per il cui vincolo pacifico i buoni fedeli si connettono tra loro come membra del Cristo. ( 1 Cor 12,12 )

Avviene così che e quei primi uomini fatti senza un vizio, e i loro posteri nati con il vizio originale, atteso l'evidentissimo bene della natura, non li abbia potuti creare se non il Creatore buono.

Indice

11 Ambrosius, De Paradiso
12 Cyprianus, De Orat. dominica
13 Cyprianus, De mortalitate
14 GREGORIUS NAZ., Orat. I de fuga sua
15 Vedi Contra Iul., 2, 3
16 Sopra 1,67
17 Ambrosius, De paenitentia 1, 2. 3
18 Cyprianus, De Orat. dominica
19 Ambrosius, In Luc. 7, 12
20 Ambrosius, In Luc. 7, 12, 53