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Scritta poco dopo la precedente.
A. risponde alle restanti questioni di Gennaro sui riti ecclesiastici, su ciò che non si può trascurare o che si deve tollerare, soffermandosi sul senso e la celebrazione della Pasqua, sull'allegoria della luna e i significati mistici del sabato e della domenica ( n. 1-20 ) e sottolineando l'utilità delle varie allegorie relative ai giorni della settimana, al triduo della Passione e alla Croce e la liceità della varietà di consuetudini ( n. 21-39 ).
Risposta ai quesiti di Gennaro - Libro II
Dopo avere scorso la tua lettera con cui mi ricordi di soddisfare il debito di spiegarti gli altri quesiti già da molto tempo inviatimi, non ho potuto sopportare di frapporre indugi ad accontentare il tuo ardente desiderio, che mi è gratissimo e carissimo; pur trovandomi oppresso da una congerie d'occupazioni, ho voluto sbrigare come più importante quella di rispondere alle tue domande.
Tralascio pertanto di parlare più a lungo della tua lettera per non essere impedito dal soddisfare finalmente il mio debito.
Tu mi domandi "perché mai l'anniversario in cui si celebra la passione del Signore non ricorre lo stesso giorno dell'anno, come [ succede per ] il giorno in cui si dice che sia nato" e poi soggiungi: "E se ciò avviene per causa del sabato e della luna, che c'entra mai in ciò l'osservanza del sabato e della luna?".
Sappi dunque anzitutto che il giorno della Natività del Signore non si celebra con un rito sacramentale, ma si rievoca solo il ricordo della sua nascita e perciò non occorreva altro che indicare con una solennità religiosa il giorno dell'anno in cui ricorre l'anniversario dell'avvenimento stesso.
Si ha invece un rito sacramentale in una celebrazione quando non solo si commemora un avvenimento ma lo si fa pure in modo che si capisca il significato di ciò che deve riceversi santamente.
Noi quindi celebriamo la Pasqua in modo che non solo rievochiamo il ricordo d'un fatto avvenuto, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, ma lo facciamo senza tralasciare nessuno degli altri elementi che attestano il rapporto ch'essi hanno col Cristo, ossia il significato dei riti sacri celebrati.
In realtà, come dice l'Apostolo: Cristo morì a causa dei nostri peccati e risorse per la nostra giustificazione ( Rm 4,25 ) e pertanto nella passione e risurrezione del Signore è ìnsito il significato spirituale del passaggio dalla morte alla vita.
La stessa parola Pascha non è greca, come si crede comunemente, ma ebraica, come affermano quelli che conoscono le due lingue; insomma il termine non deriva da "passione", ossia "sofferenza", per il fatto che in greco "patire" si dice πάσχειν, ma dal fatto che si passa, come ho detto, dalla morte alla vita, com'è indicato dalla parola ebraica: in questa lingua infatti "passaggio" si dice Pascha, come affermano i dotti.
A cos'altro volle accennare lo stesso Signore col dire: Chi crede in me, passerà dalla morte alla vita? ( Gv 5,24 )
Si comprende allora che il medesimo evangelista volle esprimere ciò specialmente quando, parlando del Signore che si apprestava a celebrare la Pasqua coi discepoli, dice: Avendo Gesù visto ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al padre etc. ( Gv 13,1 )
Nella passione e risurrezione del Signore viene messo dunque in risalto il passaggio dalla presente vita mortale a quella immortale, ossia il passaggio dalla morte alla vita.
Presentemente noi compiamo questo passaggio per mezzo della fede, che ci ottiene il perdono dei peccati e la speranza della vita eterna, se amiamo Dio e il prossimo, in quanto la fede opera in virtù della carità ( Gal 5,6 ) e il giusto vive mediante la fede. ( Ab 2,4 )
Ma vedere ciò che si spera, non è sperare: ciò che infatti si vede, perché sperarlo?
Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con paziente attesa. ( Rm 8,24 )
In conformità a questa fede, speranza e carità, con cui abbiamo cominciato a vivere nella grazia, già siamo morti insieme con Cristo e col battesimo siamo sepolti con lui nella morte, ( 2 Tm 2,12; Rm 6,4 ) come dice l'Apostolo: Poiché il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui; ( Rm 6,6 ) e siamo risorti con lui, poiché ci risuscitò insieme con lui, e ci fece sedere nei cieli insieme con lui. ( Ef 2,6 )
Ecco perché l'Apostolo ci esorta: Pensate alle cose di lassù, non alle cose terrene. ( Col 3, 1.2 )
Ma poi soggiunge dicendo: Poiché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi apparirete con lui vestiti di gloria; ( Col 3,3 ) con ciò c'indica chiaramente che vuol farci capire come adesso il nostro passaggio dalla morte alla vita ( che avviene in virtù della fede ) si compie mediante la speranza della futura risurrezione e della gloria finale, quando cioè questo elemento corruttibile, ossia questo corpo in cui ora gemiamo, si rivestirà dell'immortalità. ( 1 Cor 15,53 )
Noi infatti abbiamo fin d'ora le primizie dello Spirito in virtù della fede, ma gemiamo ancora nel nostro intimo, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo, poiché solo in speranza siamo già stati salvati. ( Rm 8,23 )
Dato che siamo in questa speranza, il corpo è bensì morto per causa del peccato, ma lo spirito è vivo per causa della giustizia.
Ma fa' attenzione a quel che segue: Ora, se lo Spirito di Colui che risuscitò Cristo dai morti abita in voi, Colui che risuscitò Cristo dai morti vivificherà pure i vostri corpi mortali per mezzo dei suo Spirito abitante in voi. ( Rm 8, 10s )
Pertanto la Chiesa intera, che si trova nel pellegrinaggio della natura soggetta alla morte, aspetta che si compia alla fine del mondo ciò che ci è stato mostrato in antecedenza avverato nel corpo di nostro Signore Gesù Cristo ch'è il primogenito dei redivivi, ( Col 1,18 ) poiché anche il suo corpo, di cui è capo egli stesso, non è altro che la Chiesa.
Alcuni, pertanto, considerando l'espressione che ricorre nell'Apostolo, che cioè noi siamo morti con Cristo ( Rm 6,8; Col 2,20; 2 Tm 2,11 ) e siamo risuscitati con Lui, e non comprendendo in qual senso lo dica, hanno pensato che la risurrezione sia già avvenuta e non occorra più sperarla alla fine dei tempi.
Tra costoro - dice egli - vi sono Imeneo e Fileto, i quali hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni. ( 2 Tm 2,17 )
Costoro sono confutati e biasimati dall'Apostolo, il quale tuttavia dice che siamo risorti con Cristo.
Ma in qual modo tale evento s'è compiuto in noi, se non, come dice egli stesso, in virtù della fede, della speranza e della carità secondo le primizie dello Spirito?
Ma poiché la speranza di ciò che si vede non è speranza, e perciò speriamo ciò che non vediamo, aspettiamo per mezzo della pazienza; ( Rm 8, 23.24 ) rimane ancora che si compia la redenzione del nostro corpo, aspettando la quale noi gemiamo intimamente.
Ecco perché Paolo dice pure: Siate contenti nella speranza, pazienti nella sofferenza. ( Rm 12,12 )
Il rinnovamento della nostra vita è pertanto il passaggio dalla morte alla vita, che s'inizia in virtù della fede, affinché nella speranza siamo contenti e nella sofferenza siamo pazienti, benché il nostro uomo esteriore si vada disfacendo mentre quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )
Proprio in vista della nuova vita e dell'uomo nuovo di cui ci si comanda di rivestirci ( Col 3, 9s ) spogliandoci di quello vecchio, purificandoci dal vecchio fermento per essere una pasta nuova, essendo già stato immolato Cristo, nostra Pasqua, ( 1 Cor 5,7 ) proprio in vista di questo rinnovamento della vita è stato stabilito per questa celebrazione il primo mese dell'anno, che perciò si chiama il mese dei nuovi raccolti. ( Es 23,15 )
Inoltre poiché nel volgere dei secoli è adesso apparsa la terza epoca, la risurrezione del Signore è avvenuta dopo tre giorni.
La prima epoca infatti è quella anteriore alla Legge, la seconda quella della Legge, la terza quella della Grazia, in cui si rivela il piano misterioso di Dio prima nascosto nell'oscurità delle profezie.
Ciò è dunque indicato pure dal numero dei giorni d'ogni fase lunare poiché nelle Scritture il numero sette suole essere simbolo di una certa perfezione e perciò la Pasqua si celebra la terza settimana della luna, cioè nel giorno che cade tra il quattordici e il ventuno del mese.
Vi è racchiuso pure un altro mistero; se ti sarà oscuro per il fatto d'essere meno istruito in siffatte cose, non t'addolorare e non credere ch'io sia migliore di te per il fatto d'averle apprese durante gli studi della mia fanciullezza.
Poiché chi vuol vantarsi, si vanti di questo, d'aver cioè senno e conoscere che io sono il Signore. ( Ger 9,23 )
Alcuni appassionati di tali cose fecero molte ricerche sui numeri e sui movimenti delle stelle.
E quelli di essi che fecero indagini più acute arguirono che le fasi della luna crescente e della luna calante provengono dal giro della sua sfera e non già dal fatto che ad essa si aggiunga qualche sostanza quando cresce e la perda quando cala, come credono nella loro aberrazione i Manichei: costoro dicono ch'essa viene riempita, come una nave, da una porzione fuggitiva di Dio, ch'essi con cuore e linguaggio sacrilego non si peritano di credere e proclamare unita ai Principi delle tenebre e macchiata delle loro sozzure.
Affermano dunque che quella parte di Dio, purificatasi con enormi sforzi dall'immondizia fuggendo da tutto il mondo e da tutte le fogne, si ricongiunge con Dio, che piange fintanto che non torni; la luna però si riempirebbe solo per la durata di mezzo mese, mentre metà del mese si riverserebbe nel sole come in un'altra nave.
Tuttavia fra queste esecrande bestemmie non poterono mai immaginare per qual motivo mai, sia quando comincia che quando cessa di risplendere, appaia come una falce luminosa, o perché cominci a decrescere a partire dalla metà del mese e non giunga piena fino alla fine del mese per versare quel che ha di superfluo.
Al contrario, coloro che studiano questi fenomeni mediante precisi calcoli matematici, riuscirono non solo a spiegare la causa delle eclissi di sole e di luna, ma pure a predire molto tempo prima il momento in cui sarebbero avvenute, e perfino fissarne in antecedenza nelle loro opere scritte, il ripetersi a determinati intervalli di tempo in base a calcoli precisi.
Coloro che leggono con intelligenza quegli scritti, predicono allo stesso modo i medesimi fenomeni, i quali avvengono proprio nel modo e nel tempo da essi predetto.
Quegli studiosi non sono bensì meritevoli di perdono secondo l'espressione della Sacra Scrittura in quanto, se giunsero a sapere tanto da formarsi una concezione dell'universo e del suo Signore, non lo trovarono più facilmente, ( Sap 13,9 ) come avrebbero potuto se avessero pregato con sentimenti di religione.
Essi comunque dalle stesse estremità delle falci lunari, opposte al sole sia nella fase crescente che in quella calante, dedussero che la luna è illuminata dal sole e, quanto più si allontana da esso, tanto più riceve i suoi raggi nella parte che si mostra alla terra, mentre al contrario quanto più gli si avvicina dopo la prima metà del mese, a partire dall'altra metà dell'orbita, tanto più è illuminata nella parte superiore, e non può ricevere i raggi nella parte rivolta alla terra e perciò sembra calare.
Se però si suppone la luna dotata di luce propria, l'avrebbe solo da una parte della metà della sua sfera e mostrerebbe quella parte alla terra un po' alla volta allontanandosi dal sole fino a mostrarla intera, mostrebbe cioè per così dire un accrescimento senza opporre alla propria massa nulla che le facesse difetto, ma con l'esporre quel che aveva in effetto; poi di nuovo nascondendo un po' alla volta quanto prima appariva, sembrerebbe calare.
Ma qualunque cosa si pensi di queste ipotesi, una cosa è chiara a chiunque esamini attentamente il fenomeno, che cioè la luna cresce ai nostri occhi solo allontanandosi dal sole e cala solo avvicinandoglisi dall'altra parte.
Fa' ora attenzione a ciò che si legge nei Proverbi: Il saggio persevera saldo come il sole, lo stolto invece cambia come la luna. ( Sir 27,12 )
E chi è il saggio che persevera se non il sole di giustizia di cui è detto: È sorto per me il sole di giustizia? ( Ml 3, 20 )
Nel giorno del giudizio gli empi battendosi il petto per il fatto che questo sole non è spuntato per loro, diranno: Non è brillata per noi la luce della giustizia e il sole non è spuntato per noi. ( Sap 5,6 )
Non si tratta di questo sole visibile agli occhi corporei, che Dio fa sorgere sui buoni e sui cattivi come pure fa piovere sui giusti e sugl'ingiusti. ( Mt 5,45 )
Si tratta di una di quelle similitudini tratte, come sempre, dalle cose visibili e adatte a significare le cose invisibili.
Chi è dunque lo stolto che cambia come la luna, se non Adamo, nel quale tutti hanno peccato?
Poiché l'anima dell'uomo allentandosi dal sole della giustizia, cioè dalla interiore contemplazione dell'immutabile verità, rivolge tutte le sue potenze spirituali alle cose terrene, per cui vieppiù gli si ottenebrano le facoltà interne e superiori.
Appena però comincia a tornare all'immutabile sapienza, quanto più le si avvicina con sentimenti religiosi, tanto più si sciupa l'uomo esterno, ma l'interno si rinnova di giorno in giorno e tutta la luce dell'ingegno, prima rivolta alle cose inferiori, si rivolge ora alle superiori e si stacca per così dire dalle cose terrene, perché muoia sempre di più a questa vita e la sua vita sia nascosta con Cristo in Dio. ( Col 3,3 )
L'uomo dunque fa un cambiamento tanto peggiore quanto più si spinge verso le cose esteriori e respinge dalla sua vita le realtà interiori: ( Sir 10,9 ) una tale condizione pare migliore alla terra, ossia a coloro che gustano soltanto le cose terrene, ( Fil 3,19 ) dal momento che il peccatore viene lodato per le brame del suo cuore e chi compie il male viene benedetto. ( Sal 10,3 )
L'uomo, al contrario, cambia in meglio quando a poco a poco distoglie la sua attenzione e la sua gloria dalle cose terrene, che si vedono in questa vita, e le indirizza alle cose superiori e interne; questa condizione sembra meno buona alla terra ossia a quelli che hanno il gusto delle cose terrene.
Ecco perché gli empi, nel loro inutile pentimento finale, tra gli altri numerosi loro rimpianti dovranno esclamare: Sono costoro quelli che noi consideravamo un tempo come oggetto di scherno e come tipi da coprire d'obbrobri.
Siamo noi i pazzi che stimavamo pazzia la loro vita. ( Sap 5, 3s )
Ecco perché lo Spirito Santo, per mostrarci con una similitudine i misteri invisibili attraverso le cose visibili, e attraverso le cose corporee i misteri spirituali, volle che il passaggio da una vita all'altra, cioè la Pasqua, fosse celebrata [ nel periodo che va ] dalla quattordicesima alla ventunesima luna; dalla quattordicesima, affinché si prendesse la similitudine della luna per indicare la terza epoca già ricordata non solo per il fatto che di lì comincia la terza settimana, ma per lo stesso fatto di rivolgersi dalle cose esteriori a quelle interiori; fino alla ventunesima invece a causa dello stesso numero corrispondente al triplo di sette, numero, questo, con cui spesso è indicata la totalità delle cose, numero simboleggiante pure la stessa Chiesa per il fatto ch'esso rappresenta la totalità dei fedeli.
Ecco perché l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse scrive alle sette Chiese. ( Ap 1,4 )
La Chiesa però, trovandosi ancora nella condizione mortale propria degli uomini fatti di carne, è indicata nella Sacra Scrittura col nome di luna a causa della mutevolezza della natura umana.
Ecco pure il perché di quell'espressione: Hanno preparato le loro saette nella faretra per saettare quelli che sono di cuore retto, quando la luna è oscura. ( Sal 9,3 sec. LXX )
Infatti prima che avvenga quanto dice l'Apostolo: Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora voi pure comparirete con lui nella gloria, ( Col 3,4 ) la Chiesa durante il suo pellegrinaggio sembra oscura, perché geme a causa di molte iniquità: e allora sono da temere le insidie degl'ipocriti seduttori, che volle indicati nel termine "saette".
Ecco perché in un altro passo, a proposito dei fedelissimi banditori della verità, generati in ogni luogo della Chiesa, è detto che essa è come la luna testimone fedele nel cielo. ( Sal 89,38 )
Cantando, il Salmista del regno di Dio: Spunterà - dice - nei giorni di lui la giustizia con abbondanza di pace fino a tanto che non vi sia più la luna, ( Sal 72,7 ) cioè l'abbondanza della pace crescerà fino a quando essa non distruggerà interamente ciò chè mutevole nella condizione della nostra mortalità.
Allora sarà distrutta l'ultima nemica, ossia la morte, e sarà distrutto interamente tutto ciò che deriva dalla debolezza della carne e ci oppone resistenza e ci impedisce di giungere alla perfetta pace, quando cioè questo corpo corruttibile si rivestirà dell'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivestirà dell'immortalità. ( 1 Cor 15, 26. 53s )
Ecco perché le mura della città chiamata Gerico, la quale in ebraico si dice che significa luna, caddero dopo che attorno ad esse fu portata per sette volte l'arca dell'Alleanza. ( Gs 6, 16.20 )
Cos'altro infatti fa ora l'annuncio del regno di Dio simboleggiato dall'arca portata intorno a Gerico, se non distruggere, mediante i sette doni dello Spirito Santo e il concorso del libero arbitrio, tutti i baluardi della vita mortale, cioè qualsiasi speranza di questa vita che si oppone alla speranza della vita futura?
Ecco perché le mura caddero mentre l'arca girava loro attorno, senza essere percosse da nessun colpo violento, ma spontaneamente.
Vi sono inoltre altri passi della Sacra Scrittura che nella luna ci fanno vedere simboleggiata la Chiesa, la quale nella condizione mortale della presente vita compie il suo pellegrinaggio tra le pene e le fatiche, lontana dalla celeste Gerusalemme di cui sono cittadini i santi Angeli.
Gli stolti però, che non vogliono cambiarsi in meglio, non devono per questo pensare che si debbano adorare gli astri del cielo per il fatto che talora questi sono presi nella Sacra Scrittura come simboli e figure dei misteri divini, perché ogni creatura può essere presa a simbolo.
Per lo stesso motivo non dobbiamo neppure incorrere nel giudizio di condanna pronunciato dalla bocca dell'Apostolo nei riguardi di alcuni, i quali adorarono e servirono la creatura a preferenza del Creatore ch'è benedetto per tutti i secoli. ( Rm 1,25 )
Come infatti non adoriamo le bestie, sebbene Cristo sia chiamato agnello ( Gv 1,29 ) e vitello, ( Ez 43,19 ) e neppure le fiere perché egli è stato chiamato il leone della tribù di Giuda ( Ap 5,5 ) e neppure le pietre perché pietra era il Cristo ( 1 Cor 10,4; Mt 21,42 ) e neppure il monte Sion perché in esso è raffigurata la Chiesa, ( 1 Pt 3,4 ) così non adoriamo neppure il sole o la luna, sebbene da queste creature della volta celeste come da molte altre creature terrestri si prendano figure simboliche per rappresentare e far comprendere realtà sacre e mistiche.
Sono quindi detestabili e ridicole le pazzie dei Manichei; allorché noi rinfacciamo ad essi le loro sciocche trovate con le quali precipitano altri nell'errore in cui sono precipitati prima essi stessi, pare loro d'essere spiritosi ed eloquenti rispondendoci: "E perché voi pure celebrate la Pasqua fissandola in base a un computo solare e lunare?".
Come se noi biasimassimo il moto regolare degli astri o l'avvicendarsi delle stagioni, stabiliti dal sommo ottimo Dio, e non precisamente la loro eresia, la quale si serve di realtà create dalla somma Sapienza per suffragare le falsissime opinioni della loro insipienza!
Se infatti gli astrologi volessero rinfacciarci che prendiamo delle similitudini dagli astri e dalle stelle del cielo per indicare simbolicamente delle realtà sacre e misteriose, ci rinfaccino pure anche gli aruspici che ci venga detto: Siate semplici come colombe; ci rinfaccino pure gl'incantatori di serpenti che ci venga detto: [ Siate ] astuti come serpenti; ( Mt 10,16 ) ci rinfaccino pure anche gli istrioni che nei Salmi nominiamo la cetra.
Così pure, poiché da tali cose prendiamo dei simboli per rappresentare i significati misteriosi delle parole di Dio, dicano pure, se loro piace, che noi ne ricaviamo auspici o prepariamo farmaci o cerchiamo d'imitare scene immorali!
Soltanto dei pazzi da legare potrebbero affermare una simile cosa.
Noi quindi non siamo soliti trarre congetture circa il futuro delle nostre azioni dal sole o dalla luna, dalle stagioni o dalle vicende dei mesi, per non correre il rischio di far naufragare il libero arbitrio nelle pericolosissime tempeste della vita umana e andare a sbattere, per così dire, negli scogli d'una miseranda schiavitù.
Noi al contrario, per indicare il significato sacro d'una cosa, prendiamo ormai a simbolo, con profondo sentimento religioso e con cristiana libertà, le cose adatte di tutta la creazione, come i venti, il mare, la terra, i volatili, i pesci, le bestie, gli alberi, gli uomini; noi usiamo tali paragoni [ solo ] nei nostri discorsi, mentre nella celebrazione dei sacramenti ci serviamo d'un numero assai limitato di cose, come l'acqua, il frumento, il vino e l'olio.
Anche durante il tempo in cui l'antico popolo viveva nella schiavitù della Legge, fu ordinata la celebrazione di molti riti sacri che ora ci sono tramandati solo affinché ne conosciamo l'intimo significato.
Per questo motivo noi non osserviamo né i giorni, né gli anni, né i mesi né le stagioni, per non sentirci dire dall'Apostolo: Temo per voi d'essermi affaticato inutilmente in mezzo a voi. ( Gal 4,11 )
Egli infatti biasima coloro che dicono: "[ Oggi ] non partirò, perché è un giorno di cattivo augurio", oppure: "perché la luna si trova nella tal fase", oppure: "Partirò affinché gli affari vadano bene, poiché la posizione delle stelle è propizia", oppure: "Questo mese non mi darò al commercio, poiché la mia stella compie il mese", oppure: "Mi darò al commercio, poiché la mia stella comincia il mese", "Quest'anno non pianterò la vigna, perché è bisestile".
Nessun individuo saggio però pensa che siano da biasimare quelli che osservano le circostanze dei tempi perché dicono: "Oggi non parto, perché s'è scatenata una tempesta" oppure: "Non m'imbarcherò, perché ci sono ancora strascichi dell'inverno" oppure: "È tempo di seminare, perché la terra è satura delle piogge autunnali" e così dicasi degli altri fenomeni naturali osservati nella ordinatissima rivoluzione degli astri in rapporto ai mutamenti atmosferici e all'umidità, capaci di variare la natura delle stagioni.
Di tali astri, quando vennero creati, fu detto: Servano per segnali, per ricorrenze, per giorni e per anni. ( Gen 1,14 )
Se inoltre altre immagini simboliche sono prese non solo dal cielo e dagli astri, ma pure dalle creature inferiori al fine d'indicare l'attuazione del piano divino della salvezza, esse sono come un insegnamento assai eloquente ed efficace della salvezza, capaci di commuovere i sentimenti dei discepoli elevandoli dalle cose visibili alle invisibili, dalle corporali alle spirituali, dalle temporali alle eterne.
Ma nessuno di noi sta a considerare, nel tempo in cui si celebra la Pasqua, se il sole si trova nella costellazione chiamata dell'Ariete, dove realmente si trova nel mese dei nuovi raccolti.
Comunque si chiami quella regione del cielo, o Ariete o con altro nome, noi sappiamo dalla S. Scrittura che tutte le stelle furono create da Dio, il quale le dispose nelle zone da lui volute; quali che siano le costellazioni in cui dividono le regioni del cielo trapunte di stelle disposte in ordinati raggruppamenti, quali che siano i nomi con cui vengono contrassegnate, quale che sia la costellazione in cui si trovi il sole nel mese dei nuovi raccolti, la ricorrenza celebrativa della Pasqua ve lo incontrerà per indicare il significato simbolico del mistero consistente nel rinnovamento della vita, di cui abbiamo parlato abbastanza.
Del resto, anche se fosse possibile che la costellazione sia stata chiamata Ariete a causa della conformazione della sua figura, la parola di Dio non esiterebbe nemmeno per questo a trarne un significato simbolico di qualche realtà sacra, allo stesso modo che trasse rappresentazioni simboliche per indicare allegoricamente le cose da altre creature non solo celesti ma anche terrestri, come le prese da Orione e dalle Pleiadi, dal monte Sinai e dal monte Sion, dai fiumi chiamati Geon, Phison, Tigri, Eufrate, come le prese dallo stesso Giordano, tante volte nominato nei santi misteri.
Ma una cosa è osservare le costellazioni per esaminare i fenomeni atmosferici, come fanno gli agricoltori, o come fanno i naviganti per contrassegnare le regioni del mondo e segnare la rotta della navigazione da un punto preciso verso una determinata meta, come fanno i piloti delle navi e i viaggiatori che attraversano i deserti sabbiosi nell'interno delle regioni torride, prive di vere strade; una cosa ben diversa è menzionare qualche costellazione, per indicare il significato simbolico d'una dottrina utile; una cosa del tutto diversa da queste osservazioni utili sono quelle futili e false di coloro che osservano le costellazioni non per conoscere le condizioni dell'atmosfera o le vie che attraversano le regioni o solo le caratteristiche delle stagioni o le rassomiglianze con le realtà spirituali, ma per prevedere gli eventi come fossero già predisposti dal fato; chi non lo capisce?
Ma passiamo ormai oltre e vediamo perché nel celebrare la Pasqua si osserva che preceda il sabato, poiché ciò è caratteristico della religione cristiana.
I Giudei infatti osservano solo il mese delle nuove messi e la luna dal quattordicesimo al ventunesimo suo giorno.
Ora, la Pasqua giudaica, in cui subì la passione il Signore, cadde in modo che tra la sua morte e la risurrezione intercorse il giorno di sabato.
I nostri padri reputarono quindi opportuno che non solo la nostra festività venisse distinta da quella giudaica, ma che nella celebrazione anniversaria della Passione si osservasse dai posteri ciò che deve credersi compiuto non senza ragione da Colui, ch'esiste prima dei tempi e dal quale sono stati creati i tempi, il quale venne nella pienezza dei tempi. ( Gal 4,4 )
È lui che ha il potere di dare la propria vita e di riprenderla di nuovo; ( Gv 10,18 ) e perciò quando diceva: Non è ancor giunta la mia ora, ( Gv 2,4 ) non aspettava un'ora predisposta dal fato, ma quella più opportuna per far conoscere e far risaltare il piano misterioso della salvezza.
Ciò che adesso facciamo con la fede e con la speranza e ci sforziamo di raggiungere con la carità, è precisamente il riposo santo e perpetuo da ogni fatica e da ogni molestia; per giungere ad esso noi compiamo il passaggio da questa vita, che nostro Signore Gesù Cristo ebbe la bontà d'insegnarci e di santificare con la sua passione.
Questo riposo però non consiste in un'infingarda inattività, ma in un'ineffabile tranquillità di riposante attività.
Poiché alla fine delle opere della nostra vita noi ci riposiamo affinché godiamo nell'attività della vita eterna.
Ma poiché siffatta attività si compie lodando Iddio senza fatica delle membra e senz'affanno di pensieri, il riposo per cui si passa a tale attività non è seguito da alcuna fatica, ossia l'attività non comincia in modo che finisca il riposo, poiché non è un tornare alle fatiche e agli affanni, ma è un'attività che conserva ciò che costituisce la caratteristica del riposo, ossia agire senza affaticarsi, pensare senza preoccuparsi.
Poiché dunque per mezzo del riposo si torna alla prima vita, dalla quale l'anima cadde in peccato, questo riposo è simboleggiato nel sabato.
Quella prima vita che si restituisce a coloro che tornano dall'esilio di questa vita e che ricevono il vestito più bello, ( Lc 15, 22s ) è simboleggiata dal primo giorno della settimana, che noi chiamiamo Domenica.
Esamina i sette giorni, leggi la Genesi ( Gen 2, 2s ) e troverai il settimo giorno senza sera, poiché simboleggia il riposo senza fine.
La prima vita non fu dunque eterna per l'uomo peccatore, mentre l'ultimo riposo sarà eterno e perciò anche l'ottavo giorno avrà la felicità eterna, poiché il riposo eterno è incluso, non concluso nell'ottavo, altrimenti non sarebbe eterno.
L'ottavo giorno sarà quindi come il primo, sicché la prima vita non sarà annullata, ma tramutata in eterna.
All'antico popolo fu tuttavia comandato di celebrare il sabato accompagnandolo col riposo del corpo, affinché fosse simbolo della santificazione che si accompagna al riposo elargito dallo Spirito Santo.
In nessun passo della Genesi leggiamo che venissero santificati i primi giorni, mentre del solo sabato è detto: E Dio santificò il settimo giorno. ( Gen 2,3 )
In realtà amano il riposo tanto le anime pie quanto le empie, le quali però non sanno, per lo più, come giungere a quel che amano.
Gli stessi corpi, in virtù della forza di gravità, non cercano di raggiungere se non quel che cercano le anime per la forza delle loro passioni.
Poiché, allo stesso modo che il corpo tende col suo peso a muoversi verso il basso o verso l'alto fino a tanto che non raggiunga la posizione verso la quale tende e non vi si riposi - l'olio infatti, se si getta in aria, tende col suo peso verso il basso, mentre, se si mette nell'acqua, tende in alto - così le anime tendono a ciò che amano per raggiungerlo e riposarvisi.
Molti sono bensì i piaceri che si provano attraverso il corpo, ma non si trova in essi il riposo eterno e nemmeno un riposo di lunga durata e perciò insozzano l'anima, anzi l'appesantiscono impedendole la sua naturale inclinazione per cui è spinta verso le cose celesti.
Quando però l'anima si compiace di se stessa, non si compiace ancora delle cose immutabili ed è quindi ancora superba, poiché considera se stessa come il sommo bene, mentre molto superiore ad essa è Iddio.
Ma non viene lasciata senza punizione in questo peccato, poiché Dio si oppone ai superbi, agli umili invece dà la grazia. ( 1 Pt 5,5; Gc 4,6 )
Quando invece ripone le sue compiacenze in Dio, in Lui trova il vero, sicuro, eterno riposo, che andava cercando in altri beni senza trovarlo.
Ecco perché nel Salmo siamo così esortati: Riponi le tue compiacenze nel Signore ed Egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore. ( Sal 37,4 )
Poiché dunque la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, che ci è stato elargito, ( Rm 5,5 ) perciò è ricordata la santificazione del settimo giorno, in cui è comandato il riposo.
Ma poiché non possiamo fare il bene senza il suo aiuto, come dice l'Apostolo: Dio infatti opera in voi il volere e l'operare secondo la buona volontà ( Fil 2,13 ) e non potremo riposarci dopo tutte le nostre opere buone compiute in questa vita, se non siamo stati santificati e perfetti per l'eternità, perciò dello stesso Dio si dice che avendo compiute tutte le opere assai buone, il settimo giorno si riposò da qualsiasi opera da lui fatta. ( Gen 1,31; Gen 2,2 )
Con ciò volle simboleggiare il riposo futuro che avrebbe dato agli uomini dopo le buone opere.
Come infatti, quando compiamo il bene, si dice che opera in noi lui per dono del quale compiamo il bene, così quando riposiamo, si dice che a riposare è lui per dono del quale noi riposiamo.
Per conseguenza nei primi tre precetti dei Decalogo riguardanti Dio - gli altri sette riguardano il prossimo, cioè l'uomo, poiché da due precetti dipende tutta la Legge ( Mt 22,40 ) - si trova il terzo sull'osservanza del sabato, affinché nel primo precetto comprendiamo l'adorazione dovuta al Padre quando ci proibisce di adorare un'immagine di Dio fabbricata dall'uomo, non perché Dio non abbia la sua immagine, ma perché non si deve adorare alcuna sua immagine che non sia quella identica a lui stesso, né l'immagine deve adorarsi al posto di lui ma insieme con lui.
E siccome la creatura è mutevole e perciò è detto: Ogni creatura è soggetta alla leggerezza ( Rm 8,20 ) e ogni creatura in particolare mostra la natura di tutte, affinché nessuno mettesse tra le creature il Verbo, Figlio di Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto, ( Gv 1,3 ) segue l'altro precetto: Non servirti del nome di Dio senza motivo. ( Es 20,7; Dt 5,11 )
Nel terzo precetto della Legge ci viene indicato lo Spirito Santo, in virtù del quale ci viene largito il riposo che cerchiamo ovunque ma che non troviamo se non nell'amore di Dio, dal momento che la sua carità è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato largito, ( Rm 5,5 ) poiché Dio santificò il settimo giorno, ( Gen 2,3 ) in cui si riposò.
Ciò è stato scritto sull'osservanza del sabato non già perché pensiamo di trovare il riposo in questa vita, ma affinché le buone opere che compiamo tendano solo verso il riposo eterno.
Ricorda soprattutto quanto già più sopra ho ricordato, che siamo salvati nella speranza, ma la speranza di ciò che si vede non è più speranza. ( Rm 8,24 )
Orbene, tutte queste cose, che ci sono presentate sotto figure simboliche, hanno lo scopo d'alimentare e in un certo qual modo di attizzare il fuoco dell'amore, per mezzo del quale, come da una forza, noi siamo trascinati al di sopra o all'interno di noi stessi verso la pace.
Così presentate, esse commuovono e accendono l'amore con più forza che se ci fossero proposte nude senza alcuna raffinazione simbolica delle realtà sacre.
È difficile spiegare il motivo di ciò.
Ma sta il fatto che una verità annunciata per mezzo di un'immagine allegorica commuove, piace ed è apprezzata maggiormente che se fosse annunciata nel modo più chiaro e coi termini appropriati.
Io credo che il sentimento dell'anima, finché rimane legato alle cose terrene, è più lento a infiammarsi; se invece viene portato verso immagini corporee e da queste trasportato alle realtà spirituali, che gli vengono mostrate da quelle figure, viene per così dire ad acquistare un nuovo vigore dallo stesso processo di trasposizione e con amore più ardente è trascinato al riposo eterno, come il fuoco d'una fiaccola s'accende più forte se viene agitata.
Perciò fra tutti i dieci comandamenti solo quello riguardante il riposo del sabato ci viene ordinato di osservarlo in senso allegorico; ci siamo proposti di comprenderne dunque il significato allegorico e non già di praticarlo pure col riposo corporale.
Il sabato è bensì il simbolo del riposo spirituale, del quale è detto nel salmo: Riposatevi e riconoscete ch'io sono il Signore, ( Sal 46,11 ) riposo al quale sono chiamati gli uomini dallo stesso Dio con le parole: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo, prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre. ( Mt 11, 28s )
Tutti gli altri comandamenti invece li osserviamo come veri e propri precetti senza intenderli affatto simbolicamente.
Infatti sappiamo chiaramente cosa vuol dire non adorare gl'idoli; non servirsi senza motivo del nome del Signore nostro Dio, e onorare il padre e la madre, e non fornicare, non uccidere e non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la moglie del prossimo, non desiderare nulla di ciò che appartiene al prossimo, ( Es 20,1-17; Dt 5, 6.21 ) non enunciano un significato simbolico e ne hanno un altro mistico ma si osservano secondo il loro significato letterale.
Non ci si comanda tuttavia di osservare il sabato nel suo significato letterale di riposo dall'attività fisica, come lo osservano i Giudei, il cui modo di osservare il precetto così come suona letteralmente è giudicato ridicolo qualora non è simbolo d'un altro riposo spirituale.
Non è quindi illogico pensare che tutto ciò che nella Sacra Scrittura è detto allegoricamente vale ad eccitare l'amore con cui tendiamo al riposo, dal momento che l'unico precetto del Decalogo espresso in forma allegorica è quello del riposo, che naturalmente viene cercato col desiderio ma viene trovato santo e sicuro solo in Dio.
La domenica invece è stata indicata chiaramente come giorno sacro non per i Giudei, ma per i Cristiani per causa della risurrezione del Signore e da allora si cominciò a celebrarla come giorno di festa.
In realtà tutte le anime dei santi sono bensì nel riposo prima ancora della risurrezione del corpo, ma non si trovano nell'attività di cui sono vivificati i corpi quando saranno ripresi dalle anime.
Di questa attività è simbolo l'ottavo giorno, ch'è pure il primo, poiché la risurrezione non elimina, ma glorifica il riposo.
Col corpo infatti non torneranno le molestie del corpo, poiché non vi sarà più la corruzione.
Bisogna infatti che questo corpo corruttibile si rivesta dell'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivesta dell'immortalità. ( 1 Cor 15,53 )
Prima della risurrezione del Signore ai santi Patriarchi pieni di spirito profetico non era certo nascosta l'allegoria dell'ottavo giorno con cui viene significata la risurrezione; infatti qualche salmo è intitolato "per l'ottava" ( Sal 6,11 ) e i bambini venivano circoncisi l'ottavo giorno dopo la nascita ( Gen 17,12 ) e nell'Ecclesiaste, per simboleggiare i due Testamenti, si dice: Da' loro sette parti e a quelli otto. ( Qo 11,2 )
Tale significato simbolico però rimane riservato e segreto e fu insegnato solo che si doveva celebrare il sabato.
Infatti i morti godevano già il riposo ma non v'era ancora la risurrezione di nessuno fino a quando venisse chi risorgendo dai morti ormai non morisse mai più e la morte non dominasse più su di lui. ( Rm 6,9 )
Solo dopo avvenuta la risurrezione del corpo del Signore ( affinché precedesse nel Capo della Chiesa ciò che il corpo della Chiesa doveva sperare per la fine ) si sarebbe cominciato a celebrare ormai la Domenica, ossia l'ottavo giorno, che è pure il primo.
Si comprende pure il motivo per cui fu bensì ai Giudei comandato di celebrare la Pasqua, quando fu loro comandato di uccidere e mangiare l'agnello, rito questo che prefigura evidentissimamente la Passione del Signore, ma non fu loro comandato che facessero attenzione alla data del sabato e alla coincidenza del mese delle nuove messi con la terza settimana della luna.
A contrassegnare il medesimo giorno con la sua passione doveva essere piuttosto il Signore, ch'era venuto per mostrare chiaramente anche la Domenica, cioè l'ottavo giorno ch'è pure il primo.
Ora considera attentamente i tre giorni santi della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione del Signore.
Di questi tre misteri compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre compiamo per mezzo della fede e della speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione.
Adesso infatti viene detto all'uomo: Prendi la tua croce e seguimi. ( Mt 16,24 )
La carne viene crocifissa quando vengono fatte morire le nostre membra terrene, la fornicazione, l'impurità, la lussuria, l'avarizia ( Col 3,5 ) e tutte le altre passioni di tal fatta, delle quali l'Apostolo dice: Se infatti vivrete secondo la carne morrete; se invece mediante lo spirito farete morire le opere del corpo, vivrete. ( Rm 8,13 )
Perciò di se stesso dice: Il mondo è crocifisso per me com'io per il mondo. ( Gal 6,14 )
E, in un altro passo: Ben sapendo - dice - che il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui affinché fosse distrutto il corpo del peccato sicché non siamo più schiavi del peccato. ( Rm 6,6 )
Tutto il tempo dunque in cui le nostre opere fanno sì che sia distrutto il corpo del peccato, tutto il tempo in cui si corrompe l'uomo esterno, perché si rinnovi di giorno in giorno quello interiore, è il tempo della croce.
Queste opere sono pure certamente buone ma ancora penose, il cui premio è il riposo.
Sta scritto però: Siate pieni di gioia nella speranza, ( Rm 12,12 ) affinché noi sorretti dal pensiero del riposo futuro affrontiamo con gioia i travagli provenienti dalle nostre opere.
Di questa gioia è simbolo l'allargarsi della croce nel legno trasversale su cui vengono confitte le mani, nelle quali sappiamo che sono simboleggiate le opere buone, come nella larghezza è figurata la gioia di chi compie le opere buone poiché la tristezza è causa di angustie; la parte più alta invece, sulla quale si pone la testa, simboleggia la ricompensa che si aspetta dall'altissima giustizia di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere, cioè la vita eterna a quelli i quali con la costanza nel fare il bene ricercano la gloria, l'onore e l'immortalità. ( Rm 2, 6s )
Perciò anche la parte più lunga, su cui viene disteso tutto il corpo, è simbolo della tolleranza, per cui sono chiamati longanimi quelli che sopportano.
La parte invece più profonda, conficcata nella terra, simboleggia il mistero della realtà religiosa.
Ricorderai infatti, se non m'inganno, le parole dell'Apostolo, che potrei usare a proposito di quello significato della croce nel passo ove dice: Radicati e fondati nella carità affinché siate capaci di comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità. ( Ef 3, 17s )
Le cose poi che non vediamo né possediamo ma che compiamo con la fede e la speranza, sono state simboleggiate negli altri due giorni.
Poiché le cose che facciamo adesso, come inchiodati coi chiodi dei comandamenti nel timore di Dio, com'è scritto: Inchioda col tuo timore le mie carni, ( Sal 119,120 ) sono considerate come necessarie ma non da desiderarsi e bramarsi per se stesse.
Ecco perché l'Apostolo dice che è assai meglio il suo desiderio di sciogliersi dal corpo ed essere con Cristo; ma il rimanere in vita è necessario - egli dice - per il vostro bene. ( Fil 1, 23s )
La frase dunque essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo indica l'inizio del riposo che non è interrotto, ma reso glorioso dalla risurrezione, che ora è creduta fermamente per mezzo della fede e perciò il giusto vive per mezzo della fede. ( Ab 2,4 )
Ignorate forse - dice - che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo siamo stati immersi come nella morte di lui?
Siamo stati dunque sepolti con lui nell'immersione come per la morte. ( Rm 6,3 )
E come, se non mediante la fede?
Ciò infatti non ha avuto compimento in noi, che ancora gemiamo nell'anima mentre aspettiamo l'adozione, la redenzione del nostro corpo.
Nella speranza infatti siamo salvati.
Ma la speranza di ciò che si vede non è speranza.
Poiché ciò che si vede, perché anche lo si spera?
Se invece si spera ciò che non si vede, si aspetta con la pazienza. ( Rm 8, 24s )
Tieni a mente quanto spesso ti ricordo questa massima: non dobbiamo credere di diventare felici fin d'ora in questa vita e liberi da tutte le difficoltà; evitiamo tale falsa persuasione affinché, quando siamo nelle strettezze temporali, non mormoriamo sacrilegamente contro Dio, come se non volesse concederci ciò che ci ha promesso.
Ci ha promesso, è vero, anche le cose necessarie a questa vita, ma altro è il sollievo degli infelici, altro la gioia dei beati.
O Signore - dice il Salmista - in seguito alle molte afflizioni del mio cuore, le tue consolazioni mi deliziarono l'anima. ( Sal 94,19 )
Non mormoriamo dunque nelle difficoltà per non perdere l'effusione di gioia, di cui si dice: Siate pieni di gioia nella speranza, a cui segue: pazienti nell'afflizione. ( Rm 12,12 )
La vita nuova s'incomincia dunque nella fede, si svolge nella speranza ma raggiungerà la sua perfezione solo quando la morte sarà assorbita nella vittoria, ( 1 Cor 15,54 ) quando sarà distrutto l'ultimo nemico, la morte, ( 1 Cor 15,26 ) quando saremo trasformati e diventati come angeli.
Tutti infatti - dice - risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati. ( 1 Cor 15,51 )
Il Signore pure dice: Saranno uguali agli Angeli di Dio. ( Lc 20,36 )
Poiché adesso siamo stati afferrati da Dio nel timore mediante la fede, allora invece arriveremo ad afferrare la meta nella carità mediante la visione diretta.
Poiché fin quando siamo nel corpo, siamo esuli lontani dal Signore, poiché camminiamo nella fede e non nella visione diretta. ( 2 Cor 5,6 )
Lo stesso Apostolo che dice: per afferrare come sono stato afferrato, confessa apertamente di non aver raggiunto la perfezione.
Fratelli - egli dice - non credo d'aver raggiunto la meta. ( Fil 3, 12s )
Ma perché la stessa speranza è per noi sicura in base alla promessa della Verità, l'Apostolo dopo aver detto: Siamo stati quindi sepolti con lui mediante l'immersione per la morte, prosegue dicendo: affinché allo stesso modo che Cristo risorse dai morti per la gloria del Padre; così anche noi camminiamo in una vita nuova. ( Rm 6,4 )
Camminiamo dunque nella realtà delle fatiche, ma pure nella speranza del riposo, nella carne della realtà vecchia ma pure nella speranza della realtà nuova.
Dice infatti: Il corpo è morto bensì per causa del peccato, ma lo spirito è vivo in virtù della giustizia.
Orbene, se lo Spirito di Colui, che risuscitò Gesù Cristo dai morti, abita in voi, vivificherà pure i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito abitante in voi. ( Rm 8, 10s )
Queste realtà spirituali vengono celebrate durante la ricorrenza anniversaria della Pasqua ( naturalmente in un grande mistero di significato simbolico, come già tu comprendi ) in base all'autorità delle Sacre Scritture e per consenso della Chiesa universale sparsa per tutto il mondo.
Nelle Sacre Scritture dell'Antico Testamento non è prescritto il tempo per la celebrazione della Pasqua se non nel mese delle nuove spighe dalla decima quarta alla ventesima prima luna; ma poiché dal Vangelo risulta chiaro in quali giorni il Signore fu crocifisso e rimase nel sepolcro e risorse, dai concili dei Padri fu aggiunta pure l'osservanza di quei giorni e tutto il mondo cristiano si persuase che la Pasqua deve essere celebrata in quel modo.
L'origine del digiuno della Quaresima si trova non solo nella Sacra Scrittura del Vecchio Testamento, per l'esempio di Mosè ( Es 34,29 ) e di Elia, ( 1 Re 19,8 ) ma anche nel Vangelo, poiché il Signore digiunò altrettanti giorni ( Mt 4,2 ) dimostrando così che il Vangelo non è in contrasto con la Legge e i Profeti.
Poiché in Mosè è personificata la Legge, in Elia sono personificata i Profeti, tra i quali Cristo apparve glorioso sul monte, ( Mt 17,1-13; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36 ) affinché fosse più evidente ciò che di lui afferma l'Apostolo: avendo la testimonianza della Legge e dei Profeti. ( Sal 84,5 )
In qual parte dell'anno dunque si sarebbe potuto stabilire più convenientemente la pratica della Quaresima se non in quella contigua e vicina alla Domenica della Passione?
Poiché essa è figura di questa vita travagliosa, alla quale è necessaria la continenza per tenersi lontano dall'amicizia del mondo, la quale non cessa naturalmente di farci false carezze, di spargere attorno a noi e vantare le sue false attrattive.
La presente vita poi è raffigurata - a mio parere - dal numero quaranta.
Mi spiego: nel numero dieci è la perfezione della nostra felicità; essa è raffigurata pure nel numero otto, perché esso si riconduce al primo, come pure nel numero quaranta, poiché la creatura ch'è raffìgurata dal numero sette s'unisce al Creatore, in cui si mostra chiaramente l'unità della Trinità.
Ripeto: il numero dieci è stato annunciato per questa vita in tutto il mondo, poiché esso è pure diviso nei quattro punti cardinali ed è formato dai quattro elementi e cambia secondo le quattro stagioni.
Ora, dieci per quattro fa quaranta; se poi il numero quaranta si conta nelle sue parti e si aggiunge il numero dieci, si ha cinquanta come la ricompensa della fatica e della continenza.
Non per nulla lo stesso Signore visse su questa terra e in questa terra con i Discepoli per quaranta giorni dopo la risurrezione e dieci giorni dopo la sua ascensione al cielo mandò lo Spirito Santo promesso, quando arrivò il giorno della Pentecoste.
Questo cinquantesimo giorno contiene un altro significato simbolico, poiché sette per sette fa quarantanove e poiché si ritorna all'inizio che è l'ottavo, identico al primo, si ha il risultato di cinquanta giorni che si celebrano dopo la risurrezione del Signore, non più nella figura simbolica della fatica, ma del riposo e della gioia.
Per questo motivo vengono interrotti i digiuni e preghiamo stando in piedi, il che è simbolo della risurrezione.
Per questo motivo quest'usanza viene osservata all'altare anche tutte le domeniche e si canta l'alleluia, che significa che la nostra azione futura non è se non lodare Dio, come sta scritto: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore; essi ti loderanno per tutti i secoli. ( Sal 84,5 )
Ma i cinquanta giorni sono messi in risalto anche nella S. Scrittura e non solo nel Vangelo per il fatto che allora discese lo Spirito Santo, ma anche nei Libri del Vecchio Testamento.
Poiché anche allora, dopo la celebrazione della Pasqua compiuta con l'uccisione dell'agnello, si contano cinquanta giorni fino al giorno in cui sul monte Sinai fu data la Legge, scritta col dito di Dio, al servo di Dio Mosè.
Orbene, nel Vangelo si mostra chiaramente che il dito di Dio significa lo Spirito Santo.
Infatti lo stesso fatto espresso da un Evangelista con le parole: Mediante il dito di Dio scaccio i demoni, ( Lc 11,20 ) un altro lo esprime così: Io scaccio i demoni mediante lo Spirito di Dio. ( Mt 12,28 )
Chi non preferirebbe a tutti gl'imperi di questo mondo, anche se ridotti in pace con straordinaria fortuna, la gioia che procurano i divini misteri quando rifulgono ai nostri occhi alla luce della pura ed esatta dottrina?
Non è forse vero che, al modo che i due Serafini innalzano lodi all'Altissimo in un perfetto accordo di voci mentre rispondono l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti, ( Is 6,3 ) così i due Testamenti ripetono la santa verità con pieno accordo?
Viene ucciso l'agnello, viene celebrata la Pasqua e dopo cinquanta giorni viene data la Legge del timore scritta col dito di Dio; ( Es 31,18 ) viene ucciso il Cristo, il quale si lasciò condurre ad essere immolato come una pecora, ( Is 53,7 ) secondo quanto afferma il profeta Isaia; viene celebrata la vera Pasqua e dopo cinquanta giorni viene dato lo Spirito d'amore, ch'è il dito di Dio contrario alle persone egoiste, le quali perciò portano un giogo aspro e un fardello pesante ma non trovano riposo per le loro anime, poiché la carità non cerca il proprio tornaconto. ( 1 Cor 13,5 )
Ecco perché l'animosità degli eretici è sempre senza pace; a proposito di essi l'Apostolo afferma che i loro sforzi sono simili a quelli dei maghi del Faraone: Come infatti Iamnes e Mambres si opposero a Mosè, costoro si oppongono alla verità, come persone dalla mente corrotta, reprobe riguardo alla fede; ma non approderanno a nulla, poiché la loro stoltezza sarà nota a tutti, come lo fu la stoltezza di quelli. ( 2 Tm 3,8s )
Poiché la corruzione della loro mente li riempì di turbamento e li fece fallire al terzo prodigio, dovendo così ammettere ch'era loro contrario lo Spirito Santo, ch'era invece in Mosè.
Infatti, mentr'erano sconfitti, esclamarono: Qui è il dito di Dio! ( Es 8,19 )
E come lo Spirito Santo quando è benevolo e placato concede pace ai miti ed umili di cuore, così quando è contrario e ostile tormenta con l'inquietudine i violenti e i superbi.
Simbolo di tale inquietudine erano le zanzare, oppressi dalle quali i maghi del Faraone persero il loro potere, e confessarono: Qui c'è il dito di Dio!
Leggi l'Esodo e considera quanti giorni dopo la celebrazione della Pasqua fu data la Legge.
Dio parla a Mosè nel deserto del Sinai il terzo giorno del terzo mese.
Osserva dunque il primo giorno dopo l'inizio del terzo mese e considera cosa dica tra l'altro: Discendi - dice - rendi testimonianza al popolo e purificali oggi e domani, lavino i loro vestiti e siano pronti per il terzo giorno.
Poiché il terzo giorno il Signore discenderà dal monte Sinai al cospetto di tutto il popolo. ( Es 19,20 )
Fu allora dunque che venne data la Legge, cioè il terzo giorno del terzo mese.
Conta pertanto dal giorno quattordici del primo mese, in cui fu celebrata la Pasqua, fino al terzo giorno del terzo mese e avrai diciassette giorni del primo mese, trenta del secondo mese e tre del terzo, che dànno il totale di cinquanta.
La Legge dentro l'arca significa la santificazione del corpo del Signore, mediante la cui risurrezione ci è promesso il riposo futuro, per conseguire il quale ci viene ispirata la carità dallo Spirito Santo.
Ma lo Spirito ancora non era stato largito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. ( Gv 7,39 )
Per questo stesso motivo fu proclamata dal Salmista la profezia: Sorgi, o Signore, per entrare nel tuo riposo, tu e l'arca della tua santificazione. ( Sal 132,8 )
Per questo abbiamo ricevuto fin d'ora il pegno per amarlo e desiderarlo.
Tutti poi sono chiamati nel nome dei Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ( Mt 28,19 ) al riposo dell'altra vita, alla quale si giunge passando da questa vita, passaggio simboleggiato dalla Pasqua.
Per questo motivo il numero cinquanta moltiplicato per tre con l'aggiunta del numero tre, per meglio esprimere l'eccellenza del simbolo, si trova pure in quei grossi pesci che già il Signore ordinò di trarre su dal lato destro della barca dopo la risurrezione, per dimostrare la nuova vita; e le reti non si ruppero, ( Gv 21,6-11 ) per indicare che allora non ci sarà più inquietudine da parte degli eretici.
Allora l'uomo perfetto e quieto, purificato nell'anima e nel corpo dalle parole di Dio caste come l'argento della terra purificato col fuoco, purgato sette volte dalle scorie, ( Sal 12,7 ) riceverà per ricompensa un danaro ( Mt 20, 2. 9-10.13 ) affinché facciano diciassette.
Poiché pure in questo numero, come in altri che forniscono mutevoli simbolismi, si trova un meraviglioso significato simbolico.
Né senza un motivo nel Libro dei Re si legge intero il solo salmo decimosettimo ( 2 Sam 22,2-51 ) poiché è simbolo di quel regno in cui non avremo l'avversario.
Esso infatti è intitolato: Nel giorno in cui Dio liberò David dalle mani di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul. ( 2 Sam 22,1 )
Chi difatti è rappresentato allegoricamente in David, se non Colui il quale, venuto sulla terra come vero uomo discendente dalla stirpe di David, ( Rm 1,3 ) è veramente sottoposto ancora alle sofferenze da parte dei nemici nel suo Corpo, ch'è la Chiesa?
Perciò al suo persecutore, da lui abbattuto con la parola e in certo qual modo assorbito e inserito nel suo Corpo mistico, fece sentire dal cielo questo rimprovero: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ( At 9,4 )
Quando mai poi il suo Corpo sarà strappato dalle mani dì tutti i suoi nemici, se non quando sarà distrutta l'ultima nemica, cioè la morte? ( 1 Cor 15,26 )
A questo tempo appartiene il numero dei centocinquantatre pesci.
Infatti il numero diciassette elevato al quadrato di tre fa la somma di centocinquantatre.
Contando da uno a diciassette, addizionando tutti i numeri intermedi, otterrai la somma suddetta; cioè a uno aggiungerai due e otterrai tre; a tre aggiungerai tre e fa sei; aggiungi quattro, fa dieci; aggiungi cinque e fa quindici; aggiungi sei, fa ventuno; di questo passo aggiungi tutti gli altri oltre a diciassette e fa centocinquantatre.
Quanto ti ho detto sul tempo della Pasqua e della Pentecoste ha fondamento saldissimo nella S. Scrittura, mentre la pratica dei quaranta giorni di digiuno della Pasqua è stabilita dalla concorde tradizione della Chiesa, come pure l'usanza che gli otto giorni dei neofiti fossero celebrati in modo distinto da tutti gli altri, cioè in modo che l'ottavo corrispondesse al primo quanto alla solennità.
Riguardo invece al cantare l'Alleluia durante quei soli cinquanta giorni nella Chiesa non è osservato dappertutto, poiché vi sono luoghi ove lo si canta pure in altri tempi e ciò varia secondo le diverse usanze dei luoghi, ma dappertutto lo si canta in quegli stessi cinquanta giorni.
Quanto poi all'usanza di pregare in piedi durante quei cinquanta giorni e in tutte le domeniche ignoro se è una pratica universale.
Ti ho comunque spiegato per quanto ho potuto ( e credo abbastanza chiaramente ) quel che la Chiesa pratica a tal proposito.
Riguardo alla lavanda dei piedi, essa fu raccomandata dal Signore in quanto simbolo dell'umiltà, ch'era venuto a insegnare, com'egli stesso subito dopo spiegò; a proposito di essa è stato da te chiesto qual'è il tempo più conveniente per insegnare una sì gran virtù pure con l'azione.
A mio avviso è l'epoca della Pasqua in cui il suo pregio potrebbe esser messo in risalto con più devozione.
Ma perché non sembrasse che il rito facesse parte del sacramento del battesimo, molti non lo vollero accogliere nella pratica ordinaria.
Alcuni anzi non si peritarono di sopprimerne l'usanza.
Alcuni invece scelsero o il terzo giorno dell'ottava ( dato che il numero tre ha un significato simbolico più alto in molti riti sacri ) o la stessa ottava, per dargli un rilievo più conforme al mistero e distinguerlo dal sacramento del battesimo.
Non comprendo perché mi hai chiesto di scriverti qualche considerazione a proposito delle usanze praticate nei diversi luoghi; poiché non solo non è necessario saperlo, ma la sola e saluberrima regola da osservarsi riguardo ad esse è che non solo non dobbiamo riprovare quelle che non sono contrarie alla fede né ai buoni costumi, anzi hanno la capacità d'esortare ad una vita più santa dovunque le vediamo stabilirsi o sappiamo già stabilite, ma dobbiamo pure lodarle e imitarle qualora non s'opponga la debolezza di alcuni, per evitare cioè un male maggiore.
Se invece tale debolezza non impedisce che si possano sperare, per quelli che le desiderano, vantaggi maggiori dei danni che si possano temere da parte di coloro che le potrebbero biasimare senza giusto motivo, occorre senz'altro fare soprattutto ciò che può esser difeso mediante l'autorità delle Sacre Scritture, come l'uso di cantare inni e salmi, il canto dei quali ci è raccomandato dal precetto dello stesso Signore e degli Apostoli.
A proposito di quest'ultima usanza, tanto utile per commuovere l'animo alla devozione e infiammare il cuore d'amore verso Dio, si riscontra una gran varietà: molti membri della Chiesa in Africa sono piuttosto freddi ed apatici, per cui i Donatisti ci rimproverano che in chiesa noi siamo troppo sobri nel cantare i divini cantici dei Profeti, mentre essi non si attengono ad alcuna sobrietà nel cantare salmi composti dall'ingegno umano e dai quali si sentono eccitati come allo squillo delle trombe.
Inoltre, quando i fratelli si radunano nell'assemblea ecclesiale, le lodi sacre non devono cantarsi solo quando si fa la lettura e l'omelia relativa, oppure quando il vescovo recita preghiere ad alta voce o viene indetta la preghiera dell'assemblea dalla viva voce del diacono.
Negli altri intervalli di tempo non vedo assolutamente che cosa di meglio o di più utile, di più santo possa farsi dai Cristiani riuniti nell'assemblea ecclesiale.
Quanto poi alle altre pratiche, le quali vengono introdotte fuori delle consuetudini e che si prescrivono da rispettare come riti sacri, io non posso approvarle, sebbene non mi arrischi a riprovare troppo apertamente molte di simili usanze, al fine di evitare lo scandalo di alcune persone devote o turbolente.
Quel che però maggiormente m'addolora è il fatto che sono trascurate molte cose saluberrime prescritte dalla S. Scrittura, mentre in ogni cosa regna un tal caos di pregiudizi e di prevenzioni, che si rimprovera più aspramente un neofita che durante l'ottava di Pasqua abbia toccato la terra a piedi nudi, che uno il quale abbia affogato la mente nell'ubriachezza.
Penso quindi che senza alcun dubbio debbano sopprimersi, qualora se ne abbia la possibilità, tutte siffatte usanze che non si fondano sull'autorità delle Sacre Scritture, né si trovano stabilite in sinodi episcopali, né sono state confermate o corroborate dalla consuetudine della Chiesa universale, ma presentano diversità sì innumerevoli secondo i diversi sentimenti dei differenti luoghi, che è difficile o del tutto impossibile trovare le cause per cui furono istituite.
Sebbene infatti non si possa sapere in qual modo tali pratiche siano contrarie alla fede, esse tuttavia opprimono la religione come una cappa di schiavitù, mentre la misericordia di Dio la volle esente da altri vincoli che non fossero i pochissimi e ben determinati sacramenti che si celebrano nella Chiesa.
In caso contrario sarebbe assai più tollerabile la condizione dei Giudei, i quali, sebbene non abbiano conosciuto il tempo della libertà, sono tuttavia soggetti solo alle imposizioni della Legge e non ai preconcetti umani!
Ora, la Chiesa di Dio, la quale si trova a vivere tra molta paglia e molta zizzania, ( Mt 13,24-30 ) tollera molte storture, pur non approvando né tacendo né praticando le usanze contrarie alla fede e all'onestà.
Mi hai pure scritto che alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina.
Se dunque io volessi discutere più a lungo su questo soggetto, qualcuno potrebbe pensare che l'apostolo Paolo abbia dato delle norme poco o non troppo chiare a questo riguardo; egli al contrario, tra le molte altre cose che dice su questa materia, detesta talmente l'empia opinione degli eretici, da dire: Lo Spirito poi dice chiaramente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede aderendo a spiriti ingannatori e a dottrine diaboliche [ insegnate ] da impostori pieni d'ipocrisia, che hanno la coscienza indurita, che vietano il matrimonio e l'uso di certi cibi creati da Dio per esser presi con rendimento di grazie dai fedeli e da tutti coloro che hanno conosciuto la verità.
Poiché ogni cosa creata da Dio è buona e nulla è da rigettarsi quando se ne usa con rendimento di grazie, perché viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera. ( 1 Tm 4,1-5 )
L'Apostolo inoltre così parla di queste cose in un altro passo: Tutto è puro per i puri; per i corrotti e per gl'increduli invece nulla è puro, avendo contaminata l'intelligenza e la coscienza. ( Tt 1,15 )
Leggi da te stesso tutto il resto che segue e ricordalo pure a tutti quelli che puoi, affinché non rendano in se stessi inutile la grazia di Dio, poiché sono stati chiamati alla libertà, ma non devono prendere la libertà come pretesto per assecondare gli istinti carnali ( Gal 5,13 ) e non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale, sotto il pretesto che non è loro permesso di agire in modo superstizioso e proprio degli infedeli.
Riguardo poi a coloro che leggono le sorti nelle pagine del Vangelo, sebbene ciò sia preferibile al fatto di correre a consultare i demoni, tuttavia non approvo neppure questa usanza di voler far servire agli affari temporali e alla vanità di questa vita le parole divine proferite per la vita futura.
Se non reputerai queste mie risposte soddisfacenti ai tuoi quesiti, non conosci sufficientemente le mie forze e le mie occupazioni.
Io infatti sono così lontano dal reputare, come tu hai creduto, che nulla mi sia ignoto, che non ho letto nella tua lettera nulla di più doloroso perché ciò è palesemente falso.
Mi meraviglio anzi che tu ignori che io non solo ignoro molte altre cose riguardo ad altri innumerevoli argomenti, ma che pure nel campo delle Sacre Scritture ignori più cose di quanto io ne sappia.
Ma proprio per questo nutro una non vana speranza nel nome di Cristo; poiché non solo credo al mio Dio che tutta la Legge e i Profeti sono compendiati nei due precetti della carità ( Mt 21,40; Mc 12,28-33 ) ma ho esperimentato e lo esperimento ogni giorno, dal momento che non c'è mistero o espressione per quanto oscura della S. Scrittura, da me spiegato, nel quale non trovo i medesimi due precetti. Scopo infatti della prescrizione è la carità derivante da un cuore puro, da una coscienza retta e da una fede sincera; ( 1 Tm 1,5 ) e compimento della Legge è l'amore. ( Rm 13,10 )
Tu quindi, carissimo, leggi e impara queste cose ed altre simili ma sempre ricordandoti il verissimo detto che la scienza gonfia, la carità edifica. ( 1 Cor 8,1 )
La carità invece non è gelosa né si gonfia d'orgoglio. ( 1 Cor 13,4 )
Sèrviti dunque della scienza come d'una macchina per innalzare l'edificio della carità che rimane in eterno anche quando la scienza sarà distrutta. ( 1 Cor 13,8 )
La scienza è molto utile se serve solo allo scopo della carità, mentre per sè stessa, priva di questo scopo, è provato ch'è non solo superflua ma pure dannosa.
So però fino a che punto la santa riflessione ti custodisca al riparo delle ali ( Sal 17,8; Sal 57,2 ) del Signore Dio nostro.
Tuttavia ho voluto richiamare alla tua memoria questi pensieri per quanto brevi poiché conosco che la tua stessa carità, che non è gelosa, darà e leggerà a molti questa lettera.
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