Discorsi su argomenti vari |
1 - Tre cose eccellenti e rare. I cieli
2 - Il ricco e il povero. Il dono di Dio
3 - Dare a chi chiede
4 - Ragioni della concordia
5 - Assemblea di Cartagine
6 - Ceciliano
7 - Vinti vincitori
8 - Bisogna amare tutti
9 - Concordia dei fratelli in Cristo
La prima lettura della parola divina dal libro detto Ecclesiastico ci propone tre spunti eccellenti, assolutamente degni di essere meditati, cioè la concordia tra i fratelli, l'amore al prossimo, l'intesa tra moglie e marito.
Questi valori sono indubbiamente fonte di gioia e apprezzabili nel contesto umano, ma sul piano divino assai più importanti.
Chi non gode di fronte alla concordia tra fratelli?
Eppure c'è da lamentare che una cosa così importante sia così rara: tutti la lodano, pochissimi la praticano.
Beati quelli che realizzano in sé ciò che non possono fare a meno di approvare negli altri.
Se non c'è fratello che non approvi la concordia tra fratelli, mi domando perché è così difficile che effettivamente si realizzi questa concordia.
Il fatto è che la materia di cui disputano è terrena e non vogliono superare il limite terreno.
L'uomo che peccò, fin dall'inizio ebbe ad ascoltare: Sei terra e in terra ritornerai. ( Gen 3,19 )
Ma esaminiamo bene questa frase e cerchiamo di udire la voce che, contraria a questa, deve sentire il giusto.
Se giustamente al peccatore è stato detto: Sei terra e in terra ritornerai, sarà appropriato che al giusto venga detto: " Sei cielo e in cielo andrai ".
E i giusti sono appunto il cielo, com'è detto chiaramente degli Evangelisti: I cieli narrano la gloria di Dio.
Che si alluda a loro risulta chiaro da quello che segue: Il firmamento annunzia l'opera delle sue mani.
Li ha chiamati " cieli ", ora li chiama " firmamento ".
Giorno a giorno ne dà l'annunzio e notte a notte ne trasmette la notizia.
Non è un linguaggio e non sono parole di cui non s'intenda il suono. ( Sal 19,2-5 )
Esamina a chi alluda e troverai che si riferisce ai cieli.
E " cieli " vengono detti gli Apostoli, gli annunciatori di verità.
E segue: Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo le loro parole.
Non è linguaggio e non sono parole di cui non s'intenda il suono.
Quando in loro venne lo Spirito Santo e Dio cominciò ad abitare su quella terra da lui trasformata in cielo, hanno parlato nelle lingue di tutte le Genti, per dono e pienezza di Spirito Santo.
Perciò è stato detto: Non è linguaggio e non sono parole di cui non s'intenda il suono.
E poiché sono andati a predicare il Vangelo a tutte le Genti, per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo le loro parole.
La voce di chi? Dei cieli.
Cioè di coloro ai quali giustamente è stato detto: " Sei cielo e in cielo andrai ", come giustamente al peccatore è detto: Sei terra e in terra ritornerai.
Condizione per i fratelli per stare in concordia è non amare ciò che è solo terreno: ma per non amare la terra bisogna non essere terra.
Se si aspirasse a una proprietà che non può essere divisa, si sarebbe sempre in armonia.
Da che cosa nasce la discordia tra fratelli?
E il turbamento degli affetti familiari?
Il fatto che i figli di una stessa madre abbiano tra loro l'animo discorde?
Nasce dal fatto che l'animo è piegato sul proprio interesse e quando una proprietà è stata divisa in eredità con un fratello, ciascuno guarda la sua parte; ognuno dei due vorrebbe avere l'unificazione del possesso, e si adopera per aumentarlo, per arricchirlo.
" Che bella proprietà! - capita di sentir dire - di chi è?". " É nostra ".
" É grande. É tutta tua?". " Eh, no! Ho un coerede, ma, a Dio piacendo, mi vende la sua parte ".
" Dio te ne faccia la grazia " riprende l'adulatore.
Ma quale grazia dovrebbe fare Dio?
Che il vicino sia oppresso e indotto a vendere la sua parte al confinante.
" Il tuo disegno è accorto - si prosegue - voglia Dio che sia così e ti esaudisca ".
L'empio si vanta delle sue brame e chi fa il male è approvato. ( Sal 11,3 )
Che cosa c'è di più iniquo che volersi arricchire sull'impoverimento altrui?
E tuttavia la cosa è frequente e chi fa il male è approvato.
Costui ha forse avuto la meglio dopo aver fatto pressione, tormentato, schiacciato, estorto e forse non a un parente qualsiasi ma al suo stesso fratello.
E dice allora: " Meglio io a comprare che un estraneo ".
La vittima, che si è lasciata facilmente spogliare, può, se è un giusto, avere anche una consolazione.
Può prestare attenzione alla Scrittura citata ora.
Egli soffre, è vero, soffre nella povertà e il suo fratello [ che lo ha sopraffatto ] vive nell'abbondanza.
Ma è un'abbondanza tutta terrena e insieme povertà di giustizia.
Quel povero invece, sentite o uomini mondani quali parole può udire rivolte proprio a lui: Se vedi un uomo arricchirsi non temere, né se aumenta la gloria della sua casa.
Quando muore con sé non porta nulla. ( Sal 49,17-18 )
Tu dunque, o povero, cerca di attaccarti a quello che non devi lasciare morendo, a quello che anzi possederai vivendo in eterno.
Attàccati alla giustizia e non ti pentirai.
Sei triste perché ti trovi povero qui sulla terra?
Qui fu povero anche Colui che creò la terra.
Ti consola il tuo Signore, il tuo Creatore, il tuo Redentore, Colui che ti è fratello non avido.
Il Signore nostro infatti si è degnato di essere fratello nostro: il solo fratello d'indubbia fedeltà, col quale bisogna essere in concordia.
Dicevo che non è avido.
E invece sì, è avido, ma di noi; vuole guadagnare noi, acquistare noi.
Ha dato, per acquistarci, un prezzo immenso: se stesso.
A questo prezzo nulla si può aggiungere.
Ha dato se stesso come prezzo e si è fatto nostro Redentore.
Non ha dato se stesso in riscatto al nemico perché questi ci rilasciasse e tenesse lui in cambio.
Ma si è dato alla morte uccidendo la morte.
Con la sua morte ha ucciso lui la morte, non è stato ucciso dalla morte e, uccisa la morte, ci ha liberato dalla morte.
La morte è viva se noi moriamo, ma se noi viviamo, è essa che muore.
Perciò è detto: Dov'è, o morte, la tua vittoria? ( 1 Cor 15,55 )
Un tale nostro fratello fu un giorno interpellato da uno che era in discordia col suo fratello carnale per il possesso di un terreno e lo pregò: Signore, di' a mio fratello che mi dia la mia parte di eredità.
" Se l'è presa tutta lui; non mi vuol dare la mia parte. Mi emargina. Che ascolti te, almeno!".
Ma questo problema non riguardava il Signore.
Noi, gente dai bassi pensieri, gente che striscia per terra, noi che, chiusi in questa vita, non vogliamo scontentare nessuno e invece finiamo per aggravare le pene umane, noi avremmo risposto: " Vieni qui, fratello, rendi al tuo congiunto la sua parte ".
Invece il Signore non ha risposto così.
Eppure non vi è giustizia superiore alla sua.
Un giudice migliore dove lo si trova, da interpellare contro l'avidità del proprio fratello?
Quell'uomo certo si riteneva fortunato per aver trovato finalmente un tale appoggio.
Senza dubbio sperava di ottenere grande aiuto avendo detto a un tale giudice: Signore, di' a mio fratello che mi dia la mia parte di eredità.
Ma il Signore che cosa rispose? O uomo, chi mi ha stabilito giudice della vostra divisione nell'eredità? ( Lc 12,13-14 )
Il Signore dunque rispose con un rifiuto, non accordò ciò che gli era stato chiesto, non concesse questo gratuito beneficio.
Era una cosa da poco, non ci perdeva nulla.
Non avrebbe nemmeno faticato. Ma non glielo diede.
Come la mettiamo col detto evangelico: Da' a chiunque ti chiede? ( Lc 6,30 )
Se non lo ha fatto lui che è il nostro modello di riferimento dovremmo farlo noi?
Come possiamo dare prestazioni agli altri quando ci costano sacrificio se non le diamo quando non ci costano niente, non spendiamo niente, non perdiamo nulla?
Il Signore non ha dato quello che gli fu chiesto ma non è vero che non ha dato nulla.
Ha rifiutato il meno per dare il più.
Certo ha detto chiaramente: Da' a chiunque ti chiede.
Ma come ti comporti se uno ti chiede una cosa che sarebbe, non dico inutile, ma turpe dare?
Se, ad esempio, una qualche donna chiede quello che fu chiesto a Giuseppe da una donna?
Se un uomo chiede quello che i vecchi ipocriti chiesero a Susanna?
Anche in questi casi bisogna seguire in assoluto il principio generale di dare a chiunque chiede? Certo che no.
Ma allora non trasgrediamo il precetto del Signore?
No, perché se non accontentiamo chi chiede cose cattive ci comportiamo secondo e non contro il precetto del Signore.
É stato detto infatti: Da' a chiunque ti chiede, e non: " Da' qualunque cosa ti si chieda ".
A chiunque ti chiede, da'. Certo, da'.
E se non quello che ti si chiede, tuttavia tu qualcosa da'.
Ti si chiedono cose cattive? Tu da' cose buone.
Così ha fatto Giuseppe. Non ha dato quel che chiedeva quella donna impudica, ma le ha dato il suo rifiuto, la risposta che era giusto che sentisse, perché sul suo esempio non perdesse la virtù.
In quanto a lui, egli non cadde nella fossa del piacere e diede consiglio di castità.
Egli infatti così rispose: Lungi da me fare un simile torto al mio signore, insozzare il letto di chi mi ha affidato ogni cosa nella sua casa. ( Gen 39 )
L'implicito ammonimento era questo: " Se un servo acquistato con denaro serba questa fedeltà al suo signore, quanto più tocca a una moglie verso il marito!
Io, schiavo, non farò questo torto al mio padrone e tu, moglie, arrivi a farlo a tuo marito?".
Anche Susanna qualcosa ha dato.
Non li avrebbe lasciati a mani vuote se avessero voluto arricchirsi della castità, secondo il suo consiglio.
Non solo infatti non acconsentì alla loro richiesta, ma anche spiegò perché non acconsentiva.
Se acconsento - disse - muoio a Dio, se non acconsento vado incontro alla vostra vendetta.
Ma è meglio cadere nelle vostre mani che perire a Dio. ( Dn 13 )
Quale ammonimento contiene la frase: Meglio cadere nelle vostre mani che perire a Dio?
Significa: " Voi perite se cercate tali infamità ".
Perciò anche voi tenete questo criterio.
Date sempre quando vi si chiede qualcosa, anche se non potete dare ciò che vi si chiede.
É quello che ha fatto il Signore.
Gli si chiedeva la divisione dell'eredità.
Ed egli ha dato il colpo di grazia alla cupidigia.
Osservate che cosa quel tale chiedeva e che cosa si è avuto in risposta Di' a mio fratello che
divida con me l'eredità chiedeva
e si ebbe in risposta: Dimmi, uomo, chi mi ha stabilito divisore di eredità?
Io invece vi dico: Guardatevi da ogni avidità. ( Lc 12,15 )
Mi spiego meglio: quando tu domandi quella mezza eredità, lo fai per diventare più ricco.
Ebbene ascolta: La campagna di un ricco gli diede un buon raccolto; un raccolto magnifico, una grande abbondanza di frutti.
Allora l'uomo pensò fra sé: Che farò per custodire i miei prodotti?
Dopo averci pensato attentamente disse: Ho trovato cosa fare.
Abbatterò i miei granai. Ne costruirò di più spaziosi e li riempirò.
Li farò più grandi di come erano i precedenti.
E dirò all'anima mia: Hai beni in abbondanza. Sàziati, godi.
Ma Dio gli disse: Stolto, tu che ti credi saggio!
Hai saputo distruggere il vecchio ed edificare il nuovo, ma in quanto a te sei rimasto sepolto nella vecchia rovina della tua anima.
Avresti dovuto distruggere in te il vecchio edificio per non giudicare con pensieri terrestri. Stolto!
Ciò che hai detto che valore ha? E a chi lo hai detto?
Hai detto alla tua anima: Godi, hai beni in abbondanza.
E invece questa notte stessa ti si domanderà l'anima alla quale hai fatto queste belle promesse.
Ciò che a lei hai promesso di chi sarà? ( Lc 12,16-20 )
Non turbarti dunque se alcuno s'arricchisce, perché in morte l'uomo nulla si porta appresso. ( Sal 49,17-18 )
Ecco quale consiglio il Signore ha dato ai due fratelli in discordia per metterli d'accordo: che si svuotassero della cupidigia, per avere un immediato arricchimento di verità.
L'eredità che dobbiamo cercare di conquistare è questa.
Per quanto tempo dovremo ancora parlare della concordia tra fratelli nella prospettiva mondana?
Concordia rara, sospetta e difficile.
Parliamo invece di quella concordia autentica che si deve e si può realizzare.
Tutti i cristiani, tutti i fedeli, tutti i nati da Dio e per mezzo dello Spirito Santo generati dalla madre Chiesa siano fratelli! Siano veramente fratelli e abbiano essi appunto un'eredità da estendere, non da dividere.
La loro eredità è Dio stesso.
Essi sono sua eredità e Dio è, a sua volta, loro eredità.
Come si può dire che gli uomini siano sua eredità?
Ecco [ la risposta ]: Chiedi a me e ti darò in eredità le genti. ( Sal 2,8 )
E in che modo Dio è la loro eredità?
Ecco: Il Signore è mia parte di eredità e mio calice. ( Sal 16,5 )
Ebbene, all'interno di tale eredità si custodisce la concordia: per averla non si fanno querele.
Con le contese si viene a capo dell'eredità terrena; ma anche con le contese questa si perde.
Gli uomini che non la vogliono perdere evitano i litigi.
Talvolta sembra che i cristiani siano in discordia mentre non lo sono.
C'è forse apparenza di discordia, si crede a una discordia quando invece si tratta di un dibattito coi fratelli.
Si tratta, potete osservarlo, di discussioni fatte con armonia, pacifiche, improntate a benevolenza, giustizia, franchezza.
Noi infatti sembriamo essere in litigio con i donatisti.
E invece non litighiamo.
Il litigioso è chi vuole il male dell'avversario; chi mira al suo danno per il proprio vantaggio.
Chi vuol togliere a lui qualcosa per guadagnare.
Non è il caso nostro.
Lo sapete anche voi che disputate fuori dell'unità e voi che dalla divisione siete stati guadagnati alle nostre file.
Lo sapete tutti che non si tratta di una lite perché non c'è malevolenza, perché non si tende a procurare perdite all'avversario, ma solo vantaggio.
Noi volevamo che coloro con cui sembravamo e tuttora sembriamo essere in discordia, si arricchissero con noi; non che, a scapito loro, ci arricchissimo noi.
Così la nostra richiesta al Signore dei cieli è diversa da quella che gli fu rivolta, quando camminava sulla terra, da quel tal fratello. Anche noi infatti preghiamo lui che sta in cielo per questa causa.
Ma non lo preghiamo così: Di' a mio fratello che divida con me l'eredità, ( Lc 12,13 ) ma: " Di' a mio fratello di essere partecipe, in unione con me, dell'eredità ".
Che questo sia il nostro proposito lo attestano le pubbliche Gesta.
Che fosse anche la nostra intenzione ne sono prova non solo i discorsi fatti ma anche le lettere a loro [ i Donatist i] consegnate.
Vi era scritto: Voi donatisti ci tenete all'episcopato?
Ebbene esercitatelo insieme a noi.
Noi non troviamo in voi nulla di odioso, di detestabile, di esecrabile, non condanniamo nulla in voi se non l'errore umano.
Dico ciò che è umano errore, non ciò che è divino deposito di verità.
Ciò che avete da Dio lo riconosciamo, ciò che è vostro apporto di errore lo vogliamo correggere.
Quello che è il contrassegno del mio Signore, del mio Imperatore, il carattere del mio Re, io lo riconosco anche nel disertore.
Questo carattere io lo rispetto anche se cerco il disertore, lo trovo, mi avvicino a lui, gli sto accanto, lo prendo per mano, lo guido, lo correggo.
Se si osserva con attenzione si vedrà che questo non è litigare, ma amare.
Abbiamo dichiarato che, per arrivare alla pace, i fratelli possono stare in concordia nella stessa Chiesa.
É una cosa bellissima la pace tra fratelli.
Ma abbiamo anche detto che non possono esserci due vescovi nella stessa Chiesa nel senso che ambedue siedano sulla cattedra in una sola basilica: uno sulla regolare cattedra, l'altro come forestiero; uno sulla cattedra cristiana, l'altro, seduto lì vicino, quasi come un collega eretico; che uno presieda la sua assemblea e l'altro a sua volta la propria.
Si è ricordato che la Penitenza per la remissione dei peccati è stata predicata a partire da Gerusalemme, per opera degli Apostoli.
Che cosa hai da rispondere [ tu donatista ] a questa Chiesa che è stata edificata dagli Apostoli, cominciando da Gerusalemme, e si dilata a tutte le genti?
Abbiamo detto: Ammettiamo che la causa di Ceciliano sia stata del tutto perdente.
Ma un uomo, e anche due, cinque, dieci uomini che avessero torto, possono forse pregiudicare tante migliaia di fedeli sempre in crescita diffusi in tutta la terra?
Queste cose sono state dette.
Si è detto che Abramo ha avuto fede e che per questo gli sono state promesse in eredità tutte le Genti.
Se Ceciliano avesse peccato dovrebbero perire tutte le genti?
Varrebbe più l'iniquità di uno che la promessa fatta dalla Verità?
Queste cose sono state là dette.
Si possono leggere negli Atti.
E contro questi esempi dati da Dio, contro queste testimonianze che mostrano la Chiesa essere diffusa su tutta la terra, una Chiesa di cui conserviamo l'unità nel nome del Signore, assolutamente nulla essi hanno potuto rispondere.
Salva dunque e confermata, fissata e stabilita irrevocabilmente la causa della Chiesa, come su fondamenta di roccia che le porte degli inferi non possono vincere, ( Mt 16,18 ) sistemata questa, siamo venuti anche alla causa di Ceciliano, ma tranquilli, qualunque colpa risultasse da lui commessa.
Forse che, anche se si trovassero prove di colpa in un uomo, noi dovremmo arrivare litigando a sostenere che siamo colpevoli al punto da doverci ribattezzare?
Per colpa di uno solo? Abbiamo anche dichiarato che la causa della Chiesa è salva perché la colpa di Ceciliano non la pregiudica, così come la sua innocenza non la esalta.
Appurato che la eventuale colpa di Ceciliano non condanna la Chiesa, veniamo anche alla sua causa: in che termini stia l'abbiamo esaminata come quella di un fratello, non come quella di un padre o di una madre.
Padre a noi è Dio, madre la Chiesa.
Ceciliano o è stato o è fratello: in ogni caso solo fratello, se buono, buon fratello; se cattivo, cattivo fratello.
Se lo avremo trovato innocente, dove nasconderete la faccia voi che vi siete perduti in molte umane calunnie?
Anche se fosse trovato colpevole, non per questo la nostra causa è perduta, perché noi manteniamo l'unità nella Chiesa, che è invincibile.
Certamente, se è trovato reo, condanno l'uomo, ma non abbandono la Chiesa di Cristo.
Ecco quello che abbiamo fatto e dichiarato: " Se risulterà colpevole non leggeremo più il suo nome all'altare fra gli altri vescovi che riteniamo fedeli e innocenti ".
Solo a questo ci siamo limitati.
Forse che per un solo Ceciliano volete ribattezzare tutto l'orbe terrestre?
Fermamente stabilito questo principio si cominciò ad affrontare l'esame della causa di Ceciliano.
Ebbene, è risultato innocente; solo vittima di calunnie.
Una volta, in sua assenza, fu condannato; tre volte, lui presente, assolto.
Condannato da una fazione fu assolto dall'ecclesiastica verità.
Di tutte queste cose fu data lettura; queste cose furono approvate.
Fu chiesto se c'erano obiezioni da fare.
Essi non avevano testimonianze da produrre di fronte a così evidenti documentazioni.
Pertanto, ridottisi a niente gli arzigogoli delle loro calunnie contro l'innocenza di Ceciliano, fu proclamata sentenza contro di loro.
E tuttavia essi dicono: " Abbiamo vinto ".
Che vincano, sì, ma su loro stessi, affinché Cristo li possieda: chi li ha redenti li vinca.
E tuttavia godiamo per molte cose.
Molti di loro sono stati vinti, ma con grande vantaggio loro, perché in realtà non sono stati sconfitti: non loro ma l'errore umano è stato sconfitto e l'uomo si è salvato.
Il medico non lotta contro il malato anche se lui, il malato, vuol lottare contro il medico.
Se il malato asseconda il medico la febbre è vinta, il malato guarisce.
Il proposito del medico è vincere.
Il proposito della febbre è, ugualmente, vincere.
Il malato è come in mezzo.
Se vince il medico è salvo, se vince la febbre il malato morirà.
Nella nostra contesa erano di fronte il medico dalla parte della salute e il malato schieratosi dalla parte della febbre.
Quelli che hanno seguito il consiglio del medico hanno vinto, hanno trionfato sulla febbre.
Li abbiamo sani e lieti con noi, nella Chiesa.
Prima ci insultavano perché non ci riconoscevano come fratelli.
La febbre aveva confuso la loro mente.
Ma noi costoro li amiamo anche quando ci detestano e ci aggrediscono.
Noi prestavamo servizio a questi malati inferociti contro di noi.
Resistevamo, discutevamo, al limite del litigio, ma li amavamo.
Tutti coloro che servono i malati che sono in tale stato d'animo di opposizione riescono molesti: molesti per dare salute.
Abbiamo trovato però anche talvolta degli uomini apatici che arrivano a riconoscere: " É vero, Signore, è vero quello che dite; non c'è nulla da obiettare ".
" E allora perché esiti? Vieni, spìcciati ".
" Ma il padre mio è morto in questa fede; mia madre in questa fede è stata sepolta ".
Hai nominato morti e sepolti.
Ma tu sei vivo, hai ancora con chi dialogare.
I tuoi genitori, va bene, sono stati cristiani dello scisma di Donato, ma forse i loro genitori erano cristiani autentici e, comunque, certo gli avi erano pagani.
Quelli che si fecero cristiani la prima volta, dopo aver seppellito i loro genitori pagani, rimasero forse per questo insensibili di fronte alla verità?
Essi ai parenti morti preferirono il Cristo vivo: non seguirono l'autorità dei genitori morti.
Se dunque qui riconosci che c'è la vera unità fuori della quale è inevitabile la morte eterna, perché vuoi seguire i tuoi parenti morti, morti a te e a Dio?
Che cosa hai da obiettare? Rispondi.
" Hai ragione, non c'è nulla da obiettare. Tu dici il vero, ma che debbo fare?".
Siffatti uomini sono come impacciati da un non so quale tradizionalismo: sono in letargo; soffrono di una malattia tutta opposta a quella degli altri: di un sonno che li porterà alla morte.
Ce ne sono poi altri, frenetici e veramente molesti.
Il " letargico " anche se personalmente destinato a morte non è molesto con chi si cura di lui.
Questi frenetici invece sono molesti: hanno perso la testa.
Come pazzi furiosi vanno in giro armati cercando di uccidere e di accecare.
Ci è giunta notizia che a un nostro presbitero hanno tagliato la lingua.
Sono degli esaltati, ma anche con loro bisogna esercitare la carità, bisogna amare anche loro.
Proprio di questi furiosi molti si ravvidero, piangendo.
Li conosciamo: staccatisi dal gruppo di questi furiosi sono venuti da noi.
Piangono ogni giorno sul loro passato e non si saziano di lacrime vedendo il furore di coloro che ancora inferociscono sotto l'effetto di una folle, disordinata eccitazione.
Che faremo noi dunque? La carità ci fa obbligo di servirli così come sono.
Anche se risultiamo molesti all'uno e all'altro ( il letargico perché lo stimoliamo, il frenetico perché cerchiamo di contenerlo ), tuttavia noi ci rivolgiamo a loro con amore.
É una cosa buona la concordia tra fratelli, ma osservate dove: nel Cristo fra i cristiani.
C'è anche l'amore verso quel prossimo che non è ancora nostro fratello in Cristo.
Basta che uno sia uomo per esserti prossimo: àmalo e guadagnerai anche lui a Cristo.
Suppongo dunque che tu sia in concordia col tuo fratello cristiano, ma che ami anche il tuo prossimo col quale la perfetta sintonia non c'è ancora, perché non è ancora fratello in Cristo, ancora non è rinato in Cristo, ancora non conosce i sacramenti di Cristo, pagano o Giudeo che sia: tuttavia prossimo in quanto uomo.
Se ami dunque costui, aderisci a un altro tipo di carità, in virtù di un altro tipo di grazia.
E così in te ci sono due valori: la concordia tra fratelli e l'amore del prossimo.
La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo, la Chiesa devota a Cristo, tanto sottomessa al suo sposo da poter realizzare il terzo aspetto del comandamento d'amore, cioè la buona intesa tra marito e moglie. ( Sir 25,2 )
Perciò esortiamo la vostra Carità, vi ammoniamo nel Signore, fratelli miei, a disprezzare nel presente tempo ciò che, morendo, non portate con voi.
Guardatevi dai peccati, dalle ingiustizie, dalle bramosie mondane.
Solo così il nostro frutto è in noi integro, la nostra ricompensa nel Signore piena di gioia.
In quanto a me, non mi basta di aver fatto il mio dovere dicendo quello che andava detto, predicando quello che andava predicato; non mi basta avere assolto, davanti al Signore al suo cospetto, il mio compito, in quanto non abbiamo taciuto né quello che temiamo né quello che amiamo, così che quando verrà sopra qualcuno la spada del Giudice supremo non si trovi nulla da imputare al sorvegliante: tutto ciò non mi basta; non vogliamo che ci sia la nostra ricompensa, sicura, e che voi siate perduti.
Vogliamo trovar salvi anche voi.
Anche l'apostolo Paolo era sicuro della sua ricompensa e tuttavia che cosa diceva alla sua gente?
Allora noi sentiamo di vivere, se voi siete saldi nel Signore. ( 1 Ts 3,8 )
Parlo a voi, alla vostra Carità, a voi, padri e fratelli, secondo il comando del Signore.
Parlo anche per il fratello mio, il vostro vescovo di cui voi dovete costituire la gioia nell'obbedienza a Dio nostro Signore.
Certamente questa chiesa in nome di Dio è stata costruita per voi; per opera di lui e anche per le pie, generose, benefiche offerte vostre.
É stata costituita per voi.
Ma soprattutto voi stessi siete la Chiesa; è per voi, come luogo dove fisicamente entriate, ma soprattutto le vostre menti debbono essere il luogo dove Dio entra.
Avete voluto onorare il vostro vescovo dando il nome di Florenzia a questa basilica.
Ma voi siete la sua Florenzia.
Infatti l'Apostolo dice: Voi siete per me motivo di gioia e di orgoglio, nel Signore. ( Fil 4,1 )
Tutto ciò che è nel nostro mondo si vanifica e passa.
Questa stessa vita che cosa è se non quello che di essa dice il salmista?
Come l'erba che compare al mattino e passa, al mattino germoglia e fiorisce, alla sera è tagliata, si fa dura e secca. ( Sal 90,6 )
Questa è la sorte di ogni umana carne.
Perciò vi è Cristo, perciò la nuova vita, perciò la speranza eterna, perciò la promessa consolante dell'immortalità, già realizzata nella carne del Signore.
Da noi infatti egli ha preso quella carne che è ormai immortale e ha mostrato a noi quello che ha realizzato in sé.
Per noi ha assunto la carne.
In quanto a sé in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )
Cerca la carne e il sangue nel Verbo.
La trovi forse? Ma poiché veramente volle patire con noi e redimerci, si rivestì della forma del servo, lui che era già presente qui, e discese per rendersi visibile a noi, lui che mai si era assentato.
Volle diventar uomo Colui che fece l'uomo, essere generato da una madre lui che creò la madre.
Salì sulla croce, morì e ci mostrò in sé quello che ci era noto: nascere e morire.
Realizzò nella sua umiliazione queste nostre abituali vecchie esperienze.
Sapevamo che cosa è nascere e morire; non sapevamo che cosa è risorgere e vivere in eterno.
Due nostre vecchie esperienze egli, umile, assunse in sé.
Ma egli, altissimo, aggiunse a completarle, due altre cose nuove e grandi.
Risuscitò la sua carne, portò in cielo la carne, siede alla destra del Padre.
Volle essere il nostro capo.
E il capo prese la parola per le membra, perché, stando qui, disse: Padre, voglio che dove sono io ci siano anche costoro, con me. ( Gv 17,24 )
Speriamo in questo evento anche per la nostra carne: la risurrezione, il mutamento, l'incorruttibilità, l'immortalità, l'eterna dimora.
E adoperiamoci per giungervi.
Questa sarà Florenzia, la vera Florenzia.
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