La predestinazione dei Santi |
Quindi lo stesso unico Maestro e Signore, dopo aver detto quello che ho ricordato sopra: Questa è l'opera di Dio, che crediate in Colui che Egli inviò, ( Gv 6,29 ) nel medesimo suo discorso poco dopo dice: Io ve l'ho detto: mi avete visto e non mi avete creduto.
Tutto ciò che il Padre dà a me, verrà a me. ( Gv 6,36.37 )
Che significa: verrà a me, se non: crederà in me? Ma che ciò avvenga lo concede il Padre.
Egualmente poco dopo: Non mormorate, dice, fra di voi; nessuno può venire a me se non lo avrà attratto il Padre che mi mandò; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
Sta scritto nei Profeti: Saranno tutti istruiti da Dio.
Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me. ( Gv 6,43-46 )
Che significa: Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me?
Significa solo: Non c'è nessuno che oda il Padre e impari e non venga a me.
Se infatti chiunque ha udito dal Padre e ha imparato viene, evidentemente chiunque non viene, non ha udito dal Padre e non ha imparato, poiché se avesse udito e imparato verrebbe.
E infatti nessuno ha udito e imparato e non è venuto, ma chiunque, dice la Verità, ha udito dal Padre e imparato viene.
Molto lontana da ogni senso fisico è questa scuola nella quale il Padre è udito e insegna affinché si venga al Figlio.
Là c'è anche lo stesso Figlio, perché Egli è il Verbo per mezzo del quale il Padre insegna così; e non insegna all'orecchio della carne, ma a quello del cuore.
E insieme qui è anche lo Spirito del Padre e del Figlio; Egli pure insegna, e non insegna separatamente; abbiamo appreso senza possibilità di dubbio che inseparabile è l'agire della Trinità.
E veramente è lo Spirito Santo quello di cui l'Apostolo dice: Avendo il medesimo Spirito di fede. ( 2 Cor 4,13 )
Ma l'insegnamento è attribuito specialmente al Padre perché da lui è stato generato l'Unigenito e da lui procede lo Spirito Santo.
Sarebbe lungo disputare più distintamente.
Penso che ormai il mio lavoro in quindici libri su La Trinità, che è il nostro Dio, sia arrivato a voi.
Molto lontana, ripeto, da ogni senso fisico è questa scuola nella quale Dio è udito ed insegna.
Vediamo che molti vengono al Figlio perché vediamo che molti credono in Cristo; ma non vediamo dove e quando abbiano udito ed appreso quell'insegnamento dal Padre.
Troppo questa grazia è occulta: ma che è grazia, chi lo può mettere in dubbio?
E questa grazia, che occultamente viene concessa ai cuori umani dalla generosità divina, non viene rigettata dalla durezza di nessun cuore.
Essa è donata appunto affinché per prima cosa sia tolta la durezza del cuore.
Quando dunque il Padre interiormente è udito e insegna di venire al Figlio, strappa il cuore di pietra e dà un cuore di carne, come promise con le parole del Profeta. ( Ez 11,19 )
Così certo forma i figli della promessa e i vasi di misericordia che ha preparato per la gloria. ( Rm 9,23 )
Perché allora il Signore non dà a tutti l'insegnamento di venire a Cristo?
Perché a tutti quelli a cui insegna, insegna per misericordia, ma a quelli a cui non insegna, non insegna per il giudizio.
Ha misericordia di chi vuole e chi vuole indurisce ( Rm 9,18 ), ma ha misericordia quando attribuisce beni; indurisce quando corrisponde pene meritate.
Ma certuni preferiscono intendere queste parole come pronunciate dall'ascoltatore cui l'Apostolo si rivolge con l'espressione: Ma tu mi dici; allora anche i passi: ha misericordia di chi vuole e chi vuole indurisce e il resto della frase vanno attribuiti all'ascoltatore, cioè: Di che si rammarica ancora?
Infatti chi resiste alla sua volontà? ( Rm 9,19 ) Che differenza c'è?
L'Apostolo non ha risposto: O uomo, è falso quello che tu hai detto.
Ha risposto invece: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio?
Forse l'oggetto plasmato dice a chi l'ha plasmato: Perché mi hai fatto così?
O non è forse il vasaio che ha potere sull'argilla, dalla medesima massa …? ( Rm 9,20-21 ) con quel che segue, che voi conoscete benissimo.
E tuttavia in un certo senso il Padre insegna a tutti a venire al Figlio suo.
Infatti non invano è scritto nei Profeti: Tutti saranno istruiti da Dio. ( Is 54,13 )
E dopo aver premesso questa testimonianza, Gesù aggiunge: Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me. ( Gv 6,45 )
Ci esprimiamo correttamente quando di un maestro di lettere che sia unico in una città, diciamo: Costui qui insegna lettere a tutti, non perché tutti le imparino, ma perché chiunque impari le lettere in quel posto, non le impara se non da lui; e così possiamo ben dire: Dio insegna a tutti a venire a Cristo, non perché tutti vengano a lui, ma perché nessuno viene a lui altrimenti.
Perché poi non insegna a tutti, lo spiega l'Apostolo per quanto gli è sembrato di dover spiegare, dicendo: Volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, sopportò con molta pazienza i vasi d'ira apparecchiati per la perdizione, anche per rendere note le ricchezze della sua gloria verso i vasi di misericordia che preparò per la gloria. ( Rm 9,18-23 )
Ecco perché il linguaggio della croce è stoltezza per chi perisce; ma per quelli che si salvano, è potenza di Dio. ( 1 Cor 1,18 )
Dio insegna a questi ultimi, nessuno escluso, a venire a Cristo; tutti questi infatti vuole che siano salvi e vengano nella conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 )
Infatti se avesse voluto insegnare a venire a Cristo anche a quelli per i quali è stoltezza il linguaggio della croce, fuor d'ogni dubbio sarebbero venuti anch'essi.
Non inganna o s'inganna Colui che dice: Chiunque ha udito dal Padre e ha appreso, viene a me.
Non dobbiamo pensare nemmeno lontanamente che qualcuno, dopo aver udito ed appreso, non venga.
"Perché", dicono, "non insegna a tutti?".
Se diremo che è perché quelli a cui non insegna non vogliono imparare, ci si risponderà: E dove va a finire quello che gli si dice: O Dio, tu convertendoci ci vivificherai? ( Sal 85,7 )
E poi se Dio non trasforma quelli che non vogliono in gente che invece vuole, perché mai la Chiesa prega secondo il precetto del Signore per i suoi persecutori? ( Mt 5,44 )
Infatti anche il santo Cipriano volle che s'intendesse così la nostra invocazione:9 Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra; ( Mt 6,10 ) cioè, sia fatta in coloro che gli hanno creduto e che sono come il cielo, così come anche in quelli che non credono e quindi sono ancora terra.
Che cosa dunque preghiamo per coloro che non vogliono credere se non che Dio operi in essi anche il volere? ( Fil 2,13 )
È dei Giudei certo che l'Apostolo dice: Fratelli, la brama del mio cuore e la mia preghiera a Dio è per la loro salvezza. ( Rm 10,1 )
Egli prega per i non credenti, e che cosa prega se non che credano?
Infatti essi non potranno conseguire la salvezza in altra maniera.
Se dunque la fede di chi prega previene la grazia di Dio, sarà forse vero che la fede previene la grazia anche in coloro per cui si prega che credano?
Ma è proprio questo che si prega per essi, affinché a chi non crede, cioè non ha la fede, la fede sia donata.
Quando infatti si predica il Vangelo, alcuni credono, altri non credono; ma quelli che credono, mentre la voce del predicatore risuona dal di fuori, dal di dentro odono l'insegnamento del Padre ed imparano; mentre quelli che non credono, dal di fuori odono, dal di dentro non odono né imparano; cioè a quelli è dato di credere, a questi non è dato.
Perché nessuno, dice, viene a me, se non l'ha tratto il Padre che mi ha mandato. ( Gv 6,44 )
E più apertamente lo dice in seguito.
Infatti un po' sotto afferma che bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue, e alcuni dei suoi discepoli gli obiettano: È duro questo discorso, chi lo può udire?
Sapendo Gesù in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: Questo vi scandalizza?
E ancora appresso: Le parole, dice, che io ho detto a voi, sono spirito e vita; ma ci sono certuni tra di voi che non credono.
E subito dopo l'Evangelista aggiunge: Gesù infatti sapeva fin dall'inizio chi fossero quelli che credevano e chi lo avrebbe tradito e diceva: Perciò ho detto a voi che nessuno può venire a me se non gli sarà dato dal Padre mio. ( Gv 6,60-66 )
Dunque da un lato essere attratto dal Padre a Cristo, dall'altro udire e essere istruito dal Padre per venire a Cristo, altro non è che ricevere dal Padre un dono che ci fa credere in Cristo.
Infatti chi diceva: Nessuno viene a me se non gli è stato dato dal Padre mio, non distingueva quelli che udivano il Vangelo da quelli che non lo udivano, ma quelli che credevano da quelli che non credevano.
Dunque chi non vuole dissentire dai chiarissimi testi della Sacra Scrittura, non deve assolutamente dubitare che la fede, sia al principio sia al perfezionamento, è un dono di Dio, e che questo dono ad alcuni viene dato, ad altri no.
Ma il fatto che non sia concessa a tutti non deve scuotere il fedele, il quale crede questa verità: per uno solo tutti sono piombati nella condanna, e questa è indubitabilmente tanto giusta che non ci sarebbe nessuna possibilità di biasimare Dio anche se nessuno ne venisse liberato.
Da ciò risulta che grande è la grazia se permette di liberare un numero tanto grande di fedeli e questi ultimi possono scorgere in coloro che non ricevono la liberazione la fine che sarebbe dovuta toccare anche a loro.
Ne consegue che chi si gloria, non lo faccia nei propri meriti, che vede uguali a quelli dei condannati, ma si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Perché poi Egli liberi un individuo piuttosto che un altro, imperscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie. ( Rm 11,33 )
Faremmo meglio ad ascoltare anche questo passo e a dire: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? ( Rm 9,20 ) piuttosto che osare di spiegare, come se lo potessimo, ciò che volle occulto Colui che non può volere niente d'ingiusto.
Voi richiamate anche ciò che io ho espresso in un mio opuscolo contro Porfirio il cui titolo è: Il tempo della religione cristiana.
Ho parlato in maniera da non affrontare una discussione più accurata e laboriosa sulla grazia, pur senza omettere di additarla, dato che in quel luogo non avevo voluto chiarire una dottrina che poteva essere spiegata in altro momento o da altri.
Infatti tra le altre questioni così parlai rispondendo all'interrogativo postomi sul perché Cristo sia venuto dopo un tempo tanto lungo: Dunque, scrivevo, essi non obiettano a Cristo il fatto che non tutti seguono la sua dottrina ( comprendono infatti da sé che simile obiezione è vana anche rivolta alla sapienza dei filosofi o alla potenza dei loro dèi ).
Non consideriamo l'altezza della sapienza e della scienza di Dio, dove forse si nasconde un disegno divino di gran lunga più segreto; lasciamo impregiudicate anche altre eventuali spiegazioni che possono essere investigate dai sapienti; ma che cosa risponderanno quando noi, per trattare la questione in breve, diremo questo solo: Cristo volle manifestarsi agli uomini e predicare ad essi la sua dottrina quando sapeva e dove sapeva che c'era chi avrebbe creduto in lui?
Infatti in quei tempi e in quei luoghi nei quali il suo Vangelo non era ancora stato predicato, Egli sapeva in precedenza che di fronte alla sua predicazione tutti sarebbero stati come quelli che, in gran numero se non nella totalità, di fronte alla sua presenza corporale non vollero credere in lui nemmeno dopo che ebbe risuscitato i morti.
Anche oggi ne conosciamo molti che, sebbene la predizione dei Profeti abbia trovato in lui l'adempimento più perfetto, ancora non vogliono credere e preferiscono resistere con l'astuzia umana, mentre invece di fronte all'autorità di Dio tanto lampante ed evidente, tanto sublime e sublimemente divulgata, dovrebbero cedere, finché l'intelletto umano nella sua debolezza è incapace di accedere alla verità divina.
Che c'è dunque di strano in ciò? Conoscendo che nei secoli precedenti il mondo era pieno di uomini tanto infedeli, Cristo giustamente non voleva manifestarsi o predicare ad essi, perché Egli sapeva da prima che non avrebbero creduto né alle sue parole né ai suoi miracoli.
E infatti non è incredibile, benché ci meravigli, che gli uomini allora fossero come molti sono stati e sono dal suo avvento fino al nostro tempo.
E tuttavia dall'inizio del genere umano, ora più copertamente, ora più chiaramente, come parve opportuno al volere divino in accordo con i tempi, non si cessò di profetare né mancarono quelli che credettero in lui prima che venisse nella carne, da Adamo fino a Mosè, sia nello stesso popolo d'Israele, che fu una nazione profetica per un particolare piano divino, sia anche in altre nazioni.
Come ci ricordano i Libri santi degli Ebrei, fin dal tempo di Abramo uomini che pure non erano della sua stirpe carnale, né appartenevano al popolo d'Israele, né vi erano stati introdotti per proselitismo, tuttavia furono partecipi del mistero della salvezza.
Allora perché non dovremmo credere che anche nelle altre nazioni in un luogo o nell'altro ve ne furono diversi in diversi tempi, benché non possiamo leggere menzione di loro nell'autorità dei Libri santi?
Così la salvezza che apporta questa nostra religione, che unica vera promette la salvezza vera e secondo verità, mai mancò a chi ne fu degno.
E dall'inizio fino alla fine della propagazione umana, essa sarà predicata ad alcuni perché siano premiati, ad altri perché siano giudicati.
Quindi, se ci sono uomini ai quali la salvezza non fu affatto annunziata, è perché era previsto che non avrebbero creduto; ad altri fu annunziata pur nella consapevolezza che non avrebbero creduto, perché fornissero l'esempio della sorte riservata ai primi; quelli invece ai quali è stata annunziata e che crederanno, sono preparati per il regno dei cieli e per la società degli angeli santi.10
Vedete? Senza pregiudizio dell'occulto disegno di Dio e senza pregiudizio di altre motivazioni, ho voluto dire della prescienza di Cristo solo quanto mi sembrava sufficiente a confutare la mancanza di fede dei pagani che avevano avanzato questa obiezione.
Che c'è infatti di più vero del fatto che Cristo sapeva in precedenza chi, quando e dove avrebbero creduto in lui?
Ma dopo che Cristo era stato loro predicato, avrebbero avuto la fede da se stessi, oppure l'avrebbero ricevuta per dono di Dio?
Cioè, Dio semplicemente li conobbe in precedenza, oppure li predestinò anche?
Questo allora non ritenni necessario di metterlo in discussione.
Dissi inoltre che Cristo volle apparire agli uomini e far predicare la sua dottrina presso di essi, quando sapeva e dove sapeva che c'era chi avrebbe creduto in lui.
Ma il pensiero si può esprimere anche così: Cristo volle apparire agli uomini e far predicare presso di essi la sua dottrina, quando sapeva e dove sapeva che c'era chi era stato eletto in lui prima della creazione del mondo. ( Ef 1,4 )
Ma se si fosse detto così, l'attenzione del lettore sarebbe stata rivolta ad approfondire quelle argomentazioni che adesso, in seguito alla condanna dell'eresia pelagiana, è necessario trattare con più estensione e accuratezza.
Mi parve quindi bene di dire in breve quello che allora era sufficiente, non volendo considerare, come ho detto, l'altezza della sapienza e della scienza di Dio, e senza pregiudizio di altre spiegazioni delle quali ritenni di dover trattare non allora, ma più opportunamente in altro momento.
Ho detto pure: La salvezza di questa religione non mancò mai a nessuno che ne fosse degno, e quello a cui mancò non ne era degno.11
Ma se si discute e si ricerca cosa sia che ne rende l'uomo degno, non mancherà chi verrà a dire: la volontà umana; noi invece diciamo: la grazia o la predestinazione divina.
Tra la grazia e la predestinazione questa sola è la differenza: che la predestinazione è la preparazione alla grazia, la grazia invece è il dono realizzato.
Pertanto quel che dice l'Apostolo: Non in seguito alle opere, affinché nessuno si glori; infatti siamo opera sua, prodotti in Cristo Gesù in vista delle opere buone, indica la grazia; e quello che segue: che Dio approntò affinché noi camminiamo in esse, ( Ef 2,9-10 ) indica la predestinazione, che non può esistere senza la prescienza; invece la prescienza può esistere senza predestinazione.
Per la predestinazione Dio seppe in precedenza le cose che Egli avrebbe fatto; e perciò è detto: Fece le cose che saranno. ( Is 45,11 sec. LXX )
Ma Egli ha potere di sapere in precedenza anche quelle cose che non compie egli stesso, come ogni sorta di peccato.
È vero che vi sono azioni che sono peccati e nello stesso tempo anche castighi di altri peccati.
È stato detto appunto: Dio li ha abbandonati ai loro sentimenti perversi perché facessero azioni immorali. ( Rm 1,28 )
Anche in questo caso però non si ha un peccato di Dio, ma un giudizio.
Per tutto questo la predestinazione di Dio che si esplica nel bene è, come ho detto, preparazione della grazia; la grazia a sua volta è effetto della predestinazione.
Dio fece quindi la sua promessa basandosi non su quello che può la nostra volontà, ma sulla sua predestinazione, quando promise ad Abramo che le genti avrebbero creduto in Colui che doveva nascere dal suo seme, pronunciando queste parole: Ti ho creato padre di molte nazioni, ( Gen 17,4-5 ) che l'Apostolo chiarisce così: Perciò la promessa viene dalla fede, così che secondo la grazia sia sicura la promessa a tutta la posterità. ( Rm 4,16 )
Con ciò promise quello che Egli stesso aveva compiuto, non quello che avrebbero compiuto gli uomini.
Sono gli uomini a compiere le azioni buone che servono a venerare Dio, ma Egli stesso fa sì che essi compiano quello che ha ordinato, e non sono essi a far sì che Egli compia quello che ha promesso; altrimenti che si adempiano le promesse di Dio non è in potere di Dio, ma in potere degli uomini, e quello che è stato promesso da Dio lo mantengono ad Abramo essi stessi.
Non così credette Abramo, ma credette, dando gloria a Dio, che Egli ha potere anche di fare ciò che ha promesso. ( Rm 4,20-21 )
Non dice: predire; non dice: prevedere; infatti Egli può predire e prevedere anche le cose che fanno gli altri; ma dice: ha potere anche di fare; e perciò quello che è fatto non appartiene ad altri, ma a lui.
O sarà per caso così: Dio promise ad Abramo le opere buone che le nazioni avrebbero compiuto in Colui che doveva nascere dal suo seme, per promettere quello che Egli stesso fa; non promise la conversione delle nazioni, che gli uomini mettono in pratica da sé, ma previde la fede che gli uomini avrebbero messo in pratica di loro iniziativa, affinché potesse promettere quello che compie Egli stesso?
Non parla certo così l'Apostolo; Dio promise figli ad Abramo che seguissero le orme della sua fede, e lo dice in maniera chiarissima.
D'altronde se Dio promise le opere delle nazioni, non la fede, allora, dato che non ci sono opere buone se non provengono dalla fede ( Il giusto infatti vive di fede; ( Ab 2,4 ) e: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato; ( Rm 14,23 ) Senza la fede è impossibile piacere ( Eb 11,6 ) ), ricadiamo nel concetto che è in potestà dell'uomo di dare compimento a ciò che Dio ha promesso.
Se infatti l'uomo non facesse ciò che gli spetta di fare senza doni da parte di Dio, Dio stesso non darebbe adempimento a ciò che dona; cioè, se l'uomo non ha la fede da se stesso, Dio non adempie la sua promessa di donare le opere di giustizia.
E perciò non è in potere di Dio, ma dell'uomo, che Dio adempia le sue promesse.
Ma se la verità e la pietà ci impediscono di credere ciò, crediamo con Abramo che Dio è anche capace di fare quello che ha promesso.
Ma ha promesso figli ad Abramo; poiché essi non possono esserlo se non hanno la fede, allora è proprio lui che dona anche la fede.
Veramente, se l'Apostolo dice: Perciò la promessa viene dalla fede, così che secondo la grazia sia sicura la promessa a tutta la posterità, ( Rm 4,16 ) mi meraviglio che gli uomini preferiscano affidarsi alla loro debolezza piuttosto che alla sicurezza della promessa divina.
Ma, si obietta, è incerta la volontà di Dio nei miei riguardi.
E che dunque? È forse certa per te la tua volontà riguardo a te stesso? E non hai paura?
Quello che sembra stare in piedi, badi di non cadere. ( 1 Cor 10,12 )
Se dunque sono incerte entrambe le volontà, perché l'uomo non affida la sua fede, speranza e carità a quella più salda invece che a quella più debole?
"Ma quando viene detto: Se crederai sarai salvo, ( Rm 10,9 ) una di queste due cose", essi dicono, "si esige, l'altra si offre.
Quella che si esige è in potere dell'uomo; quella che si offre, di Dio".12
Ma perché non dovrebbero essere tutte e due in potere di Dio, sia quella che Egli ordina, sia quella che Egli offre?
Preghiamo infatti perché Egli dia quello che comanda; i credenti pregano perché ad essi sia accresciuta la fede; pregano per i non credenti, perché la fede sia loro donata; dunque sia nei suoi accrescimenti sia nei suoi inizi la fede è dono di Dio.
Ma è detto: Se crederai sarai salvo, come pure: Se farete morire le azioni della carne attraverso lo spirito, vivrete. ( Rm 8,13 )
Pertanto anche qui, dei due elementi uno viene richiesto, l'altro offerto.
Infatti dice: Se farete morire le azioni della carne attraverso lo spirito, vivrete.
Dunque da una parte si richiede che attraverso lo Spirito facciamo morire le azioni della carne; dall'altra ci si offre la vita.
Per tale motivo si giudica forse giusto non considerare dono di Dio il mortificare le azioni della carne né come tale riconoscerlo, perché ascoltiamo che esso lo si esige da noi e ci si offre la vita come premio, se obbediremo?
Chi partecipa della grazia e la difende si guardi bene dall'approvare simile convinzione!
Questo è l'errore che bisogna condannare nei pelagiani; ma subito l'Apostolo chiude loro la bocca aggiungendo: Quanti infatti sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio, ( Rm 8,14 ) affinché noi non credessimo che siamo noi a far morire le opere della carne mediante il nostro spirito e non mediante lo Spirito di Dio.
E di questo Spirito di Dio l'Apostolo parla nel passo seguente: Tutte queste cose le compie il solo e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno come vuole. ( 1 Cor 12,11.98; Ez 36,27 )
E tra tutti questi doni, come sapete, ha nominato anche la fede.
Dunque benché sia dono di Dio far morire le azioni della carne, tuttavia questa azione si esige da noi, e il premio che ci si presenta è la vita; allo stesso modo dono di Dio è anche la fede, benché essa pure, quando si dice: Se crederai sarai salvo, si esiga da noi, e il premio offerto per essa è la salvezza.
Perciò queste cose nello stesso tempo sono ordinate a noi e sono indicate come doni di Dio, perché si comprenda che da una parte siamo noi a farle, dall'altra è Dio a far sì che le facciamo, come dice in modo assai chiaro per bocca del profeta Ezechiele.
Che c'è di più chiaro del passo ove afferma: Io farò sì che voi facciate? ( Ez 36,27 )
Riflettete su questo passo della Scrittura e vedrete che Dio promette di fare in modo che essi facciano quelle cose che Egli ordina di fare.
Certo lì non tace ciò che essi hanno meritato, ma il loro merito è tutto nel male; ( Ez 36,31 ) eppure Egli mostra di cambiare nel bene il loro merito che era nel male, perché in seguito li fa entrare in possesso di opere buone, concedendo loro di mettere in pratica i precetti divini.
Con tutta questa argomentazione noi sosteniamo che la grazia di Dio attraverso Gesù Cristo nostro Signore è veramente grazia, cioè non viene data secondo i nostri meriti.
E benché questa dottrina sia affermata nella maniera più evidente dalle testimonianze delle parole divine, incontra qualche difficoltà presso gli adulti che già usano l'arbitrio della volontà e pensano di essere frustrati in ogni loro sforzo religioso se non si attribuiscono qualche cosa da poter dare per primi affinché ne siano retribuiti.
Ma quando si viene ai bambini e al Mediatore stesso di Dio e degli uomini, l'uomo Gesù Cristo, ( 1 Tm 2,5 ) ogni possibile rivendicazione di meriti umani precedenti alla grazia di Dio viene meno: non si può sostenere né che alcuni bimbi siano distinti dagli altri per qualche merito precedente, in modo da appartenere al Liberatore degli uomini, né che essendo Egli pure uomo, Cristo divenne liberatore degli uomini per un qualche merito umano.
Non si può infatti accettare quanto dicono, e cioè che alcuni bambini escono da questa vita battezzati appunto in età infantile grazie ai loro meriti futuri, invece altri muoiono non battezzati nella stessa età perché anche di essi sono conosciuti in precedenza i meriti futuri, che saranno però nel male.
Così Dio non premia o condanna in loro una vita buona o cattiva, ma una vita che non c'è mai stata.13
L'Apostolo però pose un limite che l'imprudente supposizione dell'uomo, se con alquanta indulgenza vogliamo chiamarla così, non deve oltrepassare.
Dice: Tutti staremo di fronte al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la ricompensa secondo quanto compì con il suo corpo, sia di buono, sia di cattivo; ( 2 Cor 5,10 ) compì dice; non aggiunse: o avrebbe compiuto.
Io non so come a tali uomini sia potuto venire in mente che nei fanciulli siano puniti o premiati meriti futuri che non ci saranno mai.
Ma perché è detto che l'uomo dev'essere giudicato secondo quanto compì attraverso il corpo, mentre si può agire anche con l'animo soltanto, non interponendo il corpo o alcun suo membro?
Anzi, tali pensieri sono sovente così gravi che spetta loro un giustissimo castigo; uno di questi pensieri, per tacere di tutto il resto, è quello che disse lo stolto in cuor suo: Dio non c'è. ( Sal 14,1 )
Secondo quanto compì con il suo corpo significa solo questo: secondo quanto compì nel tempo in cui fu nel corpo, e l'espressione con il corpo si deve intendere: durante la vita del corpo.
Ma dopo la morte del corpo nessuno sarà più rivestito di esso se non nel giorno estremo della resurrezione; e allora non sarà per procacciarci altri meriti, ma per ricevere il premio di quelli che abbiamo nel bene e per pagare la pena di quelli che abbiamo nel male.
Ma durante questo tempo intermedio tra la deposizione e la riassunzione del corpo le anime o vengono tormentate o trovano pace secondo quanto compirono durante la vita del corpo.
E al periodo della vita materiale appartiene anche ciò che i pelagiani negano, ma la Chiesa di Cristo riconosce: il peccato originale.
Esso può essere eliminato per la grazia di Dio o non eliminato per il giudizio di Dio, e i bambini, quando muoiono, o per merito della rigenerazione passano dal male al bene, o per colpa dell'origine passano dal male al male.
Questo sa la fede cattolica; in questo anche alcuni eretici sono d'accordo senza aver nulla da contraddire.
Ma io resto meravigliato e stupito e non riesco a capire da dove uomini il cui ingegno non è trascurabile, come indicano le vostre lettere, abbiano potuto dedurre che qualcuno possa essere giudicato non secondo i meriti che ha avuto finché fu nel corpo, ma secondo i meriti che avrebbe riportato se fosse vissuto più a lungo nel corpo.
E non lo crederei, se avessi l'ardire di non credere a voi.
Ma spero che Dio li assisterà, e dopo averli ammoniti li indurrà ad aprire gli occhi sulla questione; se quei peccati che secondo loro saranno commessi si possono giustamente punire nei non battezzati attraverso il giudizio di Dio, allora si possono anche perdonare ai battezzati attraverso la grazia di Dio.
Chiunque infatti dice che i peccati futuri possono soltanto essere puniti dal giudizio di Dio, mentre non possono essere perdonati dalla sua misericordia, deve pensare quanto torto fa a Dio e alla sua grazia; come se di un peccato futuro fosse possibile la prescienza, ma non il perdono!
Ma se una simile ipotesi è assurda, a maggior ragione Dio dovrebbe prestare soccorso, concedendo il lavacro che purifica i peccati, ai bambini che muoiono in tenera età, ma che sarebbero divenuti peccatori se fossero vissuti più a lungo.
Ma potrebbero dire che i peccati sono rimessi a chi si pente; perciò alcuni morendo in età infantile non sono battezzati perché Dio già sa che se vivessero non si pentirebbero; al contrario quelli che vengono battezzati ed escono dal corpo da bambini, Dio già sapeva che se fossero vissuti si sarebbero pentiti.
Facciano attenzione allora e si rendano conto: se fosse così, nei bambini che muoiono senza battesimo non sarebbero puniti i peccati originali, ma quelli che avrebbero commesso se fossero vissuti.
Allo stesso modo ai battezzati non verrebbero rimessi i peccati originali, ma quelli che commetterebbero se vivessero.
Essi non potrebbero peccare se non in età adulta, ma poiché era previsto che alcuni avrebbero fatto penitenza, altri no, alcuni escono battezzati da questa vita, altri senza battesimo.
Se i pelagiani osassero sostenere ciò, non si affaticherebbero più a negare il peccato originale e a cercare quindi per i bambini un luogo di non so quale felicità al di fuori del regno di Dio, specialmente quando noi dimostriamo che i bambini non possono avere la vita eterna perché non hanno mangiato la carne e non hanno bevuto il sangue di Cristo. ( Gv 6,54 )
E poi, secondo quanto sostengono loro, in essi che non hanno assolutamente alcun peccato, il battesimo che si conferisce per la remissione dei peccati sarebbe falso.
I pelagiani senz'altro hanno pronte le risposte: non c'è alcun peccato originale, ma quelli che vengono liberati dal corpo ancora infanti sono battezzati o no a seconda dei meriti che acquisterebbero se vivessero; a seconda dei loro futuri meriti essi ricevono o non ricevono il corpo e il sangue di Cristo, senza il quale non possono avere la vita; sono battezzati per una remissione autentica di peccati, benché essi non ne traggano alcuno da Adamo, perché sono rimessi loro i peccati dei quali Dio ha avuto prescienza che essi si sarebbero pentiti.
Così con estrema facilità difenderebbero e vincerebbero la loro causa, fondata sulla negazione del peccato originale e sulla pretesa che la grazia di Dio viene assegnata unicamente secondo i nostri meriti.
Ma i meriti futuri dell'uomo che non sono destinati a realizzarsi sono meriti che non esistono ed è estremamente facile capirlo.
Perciò né i pelagiani hanno potuto dire una cosa simile, né a maggior ragione lo debbono dire questi nostri fratelli.
Non si può esprimere quanto mi sia fastidioso da sopportare che costoro non abbiano saputo scorgere quello che i pelagiani hanno riconosciuto di una falsità e assurdità estreme.
Eppure insieme con noi condannano in base all'autorità cattolica l'errore di quegli eretici.
Cipriano scrisse un libro Sulla mortalità, lodevolmente noto a molti e a quasi tutti quelli che prediligono la letteratura religiosa; in esso dice appunto che la morte non solo non è inutile ai fedeli, ma si può anche riconoscere utile perché sottrae l'uomo ai pericoli del peccato e lo mette nella sicurezza di non peccare.
Ma a che gioverebbe la morte, se fossero puniti perfino i peccati futuri, che non saranno commessi?
Invece egli sviluppa con grande ampiezza ed eccellenza di pensiero la dimostrazione che i pericoli di peccare non mancano in questa vita, ma non esistono più dopo di essa.
E lì inserisce anche quella testimonianza tratta dal libro della Sapienza: Fu strappato affinché la malizia non cambiasse la sua mente. ( Sap 4,11 )
E anch'io ho addotto questo passo, ma voi mi avete fatto sapere che codesti monaci l'hanno rifiutato in quanto non era tratto da un libro canonico; come se anche tolta di mezzo l'attestazione di questo libro, la verità che con quel passo ho voluto inculcare non fosse chiara di per se stessa!
Infatti quale cristiano oserebbe negare che se un giusto viene colto in anticipo dalla morte, entrerà nel refrigerio? ( Sap 4,7 )
Chiunque sia ad aver detto questa verità, quale uomo di fede sana penserà di rifiutarla?
E mettiamo che uno dica: Se il giusto si allontana dalla giustizia nella quale ha vissuto a lungo e muore proprio nell'empietà nella quale è magari vissuto non dico un anno, ma un giorno solo, passando di qui alle pene dovute ai malvagi, a nulla gli gioverà la sua passata giustizia; ( Ez 18,24 ) quale fedele vorrà contraddire questa lampante verità?
Per di più, se ci venisse chiesto: Se egli fosse morto allora, quando era giusto, avrebbe trovato il castigo o il riposo?
Forse esiteremmo a rispondere che avrebbe trovato il riposo?
Questa è tutta la ragione per cui fu detto, chiunque sia stato a dirlo: Fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente.
Ciò è stato detto pensando ai pericoli di questa vita, e non c'entra la prescienza di Dio, che sapeva in precedenza quello che sarebbe stato, non quello che non sarebbe stato: cioè Egli sapeva che gli avrebbe fatto dono di una morte prematura perché il giusto fosse sottratto all'incertezza delle tentazioni, non che il giusto avrebbe peccato, dato che questi non doveva restare esposto alla tentazione.
E che questa vita è una tentazione si legge nel libro di Giobbe: Forse che la vita umana sulla terra non è una tentazione? ( Gb 7,1 sec. LXX )
Ma riguardo al motivo per cui ad alcuni è concesso di essere strappati ai pericoli di questa vita finché sono giusti, mentre altri sono mantenuti attraverso una vita più lunga nei medesimi pericoli finché decadano dalla loro giustizia, chi comprese il pensiero del Signore? ( Rm 11,34 )
E tuttavia da qui è concesso capire che anche quei giusti che conservano costumi buoni e pii fino alla tarda vecchiaia e all'ultimo giorno di questa vita non si devono gloriare dei propri meriti, ma nel Signore, perché Colui che ha rapito il giusto dopo una vita breve, affinché la malizia non cambiasse la sua mente, è il medesimo che attraverso una vita lunga quanto si vuole salvaguarda il giusto affinché la malizia non muti la sua mente.
Ma chi si chiede perché abbia mantenuto sulla terra un giusto che sarebbe caduto, mentre poteva portarlo via prima che cadesse, rammenti che i suoi giudizi sono assolutamente giusti, ma imperscrutabili.
Se così sta la questione, non avrebbero dovuto essere ripudiate le parole del libro della Sapienza; questo libro ha meritato di essere recitato solennemente nella Chiesa di Cristo dai lettori della Chiesa di Cristo ormai da tanti anni che tutti i cristiani, dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, penitenti, catecumeni, lo ascoltano venerandone la divina autorità.
Ma supponiamo che io traessi dai commentatori della Scrittura vissuti prima di noi la difesa di questa dottrina che ora con più rigore ed ampiezza del solito siamo costretti a sostenere contro il nuovo errore dei pelagiani; e riassumiamo qual è il nostro pensiero: la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti e a chi viene data viene data gratuitamente, perché non sta né a chi vuole né a chi corre, ma a Dio che ha misericordia; e a chi non viene data, non viene data per un giusto giudizio, perché non c'è ingiustizia in Dio. ( Rm 9,14.16 )
Se dunque io derivassi la difesa di questa dottrina dai commentatori cattolici della Scrittura che sono venuti prima di noi, certo questi monaci, a vantaggio dei quali ora discutiamo, starebbero tranquilli, e me lo avete fatto capire con le vostre lettere.
Ma quale bisogno c'è che noi andiamo a frugare le loro opere, dato che prima che sorgesse l'eresia pelagiana non avevano la necessità di sprofondarsi in questa difficile questione per risolverla?
Però naturalmente l'avrebbero fatto se fossero stati costretti a rispondere a simili individui.
Il risultato è che in alcuni punti dei loro scritti accennano brevemente e di passaggio alla loro opinione sulla grazia di Dio; si dilungano invece sugli argomenti intorno ai quali si svolgeva allora la lotta contro i nemici della Chiesa e sulle esortazioni a tutte le virtù con le quali gli uomini servono Dio vivo e vero per ottenere la vita eterna e la vera felicità.
Quale fosse la forza della grazia di Dio era indicato semplicemente nel continuo ricorso alle preghiere; infatti non s'implorerebbe da Dio di adempiere le cose che Egli ordina di fare, se l'adempierle non fosse un suo dono.
Ma quelli che vogliono essere istruiti sulle opinioni dei trattatisti bisogna che antepongano a tutti costoro proprio il libro della Sapienza, dove si legge: Fu strappato, affinché la malizia non cambiasse la sua mente, ( Sap 4,11 ) e il motivo di ciò è che lo anteposero all'autorità propria i più illustri commentatori già dell'epoca più vicina agli Apostoli.
Essi lo usavano come una prova, persuasi di addurre un'autentica testimonianza divina.
E risulta con certezza che San Cipriano, per dimostrare il beneficio di una morte precoce, sostenne che si è ormai sottratti ai pericoli del peccato quando si giunge al termine di questa vita nella quale si può peccare.
Nel medesimo libro, già citato, dice fra l'altro: Perché tu, che sei destinato ad essere con Cristo e sei sicuro della promessa del Signore, non accogli a braccia aperte di essere chiamato a Cristo e non ti rallegri di essere allontanato dal diavolo?14
E in un altro passo dice: I bambini sfuggono al pericolo di un'età malsicura;15 e in un altro ancora: Perché non ci affrettiamo correndo per poter vedere la nostra patria, salutare i padri nostri?
Lì un gran numero di nostri cari ci aspetta, genitori, fratelli, figli; una folla numerosa e folta ci desidera, sicura ormai della sua incolumità, ancora in ansia per la nostra salvezza.16
Con queste ed altre espressioni dello stesso genere quel famoso Dottore nella luce sfolgorante della fede cattolica testimonia in maniera adeguata e chiara che bisogna temere i pericoli e le tentazioni del peccato fino alla deposizione di questo corpo; da allora in poi nessuno rischierà più simili pericoli.
Ma anche se questa testimonianza non bastasse, quale cristiano, chiunque esso sia, potrebbe dubitare di questa verità?
Se un individuo cade e nella caduta conclude miseramente questa vita e va verso le pene dovute agli uomini come lui, come si potrà sostenere, dico io, che non sarebbe stato per lui un enorme, incommensurabile vantaggio, se fosse stato strappato con la morte da questo luogo di tentazioni prima che cadesse?
E con questo, a condizione che ci si astenga da una discussione per partito preso, si pone termine totalmente alla questione relativa a chi fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente. ( Ez 36,27 )
E il libro della Sapienza, che per un così lungo numero di anni ha meritato d'essere letto nella Chiesa di Cristo, compreso questo passo, non dev'essere riprovato perché si oppone a quelli che cadono nell'inganno di sostenere i meriti dell'uomo e quindi finiscono per andare contro l'evidenza somma della grazia di Dio.
Eppure essa si manifesta con tutta chiarezza nei bambini. Nel fatto che alcuni di essi muoiono battezzati, altri senza battesimo, si dimostrano adeguatamente la misericordia e il giudizio: la misericordia gratuita, il giudizio dovuto.
Se infatti gli uomini fossero giudicati in base ai meriti della loro vita che non ebbero perché prevenuti dalla morte, ma che avrebbero avuto se fossero vissuti, niente gioverebbe a colui che fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente; niente gioverebbe a coloro che muoiono dopo la caduta, se potessero morire prima.
a questo nessun cristiano oserà dirlo.
Di conseguenza i nostri fratelli che insieme con noi combattono il pericolo dell'eresia pelagiana a vantaggio della fede cattolica, non devono condividere la convinzione di Pelagio che la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti.
In questa maniera essi si adoperano a demolire la convinzione assolutamente vera e accettata da sempre dai cristiani: Fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente, mentre gli eretici stessi non osano tanto.
Finirebbero col sostenere una teoria che secondo noi nessuno potrebbe, non dico credere, ma nemmeno sognare, cioè che chiunque muore viene giudicato in base a ciò che avrebbe fatto se fosse vissuto più a lungo.
Così la verità da noi sostenuta, che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, è evidente a tal punto che uomini d'ingegno nel contraddirla sono stati costretti a fare delle affermazioni che sono rifiutate sia dalle orecchie, sia dal senno di tutti.
Indice |
9 | Cipriano, De oratione domin. 18 |
10 | Agostino, Ep. 102, 14, 15 |
11 | Agostino, Ep. 102, 15 |
12 | Ilario, Ep. 226, 2 |
13 | Prospero, Ep. 225, 5 |
14 | Cipriano, De mort. 3 |
15 | Cipriano, De mort. 15 |
16 | Cipriano, De mort. 26 |