Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Ma per non premere troppo sulla prima parte della controversia, concediamo che nel procedere della tua opinione tu dimostri la buona natura di Adamo.
È certo che tu dici: Il giusto Dio non avrebbe imposto all'uomo la legge della devozione, se avesse saputo che egli pativa la necessità di peccare, perché, esigendo la giustizia della volontà da chi sapeva cattivo per natura, quando questi prevaricava, Dio non accusava l'uomo di reato, ma " pubblicizzava " di esser egli stesso nemico della giustizia.
Ma il giusto Dio impose all'uomo la sua legge e assicurò che lo avrebbe punito, se avesse prevaricato.
Consta dunque che l'uomo, buono per natura, non poté altrimenti peccare se non per la sua sola volontà.
Tu vedi evidentemente quanto legittima conclusione sia stata dedotta da me in nome tuo!
Questa è davvero una spada che, lampeggiando in mano dei cattolici, fa strage dei manichei e dei traduciani.
Ma io misi quel "troppo " per il vostro nome, perché avevo voluto che la risposta apparisse sul momento come data in vostra vece.
Scosse dunque Manicheo la solida risposta. Io lodo debitamente l'augusta ragione, ma sta' attento tu che l'olio di questa mia lode rende più acuta la spada contro di te.
Ripeti quindi, ti prego, ciò che avevi detto. Il giusto Dio, tu dici, non avrebbe imposto all'uomo la legge, se l'uomo fosse stato cattivo per natura; ma colui che è giusto impose all'uomo la legge: è chiaro che l'uomo poté osservare ciò che il Giustissimo comandò; poiché, se l'uomo non avesse avuto la forza di obbedire, non avrebbe mai avuto colui che comandava la ragione di comandare.
O lepidissima testolina! Davanti a me, davanti a me come spettatore, costui afferma la bontà della natura alla quale si impone la legge, partendo dalla giustizia di colui che promulga la legge, né vede di aver recato la rovina dei traduciani, prima che senta una piccola ferita Manicheo.
Perché infatti tu capisca che a te moribondo io rapisco le armi cruente, e perché i tuoi occhi portino con sé morendo la verità vincitrice,21 spingerò te stesso contro i tuoi dardi.
Se il giusto Dio non poté dare la legge ad Adamo se non perché sapeva che egli senza nessuna coazione da parte del male poteva da uomo libero osservare ciò che è giusto, indubbiamente anche nei tempi successivi con la medesima gravità di giustizia non sarebbe stata data agli uomini la legge, consegnata pure per scritto, più estesa per molteplicità, più precisa per distinzione, più temibile per accrescimento di sanzioni, se gli uomini nascessero dall'utero o impotenti a fare il bene senza possibilità di giustizia, o rei, cioè cattivi; perché, come costoro in ogni prevaricazione li scuserebbe il pretesto della necessità, così l'eccedenza dei precetti, l'impotenza delle sanzioni, l'iniquità dei giudizi tornerebbe ad onta dell'Autore.
Quindi anche questa seconda parte si chiude alla stessa maniera della prima: cioè, o confessi che la giustizia di Dio non poté comandare se non ciò che valutava fattibile dai sudditi, e dalla testimonianza del primo comando è liquidato il manicheo, mentre dalla testimonianza delle leggi successive è liquidato il manicheo e il traduciano; o, se la tua empietà tralascia di fare questo, Manicheo, che non è stato allontanato da voi nemmeno leggermente, mostrerà con la testimonianza del mondo di essere vostro padre, di essere vostro principe, di avere insieme a voi contro di noi un unico combattimento.
Agostino. Questo è appunto ciò che hai inseguito non con eloquio, ma con multiloquio: la prima legge che fu data nel paradiso è testimonianza della buona natura che fu creata con il libero arbitrio; altrimenti sarebbe stata data ingiustissimamente la legge all'uomo che non avesse il libero arbitrio.
Onde anche la legge posteriore, tu dichiari, che fu promulgata per scritto in maniera amplissima, è testimonianza della natura buona che viene creata attraverso i genitori, ugualmente senza vizio e con il libero arbitrio.
Nel discutere così ti sembra di dire qualcosa, perché segui le sottigliezze umane tue o di altri uomini: ma gli insegnamenti divini, con i quali reputi di prescrivere contro di noi, non ti curi di leggerli o, se ti curi di leggerli, non vuoi o non puoi leggervi la verità.
Se per caso però ve la leggerai in forza della nostra discussione, non voler essere come il servo che la Scrittura bolla dicendo: Con le parole non si corregge uno schiavo duro, perché non obbedisce nemmeno quando ha capito. ( Pr 29,15 )
Per quanto anche il cuore di pietra, per il quale non si obbedisce alle parole divine nemmeno se sono state capite, te lo può togliere, se lo vuole, colui che promise ciò ad un popolo duro, profetandolo il santo profeta Ezechiele. ( Ez 11,19; Ez 36,26 )
Nel paradiso infatti l'uomo che fu fatto retto ricevé la legge, perché noi imparassimo che o la sola o la principale virtù della creatura ragionevole è l'obbedienza.
Ma per la prevaricazione della medesima legge da se stesso l'uomo si depravò.
E poiché poté viziarsi da se stesso e non poté risanarsi, anche in seguito, nel tempo in cui la sapienza divina giudicò di doverlo fare e nel luogo dove giudicò di doverlo fare, ricevé la legge pure da uomo depravato, non perché per mezzo di essa potesse correggersi, ma perché sentisse per mezzo di essa di essere depravato e di non potersi correggere da se stesso nemmeno dopo aver ricevuto la legge, e così, non cessando i peccati con la legge, ma crescendo essi con la prevaricazione, abbattuta e contrita la sua superbia, l'uomo desiderasse con umilissimo cuore l'ausilio della grazia e dopo essere stato ucciso dalla lettera fosse vivificato dallo Spirito.
Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 )
Se riconosci le parole dell'Apostolo, vedi certamente o in che cosa tu non sia intelligente o in che cosa, pur essendo intelligente, tu sia negligente.
Non è vero quindi che la legge data in scritto per mezzo di Mosè sia testimonianza della volontà libera, perché, se fosse così, non apparterrebbe a tale legge colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che detesto, ( Rm 7,15 ) e che voi sostenete non ancora certamente posto sotto la grazia, bensì ancora sotto la legge.
Né la stessa legge nuova, preannunziata come la legge proveniente in futuro da Sion e come la parola del Signore da Gerusalemme, ( Is 2,3 ) nel che si intende il Vangelo santo, neppure essa, dico, è una testimonianza della volontà libera, ma piuttosto della volontà liberanda.
Nel Vangelo è scritto infatti: Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 )
Che non sia detto solo per i peccati passati, con la remissione dei quali siamo liberati, ma anche per l'aiuto della grazia che riceviamo per non peccare, ossia, dirigendo Dio i nostri itinerari, siamo fatti così liberi che nessuna iniquità domini su noi, ( Sal 119,133 ) lo attesta l'orazione dominicale, dove non solo diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti per i mali che facemmo, ma diciamo altresì: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,12-13 ) perché evidentemente i mali non li facciamo di nuovo.
Onde anche l'Apostolo dice: Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male. ( 2 Cor 13,7 )
Il che se fosse in nostro potere così come lo fu antecedentemente al peccato, prima che la natura umana fosse stata viziata, non si chiederebbe certamente pregando, ma si manterrebbe piuttosto operando.
Ma poiché dopo la primitiva rovina così grave da farci cadere nella miseria di questa mortalità, Dio ha voluto che noi prima combattiamo, donandoci di essere guidati dal suo Spirito e facciamo morire le opere della carne, e che in futuro, donandoci egli stesso la vittoria per il nostro Signore Gesù Cristo, regniamo con lui nell'eterna pace, sicuramente nessuno, se Dio non lo assiste, è idoneo a combattere con i vizi, perché non sia trascinato da essi senza combatterli o perché già combattendoli non sia vinto nella stessa lotta contro di essi.
Perciò in questo agone Dio volle che noi combattessimo più con le preghiere che con le forze, perché anche le stesse forze, quante ci compete di averne quaggiù, le somministra ai combattenti colui stesso che noi preghiamo.
Se dunque coloro il cui spirito già concupisce contro la carne hanno bisogno nelle singole azioni della grazia di Dio per non essere vinti, quale libertà di volontà possono avere coloro che, non ancora strappati al potere delle tenebre, prevalendo su di essi l'iniquità, non hanno nemmeno cominciato a combattere o, se hanno voluto combattere, sono vinti dalla schiavitù di una volontà non ancora liberata?
Giuliano. Non so francamente se qui, costretto ormai dalla tua sprovvedutezza, trami qualcosa di tanto inetto e di tanto invalido da dire che non hai certamente ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, ma per crederlo ti contenti della sola autorità della Lettura, dalla quale dopo la formazione dell'uomo già nel sesto giorno per tutte le creature in comune è riferito così: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte, ed ecco, erano molto buone. ( Gen 1,31 )
Possibile che, non per la dignità del Creatore, non per l'estimazione della sua giustizia, ma per una testimonianza con la quale in riferimento comune a tutte le creature esse si dicono fatte bene, tu stimi non istituito iniquo anche Adamo!
Ora ciò, sebbene colpisca Manicheo così lievemente da farlo ridere, tuttavia ci consegna il traduciano completamente legato.
Per non radunare i popoli su tale questione con nessuna delle testimonianze divine, prescriviamo con l'autorità del solo Apostolo che, prevedendo l'indegno errore, tuonò contro di voi ad alta voce: Ogni creatura di Dio è buona. ( 1 Tm 4,4 )
Se dunque basta a provare che il primo uomo fu formato di buona natura ciò che dice Mosè, che Dio creò bene tutte le cose, e se sostieni che Adamo non poté essere creato da Dio con il peccato per questo che si legge istituito buono tra le altre creature, noi nelle medesime linee replicheremo che nessuno può nascere con il peccato per questo che dall'Apostolo è difesa la bontà di ogni creatura di Dio.
Qual è dunque il risultato che abbiamo ottenuto da queste discussioni?
Evidentemente che anche l'opzione della guerra dichiarata tra te e Manicheo rendesse pubblico ciò che aveva indagato la ragione: non potendo tu nel duello predisposto vibrare nemmeno un colpo contro il tuo precettore senza la tua rovina, rilucesse nel modo più manifesto possibile che voi e i manichei vi siete coalizzati con vergognosa concordia in un solo corpo di empietà.
Che cosa infatti può esser tanto congiunto quanto ciò che non è separato neppure dalla incursione delle battaglie?
Ad ogni crollo di Manicheo muore insieme il dogma dei traduciani: non c'è nulla che ferisca lui e risparmi te.
Voi siete uniti tra voi nella unità delle istituzioni, nella unità dei misteri, nella unità dei pericoli!
E poi ti senti stomacato, se ti senti chiamato razza del vecchio Manete?
Agostino. Tu nel dire che io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio ti esprimi così come se io fossi in conflitto con te su questo argomento.
Non è forse vero che non io soltanto né tu soltanto, ma ambedue diciamo che Adamo fu creato buono?
Ambedue infatti diciamo che era buona una natura che potesse non peccare, se non voleva.
Ma mentre io asserisco quella natura migliore di quanto l'asserisci tu, perché dico pure che essa non avrebbe potuto morire se non avesse voluto peccare, cos'è che tu dici: io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, quando dalle mie ragioni più che dalle tue Adamo è indicato buono?
Dalle mie ragioni appunto è indicato non solo che egli poté non peccare se non lo voleva, ma che non poté nemmeno morire se non avesse voluto peccare; dalle tue ragioni invece si indica fatto così mortale da essere morituro sia che peccasse, sia che non peccasse.
Il quale errore, quando fu rinfacciato a Pelagio nel processo palestinese, egli stesso lo condannò per non essere condannato,22 e così condannò se stesso, come l'Apostolo dice che fa la gente eretica. ( Tt 3,10.11 )
Io dico inoltre che non ebbe paura della morte Adamo, in cui potere era di non morire; tu invece dici che ebbe la necessità di morire anche senza nessuna necessità di peccare.
E dicendo che Adamo temé la morte anche prima del peccato, che dici se non che fu creato misero?
Se poi per non essere misero, benché la sua morte fosse futura, non ne ebbe tuttavia paura, certamente generò misera senza dubbio la sua prole, perché ingenerò in essa la paura della morte.
Chi negherà infatti che gli uomini temano così la morte per natura che appena ad alcuni non la faccia temere una rara grandezza di animo?
Io alla bontà della creazione di Adamo aggiungo altresì che in lui la carne non concupiva contro lo spirito prima del peccato; tu invece, dicendo che la concupiscenza della carne, se nessuno avesse peccato, sarebbe stata nel paradiso tale e quale è adesso e dicendo che in Adamo fu tale e quale anche prima che peccasse, aggiungi alla sua creazione anche cotesta miseria della discordia tra lo spirito e la carne.
Poiché dunque con tante e con grandi ragioni io indico Adamo creato più buono e più felice di quanto lo dici tu, che cosa ti ha fatto delirare con tanta vergogna da dire che io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, ma per crederlo mi contento della sola autorità della Lettura, essendo scritto che Dio fece molto buone tutte le cose?23
Io non sono a tal punto " più ottuso di un pestello ", come tu mi insulti, da obiettare a Manicheo per confutarlo l'autorità di questo libro divino, dalla quale non si sente tenuto.
A te la obietto quando l'argomento lo richiede, poiché è comune a me e a te.
Con Manicheo invece non cerco di convincerlo della bontà di queste creature partendo dall'opificio di Dio, perché egli lo nega; ma piuttosto partendo dalla bontà delle creature lo spingo a confessare che esse hanno un opifice buono.
Quanto poi all'Apostolo, che i manichei confessano di accettare e che afferma: Ogni creatura di Dio è buona, poiché è palese di quale creatura egli parlasse, sarebbe una testimonianza valida contro i manichei, se essi non sostenessero che anche nei Libri canonici accolti da loro sono state mescolate alcune sentenze false.
E per questo bisogna incalzarli sempre con la bontà delle creature perché riconoscano come loro autore il Dio buono: il che negano.
Ebbene, tutte le creature sono così buone che la ragione dimostra la bontà anche di quelle creature che sono create con addosso dei vizi, in forza dell'attestazione anche degli stessi vizi, perché il vizio è contro la natura: se infatti la natura stessa non piacesse giustamente, in nessun modo dispiacerebbe giustamente il vizio della stessa natura.
Di questo argomento contro i manichei, i quali reputano che anche gli stessi vizi siano nature e sostanze, si discute più diffusamente in alcuni nostri opuscoli e si indica che il vizio non è una natura e perché è contro la natura per questo è un male, e che quindi la natura in quanto natura è un bene.
Donde si coglie che non è creatore delle nature se non il creatore dei beni, quindi il creatore buono; ma migliore delle sue creature per una grande differenza e per una somma bontà, così da non poter essere in nessun modo viziato, non per grazia ricevuta, ma per proprietà di natura.
Quindi le nature create, tanto quelle che sono senza vizio, tanto quelle che vengono viziate dopo essere nate, tanto quelle che nascono già viziate, non possono avere per loro creatore se non colui che crea i beni, perché esse in quanto sono nature sono buone, anche tutte quelle nature che sono state viziate.
Non è infatti autore dei vizi ma delle nature il loro creatore.
Infatti anche lo stesso autore dei vizi è buono per la sua natura che gli fece Dio, ma è malo per un vizio che lo fece defezionare dal suo creatore buono con una volontà cattiva.
Questa è pertanto la ragione vera che confuta l'errore dei manichei, i quali non vogliono accettare l'autorità della Scrittura, sia dove dice: Dio fece tutte le cose ed ecco erano molto buone, ( Gen 1,31 ) quando non esisteva ancora nessun male; sia dove dice: Ogni creatura di Dio è buona, quando esisteva già questo secolo cattivo, essendo Dio certamente creatore di tutti i secoli.
Ma tu che accetti quest'autorità degli oracoli divini, così che ti si possa giustamente confutare con essa, per quale ragione in quel libro dove si legge che Dio fece molto buone tutte le cose non poni attenzione che fu piantato da Dio come il luogo più buono di tutti il paradiso, nel quale a tal punto volle Dio che non vi fosse nessun male da non permettere che vi rimanesse nemmeno la sua immagine, dopo che ebbe peccato di propria volontà? ( Gen 2,8; Gen 3,23-24 )
E tuttavia voi in un luogo di tanta felicità e dignità, dov'è da credere che non poté o non può esistere vizio né di albero né di erba né di pomo né di qualsiasi messe o animale, non dubitate di introdurre tutti i vizi dei corpi umani e degli ingegni umani, con i quali che gli uomini nascano lasciamo a voi di dolervene, non di negarlo.
È necessario infatti che vi doliate, quando non trovate che cosa rispondere e non volete cambiare una sentenza tanto perversa che vi costringe, per una necessità inevitabile, a costituire in un luogo di così grande beatitudine e pulcritudine ciechi, guerci, cisposi, sordi, muti, zoppi, deformi, storpi, tignosi, lebbrosi, paralitici, epilettici e " viziosi " di altri generi diversi e talvolta anche esseri mostruosi di una bruttura insopportabile e di una stranezza orribile.
Che dire dei vizi degli animi, per cui alcuni uomini sono per natura libidinosi, alcuni iracondi, alcuni paurosi, alcuni smemorati, alcuni apatici, alcuni stupidi e così fatui che si preferirebbe vivere con le bestie piuttosto che con tali uomini?
Aggiungi i gemiti delle partorienti e i pianti dei nascenti, gli strazi dei sofferenti, i dolori dei languenti, i tanti tormenti dei morenti e i pericoli tanto più numerosi dei viventi.
Tutti questi mali ed altri, simili o peggiori, dei quali nessuno basterebbe a fare breve memoria con parole congrue, secondo il vostro errore, ma sicuramente contro il vostro pudore, siete costretti o con la sfacciataggine più riprovevole o con la faccia nascosta tra le mani, a collocarli nel paradiso di Dio e a dirli futuri pure in esso anche se nessuno avesse peccato.
Dite, dite: perché infatti temete di disonorare con tanti e con tanto grandi vizi e calamità il luogo che fate alieno da voi con un dogma scellerato?
Se infatti vi proponeste di entrarvi un giorno, mai ci porreste mali di tal genere.
O se vince il pudore nei vostri cuori e di costituire in un luogo tale nefandezze tali vi prende il rossore, l'orrore, il mutismo, e tuttavia rimanete cocciutamente attaccati al vostro errore di non credere che la natura umana sia stata viziata per la prevaricazione del primo uomo, rispondete ai manichei donde vengano cotesti mali, perché essi non concludano che vengono dalla mescolanza di una natura aliena e cattiva.
Quando infatti lo si chiede a noi, rispondiamo che questi mali non provengono dalla mescolanza di una natura aliena, bensì dalla prevaricazione della nostra natura a causa di colui che, caduto nel paradiso, fu anche cacciato dal paradiso, perché la natura condannata non rimanesse nel luogo della beatitudine e i vizi e i castighi, che meritamente sarebbero toccati ai suoi discendenti, non fossero in quel luogo dove non c'è posto per mali di nessun genere.
Voi al contrario, negando che questi mali o vergognosi o calamitosi vengano dai meriti della nostra natura viziata, permettete la mescolanza di una natura aliena, e in questo modo, miseri, e siete costretti ad aiutare i manichei, e il vostro errore richiama quei mali nel paradiso donde il vostro pudore li aveva allontanati.
Giuliano. Ma vedi al contrario quanto sia vero il conflitto nostro contro di te e contro Manicheo, la cui rovina ti coinvolge sempre, e come sia svelto il nostro trionfo su lui.
Tutte le falsità, che vomitò a dileggio della operazione divina della creazione, le isoliamo subito con l'aratro di una prima definizione e lo costringiamo a spiegare che cosa reputi sia il peccato, che è chiaro non essere altro se non la volontà appetente ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi.
Stabilito questo, tutti quei rovi dei contraddittori, che avevano trafitto la concretizzazione dei corpi, appariscono estirpati radicalmente e, come direbbe Cicerone, sradicati.24
In realtà le insorgenze del timore e le esperienze del dolore, da cui Manicheo reputò suscitata la tempesta per i naufragi degli uomini, non soltanto non sono coazioni di nessun male, ma, quando hanno trovato il controllo della volontà buona, si rivelano aiuti e veicoli di giustizia.
Chi infatti avrebbe paura del giudizio, se non fosse ammonito dal timore?
A che gioverebbero i gemiti della penitenza se non all'espiazione del dolore e della interiore tristezza?
Che varrebbe infine la severità di chi giudica, se il danno della punizione inflitta non punisse peccati volontari?
Dalla testimonianza di tutte queste prove appare che il peccato non è altro se non la libera volontà disprezzante i precetti della giustizia, e che la giustizia non c'è se non quando imputa a peccato ciò che sapeva evitabile liberamente, e per questo nessuna legge può imputare a colpa i comportamenti naturali, e nessuno è colpevole di un crimine non commesso da lui stesso, quando poteva evitarlo.
Con il quale potere ci si libera del manicheo e traduciano che, perduti gli occhi di ogni intelligenza, tenta di dirottare ai semi il comportamento della volontà.
Agostino. A questi tuoi errori abbiamo già risposto spesse volte: onde coloro che leggono quelle risposte e le tengono a mente, non desiderano ovunque la mia risposta, dovunque tu ripeta la tua verbosità.
Ma perché nessuno si lamenti, perdonandomi coloro che sono più svelti d'ingegno, anche a coloro che sono un poco più tardi io non devo mancare.
Ecco, anche qui ti rispondo sulla definizione del peccato, dalla quale ti reputi molto avvantaggiato.
Quel peccato che è peccato così da non essere anche pena del peccato definisce cotesta definizione che dice: " Il peccato è la volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi ".
Questa definizione calza massimamente per Adamo, dal cui grande peccato è sorta per i suoi posteri la miseria di un grave giogo fino dalla loro nascita dal grembo materno, e di un corpo corruttibile che appesantisce l'anima.
Adamo appunto dalla legge brevissima che aveva ricevuto sapeva che cosa vietava la giustizia e certamente sarebbe stato libero di astenersi da ciò che gli era vietato, non concupiscendo ancora la carne sua contro il suo spirito, per il qual male è stato detto anche ai fedeli: Sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 )
Quindi la cecità del cuore, per cui si ignora che cosa vieti la giustizia, e la violenza della concupiscenza, dalla quale è vinto anche chi sa da che cosa deve astenersi, non sono soltanto peccati, ma sono altresì pene dei peccati.
E perciò non rientrano in quella definizione del peccato, con la quale non è stato definito se non il peccato che è peccato soltanto e non il peccato che è pure pena del peccato.
Quando uno infatti ignora ciò che deve fare e fa perciò quello che non dovrebbe fare, egli non è stato libero di astenersi da ciò da cui non sapeva di doversi astenere.
Ugualmente colui che è pressato non dalla origine, ma, come dite voi, dalla consuetudine ad esclamare: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, ( Rm 7,15 ) in che modo è libero di astenersi dal male che non vuole e fa, dal male che detesta e che compie?
Ma se scampare a queste pene fosse in potere degli uomini, non si pregherebbe Dio, né contro la cecità dove gli si dice: Illumina i miei occhi, ( Sal 13,4 ) né contro l'iniqua cupidità dove gli si dice: Su di me non prevalga l'iniquità. ( Sal 119,133 )
Ora se cotesti comportamenti non fossero anche peccati per il fatto che non è libero astenersene, non si direbbe: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza; ( Sal 25,7 ) non si direbbe: Hai chiuso in un sacco i miei peccati e hai notato ciò che commisi contro la mia volontà. ( Gb 14,17 sec. LXX )
Dunque con quella definizione di un peccato quale commise Adamo, che sapeva cosa vietasse la giustizia e non si astenne da ciò che gli sarebbe stato libero evitare, restano vinti i manichei; ma da noi, perché di qui noi diciamo è l'origine degli umani mali che vediamo gravare anche sui bambini, e per questo a proposito dei peccati è stato anche scritto: Non è mondo da macchia nemmeno un bambino che abbia sulla terra un giorno solo di vita. ( Gb 14,4 sec. LXX )
Tu invece negandolo, quanto alla nostra natura ti sforzi certamente di opprimerla ancora di più con una perniciosa difesa, perché lei non cerchi nella sua miseria il Liberatore; quanto invece a Manicheo, quando si chiede donde sia il male, gli permetti d'introdurre una natura aliena coeterna a Dio.
Né infatti, per avere donde incolpare la natura umana, insiste sulla insorgenza del timore e sulla esperienza del dolore, due situazioni che tu hai reputato di dover lodare contro di lui, evidentemente perché il timore e il dolore si rivelano aiuti e veicoli di giustizia, mentre non pecca l'uomo per il timore del giudizio e si duole di aver peccato per le spine della penitenza.
Non questo ti si chiede, ma che cosa sia la pena del timore nei bambini che non rifuggono dai peccati, e quale sia la ragione per cui i bambini vengano afflitti da tanti dolori, essi che non fanno peccati.
Tu hai detto appunto: Che varrebbe la severità di chi giudica, se il danno della punizione inflitta non punisse peccati volontari?
Per quale giustizia dunque sono puniti dal danno della punizione inflitta i bambini dei quali non sono propri peccati volontari di nessun genere?
In essi certamente appariscono vani e sbagliati i panegirici con i quali hai lodato il timore e il dolore.
Gravi sono appunto queste pene, che non soffrirebbero le immagini di Dio, recenti di nascita e novelle, sotto il giustissimo giudizio di Dio e sotto la sua onnipotenza, se non contraessero il merito di un peccato originale e antico.
Inoltre nel paradiso, se nessuno avesse peccato e se la fecondità dei coniugati vi fosse venuta da quella verace benedizione di Dio, non sia mai detto che qualcuno o dei grandi o dei piccolini vi patisse cotesti tormenti.
Non solo il dolore infatti ha il suo tormento, com'è manifestissimo, ma anche il timore per testimonianza della divina Scrittura; ( 1 Gv 4,18 ) non sia mai dunque che esistessero dei tormenti nel luogo di quella felicità.
Perciò che temerebbero in qualsiasi età, se nessuno incutesse terrore?
Di che si dorrebbero, se nessuno arrecasse loro alcun male?
Ma in questo presente secolo maligno, dove siamo stati buttati a vivere così con le nostre miserie dal paradiso delle delizie, il tormento dei timori e dei dolori rimane anche in coloro ai quali sono stati rimessi i peccati, perché la nostra fede nel secolo futuro, dove non ci saranno mali di nessun genere, sia messa a prova non solo nelle tribolazioni nostre, ma pure in quelle dei nostri bambini; non vogliamo infatti che essi siano rigenerati per non patire questi mali, ma per essere portati in un regno, dove questi mali non ci saranno più.
Quanto a te, che respingi questa fede vera e cattolica, e tenti di confutarla con un vano strepito di guance, quando Manicheo porrà la questione donde vengano i mali dei bambini, tutta la tua loquacità si ammutolirà, perché a te che neghi il peccato originale romperà subito la testa e introdurrà per il male una natura aliena.
La fede cattolica poi non ha paura di quello che sembra vero a te, cioè che il comportamento della volontà non può essere dirottato ai semi, poiché sente Dio dichiarare che egli punisce le colpe dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. ( Es 20,5; Es 34,7 )
Evidentemente il comportamento della volontà, con cui peccarono i padri, è dirottato ai semi, quando è punito nei figli.
Anche il patriarca Abramo, perché Melchisedech riscuotesse da lui le decime, le diede a quel sacerdote con la sua volontà, e tuttavia la sacra Scrittura attesta che pure i suoi figli, poiché erano nei suoi lombi, versarono allora le decime: ( Eb 7,9.10 ) il che certamente non sarebbe avvenuto, se il comportamento della volontà non potesse essere dirottato ai semi.
Giuliano. Ma per la fede del nostro Dio e degli uomini!
È stato possibile trovare tali mostruosità di interpretazioni da tentare a bella posta e con forte impegno di asserire che tutte le creature sono perverse!
Che cosa infatti è tanto mostruoso quanto ciò che proclama il Punico?
Le realtà, dichiara, che erano naturali, non furono perpetue, e i comportamenti assunti, che furono assunti per una libera scelta, aderirono ai primi coaguli delle membra.
Buono, dichiara, fu fatto Adamo, egli ebbe l'innocenza naturale; elevato pure al di sopra di tutte le creature da una particolare nobiltà, brillò di somiglianza con il Creatore.
Ricevé nella creazione il libero arbitrio per muoversi a suo giudizio nella direzione che voleva, e dalla stessa creazione della sua struttura, per la quale sovrastava a tutte le altre creature, sortì la facoltà di accedere o al bene o al male, o di recedere da ambedue.
Ma poiché con emancipato giudizio usurpò la volontà cattiva del suo animo libero, rovinò tutte quelle doti che risultavano ingenite e gli rimasero addosso inseparabilmente solo il peccato e la necessità di peccare.
Questa è che io ho detto " mostruosa interpretazione ".
È appunto una sconcezza inaudita dire: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali e a cui aderirono inseparabilmente i mali anche volontari!
Agostino. Dire: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali e a cui aderirono inseparabilmente i mali anche volontari, lo reputi una mostruosa interpretazione, e sentirlo dire da noi ti commuove tanto fortemente e tanto acerbamente da esclamare: "Per la fede di Dio e degli uomini! ", quasi che tu soffra violenza perché si fanno queste affermazioni.
Ma, ti prego, posa i tuoi terribili impeti e, un poco più quieto, poni attenzione a cosa io dica.
Se qualcuno si acceca volontariamente, non è forse vero che perderà un bene naturale, cioè la vista, e aderirà a lui inseparabilmente un male volontario, cioè la cecità?
Ed è forse per questo un animale istituito malamente l'uomo che ebbe amissibile il bene naturale e inseparabile il male volontario?
Per quale ragione non esclamo io piuttosto: Per la fede del nostro Dio e degli uomini!
Queste verità, tanto manifeste e poste così davanti agli occhi, è mai possibile che non appariscano a un uomo che vuole apparire molto acuto ed erudito e filosofastro e dialettico?
Chi infatti, se si amputa per volontà un membro qualsiasi, non perde il bene naturale della integrità e non prende il male inseparabile della mutilazione?
Ma forse dirai che tali eventi possono accadere nei beni del corpo e non in quelli dell'animo.
Per quale ragione dunque quando dicesti beni naturali o mali volontari, non aggiungesti " dell'animo ", perché non fosse distrutta la tua precipitosa e sconsiderata sentenza sui beni e sui mali del corpo?
Lo hai per caso dimenticato? Ammettiamolo: è umano.
Ma avanza in mezzo quell'uomo che grida: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, ( Rm 7,15 ) e ti indica che certi beni dell'animo si perdono per la volontà cattiva così che non si possano riprendere con la volontà buona, a meno che Dio faccia ciò che non può l'uomo, al quale Dio può restituire anche gli occhi accecati volontariamente e le membra tagliate volontariamente.
E inoltre che hai da rispondere riguardo al diavolo stesso, che perse irreparabilmente la volontà buona?
O sei pronto a dire che essa si può riparare? Osalo, se puoi.
O piuttosto confesserai che anche questi aspetti ti sono sfuggiti e che la loro dimenticanza ti ha fatto pronunziare precipitosamente una sentenza temeraria?
Almeno dunque dietro il mio avvertimento correggiti.
Oppure la pertinacia non ti permette di correggere ciò che ha detto l'inconsulta temerarietà, e la vergogna della emendazione ribadisce la caduta nell'errore?
Vedo che si deve pregare per te Dio, che l'Apostolo pregava per gli Israeliti, perché guarisse costoro che, ignorando la giustizia, di Dio e cercando di stabilire la propria, non si erano sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,1.3 )
Tali infatti siete anche voi che volete stabilire una propria giustizia, facendovela con il vostro libero arbitrio, e non chiedete a Dio e non prendete da lui la giustizia vera che è chiamata giustizia di Dio: non la giustizia di cui è giusto Dio, bensì la giustizia che è data da Dio, come la salvezza del Signore ( Sal 3,9 ) non è quella per cui si salva il Signore, bensì la salvezza con la quale il Signore salva gli altri.
Onde il medesimo Apostolo dice: Al fine di essere trovato nel Cristo, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede, cioè con la giustizia che deriva da Dio. ( Fil 3,9 )
Essa è la giustizia di Dio ignorata dagli Israeliti, che ne volevano stabilire una propria proveniente dalla legge; distruggendo la quale, Paolo non distruggeva certamente la legge, bensì la superbia degli Israeliti, i quali reputavano che a loro bastasse la legge, come se potessero adempiere la giustizia della legge con il libero arbitrio, e ignoravano la giustizia di Dio, che è data da Dio, perché ciò che la legge comanda sia fatto con il soccorso di colui la cui sapienza ha sulla lingua la legge e la misericordia: ( Pr 3,16 sec. LXX ) la legge perché comanda, la misericordia perché aiuta a fare ciò che comanda.
Questa giustizia di Dio, o figlio Giuliano, concupiscila, e non voler confidare nella tua forza.
Concupiscila, ti ripeto, questa giustizia di Dio: il Signore ti doni di concupirla, il Signore ti doni anche di possederla.
Tronfio della tua propaggine terrena, non voler disprezzare le monizioni o le ammonizioni di questo peno.
Non infatti perché ti ha generato l'Apulia, stimerai che avrai da vincere con la tua " gente " i Peni, che non puoi vincere con la tua mente.
Le pene fuggi piuttosto che i Peni: infatti non puoi fuggire i Peni disputanti, finché ti diletta confidare nella tua forza, e infatti fu un peno il beato Cipriano che disse: Non ci dobbiamo gloriare di nulla, perché nulla è nostro.25
Giuliano. Qui potrebbe dire qualcuno: Che dunque?
Neghi tu che quella innocenza in cui era stato creato Adamo, sia stata corrotta a causa di un peccato spontaneo?
Infatti, per quanto la possibilità di ritornare al bene non si perda per una iniquità commessa, è certo tuttavia che il merito della innocenza, con la quale si avvia l'esordio umano, perisce per un vizio della volontà.
Ma io non nego l'esattezza di tutto questo.
Ciò che invece voglio che sia illuminato da questi esempi è il punto seguente: poiché la creazione delle qualità, che ci fanno denominare buoni e cattivi, è stata fatta in modo che operino sotto la giurisdizione della volontà, e poiché ciò è stato stabilito con tanta serietà che nemmeno l'innocenza, sebbene per la dignità del Creatore preceda l'esercizio della volontà e sia una dote naturale, non ha tuttavia nessuna possibilità di conservarsi in un animo che l'avversi, ancora di più e molto di più deve valere nella parte del male il diritto che nessuna tirannide a rovina della ragione acquisti una colpa volontariamente assunta.
E se la qualità buona con la quale l'uomo fu fatto, non fu immutabile ( sarebbe falso infatti dire libero l'uomo se non potesse variare i propri comportamenti ), molto più la qualità cattiva non poté essere fatta immutabile e razionale, perché quella dote della libertà non risentisse dalla parte del male il pregiudizio che per il suo stato non aveva sofferto nemmeno dalla parte del bene.
Agostino. Ecco, anche tu hai trovato e, per quanto un po' tardi, tuttavia una buona volta ti è venuto in mente donde venga distrutta la tua temeraria sentenza.
Hai detto appunto che un bene naturale, com'è l'innocenza, può andare perduto per un vizio della volontà; e quindi un bene che è tanto grande e che appartiene talmente alla natura, non del corpo ma dell'animo stesso, da avere Dio creato l'uomo con questo stesso bene, tu hai mostrato che è amissibile.
Il che se ti fosse venuto in mente prima, non avresti giudicato mostruosa e troppo vergognosa l'affermazione: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali; tu infatti hai reputato amissibili o i beni o i mali, ma volontari, mentre sei solito predicare inamissibili i beni e i mali naturali.
Tu infatti anche altrove dici: I doni naturali perseverano dall'inizio di una sostanza fino al suo termine,26 per sostenere che il libero arbitrio dato all'uomo da Dio quando lo creò, non si può perdere; soprattutto asserendo che i beni naturali non possono perire a causa di mali volontari.
E per questo voi dite che noi tentiamo di asserire la perversione di tutte le realtà, come se dicessimo che non si possono perdere i mali volontari, ma si possono perdere i beni naturali.
Ciò che noi certamente non diciamo. Infatti noi diciamo che si possono perdere gli uni e gli altri; ma i mali che si introducono per la volontà libera, si possono perdere per una indulgenza divina o per la volontà umana, liberata però da Dio e preparata dal Signore.
Ma tu che dici che si possono perdere per una volontà cattiva non i beni naturali ma i beni volontari, ecco hai trovato e tu stesso hai detto che l'innocenza, che è un bene naturale, si può perdere per un male volontario.
E l'innocenza, se stai ben attento, è un bene più grande del libero arbitrio, perché l'innocenza è una proprietà dei buoni, mentre il libero arbitrio è una proprietà e dei buoni e dei cattivi.
Se poi per la volontà cattiva l'innocenza perisca così da potersi riparare per mezzo della volontà buona non è una questione disprezzabile.
Come infatti, se le membra del corpo si amputano per volontà, non si restituiscono ugualmente per volontà, così c'è da vedere se in un campo certamente dissimile, ossia nell'animo, accada qualcosa di simile nella perdita dell'innocenza, e possa perire essa e non possa " redire " per una iniziativa volontaria.
Infatti anche la sacra verginità, se perisce per una volontà impudica, può esser riportata alla pudicizia e non può esser riportata alla verginità.
Ma si risponde ancora che la stessa integrità della verginità corporale non è certamente una dote dell'animo, bensì del corpo, mentre si discute invece dell'innocenza.
E tuttavia c'è da considerare se chi ha peccato ritorni per sua volontà alla giustizia e non all'innocenza, come la verginità perduta ritorna alla pudicizia e non alla verginità.
Infatti come l'ingiustizia si oppone alla giustizia, così all'innocenza si oppone quale suo contrario non l'ingiustizia, ma il reato, che non è tolto dalla volontà dell'uomo, sebbene sia stato fatto dalla volontà dell'uomo. Infatti non vede il vero chi reputa che il penitente tolga il reato a se stesso, sebbene anche la stessa penitenza la doni Dio, come conferma l'Apostolo dicendo: Nella speranza che Dio voglia concedere a loro di pentirsi; ( 2 Tm 2,25 ) ma apertissimamente il reato lo toglie Dio, dando all'uomo una indulgenza, non lo toglie a sé l'uomo stesso facendo la penitenza.
Dobbiamo ricordare appunto Esaù, che non trovò la possibilità della penitenza, sebbene l'abbia cercata con le lacrime. ( Eb 12,17 )
Per questo e fece la penitenza e rimase reo, perché non ricevé la venia.
Anche quelli che, pentiti e gementi nello spirito tormentato, diranno tra loro: Che cosa ci ha giovato la nostra superbia? ( Sap 5,3.8 ) ecc., rimarranno certamente rei in eterno, non avendo ricevuto la venia; come pure colui del quale il Signore dice: Non avrà perdono in eterno, ma sarà reo di colpa eterna. ( Mc 3,29 )
Ecco è stata trovata l'innocenza, un gran bene dell'uomo e un bene così naturale da essere stato il primo uomo creato con essa e da nascere con essa, come voi dite, ogni uomo; la quale tuttavia per la volontà dell'uomo si può perdere e non si può rendere.
Ed è stato trovato il reato, male grande e opposto all'innocenza, un male tuttavia che il potere dell'uomo può, essendo volontario, mettere dentro l'uomo e non può mettere fuori dell'uomo.
Vedi o no in che modo si rompa quella tua regola generale, con la quale reputavi che noi non perdiamo con la volontà il bene naturale, quando è stato trovato un bene che non solo perisce, ma nemmeno ritorna per l'esclusiva volontà umana?
Ma Dio può, tolto il reato, rimettere l'uomo nella innocenza.
Per quale ragione dunque non credi che la libertà di agire bene poté perire per la volontà umana, né può " redire " se non per la volontà divina, mentre senti un uomo che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, e che dopo tali parole grida: Chi mi libererà? e soggiunge: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore?
Ma sarebbe falso, tu dichiari, dire libero l'uomo, se non potesse variare i propri sentimenti. ( Rm 7,14.24-25 )
Né vedi che togli la libertà a Dio stesso e a noi quando, dopo che avremo cominciato a vivere con lui immortali nel suo regno, non sarà più possibile a noi variare i nostri comportamenti ora in bene e ora in male, e tuttavia saremo allora più felicemente liberi, quando non potremo più servire al peccato, come nemmeno Dio stesso: ma noi per sua grazia, Dio invece per sua natura.
Giuliano. Inoltre quale parassita ha esaltato con tante incensazioni le forze del miles gloriosus, come il traduciano le forze del diavolo?
Il che è possibile riconoscerlo dalla preponderanza delle conseguenze.
Dio fece appunto l'uomo, trattando con adorabile degnazione la materia stessa del fango, la quale seguiva docile la mano del suo autore fino alla forma dell'uomo.
Stava in piedi già terminato, ma come un simulacro pallido e freddo, in attesa dello spirito che gli desse splendore e vigore.
Allora, creato e ispirato dall'augustissimo afflato dell'Autore, l'animo riempì e mosse le membra: allora tutti i sensi si svegliarono nell'apparato delle proprie funzioni.
L'ingresso dell'abitatore diede il colore alle carni, il calore al sangue, il vigore alle membra, il nitore alla pelle.
Vedi quale lavoro intraprese la pietà divina nel formare e nell'animare l'uomo.
Ma nemmeno dopo averlo finito di fare lo lasciò la familiarità del Creatore: è trasferito nel luogo più ameno e Dio arricchisce con munificenza l'uomo che aveva fatto con benevolenza.
Né contento tuttavia di avergli dato tanto, lo illumina con la elargizione della sua parola; gli dà un precetto, perché prendendo coscienza della sua libertà, vedesse che aveva la possibilità di farsi ancora più amico del suo Creatore.
Il quale precetto non si estende a molte disposizioni, perché Adamo non senta alcunché di gravoso da una legge molteplice, ma con la interdizione di un solo piccolo pomo si chiede a lui una testimonianza di devozione.
Anche successivamente, perché avesse una consorte che lo facesse diventare padre, è di nuovo nobilitato dal tocco di quella mano che lo aveva plasmato, poi è anche favorito e onorato da un colloquio divino.
Dunque queste prestazioni di Dio tanto lunghe, tanto numerose, tanto grandiose di istituzioni, di doni, di precetti, di colloqui, non causarono nessuna necessità del bene per l'uomo; ma dall'altra parte il diavolo, non meno timidamente che astutamente, scambiò con la donna poche parole e si dice che ebbero tanta forza da convertirsi subito in condizionamenti naturali, anzi da sovvertire tutte le strutture ingenite, da fare perpetua la necessità del male, da imporre all'immagine di Dio come suo signore e come suo possessore il diavolo.
Che cosa dunque di più forte, che cosa di più eccellente, che cosa di più splendido del potere avverso, se con un confabulare leggero fece tanto quanto Dio non poté ottenere né con le sue operazioni, né con le sue gratificazioni?
È palese pertanto che voi ve ne state dalla parte di colui del quale tanto smoderatamente esaltate la potenza, e non avete nessuna comunione nel culto del nostro Dio, che noi confessiamo, come pieno di equità, così pieno di potenza.
Egli è potente, la verità gli fa corona, ha calpestato come un vinto il superbo, ossia il diavolo, Manicheo e voi, suoi accoliti, che calunniate la natura per non confessare che peccate spontaneamente.
Lo stesso nostro Dio dunque con braccio potente disperde i suoi nemici, ( Sal 89,9.11 ) per cui nulla ha potuto essere opposto o da voi o dai manichei che egli non schiantasse con il fulmine della sua verità.
Agostino. Incensatori del diavolo noi non lo siamo, né con adulatoria celebrazione di lode noi esaltiamo, come voi ci calunniate, il suo potere, che è soggetto al potere di Dio.
Magari però non foste soldati di lui, come tutti gli eretici, dei quali egli scaglia i dogmi su quelli che può con le vostre lingue, come dardi di morte.
Dice l'Apostolo: Ringraziando il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
Egli ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio della sua carità, ( Col 1,12-13 ) e voi proibite a noi di rendere tali grazie per i bambini, asserendo che essi non sono sotto il potere del diavolo; a quale scopo se non perché non siano liberati per mezzo di lui, e non diminuiscano gli introiti del diavolo?
Dice Gesù, che secondo questo suo nome salva il suo popolo dai suoi peccati: ( Mt 1,21 ) Nessuno entra nella casa di un forte e ruba i suoi tesori, se prima non lo lega, ( Mt 12,29 ) e voi sostenete che in questo popolo del Cristo, che egli salva dai suoi peccati, non ci sono i bambini, che voi, come non li volete vincolati da peccati propri, così nemmeno dai peccati originali, e mentre con il vostro falso ragionare diminuite le forze del diavolo, che la Verità disse forte, con il vostro errore lo fate ancora più forte nel tenersi i bambini.
Dice Gesù: Il Figlio dell'uomo è venuto infatti a cercare e a salvare ciò che era perduto, ( Lc 19,10 ) e voi gli rispondete: Non c'è bisogno che tu cerchi i bambini, perché non sono andati perduti; e così, distogliendo da essi la ricerca del Salvatore, accrescete contro di essi la potenza del feritore.
Dice Gesù: Il medico non è necessario ai sani, ma ai malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, ( Mt 9,12-13 ) e voi gli dite: Non sei dunque necessario ai bambini, perché essi non sono peccatori, né per volontà propria, né per l'origine umana.
Quando dunque voi vietate che i bambini non salvi vadano dal Medico per essere salvati, la peste diabolica esercita in essi un più potente principato.
Quanto è dunque più tollerabile che lisciate il diavolo con false lodi da parassiti e da incensatori, piuttosto che aiutarlo con le falsità dei dogmi da soldati o da satelliti!
Con eloquio copioso e ornato tu descrivi come Dio abbia formato l'uomo dal fango, come lo abbia animato con il suo afflato, come lo abbia arricchito del paradiso, come lo abbia aiutato con un precetto e come abbia avuto tanta cura di non gravarlo in nulla da non estendere quel medesimo precetto a molte disposizioni insieme, perché dalla molteplicità della legge non avesse a soffrire alcunché di oneroso l'uomo da lui creato con tanta benignità.
Perché dunque adesso un corpo corruttibile appesantisce l'anima? ( Sap 9,15 )
Perché dunque adesso un grave giogo pesa sui figli di Adamo dal giorno della loro uscita dal grembo materno, ( Sir 40,1 ) se nei riguardi dello stesso Adamo Dio non lo volle gravare nemmeno con una legge molteplice?
Vi accorgete evidentemente che se nel paradiso nessuno avesse peccato, la fecondità dei coniugi avrebbe così riempito del genere umano quel luogo di tanta felicità che né l'anima appesantisse un corpo corruttibile, né gli uomini opprimesse sul nascere un giogo gravoso, né fatica e dolore erudissero i miserandi bambini.
Donde vengono dunque cotesti mali, che certamente non vengono da una non so quale natura cattiva inventata o creduta da Manicheo, aliena dalla nostra e mescolata a noi?
Donde vengono se non dalla nostra natura, viziata per la trasgressione del primo uomo?
Ma da uomo acuto e prudente ti meravigli e non credi degno di fede che, come si dice, le esigue parole del diavolo scambiate con la donna abbiano avuto tanta forza da pervertire tutti i beni naturali, quasi che ciò lo abbiano ottenuto le parole del diavolo che parlava e non il consenso della donna che lo ascoltava.
Non è infatti, come dici tu, che le poche parole del serpente si siano convertite in condizionamenti naturali, ma la volontà dell'uomo perse il bene che non può essere reso dalla volontà dell'uomo, bensì dalla volontà di Dio, come egli, giustissimo, potentissimo e misericordiosissimo, giudicherà quando sia da rendere e a quali uomini sia da rendere; allo stesso modo che nel corpo, come abbiamo già detto, si può togliere la vista dell'uomo per volontà dell'uomo e, se si fa, segue la cecità da soffrire necessariamente e non da sopprimere volontariamente; e nell'animo la volontà dell'uomo può perdere l'innocenza dell'uomo e non la può rendere.
Tieni d'occhio piuttosto questo: i mali con i quali nascono gli uomini, e che non potevano essere congenerati con gli uomini nella felicità del paradiso, certamente se non fosse uscita dal paradiso la natura viziata, non sarebbero adesso congenerati con gli uomini.
A queste verità, che sono manifeste, guarda.
I mali infatti dei mortali figli di Adamo, a cominciare dal giorno della loro uscita dal seno materno, noi non li congetturiamo al buio, ma li osserviamo nella luce più chiara.
Questi mali, poiché non vengono dalla mescolanza di una natura aliena e cattiva, vengono senza dubbio dalla depravazione della natura nostra.
Né ti sembri indegno che l'immagine di Dio sia stata assoggettata al diavolo; ciò infatti non avverrebbe se non per un giudizio di Dio, né si rimuoverebbe cotesta condanna se non per la grazia di Dio.
L'uomo infatti, che per l'eccellenza della sua natura, perché fosse l'immagine di Dio, fu fatto a somiglianza di Dio, non c'è da meravigliarsi che per la depravazione della sua natura sia diventato simile alla vanità, onde i suoi giorni passano come un'ombra. ( Sal 144,4 )
Tu di' per quale ragione innumerevoli immagini di Dio, che nella loro piccola età non fanno peccato di nessun genere, non siano ammesse nel regno di Dio se non rinascono.
Hanno evidentemente qualcosa per cui meritano di giacere sotto il diavolo, qualcosa per cui non meritano di regnare sotto Dio, alla cui luce se tu rimanessi fedele, non paragoneresti con tanta arroganza le tue parole ad un fulmine.
Giuliano. È limpido perciò nel modo più assoluto che Agostino non differisce in nulla dal suo precettore, ma dai suoi ragionamenti la natura di tutti gli altri uomini viene definita pessima, non meno di quella di Adamo.
Inoltre, per discutere ancora un poco con il medesimo Agostino sugli argomenti trattati, appare altresì che tu non reputi il genere del primo peccato identico a quello delle altre colpe.
Infatti, quando dici che le azioni illecite dei tempi successivi non possono passare nella natura, che per esempio i figli oriundi da un ladro, da un parricida, da un incestuoso nascano soggetti ai peccati di coloro che li generano, e quando dici che all'infuori di quell'unico crimine non ce n'è nessun altro che si mescoli ai semi, fai intendere apertissimamente che non giudichi quella disobbedienza del medesimo genere del quale sono anche tutte le altre.
Vedi dunque di quanta brevità e luce sia la nostra interrogazione.
Se l'iniziativa del peccato che commise Adamo fu presa dalla volontà ed esso poté diventare naturale, per quale ragione questi peccati che si fanno quotidianamente, e che commette una volontà criminosa, non si coagulano nella turpitudine e nei pregiudizi dei semi?
Che se questi peccati, non meno atroci che numerosi, non possono essere congeniti, per quale legge, per quale condizione, per quale privilegio si rivendica che sia congenito quel solo peccato?
Se di un solo genere sono i peccati che conosciamo, che la legge condanna, che l'equità punisce, e del medesimo genere il peccato del primo uomo, che fu commesso dalla volontà e fu punito dalla equità, per quale ragione non intendiamo o questi peccati da quello o quel peccato da questi?
O se non possono essi rendersi testimonianza a vicenda, con quale impudenza si nega che quella prevaricazione sia stata di un'altra condizione, cioè non sia stata prodotta dalla volontà, ma da una tabe naturale?
Infine, osa tu con l'asserzione della traduce definire qualsiasi peccato, non dico quel primo, ma provvisoriamente almeno tra quelli che si fanno adesso, per esempio un sacrilegio, un misfatto, un delitto qualunque; ossia spiega quale definizione abbiano questi peccati.
Dirai senza dubbio: Volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi.
Perché, se non ci fosse la volontà cattiva, non ci potrebbe essere il peccato.
A questa verità con quanta ragionevolezza noi ascendiamo poni attenzione.
Oh stupidità! Oh impudenza insopportabile! Definisci che non è peccato se non la volontà libera e proibita dalla giustizia, mentre l'opinione del male naturale prescrive che ci sia un peccato non volontario con il quale nasce l'uomo.
Non è dunque vero che non sia colpa se non quella che si commette spontaneamente, perché c'è un crimine, e massimo, che non si commette spontaneamente, ma si riceve nascendo.
Rifiuta dunque la definizione del peccato che, amica dei cattolici, non deflette verso di voi nemmeno per diritto di ospitalità, e, con il suo rifiuto, prova che non sei compagno di armi di coloro che impugnano la sostanza stessa con l'invida accusa di depravazione.
E per raccogliere quanto abbiamo fatto: o si insegnerà che non c'è nessun peccato volontario, se c'è un qualche peccato naturale; o che non ci sarà nessun peccato naturale, se ogni peccato si definisce volontario.
E da questi princìpi si conclude o che tu neghi che il peccato possa essere nativo e passi alla fede dei cattolici, o che tu, se persisti nel dire che non un qualunque crimine, ma il massimo crimine si riceve senza la volontà attraverso la natura, rendi anche il tuo nome a Manicheo, al quale presti tutto l'ossequio.
Agostino. Tu reputi di farmi un grande torto dicendo che non differisco in nulla dal mio precettore, ma io prendo a mia lode le tue ingiurie e, richiamando alla mia fede non ciò che pensi, bensì ciò che manifesti con le parole, intendo come devo intendere.
Dici infatti la verità e non lo sai, come il pontefice Caifa, persecutore del Cristo, pensava scelleratezze e diceva parole salvatrici senza saperlo ( Gv 11,49-52 ) Godo davvero in questa questione che si dibatte tra noi di non differire in nulla dal mio precettore, primo perché è il Signore stesso che mi ha insegnato che i bambini restano morti, se non li fa rivivere lui stesso che è morto per tutti.
Il che esponendo l'Apostolo dice: Tutti dunque sono morti ed egli è morto per tutti. ( 2 Cor 5,14-15 )
E tu contraddici, negando che i bambini siano morti, perché non vengano richiamati alla vita nel Cristo, mentre confessi che il Cristo è morto anche per i bambini.
Me lo insegna anche Giovanni, apostolo del Precettore di tutti, dicendo che il Figlio di Dio è venuto a distruggere le opere del diavolo, la cui distruzione voi negate che si faccia ai bambini, quasi che per essi non sia venuto colui che per questo è venuto: per distruggere le opere del diavolo. ( 1 Gv 3,8 )
Precettori miei non posso non riconoscere anche coloro che con la loro fatica letteraria mi hanno aiutato ad intendere questa verità.
Mio precettore è Cipriano che dice: Ogni bambino, nato carnalmente secondo Adamo, ha contratto con la sua prima natività il contagio della morte antica, ed accede tanto più facilmente a ricevere la remissione dei peccati per la ragione che non gli vengono rimessi peccati propri, ma peccati altrui.27
Mio precettore è Ambrogio, del quale non solo ho letto i libri, ma ho ascoltato anche i discorsi, e per mezzo del quale ho ricevuto il lavacro della rigenerazione.
Io sono certamente molto al di sotto dei suoi meriti, ma confesso e professo che in questa causa non differisco per nulla da questo mio precettore.
Al quale non sia mai che tu voglia preferire il tuo precettore Pelagio, che io tuttavia tengo da Ambrogio come mio teste contro di te.
Pelagio disse infatti che nemmeno un nemico osò criticare la sua fede e la sua purissima interpretazione delle Scritture.28
E tu osi criticare Ambrogio così da affermare che è una invenzione di Manicheo la sua dichiarazione che la discordia della carne suscitata dalla prevaricazione del primo uomo si convertì nella nostra natura,29 con tutto il resto che sentì e disse sulla natura umana viziata per la colpa di Adamo.
È vero che tu in questo personaggio tanto grande rispetti in parte la testimonianza del tuo precettore, perché non ardisci criticare apertamente Ambrogio; ma quando con lingua maledica e con fronte sfrontata calunni nominatamente me, senza dubbio anche lui, anche gli altri grandi e chiari dottori della Chiesa cattolica, che sentirono e dissero le medesime cose, tu li incrimini tanto più iniquamente quanto più obliquamente.
Io pertanto contro di te difendo e la fede mia e la fede di coloro che tu palesemente temi di avere per tuoi nemici e malvolentieri soffri di avere per tuoi giudici.
Ma non sia mai detto che presso tali giudici valgano qualcosa le tue argomentazioni nelle quali a quel grande peccato, ossia alla prevaricazione del primo uomo, paragoni i peccati dei tempi successivi e reputi che, se dalla scelleratezza del primo uomo fu mutata la natura del genere umano, anche adesso le scelleratezze dei genitori dovrebbero mutare la natura dei figli.
Dicendolo infatti non guardi che quei peccatori, dopo aver fatto quel grande peccato, e furono dimessi dal paradiso e furono tenuti lontani con tanta severità dall'albero della vita.
Che forse gli scellerati dei nostri tempi vengono ributtati in territori inferiori da quest'orbe terrestre, quando vi abbiano commesso le loro scelleratezze, grandi quanto vuoi?
Che forse sono tenuti lontani dall'albero della vita, che in questa miseria non esiste affatto?
Ma del genere umano persistono il luogo e la vita, nei quali vivono anche gli uomini più empi, mentre vediamo che il luogo e la vita di quei primi empi non poterono continuare dopo il peccato com'erano prima del peccato.
Secondo però la vostra opinione i bambini, non coinvolti in nessun reato, appena nati, come innocenti immagini di Dio, dovrebbero essere portati dagli angeli nel paradiso di Dio ed esservi nutriti senza fatica e dolore, con la condizione che, se qualcuno di loro peccasse, fosse giustamente mandato via di là, perché i peccati non crescessero per imitazione.
Adesso al contrario, sebbene solo l'uomo che peccò nella felicità del paradiso abbia sentito dirsi: Spine e cardi produrrà per te la terra, maledetta in tutte le tue opere, e con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, ( Gen 3,16-19 ) non vediamo nessuno degli uomini esentato dalla pena del lavoro: il quale lavoro non avrebbe certamente pesato sui beati cittadini del paradiso.
E sebbene soltanto la moglie di Adamo abbia sentito dirsi: Con tristezza partorirai i tuoi figli, sappiamo che nessuna delle partorienti è immune da questo castigo.
Che forse siete così assurdi o da credere che gli uomini nel paradiso, se nessuno avesse peccato, avrebbero sofferto queste disgrazie, evidentissimamente non inflitte da Dio se non agli uomini prevaricatori di allora, o da negare che adesso le soffrano i loro posteri, esuli dal paradiso e afflitti in ogni punto della terra da tante e tanto grandi miserie?
O siete disposti a dire che quanto più uno è peccatore ed empio tanto più i suoi campi producono spine e cardi, e tanto più egli suda nei suoi lavori; e quanto più una donna è iniqua tanto più gravi sono le doglie che deve soffrire nel parto?
Come dunque le pene delle miserie umane, che i figli di Adamo sopportano tutti ugualmente dal giorno della loro uscita dal grembo materno, sono di tutti, perché coloro dalla cui prevaricazione vennero questi mali sono i genitori comuni di tutti, così la prevaricazione degli stessi due si deve intendere come un peccato così grave da poter mutare in peggio la natura di tutti i nascenti dall'uomo e dalla donna e da poterli obbligare per comune reato, come il chirografo di un debito ereditario.
Dunque chi dice che la condizione dei delitti di qualsiasi genere che si commettono adesso dovrebbe essere tale e quale fu la condizione di quel delitto, che fu commesso nella felicità così grande di quella vita e con tanta facilità di non peccare, deve uguagliare anche le stesse due vite, cioè quella che si vive adesso e quella che si viveva nelle sante e beate delizie di allora.
Se vedi che ciò è stoltissimo, smetti di volere prescrivere con i peccati del secolo presente che quel grande peccato non abbia la sua forza e il suo merito singolare.
Benché anche in questa vita quell'Onnipotente e Giusto che dice: Punirò la colpa dei padri nei figli, ( Es 20,5 ) faccia capire abbastanza chiaramente che anche i posteri rimangono coinvolti dal reato dei genitori e, per quanto con un nesso più blando, diventano tuttavia debitori ereditari, a meno che, come ne abbiamo già discusso nelle parti precedenti di questa opera, dalla obbligazione di quel proverbio che si suol ripetere: I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati, ( Ger 31,29 ) li sciolga non il vostro argomento, ma il Nuovo Testamento, né la natura della generazione, ma la grazia della rigenerazione.
Quanto poi a quella definizione del peccato, dove si intende come peccato la volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi, è la definizione di quel peccato che è solamente peccato e che non è anche pena del peccato; il che non so quante volte ti sia già stato risposto su questo argomento.
Colui infatti che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio ( Rm 7,15 ), non è libero di astenersi da questo male e invoca il liberatore, appunto perché ha perduto la libertà.
Indice |
21 | Vergilius, Aeneid., 10, 462-463 |
22 | De gestis Pel. 24. 57. 60 |
23 | Sopra 2,117 |
24 | Cicero, De finibus, 2 |
25 | Cyprianus, Ad Quirinum 3, 4 |
26 | Sopra 2,76 |
27 | Cyprianus, Ep. 64 ad Fidum |
28 | Pelagius, De lib. arb., 3 |
29 | Ambrosius, In Luc. 7, 12, 53 |