Costumi della Chiesa cattolica e costumi dei Manichei |
Ne è scaturito che, malgrado vi ascoltassimo con zelo, eravamo oppressi da grandi angustie e non trovavamo nessuna soluzione alla questione concernente che cosa avrebbe fatto a Dio quella progenie delle tenebre, se Dio si fosse rifiutato di combattere con essa con tanto danno per la sua parte.
Se infatti quella stirpe non era destinata a nuocere a Dio nel suo riposo, deploravamo che avesse agito crudelmente con noi sprofondandoci tra queste calamità.
Se invece era destinata a nuocere a Dio, Dio non era quella natura incorruttibile quale la sua natura doveva essere.
In questa discussione ci fu anche chi sostenne che Dio non abbia voluto sottrarsi al male o che non si fosse guardato da possibili danni, ma che, per la sua naturale bontà, avesse voluto essere utile alla irrequieta e perversa natura, perché fosse in ordine.
Ma non suonano così i libri manichei: molto spesso essi lasciano intendere, molto spesso dicono che Dio è stato in guardia contro gli assalti dei nemici.
Ma ammettiamo che si sia condivisa la dottrina del manicheo che diceva di non trovare altro da dire: forse che con questa giustificazione Dio è posto al riparo dall'accusa di crudeltà o di debolezza?
Infatti la sua bontà verso quella stirpe nemica risultò di grande danno per i suoi.
A ciò si aggiunga che, se la sua natura non poteva né corrompersi né mutare, nessun contagio poteva cambiarci e corromperci, e che quell'ordine che fu necessario assicurare alla natura avversa, lo si poteva assicurare senza il nostro pervertimento.
12.26 - Peraltro, non era stato ancora detto ciò che poco fa ho udito a Cartagine.
Un uomo ( e desidero vivamente che si liberi di questo errore ), poiché si era cacciato nelle stesse mie angustie a causa di tale questione, osò dire che il regno di Dio aveva confini certi, che erano esposti all'invasione della stirpe avversa, anche se Dio in sé in nessun modo avrebbe potuto essere violato.
Ha detto ciò che neppure il vostro fondatore si azzarderebbe assolutamente a dire: forse si rendeva conto che una simile opinione molto più facilmente di un'altra avrebbe comportato conseguenze rovinose per la sua setta.
E la cosa in verità è tale che anche un uomo di non grande intelligenza, se sentirà dire che quella natura comprendeva una parte violabile e una parte inviolabile, capirà senza difficoltà che non sono due, ma tre le nature, una inviolabile, un'altra violabile ed una terza violatrice.
Poiché dunque queste bestemmie, uscite dal cuore, stanno ogni giorno sulla vostra lingua, smettete finalmente di lusingare gli ignoranti celebrando il sigillo della vostra bocca come qualcosa di grande.
A meno che, per caso, non riteniate il non mangiare carne e il non bere vino un sigillo della bocca degno di ammirazione e di lode.
In tal caso io vi chiedo a che fine lo facciate.
Infatti, se il fine a cui si riferiscono le cose che facciamo, cioè quello per il quale facciamo ciò che facciamo, è non solo innocente ma anche lodevole, allora anche le nostre azioni sono degne di qualche lode.
Se, al contrario, il fine a cui guardiamo e che teniamo di mira nel compiere il nostro dovere merita giustamente e a buon diritto di essere biasimato, nessuno dubiterà che anche il dovere merita la riprovazione e il biasimo.
13.28 - Si tramanda che Catilina poteva sopportare il freddo, la sete e la fame:1 qualità che quell'uomo dissoluto e sacrilego aveva in comune anche con i nostri Apostoli.
In che cosa dunque questo parricida si differenzia dai nostri Apostoli, se non relativamente al fine del tutto diverso che egli perseguiva?
Infatti egli sopportava queste cose per soddisfare le sue sfrenatissime e crudelissime passioni; quelli invece le sopportavano per reprimere le loro passioni e costringerle a sottostare al dominio della ragione.
E voi, quando vi si esalta il gran numero delle vergini cattoliche, avete l'abitudine di dire: Anche una mula è vergine.
È un giudizio sconsiderato, dovuto all'ignoranza della dottrina cattolica; con esso tuttavia significate che la continenza è vana se non è ricondotta con deliberata ragione ad un fine assolutamente retto.
Anche i cristiani cattolici possono paragonare la vostra astinenza dal vino e dalle carni ( Sal 49, 13.21 ) a quella dei giumenti, dei molti passeri, ( Mt 10,31; Lc 12,7 ) infine anche di innumerevoli specie di verm. ( Gb 17,14; Gb 25,6 )
Ma per non cadere nella vostra temerità, mi guarderò dall'eccessiva precipitazione e prima discuterò del fine con il quale fate queste cose.
Come penso, infatti, siamo ormai d'accordo che su questo genere di costumi non c'è da cercare niente altro.
Se dunque agite così per moderazione e per reprimere la passione, che ci porta a dilettarci di certi cibi e bevande e a diventarne prigionieri, vi ascolto e vi approvo; ma non è così.
13.29 - Supponiamo che esista un uomo, e non è impossibile, così sobrio e frugale che, moderando l'appetito del suo stomaco e della sua gola, mangi una sola volta al giorno.
Per il pasto gli vengano servite verdure con un po' di lardo, unte e condite con lo stesso lardo, in quantità sufficiente a togliere la fame.
E per cura della salute calmi la sete con due o tre sorsi di vino puro. Questo è per lui il suo vitto quotidiano.
Supponiamo, all'opposto, che esista un altro uomo il quale, non gustando né carne né vino, all'ora nona mangi con appetito molte e varie sorte di cibi squisiti e rari, cosparsi di abbondante pepe, e faccia altrettanto anche la sera.
Beva vino addolcito con miele, mosto cotto di uva passa e succhi ricavati da frutti diversi, abbastanza simili al vino e più gradevoli ancora.
E beva non quanto la sete richiede, ma quanto il piacere reclama.
E faccia in modo di sostentarsi così ogni giorno, di godere di tale vitto e di tali delizie senza alcuna necessità, solo per grande voluttà.
Vi chiedo, per quanto attiene al mangiare e al bere, quale di questi due giudicate che conduca la vita in modo più astinente?
Non vi ritengo ciechi al punto di anteporre questo divoratore a quello che vive di un po' di lardo e di un po' di vino.
13.30 - La verità in effetti così esige; ma il vostro errore ha un suono assai diverso.
Il vostro eletto infatti, celebrato per i tre sigilli, se vive quotidianamente così come colui che abbiamo descritto, potrà essere ripreso da uno e forse da due più severi, ma non potrà essere assolutamente condannato come violatore del sigillo.
Ma se anche una volta avrà mangiato come il primo, ungendosi le labbra con un po' di prosciutto rancido e bagnandole con vino andato a male, per volontà del vostro fondatore sarà giudicato violatore del sigillo e destinato subito alla geenna, con vostra sorpresa, ma anche con il vostro consenso.
Ve ne prego, abbandonate questo errore; ve ne prego, ascoltate la ragione; ve ne prego, rompete un po' con le vostre consuetudini.
Che cosa c'è infatti di più perverso di questa stravaganza? Che cosa di più folle?
A proposito di un uomo che emetta compiaciuto dalla sua pancia ripiena odor di funghi, di riso, di tartufi, di focacce, di mosto cotto, di pepe, di silfio, e che ogni giorno richieda tali cose, si può dire o pensare qualcosa di più insano che non si vede come possa sembrare che egli si sia allontanato dai tre sigilli, cioè dalla regola della santità?
E, a proposito di un altro che condisce le verdure più ordinarie con un lardo che sa di fumo e ne mangia soltanto la quantità sufficiente per rifocillare il corpo, che beve tre bicchierini di vino per motivi di salute, e che passa dal cibo sopra descritto a questo, qualcosa di più insano che si prepara a supplizio certo?
Ma l'Apostolo dice: È bene, o fratelli, non mangiare carne né bere vino: ( Rm 14,21 ) come se qualcuno di noi negasse che questo è un bene.
Ma è tale o per il fine che ho sopra ricordato, a proposito del quale si dice: Non abbiate cura della carne nelle sue concupiscenze, ( Rm 13,14 ) o per i fini che ancora una volta il medesimo Paolo ci indica, cioè per frenare la gola che la carne e il vino sono soliti eccitare più violentemente e più smodatamente o per non dare scandalo al fratello oppure perché i deboli non se ne servano per comunicare con gli idoli.
Nel tempo in cui l'Apostolo scriveva queste cose, infatti, nelle macellerie si vendeva molta carne che era stata offerta agli idoli.
E poiché si facevano libagioni agli dèi pagani anche con il vino, molti fratelli più deboli, che erano soliti comperare pure questi generi, preferirono astenersi dalle carni e dal vino piuttosto che cadere, anche inconsapevolmente, in quello che consideravano come un rapporto con gli idoli.
A causa di questi, cioè dei più deboli, che non volevano scandalizzare, anche i più forti che, in virtù della loro fede più grande, giudicavano tali scrupoli da disprezzare, dovevano astenersi dalla carne e dal vino.
Eppure erano consapevoli che niente è impuro se non per una cattiva coscienza, secondo il detto del Signore: Non quello che entra nella bocca, ma quello che esce, vi rende impuri. ( Mt 15,11 )
E questo non si ricava da una congettura, ma si trova espresso a chiare lettere nelle stesse epistole dell'Apostolo.
Voi avete l'abitudine di citare soltanto queste parole: È bene, o fratelli, non mangiare carne né bere vino, senza aggiungere ciò che segue: Né altra cosa per la quale il tuo fratello si offenda o si scandalizzi o diventi più debole.
Da qui infatti risulta manifesto il fine per cui l'Apostolo dava questi precetti.
14.32 - In modo più palese ancora lo indicano i passi che precedono e quelli che seguono.
In verità sarebbe troppo lungo ricordarli, ma, a causa di coloro che sono poco abituati a leggere e studiare le Sacre Scritture, ci vediamo costretti a riportare per intero questo passo: Accogliete tra di voi colui che è ancora debole nella fede senza discutere sulle sue opinioni.
L'uno crede di poter mangiare di tutto, l'altro, che è debole, non mangia che verdure.
Colui che mangia non disprezzi colui che non mangia e colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio l'ha accolto.
Chi sei tu per giudicare il domestico altrui?
Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché Dio ha il potere di sostenerlo.
C'è chi fa distinzione tra un giorno e un altro, chi invece li giudica tutti eguali; ciascuno cerchi di avere convinzioni sue personali.
Chi fa preferenze fra i giorni, le fa per il Signore; e chi mangia, mangia per il Signore, perché rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio.
Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché, se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Dunque, sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore.
Per questo appunto Cristo è morto ed è risuscitato: per essere il Signore tanto dei vivi quanto dei morti.
Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello?
Tutti infatti compariremo davanti al tribunale di Dio, poiché sta scritto: " Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà lode a Dio ". ( Is 45,23 )
Così ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso.
Dunque non giudichiamoci più a vicenda, ma pensate piuttosto a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.
Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo.
Se dunque un tuo fratello resta turbato per un dato cibo, tu non cammini più secondo la carità.
Non causare, per il tuo cibo, la perdita di uno per il quale Cristo è morto.
Il nostro bene non sia oggetto di biasimo.
Il regno di Dio non è certo questione di cibo o di bevanda, ma è questione di giustizia, di pace e di gioia nello Spirito Santo.
Chi infatti serve Cristo in queste cose, è gradito a Dio ed è approvato dagli uomini.
Dedichiamoci dunque alle opere della pace e all'edificazione vicendevole.
Non distruggere l'opera di Dio per una questione di cibo.
Certo tutte le cose sono pure, ma è un male per l'uomo mangiare dando scandalo.
È bene non mangiare carne e non bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa offendersi o scandalizzarsi o diventi più debole.
La fede che possiedi, conservala per te stesso davanti a Dio.
Beato colui che non condanna se stesso per ciò che egli approva.
Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce per fede; tutto quello infatti che non viene dalla fede è peccato.
Noi che siamo forti dobbiamo sopportare la debolezza dei deboli, senza compiacerci di noi stessi.
Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene per la sua edificazione.
Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso. ( Rm 14, 1-15,3 )
14.33 - Non appare abbastanza chiaro che l'Apostolo ordinò ai più forti di non mangiare carne e di non bere vino, perché, non conformandosi ai deboli, li offendevano e li inducevano a pensare che coloro i quali in buona fede giudicavano tutte le cose monde, non volessero astenersi da tali cibi e da tali vini per ossequio degli idoli?
Questo è quanto significa anche ai Corinti quando scrive loro così: Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che gli idoli nel mondo non sono nulla e che non c'è che un solo Dio.
Infatti, anche se ci sono esseri chiamati dèi sia in cielo che in terra, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui, e un solo Signore Gesù Cristo, per il quale sono tutte le cose e noi esistiamo per lui.
Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni poi, per la consuetudine avuta fino ad oggi con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli e così la loro coscienza, che è debole, ne resta contaminata.
Non è certo un cibo ad avvicinarci a Dio; se ne mangiamo, non abbiamo qualcosa di più e se non ne mangiamo, non abbiamo qualcosa di meno.
Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli.
Se uno infatti vede te, che hai la scienza, che stai a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo, che è debole, non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli?
E così, a causa della tua coscienza, perirà il debole, quel fratello per il quale Cristo è morto!
Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro debole coscienza, voi peccate contro Cristo.
Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello. ( 1 Cor 8,4-13 )
14.34 - Parimenti in un altro passo: Che intendo dunque dire?
Che la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa?
No, ma intendo dire che i sacrifici dei pagani sono sacrifici ai demoni e non a Dio.
Ora, io non voglio che entriate in comunione con i demoni.
Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; né potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni.
O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di Lui?
Tutto è lecito, ma non tutto è utile; tutto è lecito, ma non tutto edifica.
Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello altrui.
Tutto ciò che è in vendita al mercato, mangiatelo pure, senza indagare per scrupolo di coscienza.
Ma se qualcuno vi dice: " Questa è carne immolata agli idoli ", astenetevi dal mangiarla per riguardo a colui che vi ha avvertito e per riguardo alla coscienza, cioè della coscienza, intendo dire, non tua, ma dell'altro.
Infatti, per quale motivo la mia libertà deve essere giudicata dalla coscienza altrui?
Se io con rendimento di grazie prendo parte alla mensa, perché devo essere biasimato per quello di cui rendo grazie?
Dunque, sia che mangiate sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.
Non siate di scandalo né ai Giudei né ai Greci né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in ogni cosa, non cercando il mio vantaggio ma quello di molti, affinché siano salvi.
Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. ( 1 Cor 10, 19-33; 1 Cor 11,1 )
14.35 - Appare chiaro dunque, come credo, il fine per cui bisogna astenersi dalle carni e dal vino.
Questo fine è triplice: reprimere il piacere che abitualmente si prova soprattutto in questi cibi e che in tale bevanda arriva fino all'ubriachezza; avere riguardo per i deboli in riferimento alle cose oggetto di sacrifici e di libagioni; infine, ciò che è più importante, praticare la carità, per non ferire i più deboli che si trattengono dal farne uso.
Voi dite che questi cibi sono immondi, mentre l'Apostolo dice che ogni cosa è monda, e che c'è del male soltanto per colui che ne mangia scandalizzando. ( Rm 14,20; Tt 1,15 )
Credo anzi che voi vi macchiate con questi cibi appunto per il fatto che li ritenete immondi.
Dice infatti: Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è comune in se stesso; ma se uno ritiene qualche cosa come comune, per lui è comune. ( Rm 14,14 )
Chi dubita che chiama comune ciò che è immondo e impuro?
Ma è da stolti con voi fare appello alle Scritture, perché voi da una parte ingannate promettendo la ragione e dall'altra dichiarate che questi Libri, ai quali la fede religiosa dà grande autorità, sono stati corrotti con l'aggiunta di capitoli non autentici.
Persuadetemi dunque mediante la ragione in che modo le carni macchino chi le mangia, se costui lo fa senza scandalo per nessuno, senza alcun pregiudizio, senza alcuna cupidigia.
Vale la pena di far conoscere tutta intera la ragione di questa superstiziosa astinenza, che viene esposta come segue dal vostro fondatore: poiché Dio - egli dice - mescolò una delle sue parti alla cattiva sostanza, per frenarla e per reprimerne il sommo furore ( sono infatti vostre parole ), il mondo fu costituito dalla mescolanza di due nature, cioè di quella del bene e di quella del male.
La parte divina si purifica ogni giorno in ogni parte del mondo e si restituisce ai suoi regni.
Ma, nell'attraversare la terra per risalire al cielo, questa incorre nelle piante le cui radici la fissano a terra, e così feconda e fa crescere tutte le erbe e tutti gli alberi.
È da qui che traggono il loro alimento gli animali che, se si accoppiano, legano alla loro carne questa parte divina.
Distogliendola così dal suo diritto cammino e rendendoglielo impossibile, essi la impigliano in errori e in tormenti.
Pertanto, se i cibi preparati con verdure e frutta entrano nei corpi dei santi, cioè dei Manichei, in virtù della loro castità, delle loro preghiere e dei loro salmi quanto di buono e di divino è in essi contenuto si purifica, cioè si perfeziona in ogni sua parte perché possa tornare ai propri regni senza essere ostacolato da nessuna sordidezza.
Per questo voi proibite di dare ad un mendicante, che non sia manicheo, del pane, un po' di verdura o perfino dell'acqua, che è di poco valore per tutti, perché i suoi peccati non contaminino la parte di Dio, che è mescolata a queste cose, e le impediscano il suo ritorno.
15.37 - Le carni poi, a sentire voi, sono addirittura impregnate di tali sozzure.
Infatti voi sostenete che qualcosa della parte divina fugge via quando si colgono le verdure e la frutta; fugge via anche quando si rovinano o premendole o pestandole o cuocendole o perfino mordendole e masticandole.
Fugge via inoltre in tutti i movimenti degli esseri animati, sia che saltino o si agitino, sia che lavorino o facciano una qualunque cosa.
Fugge via infine durante il nostro riposo, quando il calore interno opera nel nostro corpo la cosiddetta digestione.
E dunque la divina natura fugge via in tante occasioni, ma resta qualcosa di assolutamente sordido da cui si forma la carne mediante l'accoppiamento, pur tuttavia con un'anima di buona specie, perché, quantunque nei ricordati movimenti se ne vada via la maggior parte, però non tutto il bene.
Sicché, anche quando l'anima avrà abbandonato la carne, resteranno ancora tantissime immondezze, capaci perciò di contaminare l'anima di coloro che mangiano le carni.
O oscurità delle cose della natura, quanto grande è il velo della falsità!
Chi è che, ignaro delle cause delle cose, privo ancora di ogni barlume di verità per quanto piccolo, ingannato dalle immagini corporee proprio per il fatto che esse, non apparendo affatto, sono pensate mediante le immagini di oggetti visibili e possono essere espresse con parole eloquenti, chi è che, udendo tali cose, non ritenga che siano vere?
Ora voi vi rivolgete a folle e schiere di uomini di questo genere, difesi contro questi inganni da un timore religioso piuttosto che dalla ragione.
È per questo appunto che io mi sforzerò di smascherare queste cose, per quanto Dio si compiacerà di aiutarmi, in modo che risulti ben chiaro quanto esse siano false e assurde non solo al giudizio dei prudenti, per i quali sentirle e disapprovarle è tutt'uno, ma anche alla stessa intelligenza comune.
16.39 - In primo luogo vi chiedo da quale fonte sapete che nel frumento, nei legumi, nelle verdure, nei fiori e nella frutta sta chiusa non so quale parte di Dio?
Ciò appare manifesto, voi dite, dallo stesso splendore del colore, dalla gradevolezza dell'odore, dalla soavità del sapore.
E siccome le cose putride non hanno queste qualità, è segno che esse sono state abbandonate da quel medesimo bene.
Non provate vergogna a pensare che Dio si scopra con il naso e con il palato? Ma tralascio queste cose.
Vi parlerò chiaro e, come si è soliti dire, è molto meglio per voi.
Ora, se il colore rivela nei corpi la presenza del bene, a nessuna mente dev'essere sfuggito che il letame degli animali, un residuo immondo delle stesse carni, risplende tuttavia di diversi colori, quale bianco, quale per lo più oro, e quale dello stesso genere dei colori che nella frutta e nei fiori sono percepiti come segni della presenza intrinseca di Dio.
Perché dichiarate che il rosso nella rosa è indizio di abbondante bene e lo condannate nel sangue?
Perché apprezzate nella viola quello stesso colore che disprezzate nei collerici, negli itterici e infine nei rifiuti dei bambini?
Perché giudicate la lucentezza e lo splendore dell'olio come segni di copiosa mescolanza di bene, preparandovi a purificare con esso la gola e il ventre, e poi avete orrore ad accostare le labbra alle gocce di identico splendore stillanti da una grassa carne?
Perché credete che il dorato popone provenga dai tesori di Dio e non credete che vi provenga il grasso rancido del prosciutto o il giallo dell'uovo?
Perché, secondo voi, il bianco nella lattuga annuncia Dio, e nel latte non lo annuncia?
Per parlare ancora di colori e tacere del resto, voi non potete paragonare nessun prato ricoperto di fiori alle penne e alle piume di nessun pavone, che di certo nascono dall'accoppiamento e dalla carne.
16.40 - Se il bene si trova anche nell'odore, è noto che unguenti di soave odore si estraggono dalle carni di alcuni animali.
Inoltre i cibi stessi, che si è soliti cuocere con carni di buona qualità, mandano un odore più gradito di quando sono cotti senza carni.
Infine, se voi giudicate più pure le cose che mandano un profumo più soave, dovreste mangiare con maggiore avidità certa mota che bere l'acqua di cisterna, perché la terra secca, bagnata di pioggia, diletta le narici con uno straordinario odore, e la mota che se ne è formata profuma di più dell'acqua piovana più pura, se si raccogliesse.
Quanto poi al fatto che è necessaria l'attestazione di un sapore per riconoscere che in un corpo abita una parte di Dio, allora egli abita più nei datteri e nel miele che nella carne di porco, ma più ancora nella carne di porco che nella farina di fave, più ancora nel fico che nel fegato ingrassato con i fichi: ecco io ve lo concedo, ma anche voi concedete che abita più nel fegato che nella bietola.
Quindi, se il sapore fa riconoscere la presenza di Dio, questo ragionamento non vi costringe a confessare che certe radici, che di certo per voi sono tutte più pure della carne, ricevono Dio dalla carne stessa?
Infatti le verdure cotte con le carni sono più saporose e, mentre le erbe di cui si nutrono le pecore non possiamo gustarle, insaporite nel latte le giudichiamo più belle di colore e più gradevoli di sapore.
16.41 - Forse che dove si troveranno uniti insieme i tre beni, cioè il buon colore, il buon odore, il buon sapore, lì ritenete che si trovi la parte più grande di bene?
Allora non ammirate né lodate tanto i fiori, che non potreste chiamare al tribunale del palato per giudicarli.
Non preferite la porcellana alle carni, che una volta cotte la superano per colore, sapore ed odore.
Un porcellino arrosto ( in questa discussione con voi sul bene e sul male sono costretto a ricorrere non a scrittori ed editori, ma piuttosto a cuochi e pasticceri ), un porcellino arrosto dunque è bello di colore, gradito di odore e piacevole di sapore: avete un indizio perfetto della presenza in lui della sostanza divina.
Vi invita con una triplice testimonianza e desidera essere purificato dalla vostra santità.
Gettatevi sopra, perché esitate? Perché vi preparate a ribattere?
Col solo colore i rifiuti di un bambino vincono la lenticchia; col solo odore un pezzetto di carne arrosto supera un fico dolce e verde; col solo sapore un capretto ucciso ha la meglio sull'erba di cui si pasce da vivo: nel caso richiamato invece si è trovata una carne la cui causa è difesa da tre testimonianze insieme.
Che volete di più? O che cosa state per dire?
Perché col mangiare pietanze di carne divenite immondi e non divenite immondi invece col disputare di queste mostruosità, soprattutto quando un raggio di questo sole, che certamente voi anteponete a tutte le carni e a tutti i frutti, non ha né odore né sapore, ma eccelle su tutti gli altri corpi solamente per la preminenza del suo luminosissimo colore, e vi esorta con forza, anzi vi obbliga, benché non lo vogliate, a non preferire niente, tra i segni del bene mescolato al male, allo splendore del colore?
16.42 - Siete di nuovo in imbarazzo dovendo confessare che la parte di Dio risiede più nel sangue e in quelle materie assai puzzolenti, ma nitidamente colorate, evacuate nei poderi dalle carni degli animali, che nelle pallide foglie dell'ulivo.
Che se poi dite - e infatti dite anche questo - che le foglie dell'ulivo, quando sono bruciate, producono un fuoco in cui si rivela la presenza della luce, cosa che invece non fanno le carni quando vengono bruciate, che direte del grasso che fornisce la luce a quasi tutte le lucerne in Italia?
Che cosa del letame bovino, che è certamente più immondo della carne del bue e che, seccato, serve ai contadini per il focolare in modo che non conoscono fiamma più facile e fumo più terso?
E allora, se la lucentezza e lo splendore denotano una presenza più rilevante della parte divina, voi non la purificate, non la rivestite di un sigillo, non la liberate?
Anche se, per non parlare del sangue e delle innumerevoli cose che esistono nella carne o, assai simili, che dalla carne provengono, essa si riscontra principalmente nei fiori, voi non potete di certo far posto ai fiori tra i vostri cibi.
Così pure, anche se vi nutrireste di carni, non fareste di certo entrare nelle vostre pietanze né squame di pesci, né certi vermiciattoli e certe mosche, che anche di notte brillano tutte di una luce propria.
16.43 - Che cosa dunque resta se non che ve la smettiate di dire che gli occhi, il naso e il palato sono giudici idonei per attestare nei corpi la presenza della parte divina?
Messi da parte questi giudici, da dove trarrete le informazioni per insegnare non solo che la parte più grande di Dio si trova nelle radici anziché nelle carni, ma anche che qualcosa di Lui è soltanto nelle radici?
Vi muove forse la bellezza, non quella che si trova nella delicatezza dei colori, ma quella che si trova nella congruenza delle parti?
Voglia il cielo che sia così. In tal caso allora oserete paragonare legni contorti a corpi di animali, nella cui struttura le membra simili si corrispondono a due a due?
Ma se vi accontentate delle testimonianze dei sensi corporei - cosa del resto necessaria per coloro che non possono penetrare con la mente la forza dell'essenza - come potete provare che, per il passare del tempo e in seguito ad alcune schiacciature, la sostanza del bene fugge via dai corpi, soltanto perché, come asserite, Dio se ne parte ed emigra di luogo in luogo? Questa è pura demenza.
Eppure, per quanto posso giudicare, nessun segno e nessun indizio vi ha portato a questa opinione!
Infatti molte cose strappate dagli alberi o sradicate dalla terra, diventano migliori se passa un po' di tempo prima che vengano sulle nostre mense; questo è il caso del porro, della cicoria, della lattuga, dell'uva, delle mele, dei fichi e di alcune qualità di pere.
E inoltre molte, se non si mangiano subito appena colte, si colorano meglio, riescono più salutari per il corpo e hanno un sapore più piacevole per il palato.
Ora in queste cose la bontà e la piacevolezza dovrebbero essere minime se, come voi pensate, in fatto di bene ne perdono tanto di più quanto più a lungo vengono conservate dopoché sono state separate dalla terra, come dal seno materno.
Anche la carne degli animali uccisi il giorno prima é senza dubbio più gradevole e più accetta; non dovrebbe essere così se, come voi asserite, l'animale conservasse una quantità maggiore di bene il giorno stesso in cui è stato ucciso che non il giorno dopo, quando la sostanza divina se ne sarebbe fuggita in proporzioni maggiori.
16.44 - Chi ignora, in verità, che il vino invecchiando diventa più puro e migliore?
E non, come pensate voi, più aromatico per sconvolgere i sensi, ma più adatto a rinvigorire il corpo, purché se ne faccia uso secondo la misura che deve regolare ogni cosa.
Lo sconvolgimento dei sensi infatti suole avvenire più rapidamente con il mosto più recente, di modo che, se è restato per un po' di tempo nel tino e ha fermentato, stordisce quanti si sporgono su di esso, li fa precipitare giù e, se non sono soccorsi in qualche modo, toglie loro la vita.
Per quanto attiene alla salute, chi non riconosce che gonfia i corpi e li fa distendere pericolosamente?
Provoca tanti inconvenienti forse perché possiede una quantità maggiore di bene?
Il vino vecchio invece non li produce perché una gran parte della sostanza divina se n'è andata via?
Sarebbe assurdo dirlo, soprattutto per voi che giudicate la presenza di una parte divina con gli occhi, con il naso, con il palato, quando questi sensi ne sono piacevolmente influenzati.
Ma che stranezza è mai questa, di credere che il vino sia il fiele dei principi delle tenebre, e di non astenersi dal mangiare le uve?
Quel fiele nel tino sarà più abbondante di quando era negli acini?
In tal caso, con la fuga del bene, il male resterà, per così dire, più puro e - ciò accade con il passare del tempo - le uve appese e conservate non sarebbero dovute diventare più mature, più dolci e più sane, e il vino stesso, di cui si è detto sopra, non sarebbe dovuto diventare più limpido e più trasparente con la perdita della luce, e più salutare con la fuga della sostanza salutare.
16.45 - Che dire della legna e delle foglie? Seccano con il tempo, ma non per questo potete dire che diventano peggiori.
Perdono infatti ciò che produce il fumo, ma conservano ciò che desta la fiamma luminosa, e questa luminosità, a voi tanto cara, attesta che il bene è più puro nel legno più secco che in quello più verde.
Da ciò segue che o voi negate che la parte di Dio stia in quantità maggiore nella luce pura che in quella fumosa ( e allora smentite tutti i vostri insegnamenti ), oppure ritenete possibile che la natura del male fugga via più copiosamente di quella del bene dalle radici recise o divelte, se conservate a lungo.
Ciò concesso, terremo per certo che una quantità maggiore di male può fuggire dai frutti colti, come pure che una quantità maggiore di bene può restare nelle carni.
E ciò in vero è sufficiente quanto al tempo.
16.46 - Ma se col muovere, col pestare, con lo sminuzzare queste cose la divina natura trova l'occasione per fuggirsene via, vi sconfessano molte cose simili, le quali diventano migliori con il muoversi.
Taluni imitano il vino con il succo dell'orzo, il quale diviene ottimo se lo si agita.
Certamente poi non è affatto da trascurare che questo genere di bevanda inebria assai presto; tuttavia non avete mai detto che il succo dell'orzo è il fiele dei principi.
La farina, quanto è più scarsa l'acqua con cui è abilmente mescolata, tanto più si indurisce affinché, a forza di maneggiarla, diventi migliore e, cosa rispetto alla quale non si può dire niente di più perverso, più bianca con il fuggire della luce.
Il pasticciere lavora a lungo il miele fino a che acquisti un candore e una dolcezza più sana e moderata; ma in che modo questo avvenga con il bene che fugge via spiegatelo voi.
Se vi piace provare la presenza di Dio con le sensazioni piacevoli non solo della vista, dell'odorato e del gusto, ma anche dell'udito, è la carne che fornisce i nervi alle cetre e gli ossi ai flauti, ed esse, seccate, assottigliate e ritorte, diventano sonore.
Così la soavità della musica, che, secondo voi, è venuta dai regni divini, noi la dobbiamo alle sordidezze delle carni morte, seccate dal tempo, assottigliate con la compressione e distese con la torsione.
Con questi trattamenti voi dite che la sostanza divina abbandona anche gli esseri viventi e ciò accade, voi dite, anche con la loro cottura.
Perché allora i cardi lessati non nuocciono affatto alla salute?
Si deve forse credere che, durante la loro cottura, Dio o una parte di Dio se ne va da essi?
16.47 - A che scopo andare alla ricerca di altri esempi che non è né facile né necessario esaurire?
A chi sfugge infatti quanto siano più graditi e salutari molti cibi se cotti?
Ora questo non dovrebbe avvenire se, come voi credete, con movimenti di questo genere essi sono abbandonati dal bene.
Ritengo perciò che non ci sia proprio niente con cui provare, mediante questi sensi del corpo, che le carni sono immonde e macchiano le anime di coloro che le mangiano.
E questo non solo perché i frutti assimilati, dopo molti movimenti, si tramutano in carne, ma ancor più perché voi pensate che il tempo e la corruzione rendono l'aceto più puro del vino e perché vediamo che la bevanda che voi bevete non è altro che vino cotto.
Dunque, qualcosa che necessariamente è più impuro del vino, se è vero che i movimenti e le cotture fanno fuggire le membra divine dai corpi.
Se invece non è così, non c'è motivo da parte vostra di credere che i frutti, quando si colgono, quando si ripongono, quando si custodiscono, quando si cuociono, quando si digeriscono, sono abbandonati dal bene che se ne fugge via e perciò forniscono alla generazione dei corpi una materia assai sordida.
16.48 - Ora, se non vi sono di guida né il colore né la forma né l'odore né il sapore per giudicare della presenza del bene in queste cose, a che altro potete appigliarvi?
Vi sono forse di prova la saldezza e il vigore che queste cose sembrano perdere quando sono divelte dalla terra e sottoposte a trattamento?
Ma se fosse così ( sebbene si possa vedere subito che ciò è falso; per molte cose infatti aumenta la saldezza, una volta che sono state divelte dalla terra, come è il caso del vino che, come si è detto, diviene più robusto invecchiando ), cioè, come ho detto, se tale saldezza vi seducesse, voi provereste che in nessun altro cibo la parte di Dio è più abbondante che nella carne.
Infatti gli atleti, ai quali il vigore fisico e la valentia sono massimamente necessari, non si nutrono di verdure e di frutti, ma di carne.
16.49 - Forse perché le carni si alimentano di alberi e gli alberi invece non si nutrono di carni, per questo ritenete che essi siano più puri dei nostri corpi?
Dal momento che, a disprezzo della carne, vi sembra di non dire niente di più grave di quando dite che è un deposito di letame, non tenete conto di una cosa peraltro perfettamente evidente e cioè che, nutrendosi di letame, gli alberi diventano più rigogliosi e più fecondi e le messi più abbondanti.
Così le cose che per voi sono monde si nutrono di ciò che giudicate molto più immondo nelle cose che per voi sono immonde.
Che se disprezzate la carne perché nasce dall'accoppiamento, che vi diletti la carne dei vermi che nascono così numerosi e grossi, senza alcun accoppiamento, nella frutta, nel legno e nella terra stessa.
Ma non so cosa sia questa finzione; infatti, se non vi piace la carne, perché si forma dall'unione del padre e della madre, non direste che i principi delle tenebre sono nati dai frutti dei loro alberi, che indubbiamente disprezzate di più delle carni, che pure vi rifiutate di gustare.
16.50 - La vostra opinione infatti che tutte le anime degli animali provengono dai cibi dei loro genitori, dai quali, come da un carcere, vi gloriate di liberare la divina sostanza trattenuta nei vostri alimenti, è palesemente contro di voi e vi spinge con viva istanza a mangiare la carne.
E perché non liberate le anime, che sono sul punto di legare al corpo quanti si cibano di carni, prendendo e mangiando le carni?
Ma, dite voi, quando prendono la parte buona, non la prendono dalle carni ma dalle verdure che mangiano insieme con le carni.
Che cosa dunque vi sembra di dover rispondere riguardo alle anime dei leoni che vivono di sola carne?
Essi bevono, voi dite, e perciò la loro anima è tratta dall'acqua e mescolata alla carne.
Che cosa dite degli innumerevoli uccelli? E che delle stesse aquile che si cibano di sola carne e non hanno bisogno di bere?
Di certo, a questo proposito vi mancano gli argomenti e non trovate cosa poter rispondere.
Se infatti l'anima proviene dai cibi e ci sono animali che generano, e che bevono e mangiano soltanto carne, risiede nella carne l'anima che, secondo il vostro costume, è vostro dovere adoperarvi per purificare mangiando la carne.
A meno che per caso non crediate che il porco, che si pasce di biade e beve acqua, abbia un'anima di luce e non sosteniate che l'aquila, a cui si addice soprattutto il sole, poiché vive di sola carne, abbia un'anima di tenebre.
16.51 - O ristrettezza delle cose! O incredibili assurdità!
Di certo non vi sareste caduti se, estranei a queste favole del tutto vane, aveste seguito, quanto all'astinenza dai cibi, ciò che è consentito dalla verità; allora avreste giudicato che i cibi ricercati si devono rifiutare per reprimere la concupiscenza e non per evitare un'impurità che non esiste.
Infatti se uno, che conosce poco la natura delle cose e la forza così dell'anima come del corpo, vi concede che l'anima si macchia con cibi di carne, voi concedete nondimeno che essa diviene molto di più immonda per la cupidigia.
Che ragione, o piuttosto, che pazzia dunque è quella di escludere dal numero degli eletti un uomo che per caso ha mangiato la carne per motivi di salute, senza alcuna cupidigia?
E se poi si sarà abbandonato a mangiare avidamente verdure pepate, voi lo potete riprendere soltanto per la sua intemperanza, ma non lo potete condannare come violatore del sigillo.
Così avviene che non può figurare tra i vostri eletti colui che, non per concupiscenza ma per motivi di salute, si è abbandonato a mangiare una porzione di pollo, mentre vi può figurare colui che si è abbandonato a desiderare vivamente focacce al cumino e di altro genere, ma senza carne.
Voi dunque salvate colui che la cupidigia immerge in sordidezze e non salvate colui che, secondo il vostro giudizio, è contaminato dallo stesso cibo, pur riconoscendo che la macchia provocata dalla concupiscenza è di gran lunga più grave di quella causata dalla buona carne.
Così accogliete colui che si getta con grande avidità e senza trattenersi sulle vivande condite in modo assai gradevole, mentre respingete colui che, per calmare la fame e senza alcuna cupidigia, mangia indifferentemente qualsiasi cibo in uso tra gli uomini, pronto tanto a prenderlo quanto a rifiutarlo.
Ecco i vostri straordinari costumi; ecco la vostra eccellente disciplina e la vostra memorabile temperanza!
16.52 - Quanto poi agli alimenti che vengono serviti nelle mense per essere, per così dire, da voi purificati ( cosa che ritenete empia se qualcun'altro, all'infuori degli eletti, li tocchi per cibarsene ), non è una cosa piena di turpitudine e talora di scelleratezza, se è vero che spesso ne vengono serviti una tale quantità che non è facile per pochi poterli consumare?
E poiché reputate un sacrilegio dare ad altri o gettar via quello che avanza, vi costringete a grandi indigestioni nel desiderio, per così dire, di purificare tutto ciò che vi è stato portato davanti.
Quando siete già ripieni e quasi sul punto di crepare, con fare dispotico e crudele costringete i fanciulli che stanno sotto la vostra disciplina a divorare gli avanzi.
È così che a Roma un tale è stato accusato di avere ucciso degli infelici fanciulli per averli obbligati a mangiare in conformità a tale superstizione.
Non lo crederei, se non sapessi quanto giudicate sacrilego dare questi alimenti ad altri che non siano gli eletti o a provvedere che siano gettati via.
Così resta quella necessità di mangiarli che può portare quasi ogni giorno alle più vergognose indigestioni, e talvolta perfino all'omicidio.
16.53 - Stando così le cose, voi vietate anche di dare il pane ad un mendicante; siete tuttavia dell'opinione di dargli del denaro per misericordia o piuttosto per evitare apprezzamenti maligni.
A questo proposito che cosa denuncerò per primo, la crudeltà o la follia?
A che scopo infatti lo date, se la cosa viene fatta in un luogo in cui è impossibile trovare cibo da comperare?
Quel mendicante morirà di fame, mentre tu, uomo sapiente e generoso, hai più compassione per un cocomero che per un uomo.
Questa è davvero una falsa compassione e una vera crudeltà ( che posso dire infatti di più appropriato e di più chiaro? )
Passiamo ora alla follia. A che scopo, se con le monete che gli hai dato si comprerà del pane?
Forse che quella vostra parte divina, in quest'uomo che la riceve dal venditore, non soffrirà quello che avrebbe sofferto se l'avesse ricevuta da te?
Dunque quel mendicante peccatore avvolge nelle sozzure la parte di Dio che desidera andarsene via, aiutato in così grande delitto dalle vostre monete!
Voi tuttavia, uomini prudentissimi, ritenete che vi sia una differenza a non consegnare a colui che sta per commettere un omicidio l'uomo che vuole uccidere e consegnargli invece segretamente il denaro con il quale provveda a farlo uccidere?
Che cosa si può aggiungere ad una simile follia?
Ne segue così che o perirà l'uomo, se non troverà il cibo da acquistare, oppure il cibo, se quello lo troverà: nel primo dei due casi è un vero omicidio, nel secondo un omicidio per voi, ma nondimeno da imputare a voi, come se fosse vero come l'altro.
Ma che ci può essere di più stolto e perverso del fatto che non vietiate ai vostri uditori di nutrirsi con le carni, ma vietiate loro di uccidere gli animali?
Infatti, se tale cibo non contamina, mangiatelo anche voi; se invece contamina, che follia è quella di ritenere sacrilegio più grave liberare dal corpo un'anima di porco che macchiare l'anima di un uomo con la carne di porco?
Indice |
1 | Sall., Cat. con. 5,3; Aug., Ep. 167, 7 |