Questioni sull'Ettateuco |
Ecco quanto Mosè ricorda di aver detto al popolo, il quale aveva paura dei nemici dimoranti nel paese, nel quale doveva essere introdotto, e cioè: Non spaventatevi e non abbiate paura di loro; il Signore vostro Dio, che marcia innanzi a voi, sarà lui stesso a combatterli insieme con voi.
Queste parole dimostrano chiaramente che Dio aiuta gli uomini in modo che anch'essi facciano qualcosa.
Ma Seon, re di Esebon, non volle lasciarci passare attraverso il suo territorio poiché il Signore nostro Dio aveva indurito il suo spirito e irrigidito il suo cuore perché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno.
Mosè dicendo ciò, mentre rivolge la parola al popolo, ricorda un'espressione simile, riferita nell'Esodo: Io ho indurito il cuore del Faraone, ( Es 10,1 ) e quella che si legge nei Salmi: Cambiò il loro cuore perché odiassero il suo popolo. ( Sal 105,25 )
Neppure qui è taciuto il motivo di questo indurimento poiché si dice: affinché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno, cioè: affinché fosse vinto da te.
Ciò non sarebbe successo se [ il re ] non si fosse opposto; ma non si sarebbe opposto se non avesse avuto il cuore indurito.
Se volessimo cercare la giustizia di questo fatto [ dovremmo ricordare che ] impenetrabili sono le decisioni di Dio; ( Rm 11,33 ) ma in Dio non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 )
Si deve però osservare che può dirsi che il cuore si irrigidisce anche nel male.
Ma tuttavia tra i Rafain non era rimasto che Og, re di Basan.
Col nome di Rafain sono denotati in ebraico i " giganti ", come dicono coloro che conoscono quella lingua.1
Perciò la lezione che hanno la maggior parte dei manoscritti: fu lasciato solo dai Rafain si esprime più chiaramente dicendo: sopravviveva soltanto, vale a dire: di loro era rimasto solo lui, del quale anche nel seguito immediato del testo viene ricordata la lunghezza e la larghezza del letto di ferro per farne risaltare la corporatura gigantesca.
Non commettete [ alcuna ] iniquità e non fatevi per voi una somiglianza scolpita né qualunque specie d'immagine.
Si è soliti chiedersi che differenza ci sia tra somiglianza e immagine.2
Qui però io non vedo quale differenza la Scrittura abbia voluto indicare, salvo che con queste due parole abbia indicato o una identica cosa oppure chiami somiglianza per esempio una statua o un'immagine che abbia l'effigie di un uomo qualunque, ma che tuttavia non riproduca le fattezze d'una persona in particolare o come fanno i pittori e gli scultori avendo avanti agli occhi le persone che dipingono o modellano; nessuno oserebbe dire che una tale raffigurazione non è un'immagine.
Secondo questa distinzione ogni immagine è anche una somiglianza ma non ogni somiglianza è anche un'immagine.
Se, perciò, i gemelli, sono simili tra loro, la somiglianza di uno qualunque dei due rispetto all'altro può chiamarsi rassomiglianza, non però immagine.
Se invece il figlio è simile al padre, si può dire giustamente che è anche la sua immagine, essendo il padre il prototipo, dal quale appare essere stata derivata quell'immagine.
Di queste immagini alcune sono della stessa sostanza, come il figlio, altre no, come un ritratto.
Per questo motivo le parole della Scrittura contenute nella Genesi: Dio fece l'uomo a immagine di Dio ( Gen 1,27 ) non significano, evidentemente, che l'immagine fatta da Dio sia della medesima sostanza di Dio.
Se infatti fosse della medesima sostanza, la Scrittura non direbbe che " fu fatta ", ma " fu generata ".
Ma poiché [ in questa affermazione ] la Scrittura non aggiunge l'espressione " e a somiglianza ", mentre poco prima aveva detto: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza ( Gen 1,26 ) alcuni hanno creduto che la somiglianza è qualcosa di più dell'immagine3 perché sarebbe stata poi riservata per restituire l'uomo alla sua condizione originale mediante la grazia di Cristo.
Io però sarei sorpreso che questo motivo avesse determinato l'agiografo a parlare della sola immagine per il fatto che dove è un'immagine vi è senz'altro anche una somiglianza.
Ecco perché anche qui Mosè vieta di fare somiglianze e immagini forse per la ragione che abbiamo detto.
Nel decalogo invece si dice in maniera generica che non deve farsi alcuna somiglianza ( Es 20,4 ) e non si menziona l'immagine, poiché quando non si riproduce alcuna somiglianza, senza dubbio non si produce alcuna immagine, per il fatto che se è un'immagine è naturalmente anche una somiglianza; se invece si produce una somiglianza, non si produce senz'altro un'immagine.
Se tuttavia non c'è alcuna somiglianza, ne segue che non c'è alcuna immagine.
Allorché dunque Dio ha proibito di fare una somiglianza o un'immagine ha voluto farci intendere quella dell'uomo, potendosi fare tanto la somiglianza non di questo o di quest'altro uomo, ma dell'uomo in generale, quanto l'immagine di tale o di tal altro uomo in particolare; quando al contrario si parla delle bestie e degli animali privi di ragione egli menziona solo la somiglianza.
Chi infatti può trovarsi che metta davanti a sé un cane o un altro animale simile, guardando il quale ne faccia una pittura o una scultura?
Cosa questa che invece è assai comune trattandosi di uomini.
Che cosa vuol dire l'espressione: Somiglianza di qualsiasi specie di pesci che sono nelle acque sotto la terra?
Col nome terra la Scrittura ha voluto forse farci intendere anche l'acqua a causa della sua natura fisica che si può toccare e, conforme all'espressione della Scrittura: Dio fece il cielo e la terra, ( Gen 1,1 ) [ nella " terra " ] dobbiamo comprendere anche le acque.
La Scrittura infatti, ripetutamente ricordando queste due parti vuol fare intendere tutto l'universo, secondo l'espressione: Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra ( Sal 121,2 ) e innumerevoli altre espressioni di tal genere.
Oppure è detto: sotto terra per il fatto che la terra, se non fosse al di sopra delle acque, non potrebbe, certamente, essere abitata dagli uomini né avere animali terrestri.
E quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l'ornamento del cielo, bada di adorare e rendere loro culto a quelle cose che il Signore tuo Dio ha dato in sorte a tutti [ gli altri ] popoli che sono sotto il cielo.
La Scrittura non dice così, come se Dio avesse ordinato che a quelle cose fosse reso il culto dai gentili, e invece non fosse reso culto solo dal proprio popolo, ma dice così perché aveva previsto che i gentili avrebbero prestato culto a questi esseri del cielo e tuttavia li creò pur prevedendo ciò e aveva presagito che al contrario il suo popolo non avrebbe prestato culto ad essi, oppure la Scrittura dice distribuì per fare intendere l'utilità [ di tali esseri ] dichiarata nella Genesi: Affinché siano come segnali per tempi, giorni ed anni, ( Gen 1,14 ) dei quali segnali ha bisogno il popolo di Dio con tutti gli altri popoli, ma non presta loro il culto che loro prestano gli altri popoli.
Non dimenticate l'alleanza del Signore vostro Dio che ha stretto con voi e non fatevi per voi stessi alcuna somiglianza scolpita di qualunque cosa che il Signore tuo Dio ti ha proibito.
La Scrittura parlando qui certamente in un senso generale usa la parola somiglianza sottintendendo però " immagine ", poiché se non v'è somiglianza, senza dubbio non c'è neppure immagine, per il fatto che quando c'è un'immagine c'è senz'altro somiglianza, sebbene quando c'è una somiglianza non c'è senz'altro un'immagine.
Dobbiamo chiederci in che senso la Scrittura dice: Interrogate i giorni anteriori che erano prima di te, dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra, da un'estremità all'altra del cielo; è sottinteso infatti " interrogate ".
Qui poi sembra che sia indicato tutto il mondo.
Però non è facile riconoscere perché si dica da un'estremità all'altra del cielo, e non " da un'estremità all'altra della terra ".
Una espressione di tale genere si trova anche nel Vangelo, quando il Signore dice che gli eletti verranno radunati da un'estremità all'altra del cielo. ( Mt 24,31 )
Salvoché forse qui la Scrittura voglia fare intendere che né dagli uomini né dagli angeli fu udito ciò che Dio ha fatto di straordinario riguardo al suo popolo e ch'essa mette in rilievo.
Il testo infatti continua dicendo: Se è avvenuta una cosa simile a questa gran cosa, se è stato udito qualcosa di simile.
Se una nazione ha inteso la voce del Dio vivente parlare di mezzo al fuoco, come hai udito tu e sei rimasto vivo.
Se la cosa sta così, che cioè la Scrittura dice che questo fatto non fu udito né dagli uomini né dagli angeli, che significa allora quanto afferma il Vangelo: da un'estremità all'altra del cielo, dal momento che senza dubbio il Signore dice così parlando dell'ultima riunione dei suoi eletti?
Che significano le seguenti parole della Scrittura: Il Signore vostro Dio ha stabilito con voi un'alleanza sull'Horeb; questa alleanza il Signore non l'ha conclusa con i vostri padri, ma con tutti voi, con voi che oggi siete qui tutti vivi; il Signore vi ha parlato faccia a faccia sulla montagna in mezzo al fuoco?
Forse che coloro i quali non erano entrati nella terra promessa - erano infatti morti tutti coloro che erano usciti dall'Egitto - e dei quali Mosè aveva fatto il censimento contando tutti coloro che erano in grado di andare alla guerra, ( Nm 1,20 ) dall'età di venti anni in su fino all'età di cinquant'anni non hanno parte a quell'alleanza?
In qual senso dunque il Signore ha parlato a coloro che vivevano fino a quel giorno?
Forse perché allora potevano esserci molti dai vent'anni in giù che ricordavano bene quell'evento e non dovevano subire il castigo d'essere esclusi dall'entrare nella terra promessa, stabilito da Dio per coloro che erano stati contati allora?
In effetti Dio si rivolge a coloro che, benché non avessero dai vent'anni in su quando Dio parlava loro dalla montagna e perciò non potessero essere contati allora, tuttavia potevano avere diciannove anni o meno, fino all'età puerile capaci non solo di vedere ma anche di udire e tenere a mente le cose che erano avvenute e le parole ch'erano state pronunciate.
9.2. Ma che vuol dire la frase: Dio ha parlato con voi faccia a faccia, mentre prima si era preso cura soprattutto di avvertirli che non avevano visto alcuna immagine ma avevano udito solo la sua voce? ( Dt 4,33 )
O forse la Scrittura usa quelle espressioni a causa dell'evidenza di quei fatti e della divinità apparsa in un certo qual modo chiaramente presente, della quale nessuno avrebbe potuto dubitare?
Se le cose stanno così, che cosa c'impedisce d'intendere ciò dello stesso Mosè, riguardo a quanto dice di lui la Scrittura, che cioè il Signore parlò con lui faccia a faccia, ( Es 33,11 ) di modo che nemmeno lui vide con gli occhi nulla fuorché il fuoco?
Oppure si può forse pensare che Mosè vide qualcosa di più, poiché sta scritto che egli entrò nel mezzo della nube o del nembo ov'era Dio? ( Es 24,18 )
Ma anche nell'ipotesi che egli avesse visto qualcosa più di quelli, a causa delle parole con cui si rivolse a Dio: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, móstrati a me, che io ti veda in modo da conoscerti, ( Es 33,13 ) non si può tuttavia pensare che egli avesse visto la natura di Dio, con i suoi occhi mortali.
Ad ogni modo non si deve pensare che questo popolo, al quale Mosè parlava, avesse visto Dio così, faccia a faccia, allorquando parlava sulla montagna di mezzo al fuoco, come dice l'Apostolo che noi lo vedremo alla fine [ della vita ] nel passo ove dice: Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa, allora invece vedremo faccia a faccia.
Che cosa poi e quanto grande cosa è questo lo spiega in seguito dicendo: Ora conosco solo imperfettamente, ma allora conoscerò faccia a faccia, come sono conosciuto anch'io. ( 1 Cor 13,12 )
Ma anche questa affermazione occorre intenderla con cautela perché non si pensi che l'uomo potrà conoscere Dio nella misura con la quale ora Dio conosce l'uomo, ma che nei limiti della sua capacità avrà una conoscenza tanto perfetta che non dovrà aspettarsi nient'altro che le venga aggiunto.
Poiché quanto perfettamente Dio conosce adesso l'uomo - ma tuttavia nel modo come lo conosce Dio - altrettanto perfettamente lo conoscerà l'uomo ma tuttavia nella misura con cui l'uomo può conoscere Dio.
È vero che la Scrittura dice: Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste, ( Mt 5,48 ) ma non per questo dobbiamo sperare l'uguaglianza che il Verbo unigenito ha con il Padre; sebbene non siano mancati alcuni i quali hanno pensato che si avvererà questo fatto, salvo che per caso non comprendiamo bene che cosa dicano.
Che significa la frase: Io stavo tra il Signore e voi in quel tempo per riferirvi le parole del Signore, come se il Signore si trovasse in un luogo, cioè sul monte [ Sinai ] donde essi lo udivano?
Ciò non deve intendersi nel senso che in base a questo testo possiamo supporre che la natura di Dio, che è intero dappertutto senza avvicinarsi o allontanarsi attraverso spazi di luoghi, si trovi in alcun luogo fisico; ma le manifestazioni di Dio non si mostrano ai sensi umani diversamente per mezzo delle creature che non sono ciò che è Lui.
Il Signore perciò, volendo allontanare la nostra mente da simili immaginazioni con le quali si pensa che Dio sia circoscritto da qualche luogo, verrà - dice - un tempo quando non adorerete il Padre né su questo monte né in Gerusalemme.
Voi adorate quel che non conoscete, noi invece adoriamo quello che conosciamo, poiché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il tempo, ed è il presente, quando i veri adoratori adoreranno il Padre animati dallo Spirito e dalla verità, il Padre infatti cerca coloro che lo adorino a questo modo.
Dio è spirito e coloro che lo adorano devono adorarlo animati dallo Spirito e dalla verità. ( Gv 4,21-24 )
Mosè disse dunque di essere un intermediario non tra la natura di Dio e il popolo attraverso uno spazio fisico, ma perché il popolo preferì ascoltare tutte le altre parole di Dio, dopo essere rimasto fortemente spaventato nell'udire la voce del Signore che da dentro il fuoco proclamava il Decalogo della Legge. ( Es 20,19 )
10.2. A buon diritto però si pone il quesito in qual senso devono intendersi le parole di Mosè riferite dal Deuteronomio: Poiché voi avevate paura di fronte al fuoco e non eravate saliti sul monte, io stavo tra il Signore e voi in quel momento per annunciarvi le parole del Signore in questi termini: Io sono il Signore Dio tuo, etc., le quali sono già parole del Signore che contengono il decalogo.
Che significa allora l'aggiunta: in questi termini [ dicens ]?
Poiché, se penseremo che si tratti di un iperbato e che l'ordine delle parole sia: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole dicendo: Io sono il Signore Dio tuo, non sarà vero.
In realtà il popolo non udì queste parole per mezzo di Mosè ma le udì provenienti da dentro il fuoco; poiché il popolo non poteva sopportare ciò, dopo aver udito il Decalogo chiese di udire il resto per mezzo di Mosè.
Non ci resta quindi che intendere l'espressione: in questi termini [ dicens ], come usata qui nel senso: quando diceva.
Di modo che il senso [ della frase ] è questo: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole del Signore, poiché avevate paura di fronte al fuoco e non saliste sul monte mentre diceva: Io sono il Signore Dio tuo, sottintendendosi " quando naturalmente diceva il Signore ".
Mentre il Signore diceva queste parole, ricordate tutte successivamente, il popolo ebbe paura di fronte al fuoco e non salì sul monte e pregò di udire le parole del Signore piuttosto dalla bocca di Mosè. ( Es 20,18-19 )
10.3. Mosè ricorda nel Deuteronomio queste parole dettegli dal popolo quando non volle sentire più la voce di Dio, ma gli chiesero di sentire da lui le parole che diceva Dio, cioè: Ecco, il Signore nostro Dio ci ha mostrato la sua gloria e abbiamo udito la sua voce di mezzo al fuoco etc.
Non si leggono esattamente le medesime cose nell'Esodo, ove si raccontano per la prima volta le cose che vengono ripetute qui adesso. ( Es 20,22 )
Perciò, come ho già ricordato qualche altra volta, dobbiamo concludere che non si deve ritenere una bugia se il medesimo significato viene espresso con qualsivoglia altri termini, e ciò anche riguardo alle osservazioni degli Evangelisti che sono censurate da individui ignoranti e critici maliziosi come contraddittorie.
Non era infatti difficile a Mosè porre attenzione alle cose che aveva scritto nell'Esodo e ripeterle con le stesse parole, se non fosse cómpito dei santi nostri maestri [ della fede ] insegnare ai discepoli proprio questo concetto, che cioè non devono cercare nelle parole di coloro che parlano nient'altro che il significato per indicare il quale sono state adottate le parole.
Che significano le parole che Mosè dice di essergli state rivolte dal Signore riguardo al popolo ebraico: Chi dirà ch'essi abbiano un cuore tale da temermi e osservare i miei comandamenti?
Vuole forse il Signore far intendere di già che si deve alla sua grazia se si riceve questo beneficio che cioè la giustizia di Dio negli uomini è quella fondata sulla fede e non quella considerata un bene personale come se derivasse dalla legge? ( Fil 3,9 )
Dio indica questo concetto anche per mezzo del Profeta quando dice: Toglierò da loro un cuore di pietra e darò loro un cuore di carne; ( Ez 11,19; Ez 36,26 ) ciò è detto a motivo del senso che ha il termine carne e non ha il termine pietra usato certamente in senso traslato.
Questo medesimo proposito [ di Dio ] è enunciato in un altro passo [ della Scrittura ]: Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali concluderò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda un'alleanza nuova, non come l'alleanza che conclusi con i loro padri il giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese dell'Egitto.
Poiché questa sarà un'alleanza che stringerò con loro dopo quei giorni, dando le mie leggi nel loro cuore e le scriverò nel loro spirito e non mi ricorderò più delle loro iniquità e dei loro peccati. ( Ger 31,31-34 )
Qui la nuova alleanza viene distinta dall'antica, poiché nell'antica la legge fu data su tavole di pietra, nella nuova alleanza invece è data nei cuori, per effetto della grazia.
Ecco perché anche l'Apostolo dice: Non su tavole di pietra, ma su tavole che sono i vostri cuori di carne, e [ poco dopo ] in un altro passo dice: Ci ha resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non di quella della lettera ma di quella dello Spirito. ( 2 Cor 3,3.6 )
Ciò che [ la legge ] dice riferito al Signore: E giurerai nel suo nome, non si deve intendere come se facesse obbligo di giurare, ma nel senso che proibisce di giurare nel nome di un'altra divinità.
È meglio però non giurare, come dice il Vangelo, ( Mt 5,34 ) non perché sia un male giurare la verità, ma per non cadere nello spergiuro per la facilità con cui si giura.
Poiché quando uno presta giuramento può giurare non solo la verità ma anche il falso; chi invece non giura affatto vive lontano dallo spergiuro.
E ti ricorderai di tutta la strada per la quale ti condusse il Signore Dio tuo nel deserto per affliggerti e metterti alla prova e far conoscere ciò che c'è nel tuo cuore, se osserverai o no i suoi comandamenti.
Qui l'agiografo dice più chiaramente ciò che è oscuro a causa del genere d'espressione idiomatica mediante la quale in un altro passo è detto: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per vedere se lo amate. ( Dt 13,3 )
Si capisce infatti che qui si dice per sapere [ ut sciat ] invece di " per far sapere ".
Questo senso è espresso chiaramente poco dopo [ con la frase ]: per metterti alla prova e così farti conoscere che cosa c'è nel tuo cuore; infatti non dice: " per conoscere ", poiché, se avesse detto così, si sarebbe dovuto intendere nel senso di " per far conoscere ".
E tu saprai oggi che non già grazie ai tuoi meriti il Signore tuo Dio ti dà in eredità questa terra fertile, poiché sei un popolo di dura cervice.
Questi tali sono certamente coloro che non sanno distinguere tra la destra e la sinistra e perciò non meritarono di perire nel deserto. ( Nm 14,25; Dt 1,39 )
Ma poi certamente si parla delle persone di dura cervice.
Si deve quindi riconoscere che quella frase esprime un mistero, non che siano proclamati importanti i meriti di costoro.
Infatti perché nessuno pensi che costoro siano diventati vituperevoli all'improvviso, mentre prima erano stati lodati giustamente, poco dopo si dice loro: Ricórdati, non dimenticare quanto esasperasti il Signore tuo Dio nel deserto; dal giorno che usciste dal paese d'Egitto fino a quando arrivaste in questo luogo non cessaste di essere increduli riguardo al Signore.
Se poi alcuni di essi erano tali e alcuni, al contrario, fedeli e buoni, neppure in questa ipotesi viene concessa, comunque, la terra promessa a coloro che non sanno distinguere la destra dalla sinistra, intendendo ciò presso a poco nel senso che non offesero Dio.
Poiché anche i loro padri, ch'erano morti e ai quali non era stato permesso di vivere nella medesima terra si trova scritto che tra essi ce n'erano alcuni anche buoni.
Per questo l'Apostolo dice che non tutti caddero ma solo alcuni di essi, a proposito dei quali ricorda i loro peccati. ( 1 Cor 10,6-9 )
Con maggiore evidenza anche questo libro del Deuteronomio mostra che costoro furono simili ai loro padri, poiché subito dopo aggiunge e dice: E nell'Horeb esasperaste il Signore.
Lo esasperarono lì certamente coloro che per le medesime loro cattive azioni non furono fatti entrare nella terra promessa.
In quell'occasione il Signore mi disse: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte; e ti costruirai un'arca di legno.
E scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle tavole che tu hai spezzato; e le introdurrai nell'arca ".
E io costruii un'arca di legno imputrescibile e tagliai due tavole di pietra come le prime e salii sul monte con le due tavole nelle due mie mani.
Ed egli scrisse sulle tavole conforme alla prima scrittura le dieci parole che il Signore vi rivolse sul monte di mezzo al fuoco: ed il Signore me le diede.
A buon diritto si pone il quesito come mai questi fatti vengono riferiti nel Deuteronomio in cui li ricorda e li ripete Mosè, mentre nell'Esodo, dove sono raccontati la prima volta come detti ed accaduti, si trovano scritti così: E il Signore disse a Mosè: " Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole io ho stabilito un'alleanza per te e per Israele ".
E Mosè stava lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole. ( Es 34,27-28 )
Se dunque nell'Esodo si narra che Mosè scrisse le dieci parole della legge, come mai qui nel Deuteronomio viene ricordato che a scrivere le medesime parole sulle tavole fu Dio?
15.2. E inoltre, esponendo di sfuggita quel passo dell'Esodo e ponendo per iscritto ciò che mi pareva giusto a proposito di quella discrepanza,4 spiegando perché l'agiografo riferisce che le prime tavole spezzate [ poi da Mosè ] furono scritte dal dito di Dio, mentre delle seconde, che dovevano restare tanto a lungo nell'arca e sulla tenda-santuario, si dice che furono scritte proprio da Mosè; dissi allora che mediante quella discrepanza erano stati simboleggiati i due Testamenti, cosicché nell'Antico Testamento la legge ci viene presentata solo come opera di Dio senza che l'uomo facesse nulla in quanto la legge non poteva essere adempiuta mediante il timore, poiché quando si compie davvero la legge, la si compie mediante l'amore, che è la grazia del Nuovo Testamento. ( Rm 13,10 )
Leggiamo invece che fu l'uomo a scrivere le parole di Dio sulle seconde tavole, poiché l'uomo può compiere l'opera della legge per mezzo dell'amore della giustizia, ma non lo può mediante il timore del castigo.
15.3. Adesso dunque, quando nel Deuteronomio si legge delle seconde tavole, si trova detto così: E tagliai le due tavole di pietra come le prime e salii sul monte, le due tavole nelle due mie mani.
E scrisse sulle tavole secondo la prima scrittura le dieci parole, non dice: " e scrissi ", ma scrisse, s'intende Dio, come poco prima aveva detto le parole che Dio gli aveva rivolte: Taglia due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte, e ti costruirai un'arca di legno; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole.
Sorge quindi un quesito da esaminare attentamente, poiché qui si legge che a scrivere ambedue le [ paia di ] tavole, cioè le prime e le seconde, fu Dio e non l'uomo.
Ora, se anche nello stesso libro dell'Esodo noi leggeremo le parole di Dio con cui ordina a Mosè di tagliare le medesime tavole, non si trova nient'altro se non che lo stesso Dio promise che le medesime le avrebbe scritte lui, poiché sta scritto così: E il Signore disse a Mosè: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte.
E io scriverò le parole che erano [ incise ] sulle prime tavole, che tu hai spezzato ". ( Es 34,1 )
Pertanto, senza parlare del libro del Deuteronomio, solo l'Esodo contiene anche questo problema, cioè come mai Dio disse: E io scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle prime tavole, mentre poco dopo si legge: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un'alleanza per te e per Israele.
E Mosè rimase lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole.
Se infatti ciò che è detto prima: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un'alleanza per te e per Israele si riferisce alle disposizioni date precedentemente a Mosè da Dio, con l'ordine di non scriverle sulle due tavole, ma nel libro della legge, ove erano scritte molte disposizioni, possiamo affermare con certezza che il passo che segue: E Mosè stette lì, al cospetto del Signore, quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole, ( Es 34,27-28 ) mostra assai bene che fu lo stesso Mosè a scrivere sulle tavole quelle dieci parole e non Dio, salvo che, quando si dice: e scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole, fossimo costretti a intendere in un modo violento, ma spinti da una certa necessità, a sottintendere non Mosè ma il Signore - poiché prima si dice: e Mosè stette lì al cospetto del Signore - e per conseguenza dovremmo pensare che queste dieci parole furono scritte sulle tavole, come aveva promesso prima, dal Signore al cui cospetto Mosè stette quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e senza bere acqua.
15.4. Se la questione sta così, la discordanza che ci è parsa esistere tra i due Testamenti non può affermarsi a proposito di queste parole, dal momento che non l'uomo ma Dio scrisse tanto le prime che le seconde tavole, è vero.
Tuttavia quella discordanza non comporta certamente alcun dubbio che fu Dio non solo a fare ma anche a scrivere le prime tavole.
In quell'occasione infatti a Mosè non fu detto:" taglia per te due tavole ", ma si legge piuttosto quanto segue: E Mosè si volse e discese dal monte con le due tavole dell'alleanza nelle sue mani; tavole di pietra scritte su entrambi i lati; erano scritte da una parte e dall'altra, le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. ( Es 32,15-16 )
Già in precedenza l'agiografo aveva detto che le medesime tavole erano state scritte dal dito di Dio esprimendosi così: Appena ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole dell'alleanza, tavole in pietra, scritte dal dito di Dio. ( Es 31,18 )
In quell'occasione dunque non solo le tavole erano opera di Dio ma anche la scrittura era stata incisa da Dio.
Quanto invece alle due seconde tavole è proprio Mosè che riceve l'ordine di tagliarle per fare intendere naturalmente che furono tagliate per opera dell'uomo, sebbene le scrivesse Dio in persona, come aveva promesso quando ordinò di tagliarle.
Se però riflettiamo più attentamente per quanto riguarda le seconde tavole, ecco il motivo di questi due fatti menzionati a proposito delle seconde tavole: non solo Dio mediante la sua grazia compie l'opera della legge nell'uomo ma anche l'uomo mediante la propria fede riceve la grazia di Dio venendo così a far parte della nuova alleanza e diventando cooperatore di Dio che lo aiuta, e perciò quando si tratta delle prime tavole è menzionata solo l'opera di Dio perché la legge è spirituale e la legge è santa, come santo, giusto e buono è il comandamento, ( Rm 7,12 ) mentre riguardo alle medesime tavole non è menzionata alcuna opera dell'uomo, poiché coloro che non hanno fede non sono adatti a ricevere l'aiuto della grazia, ma poiché ignorano la giustizia di Dio e vogliono far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
Per questo, riguardo a loro, la legge ha la forza di condannarli, cosa questa simboleggiata dall'atto di spezzare le tavole.
Grazie a queste considerazioni non siamo evidentemente costretti a sottintendere, con una interpretazione forzata, che fu Dio a scrivere, quando l'agiografo dice: E Mosè stette lì alla presenza del Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e bere acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, ( Es 34,28 ) testo in cui si fa intendere molto chiaramente che fu Mosè a scrivere.
In precedenza ( Es 34,1 ) però Dio aveva promesso di scrivere lui, e nel Deuteronomio si narra che non solo l'aveva promesso, ma anche che le scrisse proprio lui, per simboleggiare ciò che dice l'Apostolo: È Dio che per la sua benevolenza suscita in voi il volere e l'agire, ( Fil 2,13 ) cioè in coloro che per mezzo della fede ricevono la grazia e non vogliono stabilire una propria giustizia personale, ma sono sottomessi alla giustizia di Dio, ( Rm 10,3 ) affinché siano in Cristo giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,21 )
Ora l'Apostolo anche in quel passo afferma tutt'e due le cose, che cioè ad agire non è solo Dio ma anche gli uomini.
Poiché se essi non compivano le opere, come avrebbe potuto dire loro: Adoperatevi per la vostra salvezza con timore e tremore? ( Fil 2,12 )
Opera dunque Dio, noi cooperiamo, poiché egli non ci toglie ma aiuta la libera decisione della buona volontà.
In quel tempo il Signore separò la tribù di Levi perché portasse l'arca dell'alleanza del Signore, stesse davanti al Signore, esercitasse il servizio e pregasse nel suo nome fino a questo giorno.
Per questo motivo i leviti non hanno né parte né eredità con i fratelli; il Signore stesso è la sua parte d'eredità, come gli aveva detto lui.
Se per mezzo di questa tribù non fosse stato prefigurato il sacerdozio regale di tutti i fedeli, che riguarda il Nuovo Testamento, un personaggio che non era della medesima tribù [ di Levi ] non avrebbe osato assolutamente dire: La mia parte d'eredità è il Signore, ( Sal 73,26 ) e in un altro Salmo: Il Signore è la parte della mia eredità. ( Sal 16,5 )
Che significa l'ordine dato da Mosè il quale, riferendosi ai comandamenti del Signore, dice: E li scriverete sugli stipiti delle vostre case e delle vostre porte, dal momento che né si ricorda né si legge che alcuno degli Israeliti facesse ciò alla lettera, perché non può farlo nessuno, salvo che distribuisca quelle parole per molte parti della propria casa?
Si tratta forse d'un ordine iperbolico come se ne dicono molti altri? ( Nm 18,21-32; Dt 18,1-8; Dt 26,12 )
Si deve ricercare come mai la Scrittura comanda che le decime di tutti i frutti e i primogeniti del bestiame si mangino solo in città ove sarà un tempio, dal momento che nella legge era prescritto che fossero dati ai leviti.
Se sorge in mezzo a voi un profeta o un uomo che fa dei sogni e che ti mostri un segno o un prodigio e accada il segno o il prodigio di cui ti aveva parlato dicendo: " Andiamo e rendiamo un culto ad altri dèi che voi non conoscete ", non date ascolto alle parole di quel profeta né all'uomo che ha fatto quel sogno, poiché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il vostro cuore e con tutta l'anima vostra.
Alcuni traduttori latini non impiegarono l'espressione: scire an diligatis [ per sapere se voi l'amate ], ma: ut sciat an diligatis [ affinché sappia se voi l'amate ].
Sebbene sembri che il senso sia lo stesso, tuttavia l'espressione scire si riferisce più facilmente agli Israeliti; in tal modo l'espressione: tentat vos scire la intendiamo come se si dicesse: " mettendovi alla prova fa sapere ".
Con ciò naturalmente Mosè vuol fare intendere che anche se si avverassero le predizioni fatte dagli indovini e non conformi alla mente di Dio, non si dovrebbe prenderle nel senso che si debba fare ciò che è ordinato da loro o debbano adorarsi gli dèi adorati da essi.
Dio poi mostra anche che non senza l'intervento della sua potenza succedono tali prodigi, e come se gli si chiedesse perché li permette, espone che il motivo di questa prova è quello di conoscere il loro amore, se cioè hanno amore verso il loro Dio, o piuttosto che sia conosciuto da loro, anziché da Dio che sa tutto prima che avvenga.
Dopo tre anni porterai la decima di ogni tuo prodotto; quell'anno la depositerai nelle tue città e verrà il levita, che non ha né parte né eredità con te, il forestiero, l'orfano e la vedova che si trova nelle tue città; ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere che farai.
Non si dice che da questa decima mangi lui con i suoi, e perciò il Signore comanda che venga destinata ai leviti, ai forestieri, agli orfani e alle vedove.
Il testo però non si esprime chiaramente, poiché questa decima non è distinta da quella che la legge comanda di mangiare con i leviti nel luogo che il Signore avesse scelto per il suo tempio. ( Dt 14,22-23 )
Ma nella traduzione fatta dal testo ebraico troviamo ciò espresso più chiaramente, poiché dice: Al terzo anno separerai un'altra decima di tutti i prodotti che ti nasceranno in quel tempo e la riporrai dentro le tue porte; e verrà il levita, che non ha alcun'altra parte né una proprietà con te, il pellegrino, l'orfano e la vedova che si trovano entro le tue porte, ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere delle tue mani che farai.
In primo luogo è più chiara l'espressione: al terzo anno, poiché vuol dire che c'è l'intervallo di un anno, mentre al contrario la versione dei Settanta: dopo tre anni è equivoca e non precisa se quei tre anni sono intermediari in modo che la riserva di tale decima si debba fare ogni quattro anni.
In secondo luogo quando dice: separerai un'altra decima mostra assai bene che non si tratta della decima che - secondo l'ordine del Signore - l'offerente doveva mangiare con i suoi e con i leviti nel luogo che il Signore avrebbe scelto; poiché la legge comanda di porre in serbo quest'altra decima e nell'interno delle proprie porte, non di portarla nel luogo ove il Signore ha voluto essere invocato.
E verrà - è detto - il levita, che non ha parte né proprietà insieme con te, il forestiero, l'orfano e la vedova che si trovano dentro le tue porte e ne mangeranno.
Da questo testo risulta senza dubbio e chiaramente vero che Dio non volle che questa decima fosse un bene a disposizione tanto dell'offerente quanto di coloro per i quali dev'essere usato, ma comandò che fosse distribuita solo a coloro che non possedevano nulla, tra i quali mise soprattutto i leviti.
Dopo sette anni farai il condono. In questo testo appare chiaramente in qual senso Mosè anche prima aveva detto: dopo tre anni.
In effetti il Signore non volle che neppure questi sette anni fossero intermedi: egli comandò che si facesse il condono ogni anno come se si trattasse dell'osservanza di un Sabato d'anni.
Bada a te stesso che nel tuo cuore non ci sia una parola occulta, un'iniquità, dicendo: "È vicino il settimo anno, l'anno del condono", e il tuo occhio non mostri della cattiveria verso tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; ed egli griderà contro di te verso il Signore, e sarà in te un gran peccato.
L'agiografo usa qui l'espressione: parola segreta, ottimamente appropriata, poiché non osa esporre a parole un siffatto proposito nessuno che avrà potuto pensare di non aver l'obbligo di dare un prestito a un indigente per il fatto che si avvicina l'anno del condono, quando Dio, per far esercitare la misericordia, ha comandato ambedue le cose: sia di dare un prestito a chi ne ha bisogno, che di condonarlo nell'anno della remissione.
In qual modo perciò potrà uno condonare, animato dalla misericordia, nell'anno in cui si deve dare il condono, se crudelmente pensa di non dare nulla nel tempo in cui si deve dare qualcosa?
Se però ti è stato venduto un tuo fratello ebreo, uomo o donna, sarà tuo schiavo per sei anni e il settimo anno lo rimanderai libero da casa tua.
Il Signore non ha voluto che fossero lasciati liberi questi schiavi comprati nell'anno del condono, che da tutti doveva essere osservato ogni sette anni ma nel settimo anno dopo la sua compera quale che fosse il tempo in cui cadeva quel settimo anno.
Ogni primogenito che nascerà nelle tue vacche e nelle tue pecore, se è maschio, lo consacrerai al Signore tuo Dio.
Si deve cercare se gli esseri che in greco sono chiamati πρωτότοκα ma in latino si potevano chiamare solo primogenita [ primogeniti ], sono da intendersi soltanto quelli che nascono dalle madri, per il fatto che essi, piuttosto che essere generati, vengono partoriti.
Poiché il significato proprio di τίκτειν è " partorire " che è un'azione della femmina - per questo si dice πρωτότοκον - mentre generare si dice in greco γεννάν, e perciò il termine in senso proprio corrispondente latino è " primogenito ".
Si offrivano dunque a Dio i primi nati dalle femmine, non i primi generati dai loro mariti se per caso li generassero da vedove che avevano già partorito prima.
Poiché altrimenti non sarebbero stati i figli che avrebbero aperto il seno materno, caratteristica propria dei figli che dovevano essere consacrati al Signore secondo la volontà della legge.
Se dunque in queste parole c'è una vera distinzione non senza una ragione si dice che il Signore non è μονότοκος [ unico nato ] del Padre, ma πονογενής - cioè unigenito, vale a dire unico - però in latino, è vero, si dice che il primogenito [ di quelli che risuscitano ] dai morti, ( Col 1,18 ) poiché in latino non si poteva formare una parola composta in quel modo secondo il nostro consueto modo di parlare; in greco invece si dice πρωτότοκος [ il primo nato ] non πρωτογενής [ il generato per primo; primogenito ] come se il Padre avesse generato il figlio uguale a lui stesso, una creatura invece avrebbe partorito.
D'altra parte, anche l'espressione: il primogenito d'ogni creatura, ( Col 1,15 ) la parola greca πρωτότοκος che anche lì si legge, può intendersi nel senso di " nuova creatura ", di cui l'Apostolo dice: Se pertanto uno è in Cristo è una nuova creazione; ( 2 Cor 5,17 ) di questa nuova creazione il primo è Cristo, poiché fu il primo a risorgere in modo che non dovrà più morire e la morte non potrà più avere dominio su di lui, ( Rm 6,9 ) come viene promesso che avverrà alla fine per la nuova creazione che è unita a lui.
Una tale distinzione però non dev'essere affermata senza riflessione ma dev'essere esaminata più attentamente.
Poiché si rimane imbarazzati come mai nel libro dei Proverbi si è potuto dire: Primogenito, lo dico a te, figlio; ( Pr 31,2 ) si rimane cioè perplessi in nome di chi si deve intendere che ciò sia stato detto.
Poiché se l'espressione è rivolta a Cristo dalla persona di Dio Padre - ma è molto difficile affermare se ciò che segue si accorda a questa spiegazione - la Scrittura chiama [ Cristo ] Primogenito e anche Unigenito: primogenito per il fatto che anche noi siamo figli di Dio, ( 1 Gv 3,2 ) unigenito, al contrario, poiché solo lui è della natura del Padre, uguale al Padre e coeterno con Lui.
Sarebbe però strano se la Sacra Scrittura distinguesse con argomenti assai chiari tra " partorire " e "generare ".
E come vittima della pasqua immolerai al Signore tuo Dio pecore e buoi.
Che significa il fatto che qui l'agiografo aggiunge buoi, mentre, trattando del sacrificio della pasqua, aveva parlato solo di un capo di bestiame minuto da prendere di tra le pecore e i capretti o di tra le capre?
Ciò deve intendersi in senso figurato riguardo a Cristo, la cui origine carnale deriva da giusti e da peccatori.
Poiché l'agiografo non dice: " dalle pecore o dalle capre ", sebbene in senso proprio non possa intendersi una pecora di tra le capre; ma affinché i Giudei non dicessero per caso che si doveva sottintendere un capro, se si fosse detto: " o di tra i capri ", si disse: di tra gli agnelli e i capretti. ( Es 12,5 )
Che cosa significano allora qui i buoi? Sono forse menzionati a causa di altri sacrifici che dovevano offrirsi negli stessi giorni degli azimi?
Si deve ricercare il motivo per il quale fu comandato di osservare quanto è detto nel seguente passo: Conterai per te stesso sette settimane intere; quando comincerai a portare la falce per la messe comincerai a contare sette settimane.
E celebrerai la festa delle Settimane in onore del Signore tuo Dio secondo la forza della tua mano, tutto ciò che egli ti avrà dato, nella proporzione in cui ti benedirà il Signore tuo Dio; e ti rallegrerai al cospetto del Signore tuo Dio.
Se fu comandato che questa festa dellapentecoste fosse osservata da tutto il popolo, dobbiamo forse credere che fu comandato a tutti di mettersi a falciare la messe lo stesso giorno?
Se invece ognuno osserva questa quinquagesima per proprio conto, contando le settimane dal giorno in cui comincia a mietere, la [ ricorrenza della ] quinquagesima non è la stessa per tutto il popolo; è invece la stessa [ per tutti ] la festa che viene computata a partire dal sacrificio della vittima pasquale fino al giorno in cui fu data la legge sul monte Sinai.
Se entrerai nella terra che il Signore tuo Dio ti dà come parte d'eredità e ne avrai preso possesso e l'abiterai, e dirai: Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno, dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore tuo Dio avrà scelto.
Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello.
Possiamo domandarci perché al Signore dispiacque il popolo quando desiderò di avere un re, ( 1 Sam 8,7 ) dal momento che qui si trova scritto che gli era stato promesso.
Ma da questo passo si deve piuttosto intendere con ragione che la richiesta non fu conforme alla volontà di Dio, poiché egli non comandò che ciò avvenisse, ma lo permise solo perché lo avevano desiderato.
Dio ordinò tuttavia che non fosse costituito come capo un estraneo, ma un fratello, cioè un originario dello stesso popolo.
Quanto poi all'espressione: non potrai, si deve intendere nel senso di " non dovrai ".
Parlando del re l'agiografo dice: Non dovrà moltiplicare le sue donne per evitare che il suo cuore si allontani [ dal Signore ]; e l'argento e l'oro non dovrà moltiplicarli eccessivamente.
Stando a questo passo ci domandiamo se Davide non agì contro questo precetto, poiché non ebbe una sola moglie. ( 2 Sam 5,13 )
D'altra parte nel caso di Salomone è evidente che egli trasgredì questo precetto non solo riguardo alle donne ma anche riguardo all'oro e all'argento.
Da qui si desume piuttosto che fu permesso al re di avere più di una moglie, poiché fu proibito loro di averne molte.
Questa proibizione non fu trasgredita se un re non ne aveva molte come quelle che ebbe Davide, ma non dovevano essere molte come quelle di Salomone.
Tuttavia, quando l'agiografo aggiunge: affinché il suo cuore non si allontani [ dal Signore ], pare piuttosto che il Signore ordinasse al re di non avere molte mogli per non arrivare ad avere mogli straniere per mezzo delle quali, nel caso di Salomone, avvenne che il suo cuore si allontanasse da Dio. ( 1 Re 11,1-6 )
Tuttavia l'avere un gran numero di mogli era proibito senza distinzioni, in modo che, anche se un re avesse avuto un gran numero di mogli prese solo tra le ebree, con ragione sarebbe potuto essere incolpato di aver trasgredito questo precetto.
Se poi sopraggiungerà un levita da una delle tue città, una [ qualsiasi ] di tutti i figli d'Israele, dove egli risiede, [ se viene ] come desidera la sua anima nel luogo che il Signore avrà scelto - cioè se desiderò recarsi nel luogo dove è invocato il Signore - allora presterà servizio al nome del Signore suo Dio come tutti i suoi fratelli leviti che stanno lì davanti al Signore; egli mangerà la porzione distribuita ad eccezione del [ provento ] della vendita dei suoi beni di famiglia.
Non è chiaro di quale vendita si parli: forse si tratta delle decime e delle primizie che ai leviti abitanti lontano [ da Gerusalemme ] era comandato di vendere per non essere costretti a portare molte cose nel luogo ove s'invoca il Signore, o a condurre là il bestiame per poi ricomprarlo allo stesso prezzo; il Signore aveva ordinato che avesse lì la parte corrispondente il levita il quale restava in quella città da cui gli erano dovute le decime e le primizie.
Ecco perché l'agiografo dice che ciò è dovuto al levita come diritto della famiglia poiché, in forza del diritto di successione ai beni di suo padre, si doveva mettere in serbo per lui ciò che si soleva dare ai suoi genitori.
Poiché Dio proibisce che tra il suo popolo ci siano degli individui che osservano e interpretano i prodigi ci chiediamo come discernere i prodigi, che egli proibisce di osservare, da quelli che hanno impronte talmente divine che se ne deve ricercare il significato; tali sono tutti i miracoli riferiti nelle Scritture: essi significano qualcosa d'importante relativo alla regola della fede, come spieghiamo che cosa significava il vello rimasto asciutto sull'aia che invece era bagnata di rugiada, oppure era bagnato di rugiada nell'aia ch'era asciutta, ( Gdc 6,37-39 ) oppure il bastone di Aronne che fiorì e produsse delle mandorle, ( Nm 17,8 ) ed altri simili prodigi. Poiché, allo stesso modo che si distinguono le divinazioni proibite nel seguito del testo sacro dalle predizioni e dai messaggi dei Profeti, così le osservazioni dei prodigi si devono distinguere dai significati dei miracoli divini.
Indice |
1 | Girolamo, Lib. nom.: CC 72, pp. 70, 87, 97, 134 |
2 | De Gn. c. Manich. 1, 17, 27; De divv. qq. 83, 51 |
3 | Tertulliano, De bapt. 5,7 |
4 | Quest. 2,166 |