Questioni sull'Ettateuco |
E il Signore disse a Mosè e al sacerdote Eleazaro, figlio di Aronne: " Levate gli incensieri di bronzo di mezzo agli incendiati e semina lì il fuoco profano, poiché hanno santificato gli incensieri di questi peccatori nelle loro anime; fanne delle lamine flessibili da porre attorno all'altare, poiché sono stati presentati al Signore e sono divenuti un segno per i figli di Israele ".
Perché in questo passo il Signore parlò non a Mosè e ad Aronne come nei passi precedenti, ma a Mosè e ad Eleazaro, figlio di Aronne?
Il motivo che per ora mi si presenta alla mente è questo: poiché si trattava di un problema relativo alla parentela dei sacerdoti, cioè di quale famiglia dovevano essere - per questo motivo perirono, puniti con un castigo tanto orrendo e singolare, quegli uomini di un'altra famiglia poiché avevano osato appropriarsi del sacerdozio - Dio volle parlare non ad Aronne, che era già sommo sacerdote, ma ad Eleazaro che gli doveva succedere e già esercitava le funzioni di sacerdote di secondo rango, per mettere in risalto, in quel modo la serie dei discendenti che sarebbe dovuta aversi nella successione dei sacerdoti.
Perciò anche nel seguito il testo dice: Ed Eleazaro, figlio del sacerdote Aronne, prese tutti gli incensieri d'oro che avevano presentato [ al Signore ] coloro che erano stati bruciati e li aggiunse ponendoli intorno all'altare come ricordo per i figli di Israele, affinché non si avvicini alcun estraneo, non facente parte della stirpe di Aronne, per offrire l'incenso davanti al Signore; e non dovrà essere come Core e come la sua banda, come [ gli ] aveva parlato il Signore per mezzo di Mosè.
In questa maniera volle dunque Dio porre in risalto, per mezzo di Eleazaro, non il sacerdozio già conferito ad Aronne, ma la stirpe della successione sacerdotale.
Quanto invece all'espressione: e il fuoco profano seminalo lì, si deve intendere nel senso di " spargilo ".
E l'espressione con cui il testo prosegue: poiché hanno santificato i turiboli di quei peccatori nelle loro anime, è una frase espressa con un modo di dire inusitato - è vero - ma si deve osservare che il castigo di coloro che avevano commesso quel peccato è detto - in un modo insolito - santificato, poiché per loro mezzo si diede un esempio agli altri affinché avessero paura.
Inoltre, per spiegare perché Dio ordinò che di quegli incensieri si facesse un rivestimento [ metallico ] attorno all'altare, l'agiografo prosegue dicendo: Poiché furono offerti davanti al Signore e furono santificati e sono diventati un segno tra i figli di Israele.
Dio dunque non volle che fossero riprovati perché erano stati offerti da quegli uomini, ma che piuttosto si pensasse e si riflettesse seriamente davanti a chi erano stati offerti - cioè che erano stati offerti davanti al Signore - e che, rispetto ad essi il nome del Signore, davanti al quale erano stati offerti, valeva molto di più che la gravissima colpa di coloro che li avevano offerti.
Ciò la Scrittura lo aveva già ricordato anche nell'Esodo quando parla della costruzione dell'altare. ( Es 27,2 )
Da ciò si comprende che i vari avvenimenti sono distribuiti nei diversi libri sacri ma senza l'ordine cronologico in cui erano succeduti.
Poiché anche a proposito del bastone di Aronne la Scrittura in questo libro narra in qual modo successe che esso con il suo germogliare e con il produrre fiori rivelò per volontà di Dio che Aronne era stato scelto come sacerdote. ( Nm 17,16-24 )
E tuttavia a proposito dello stesso bastone nell'Esodo si dice che si doveva riporre con la manna nel Santo dei Santi dentro l'Arca dell'alleanza, quando il Signore comandò di costruire la tenda-santuario ( Es 26,33-34; Es 40,18.21 ) e quest'ordine fu dato, naturalmente, molto prima che la stessa tenda-santuario fosse costruita e terminata completamente.
Fu terminata il primo mese del secondo anno dopo l'esodo dall'Egitto ( Es 40,17 ) e questo libro comincia il primo giorno del secondo mese del medesimo secondo anno. ( Nm 1,1 )
È quindi chiaro che questi fatti, se consideriamo l'ordine dei libri, vengono ricordati per ricapitolazione, cioè per ricordo dei fatti passati, fatti che da chi presta meno attenzione si crede siano avvenuti nello stesso ordine in cui sono raccontati.
E il Signore disse ad Aronne: " Tu e i tuoi figli e la casa di tuo padre porterete i peccati dei santi e tu e i tuoi figli porterete i peccati del vostro sacerdozio ".
Questi peccati sono quelli chiamati sacrifici per i peccati.
Perciò non sono chiamati peccati dei santi quelli che commettono i santi ma, poiché i sacrifici per i peccati sono santi, la Scrittura li chiama [ peccati ] dei santi.
Poiché i sacrifici si offrono nel santuario e sono detti peccati i sacrifici per i peccati, perciò sono chiamati peccati dei santi.
E i peccati del vostro sacerdozio, cioè gli stessi sacrifici che si offrono per i peccati; come la Scrittura ci dà a conoscere chiaramente anche nel Levitico e dice che devono appartenere al sacerdote. ( Lv 6,19 )
Tutti quanti i primogeniti di tutte le cose che saranno sulla terra e che offriranno al Signore saranno tuoi.
Qui non sono chiamati primogeniti i primogeniti del bestiame, poiché questi in greco sono chiamati πρωτότοκα [ i primogeniti ], mentre qui sono chiamati πρωτογενήματα.
Ma in latino non si sono trovate due parole diverse per queste cose.
Ecco perché alcuni tradussero il termine πρωτογενήματα con primitias [ le primizie ], ma le primizie in greco si dicono άπαρχάί e sono un'altra cosa.
Queste tre cose si distinguono nel modo seguente: πρωτότοκα sono i primogeniti degli animali, compresi quelli degli uomini, sono al contrario πρωτογενήματα i primi frutti presi dalla terra o dagli alberi o dalle viti; le primizie invece sono i primi frutti - è vero - ma già raccolti dai campi, come ciò che per la prima volta veniva preso dalla pasta di farina, dalla tinozza sotto il torchio del vino, dalla botte, dal tino.
A proposito della vacca rossa, la cenere della quale la legge ordinò che servisse per l'acqua dell'aspersione e per purificare coloro che avessero toccato un cadavere non c'è permesso di tacere - poiché c'è in essa un'evidentissima prefigurazione simbolica del Nuovo Testamento - né siamo capaci di parlare in modo abbastanza degno di un sì grande mistero data la fretta che abbiamo di terminare.
Poiché il fatto che la Scrittura per la prima volta prese a parlare di questa cosa, a chi non farebbe impressione e non lo renderebbe quanto mai attento alla profondità del mistero?
La Scrittura dice: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Questa è la distinzione della legge riguardo a tutto ciò che ha stabilito il Signore ".
Senza dubbio non c'è una distinzione se non tra due o più cose, poiché nell'unità si cerca invano la distinzione.
Qui non è menzionata la distinzione d'una cosa qualsiasi, ma il Signore aggiunge: della legge, e non d'una legge qualunque.
Nella Scrittura infatti, di ciascuna cosa legittimamente comandata, si dice ripetutamente: " Questa è la legge relativa a questa o a quella cosa ".
Qui invece il testo, dopo aver detto: Questa è la distinzione della legge, aggiunse di seguito: per tutto ciò che ha stabilito il Signore, comandando, non creando.
Infatti anche alcuni interpreti hanno tradotto: tutto ciò che ordinò il Signore.
Se dunque è questa la distinzione della legge, tutto ciò che comandò il Signore, questa distinzione è senza dubbio importante; e si comprende bene che qui si distinguono i due Testamenti.
Poiché le medesime cose sono nell'Antico e nel Nuovo Testamento: lì velate, qui rivelate, lì prefigurate, qui manifestate.
Poiché sono diversi non solo i misteri ma anche le realtà promesse.
Lì pare che sono proposti beni temporali con i quali è indicato simbolicamente il premio spirituale, avvolto nel mistero; qui invece vengono promessi in modo assai chiaro beni spirituali ed eterni.
E quale distinzione è più splendida e più sicura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo?
Nella sua morte risultò evidente che non questa felicità terrena e transitoria dobbiamo sperare e desiderare come un gran dono del Signore, dal momento che mediante una distinzione assai chiara, per mezzo del suo Figlio unigenito, che volle sopportasse patimenti tanto acerbi, manifestò che gli si deve chiedere un bene totalmente diverso.
Insomma ciò che si narra del sacrificio della giovenca rossa prefigura in modo assai conveniente la Passione di nostro Signore Gesù Cristo come distinzione dei due Testamenti.
33.2. E il Signore parlò a Mosè e Aronne dicendo: " Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che ha stabilito il Signore ".
E di poi comincia a dare i precetti continuando a dire: Di' ai figli d'Israele.
Il testo può avere qui anche la seguente punteggiatura: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: " Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che il Signore ha stabilito dicendo ", non tutto ciò che il Signore ha stabilito creando, come il cielo e la terra e tutto ciò che si trova in essi, ma tutto ciò che il Signore ha stabilito, dicendolo naturalmente nei due Testamenti, continuando poi così di seguito: Di' ai figli d'Israele, e prendano per te una giovenca rossa senza difetto.
La giovenca rossa è simbolo della carne di Cristo; è di sesso femminile a causa della debolezza della carne, è rossa a causa della passione cruenta.
Quanto all'espressione: prendano per te, essa dimostra nello stesso Mosè la figura della legge, poiché gli Israeliti credettero di uccidere Cristo secondo la legge in quanto, secondo loro, trasgrediva il Sabato e, come essi pensavano, violava le osservanze legittime.
Non è dunque strano che si dica che la giovenca sia senza difetti, poiché anche le altre vittime prefiguravano questa carne dal momento che è prescritto che siano ugualmente senza difetti gli animali da immolare.
Quella carne infatti era a somiglianza della carne di peccato, ( Rm 8,3 ) ma non carne del peccato.
Tuttavia qui ove Dio volle far risaltare con maggiore evidenza la distinzione della legge non bastava che dicesse senza difetto, se non avesse detto: che non ha in sé alcun difetto.
Questa espressione, se fu detta per ripetere lo stesso concetto, forse non fu detta inutilmente, poiché è proprio la ripetizione a mettere in più forte risalto quel concetto.
Sennonché non è incompatibile con la verità se si pensa che è aggiunta la frase: la quale non abbia in sé alcun difetto, pur essendo già stato detto: una giovenca senza difetto, per il fatto che non lo ebbe in sé la carne di Cristo, mentre lo ebbe in altri che sono sue membra.
Quale carne infatti è senza peccato in questa vita se non quella che non ha in sé alcun difetto? E su di essa non sia stato posto il giogo.
Poiché non è stata soggiogata all'iniquità, dalla quale liberò coloro che trovò assoggettati ad essa e spezzò le loro catene, affinché gli si possa dire: Tu hai spezzato le mie catene; io ti offrirò un sacrificio di lode. ( Sal 116,16-17 )
In effetti non fu posto il giogo sopra la carne di lui, che ebbe il potere di offrire la propria vita e di riprenderla. ( Gv 10,18 )
33.3. E la darai - è detto - al sacerdote Eleazaro.
Perché non ad Aronne, se non forse perché ciò era un annuncio prefigurativo che la Passione del Signore sarebbe arrivata non in quel tempo là ma ai successori di quel sacerdozio?
E la cacceranno fuori dell'accampamento; allo stesso modo fu cacciato fuori della città il Signore perché soffrisse la Passione.
Quanto poi all'espressione: in un luogo puro, essa significa che il Signore non aveva un capo d'accusa infamante.
E la immoleranno alla sua presenza, come fu immolata la carne di Cristo alla presenza di coloro che presto sarebbero stati sacerdoti del Signore nel Nuovo Testamento.
33.4. Ed Eleazaro prenderà un po' del suo sangue e con il suo sangue spruzzerà sette volte verso la facciata della tenda dell'alleanza.
Ciò costituisce una testimonianza che Cristo, secondo le Scritture, versò il suo sangue per la remissione dei peccati. ( Ef 1,7; Rm 3,25 )
Doveva spruzzare il sangue verso la facciata della tenda dell'alleanza, poiché non fu manifestato diversamente da come era stato preannunciato dalla parola di Dio, e fu spruzzato sette volte, poiché lo stesso numero è in relazione con la purificazione spirituale.
33.5. E la bruceranno alla sua presenza.
Penso che la cremazione sia un simbolo della risurrezione, poiché la natura del fuoco è di sollevarsi in alto, e ciò che si brucia si cambia in esso.
Lo stesso verbo cremare introdotto dal greco in latino deriva dal verbo che vuol dire " sospendere ".
Al contrario con l'espressione che segue: alla presenza di lui, cioè alla presenza del sacerdote, mi pare che sia indicato che la risurrezione di Cristo apparve a coloro che sarebbero divenuti un sacerdozio regale.
Inoltre la frase: e la sua pelle, le carni e il sangue di essa saranno bruciati con il suo sterco spiega in qual modo la giovenca dovrà essere bruciata e indica simbolicamente che non solo la sostanza del corpo mortale di Cristo, indicata con la menzione della pelle, delle carni e del sangue, ma anche l'oltraggio e il disprezzo del popolo, indicati - a mio parere - con la parola sterco, si cambieranno nella gloria indicata dalla fiamma della combustione.
33.6. Il sacerdote prenderà allora del legno di cedro, dell'issopo e dello scarlatto e li getterà in mezzo al fuoco in cui brucia la giovenca.
Il legno di cedro è simbolo della speranza, che deve dimorare saldamente in cielo; l'issopo è simbolo della fede, poiché essendo un'erba umile, si attacca con le radici alla roccia; lo scarlatto è simbolo della carità, poiché con il suo colore di fuoco attesta il fervore dello spirito.
Queste tre cose dobbiamo gettarle nella risurrezione di Cristo come in mezzo al fuoco della sua combustione affinché la nostra vita sia nascosta con lui, come dice l'Apostolo: E la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. ( Col 3,3 )
33.7. Il sacerdote laverà poi i suoi vestiti, laverà il suo corpo con l'acqua e dopo rientrerà nell'accampamento; il sacerdote sarà impuro fino alla sera.
Di che cosa è simbolo la lavanda dei vestiti e del corpo se non la purificazione dell'esterno e dell'interno?
Di poi continua dicendo: E chi la brucerà, laverà i suoi vestiti, laverà il proprio corpo e sarà impuro fino a sera.
Io penso che in colui che brucia la giovenca sono simboleggiati coloro che seppellirono la carne di Cristo affidandola alla risurrezione, come a una specie di combustione.
33.8. Uno, che sia puro, raccoglierà la cenere della giovenca e la porrà fuori dell'accampamento in un luogo puro.
Che cosa diremo della cenere della giovenca, cioè dei resti di quel sacrificio e di quella combustione, se non che simboleggiano la fama che seguì alla Passione e alla risurrezione di Cristo?
Poiché l'uomo che ama la pace avrà i beni che restano alla fine. ( Sal 37,37 )
Era infatti anche cenere poiché era disprezzato dagli infedeli come un morto e tuttavia purificava, poiché i fedeli tenevano per certo che egli era risorto.
E poiché questa fama rifulse soprattutto presso coloro che erano tra tutti gli altri popoli e non appartenevano alla comunità dei Giudei, per questo io penso che sia detto: E uno che sia puro raccoglierà la cenere della giovenca, uno che non sia macchiato dell'uccisione del Cristo, della quale si erano resi colpevoli i Giudei.
E la porrà in un luogo puro, cioè la tratterà con l'onore dovuto, ma tuttavia fuori dell'accampamento, poiché la dignità del Vangelo risplendette al di fuori delle celebrazioni delle osservanze consuete dei Giudei.
E per la comunità dei figli d'Israele quella cenere sarà conservata come l'acqua dell'aspersione: è una purificazione.
Di poi spiega più chiaramente in qual modo con quella cenere si faceva l'acqua lustrale con la quale si veniva purificati dal contatto dei morti: rito che comunque era simbolo della purificazione dei peccati di questa vita votata alla morte e mortale.
33.9. È però strana la frase che segue: E chi raccoglie la cenere della giovenca laverà i suoi vestiti e sarà impuro fino alla sera.
In qual modo potrà essere immondo a causa di ciò uno che s'era avvicinato, se non perché anche coloro, i quali si credono puri, mediante la fede cristiana riconoscono che tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, e sono giustificati gratuitamente ( Rm 3,23-24 ) mediante il suo sangue?
Tuttavia è detto che quella persona deve lavare i suoi vestiti ma non anche il suo corpo; io credo che la Scrittura ci voglia fare intendere che quell'uomo, raccogliendo la cenere e ponendola in un luogo puro, fosse già purificato interiormente, se la cosa la s'intende in senso spirituale.
Allo stesso modo Cornelio, ascoltando e prestando fede a ciò che aveva predicato Pietro, fu purificato in modo che, prima di ricevere il battesimo visibile, con i suoi familiari che erano presenti, ricevette il dono dello Spirito Santo; ( At 10,44-48 ) tuttavia non fu rifiutato neppure il sacramento visibile, cosicché in un certo qual modo lavò esteriormente i suoi vestiti.
E sarà una prescrizione perenne per i figli di Israele e per i proseliti residenti presso di loro.
Che cos'altro dimostra ciò se non che il battesimo di Cristo, simboleggiato dall'acqua lustrale, sarebbe giovato sia ai Giudei che ai pagani, cioè ai figli d'Israele e agli stranieri, come a rami naturali e a un olivo selvatico inserito nella linfa della radice? ( Rm 11,16-24 )
Di chi poi non richiamerà l'attenzione il fatto che, dopo la lavanda, si dica di ciascuno: e sarà impuro fino alla sera?
Inoltre non è detto solo qui ma in tutte o quasi tutte le purificazioni di tal genere.
A proposito di ciò non so se potrebbe intendersi altro se non che ognuno, dopo il pieno e completo perdono dei peccati, restando in questa vita contrae qualche impurità a causa della quale resta impuro fino alla fine della sua vita, quando per lui in certo qual modo si compie il giorno terreno; cosa, questa, che simboleggia la sera.
33.10. La Scrittura prende poi a dire ed espone distintamente in qual modo le persone divenute impure vengono purificate con quell'acqua lustrale.
Chi avrà toccato - è detto - un morto, ogni anima di uomo sarà impura per sette giorni; si purificherà il terzo giorno e il settimo giorno, e diverrà puro.
Anche qui vedo che non si deve intendere null'altro se non che il contatto con un morto è un peccato dell'uomo.
Penso invece che è detta impurità di sette giorni a motivo dell'anima e del corpo; a motivo dell'anima per il numero tre, a motivo del corpo per il numero quattro.
Sarebbe troppo lungo esporre esattamente perché è così.
Io penso che conforme a questa espressione il profeta dica: Per tre o quattro empietà non mi distoglierò [ dal punire ]. ( Am 1,3 )
Il testo poi soggiunge e dice: Se però non si sarà purificato nel terzo giorno e nel settimo giorno, resterà impuro.
Chiunque avrà toccato un morto, se è un morto di qualsiasi anima di uomo e non si sarà purificato - cioè se, dopo aver toccato un morto, morirà prima d'essersi purificato - contamina la tenda-santuario del Signore; quell'anima verrà tagliata fuori da Israele.
Si deve osservare che assai difficilmente nei libri sacri si trova scritta una dichiarazione più chiara sulla vita dell'anima dopo la morte.
Qui, dunque, la frase che dice: " se uno morirà prima della purificazione, resta impuro e quell'anima dev'essere tagliata via da Israele, cioè dalla comunità del popolo di Dio ", che cos'altro vuol farci intendere se non che il castigo dell'anima rimane anche dopo la morte se, mentre vive, non viene purificata con questo rito simbolico, con il quale è prefigurato il battesimo di Cristo?
Poiché - si dice - non si è sparsa su di lui l'acqua lustrale, resta impuro; resta ancora in lui la sua impurità.
Ancora vuol dire: " anche dopo la morte ".
Quanto all'espressione precedente: contamina la dimora del Signore, essa vuol dire che la contamina per quanto sta in lui; è come quando anche l'Apostolo dice: Non spegnete lo spirito, ( 1 Ts 5,19 ) sebbene lo Spirito non possa spegnersi.
Poiché se il Signore avesse voluto che la tenda-santuario fosse contaminata da quell'azione, certamente avrebbe ordinato di purificarla.
33.11. Il Signore però ordina poi che si purifichino quanti si sono resi impuri a causa dei morti, cioè a causa delle opere morte, dicendo: Per l'impuro prenderanno della cenere della giovenca bruciata col fuoco della purificazione e sopra di essa - cioè sopra la medesima cenere - verseranno acqua viva in un vaso; e un uomo puro, prendendo dell'issopo, lo getterà nell'acqua e la spargerà attorno sulla dimora sulle suppellettili e su tutte le persone che vi si troveranno, su chi avrà toccato ossa umane, un ferito o un morto o un sepolcro; e un uomo puro aspergerà l'impuro nel terzo giorno e nel settimo giorno, e sarà purificato il settimo giorno e laverà i suoi vestiti e si laverà con l'acqua e sarà impuro fino alla sera.
Una cosa è l'acqua lustrale e certamente un'altra l'acqua con la quale l'impuro laverà i propri vestiti.
E si laverà con l'acqua, che io penso debba essere quella spirituale nel senso allegorico, non in quello proprio.
Poiché era senza dubbio acqua visibile come tutte le ombre delle realtà future.
Per conseguenza chi viene purificato nel modo debito con il sacramento del battesimo, prefigurato da quell'acqua lustrale, viene purificato anche spiritualmente, cioè in modo invisibile sia nella carne che nell'anima, cosicché resta puro tanto nel corpo che nello spirito.
Riguardo invece a quanto si dice che l'acqua dell'aspersione veniva spruzzata con l'issopo - erba da cui più sopra abbiamo detto che viene prefigurata la fede - che cosa può venire in mente se non la frase della Scrittura: Purificando i loro cuori con la fede? ( At 15,9 )
Poiché a nulla serve il battesimo se manca la fede.
La Scrittura dice poi che quella lavanda dev'essere compiuta da una persona pura, e con ciò sono simboleggiati i ministri, che rappresentano la persona del loro Signore, il quale è la persona pura nel senso proprio della parola.
Nel seguito del testo, infatti, a proposito di questi ministri è detto: Chi spargerà tutto intorno l'acqua lustrale resterà impuro fino alla sera.
E tutto ciò che l'impuro toccherà sarà impuro, e la persona che lo toccherà, sarà impura sino alla sera.
Ho già detto più sopra di che cosa mi pare sia simbolo l'espressione: fino alla sera.
Chiunque avrà toccato in aperta campagna un uomo ferito con un'arma o un morto, oppure ossa d'uomo o un sepolcro.
Possiamo chiederci che cosa vuol dire l'espressione: un uomo ferito con un'arma o un morto.
Se infatti l'agiografo ha voluto che per ferito con un'arma s'intendesse una cosa e per morto un'altra cosa, dovremmo badare a non pensare che è impuro anche colui che avrà toccato un ferito vivo, poiché ciò sarebbe illogico.
Ma poiché ci possono essere anche morti feriti con un'arma, s'intende che l'agiografo distingue tra i morti in modo che s'intenda trattarsi anche di un morto, ferito con un'arma, cioè di un morto ch'era stato ucciso con un'arma o di un morto senz'essere colpito con un'arma.
L'apostolo Paolo spiega di che cosa fosse simbolo l'acqua fatta sgorgare dalla roccia quando dice: E tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, poiché bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava: quella roccia era il Cristo. ( 1 Cor 10,4 )
[ Con queste parole ] viene dunque simboleggiata la grazia spirituale che sgorga da Cristo, con la quale viene dato refrigerio alla sete interiore.
Ma il fatto che la roccia è percossa con la verga raffigura la croce di Cristo, poiché questa grazia sgorgò dalla roccia quando fu colpita dal legno [ della verga ] e il fatto che la roccia viene percossa due volte simboleggia la croce, poiché la croce risulta di due legni.
Dell'acqua che scaturì dalla roccia è detto: Questa è l'acqua della contraddizione poiché i figli di Israele parlarono male al cospetto del Signore e si fece santo con loro.
A proposito di questo fatto l'agiografo prima dice che gli Israeliti parlarono male, quando parlarono contro il dono del Signore con cui erano stati condotti fuori dall'Egitto, e dopo dice che si fece santo con loro quando la sua santità si manifestò chiaramente nel miracolo dell'acqua scaturita [ dalla roccia ].
Si tratta forse di due specie di persone, cioè di coloro che rifiutano la grazia di Cristo e di coloro che l'accolgono, di modo che per quelli è acqua di contestazione, per questi invece acqua di santificazione?
Poiché finanche a proposito del Signore si legge nel Vangelo: Egli è quale segno di contraddizione. ( Lc 2,34 )
Tra gli altri messaggi inviati da Mosè al re di Edom uno dice: Noi non berremo l'acqua del tuo pozzo; nel senso che è sottinteso " gratis ", cioè: " non berremo gratis l'acqua ", come di poi appare chiaramente quando è detto: ma se io e il mio bestiame berremo della tua acqua, te ne pagherò il prezzo.
Non devieremo né verso le cose della destra né verso quelle della sinistra; è detto al plurale: verso le cose che si trovano alla destra o alla sinistra.
Non entrerete nella terra che ho dato in possesso ai figli di Israele, poiché mi avete irritato all'acqua della maledizione.
Quella che prima l'agiografo aveva chiamato acqua della contraddizione qui la chiama della maledizione.
Il testo greco non dice: άντιλογίας, ma: λοιδορίας.
E Israele fece un voto al Signore e disse: " Se mi consegnerai sottomesso questo popolo - cioè: se me lo assoggetterai consegnandolo a me - anatemizzerò lui e le sue città.
Qui si deve osservare in che senso dica anatemizzerò ciò che si promette in un voto e tuttavia si esprime come un oggetto maledetto, così come si dice di questo popolo.
Ecco perché Paolo asserisce: Se uno vi predicherà un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. ( Gal 1,9 )
Di qui viene il fatto che di solito si usa il termine anatema nel senso di " imprecazione ", poiché quasi nessuno dice di votare al male qualcosa se non con una formula di maledizione.
E anatemizzò lui e le sue città e il nome di quel luogo fu chiamato " Anatema ".
Di qui è derivato che anatema pare indicare qualcosa di esecrabile e di abominevole.
Poiché anatematizzare, o, come comunemente si dice, imprecare viene dal fatto che il vincitore non portava via nulla dalla città [ conquistata ] per il suo personale profitto, ma la votava interamente a scontare il castigo.
L'etimologia della parola greca anatema deriva dal fatto che le cose consacrate con voto e poi offerte [ alla divinità ] venivano appese in alto nei templi άπό τοϋ άνω τιθέναι, vale a dire " dal porre in alto " col fissarle o con l'appenderle.
A proposito del viaggio dei figli di Israele durante il quale trasportavano l'accampamento e lo fissavano, tra l'altro sta scritto: E di lì [ partirono e ] posero il campo oltre l'Arnon che si trova nel deserto a partire dai confini degli Amorrei.
Poiché l'Arnon è un confine di Moab, tra Moab e l'Amorreo.
Perciò nel libro intitolato "Le guerre del Signore " si dice: Infiammò Zoob e i torrenti dell'Arnon. E fece abitare i torrenti in Er.
Non si menziona in quale libro sta scritto ciò e non ce n'è alcuno chiamato così tra quelli della Sacra Scrittura che chiamiamo " canonici ".
Da siffatti libri trovano pretesto coloro che tentano di fare entrare i libri apocrifi nelle orecchie degli incauti e dei curiosi per indurli a credere a empietà impastate di fandonie.
Qui però mentre si dice che sta scritto nel libro, non si dice nel libro sacro di quale profeta o patriarca.
Non si può negare tuttavia che già allora c'erano libri sia dei Caldei, dai quali uscì Abramo, sia degli Egiziani, presso i quali Mosè aveva appreso tutta la loro sapienza, ( At 7,22 ) sia di qualunque altro popolo, in qualcuno dei cui libri poteva stare scritto questo fatto; ma tuttavia non per questo un tale libro dovrebbe essere preso come le Scritture alle quali è riservata l'autorità di Dio.
Allo stesso modo non ha questa autorità neppure quel profeta di Creta menzionato dall'Apostolo ( Tt 1,12 ) né gli scrittori, filosofi o poeti, dei quali proprio il medesimo Apostolo, parlando agli Ateniesi, afferma che dissero qualche verità certamente importante e davvero evidente, e dice: Per mezzo di lui infatti noi viviamo, ci moviamo ed esistiamo. ( At 17,28 )
In effetti è lecito alla divina autorità prendere da dovunque vorrà una testimonianza che troverà verace, ma non per questo garantisce che si debba accogliere tutto ciò che vi sta scritto.
Ma perché il fatto [ qui citato ] sia stato menzionato in questo passo non appare evidente, salvo che forse si sia trattato di stabilire lì i confini fra due popoli con una guerra, che la gente del medesimo luogo dissero essere una " guerra del Signore " a causa della sua importanza, di modo che in un loro libro si scrisse: La guerra del Signore infiammò Zoob o perché questa città bruciò nella stessa guerra o s'infiammò, cioè si eccitò per combattere, o qualunque altra cosa che rimane nascosta in questo passo oscuro.
Questo è il pozzo di cui il Signore aveva detto a Mosè: " Raduna il popolo e darò loro acqua da bere ".
La Scrittura così menziona questo fatto, come se in qualche passo precedente si leggesse che il Signore avesse detto così a Mosè; ora, poiché non si trova in alcun altro passo, qui si deve intendere che anche lì bevve il popolo che si era lamentato della mancanza d'acqua.
E Israele lo colpì a fil di spada; e furono padroni della sua terra da Arnon fino a Iaboc, fino ai figli di Ammon.
Israele prese anche tutte quelle città, ed Israele dimorò in tutte le città degli Amorrei, in Esebon.
Stando a queste parole Israele possedette certamente le città degli Amorrei conquistate in guerra, poiché non le aveva votate allo sterminio; se infatti le avesse votate allo sterminio non gli sarebbe stato lecito possederle né appropriarsi di alcunché del bottino per le sue necessità.
Bisogna tener presente certamente in qual modo si facevano le guerre giuste.
Poiché era stato negato il passaggio innocuo ( Nm 21,21-23 ) che doveva essere accessibile secondo il diritto più che giusto della società umana.
Ma subito Dio, per adempiere le sue promesse, venne in aiuto allora agli Israeliti, ai quali era conveniente fosse dato il paese degli Amorrei.
Infatti, poiché Edom aveva ugualmente negato loro il passaggio, gli Israeliti non combatterono con quel popolo, cioè i figli di Giacobbe con i figli di Esaù, i due fratelli germani e gemelli, poiché Dio non aveva promesso agli Israeliti quel paese, ma deviarono da essi per un'altra strada. ( Nm 20,14-21 )
Perciò gli enigmatisti diranno: " Venite a Esebon ", ecc.
Non appare chiaro chi siano gli enigmatisti, poiché non sono personaggi abituali della nostra letteratura e neppure nelle stesse divine Scritture questo nome si trova quasi mai in altri passi, ma poiché pare che cantino una specie di cantico in cui celebrano la guerra combattuta tra gli Amorrei e i Moabiti nella quale Seon, re degli Amorrei, vinse i Moabiti, ( Nm 21,27-30 ) non pare improbabile che allora furono chiamati enigmatisti coloro che noi chiamiamo poeti, per il fatto che è abitudine e licenza di mescolare nelle loro poesie enigmi propri della mitologia, mediante i quali si pensa che essi esprimano il simbolismo di qualcosa.
Poiché altrimenti non sarebbero enigmi, se non ci fosse in essi un'espressione metaforica, spiegando la quale si giungerebbe a capire ciò che si cela nell'enigma.
La Scrittura dice che dopo che Israele vinse gli Amorrei e s'impossessò di tutte le loro città, Balac, re dei Moabiti, inviò dei messaggeri affinché gli conducessero Balaam per far maledire da lui Israele; ciò dimostra assai chiaramente che non tutti i Moabiti s'erano assoggettati al dominio di Seon, re degli Amorrei, quando li vinse in guerra, dal momento che la nazione dei Moabiti rimase fino al tempo che regnava Balac, re di Moab.
Quanto invece a ciò che Moab disse agli anziani dei Madianiti, vale a dire ciò che i Moabiti dissero agli anziani dei Madianiti, e cioè: Ora questa massa di gente divorerà tutti i nostri circonvicini, vuol dire che non formavano un popolo solo ma i vicini dissero ai loro vicini che dovevano guardarsi ugualmente da quel popolo [ straniero ].
Moab infatti era figlio di Lot per parte di una figlia di questi, ( Gen 19,37 ) mentre Madian era figlio di Abramo per parte di Cettura. ( Gen 25,2 )
Non era dunque un popolo solo ma due popoli vicini e confinanti.
Che significa l'espressione: E le divinazioni nelle loro mani, usata dalla Scrittura parlando di coloro che Balac aveva inviato perché conducessero Balaam a maledire Israele?
Erano forse essi gli indovini? O portavano forse qualcosa con cui Balaam avrebbe potuto fare in modo di effettuare la divinazione, come certe cose che si bruciavano in sacrifici o s'impiegavano in qualsiasi altro modo, e perciò erano chiamate " divinazioni " poiché per mezzo di esse Balaam poteva compiere la divinazione?
O che cos'altro poteva essere? In effetti è un'espressione oscura.
Si deve poi osservare che Dio venne da Balaam e gli disse: " Chi sono quegli uomini che sono in casa tua? ", ecc.
Non viene detto però se ciò avvenne in sogno, sebbene sia evidente che avvenne di notte, dal momento che in seguito, dopo ciò, si dice: E alzandosi Balaam di buon mattino.
In realtà può suscitare imbarazzo il fatto che Dio parlasse con un pessimo individuo, perché anche se risultasse che ciò avvenne in sogno, non per questo non rimarrebbe il problema per il fatto che quello era indegno.
Così anche nostro Signore Gesù Cristo, a proposito di quel ricco che si proponeva di distruggere i vecchi magazzini e riempirne dei nuovi più vasti, dice: Dio gli disse: " Stolto, questa notte la tua vita ti sarà tolta, e di chi saranno le ricchezze che hai messo in serbo? ". ( Lc 12,20 )
Nessuno deve vantarsi che Dio gli parli nel modo con cui sa di dover parlare con siffatti individui, dal momento che ciò può accadere anche ai reprobi, poiché è lui stesso che parla anche quando parla per mezzo di un angelo.
Ai messaggeri più ragguardevoli inviatigli Balaam disse: Anche se Balac mi desse la sua casa piena d'argento o d'oro non potrei trasgredire l'ordine del Signore mio Dio per fare una cosa piccola o grande secondo la mia mente.
Questa risposta non contiene alcun peccato, ma ciò che segue non è privo di un grave peccato.
Poiché Balaam avrebbe dovuto essere risoluto subito appena udito ciò che gli aveva detto il Signore: Non andare con loro e non maledire quel popolo perché è benedetto, e non avrebbe dovuto dar loro alcuna speranza che il Signore avrebbe potuto cambiare la propria disposizione contro il suo popolo, di cui aveva detto ch'era benedetto, come fece Balaam indotto a cambiare di sentimento con doni e onori.
Egli dunque si mostrò vinto dalla sua cupidigia allorquando volle che il Signore gli parlasse di nuovo di ciò di cui già aveva conosciuto l'ordine [ dello stesso Signore ].
Che bisogno c'era infatti di aggiungere quanto segue: e adesso trattenetevi qui anche voi questa notte e io saprò che cosa ancora mi dirà il Signore?
Di conseguenza il Signore, vedendo la sua cupidigia avvinta e completamente vinta dai doni, gli permise di andare per castigare la sua avidità per mezzo del giumento ch'egli cavalcava, confondendo la sua demenza con il fatto stesso che l'asina non avrebbe trasgredito la proibizione del Signore fattagli per mezzo dell'angelo e che egli cercava di trasgredire spinto dalla cupidigia, sebbene per paura cercasse di soffocare la medesima cupidigia.
Venne infatti Dio da Balaam di notte e gli disse: " Se degli uomini sono venuti a chiamarti, àlzati e seguili, ma tu dovrai fare solo ciò che io ti dirò di fare.
Balaam la mattina si alzò, sellò la sua asina e andò con i capi di Moab.
Perché mai dopo questo permesso non consultò di nuovo Dio, mentre dopo la proibizione aveva pensato di consultarlo di nuovo, se non perché appariva la sua cattiva passione, sebbene fosse soffocata per paura del Signore?
La Scrittura quindi seguita dicendo: Ma Dio si accese di sdegno poiché egli era andato, e l'angelo di Dio si pose contro di lui per sbarrargli il passo sulla via, e tutto ciò che segue, fino a quando l'asina si mise a parlare.
Qui nulla di certo appare più strano del fatto che Balaam non rimase atterrito sentendo l'asina parlare, anzi, al contrario, come se fosse abituato a siffatti prodigi, perdurando la sua stizza rispose.
Gli parla poi anche l'angelo denunciandolo come colpevole e disapprovando il suo viaggio; egli allora, atterrito, si prostrò con la faccia a terra.
Di poi gli fu permesso di andare, affinché per mezzo di lui venisse proferita una profezia assai chiara.
Poiché gli fu permesso di dire non ciò che voleva ma ciò che era costretto a dire dalla potenza dello Spirito.
Egli inoltre veramente rimase un reprobo; infatti la Scrittura del Nuovo Testamento parla di lui, dicendo che alcuni individui biasimevoli e reprobi hanno seguito la condotta di Balaam: Hanno seguito - è detto - le orme di Balaam, figlio di Beor, il quale amò il guadagno ricavato da azioni inique. ( 2 Pt 2,15 )
Dell'angelo che parlò a Balaam nella strada, quando l'asina al vederlo non osò proseguire, la Scrittura parla nei seguenti termini: Ma Dio si accese di sdegno, poiché quello andava, e l'angelo di Dio si pose contro di lui per ritardarlo nel suo cammino.
Qui si deve considerare anzitutto come la Scrittura dice che Dio si accese di sdegno, e l'angelo di Dio si pose contro di lui, senza dire che Dio, sdegnato, inviò l'angelo, ma in un certo qual modo fa dell'angelo una figura simbolica di Dio sdegnato, poiché la verità è che la giustizia di Dio fece sì che l'angelo si sdegnasse.
L'espressione insurrexit [ gli si levò contro ] deve intendersi nel senso di " una eccitazione violenta ".
Di poi la frase: per ritardarlo nel suo cammino, il testo greco ha il verbo διαβαλεϊν è quella che dice lo stesso angelo anche nel seguito del racconto: ed ecco, io sono uscito per [ causare ] il tuo ritardo, dove il testo greco ha διαβολήν.
In questo caso il termine accusatio ha forse il senso più appropriato di accusa, e perciò l'espressione: per ritardarlo nel cammino significa: " al fine di accusarlo ".
Da questo termine si crede sia derivato il nome " diavolo ", che in latino si dovrebbe dire " accusatore ", non perché nessuno potrebbe accusare opportunamente e rettamente, ma poiché il diavolo è avvezzo ad accusare, spinto solo dagli stimoli dell'invidia, come contro di lui si dà testimonianza nell'Apocalisse. ( Ap 12,9-10 )
Questo verbo è usato anche in una commedia e perciò non c'è dubbio che sia latino, con il medesimo o per lo meno simile significato del greco quando viene detto al figlio: Egli spera di aver trovato un discorso per mezzo del quale riesca a sconcertarti.3
Qui infatti differat suole essere inteso come volesse dire, [ in senso metaforico ], " ti trasporti qua e là mediante una tempesta di parole ", presso a poco come " ti sbrani e ti sparga qua e là ", cosa che sembrava sul punto di attuare accusandolo.
Ma anche se la frase: ritardarlo nel viaggio la intenderemo nel senso che l'angelo fece attendere Balaam ritardando la sua fretta per mostrargli e dirgli ciò che doveva fare, non è illogico usare questo verbo nel suddetto significato.
E l'asina, avendo visto l'angelo di Dio che le si opponeva sulla strada con la spada sguainata nella sua mano, deviò dalla sua strada e andò per la campagna.
Questa campagna era ancora fuori delle muricce delle vigne.
E [ Balaam ] percosse l'asina con il bastone per farla ritornare sulla strada.
Ma l'angelo di Dio le si parò davanti nei viottoli delle vigne con una muriccia da una parte e una muriccia dall'altra.
Giustamente possiamo chiederci come mai la Scrittura dice che l'angelo stava ritto nei viottoli delle vigne se le muricce erano costruite lungo entrambi i lati della strada che vi passava nel mezzo - come si fa di solito - poiché i viottoli delle vigne non potevano essere sulla strada che si snodava tra i muretti.
Ma l'ordine delle parole è il seguente: Per farla tornare sulla strada fiancheggiata da una muriccia da un lato e da un'altra muriccia dall'altro.
Su questa strada dunque Balaam volle far ripiegare l'asina perché camminasse tra i muretti.
Nel testo però l'agiografo ha intercalato, tra l'inizio e la fine della frase, le seguenti parole: E l'angelo di Dio si fermò nel mezzo dei viottoli delle vigne, cioè in una delle vigne che nel mezzo lasciavano passare la strada.
E avendo visto l'angelo di Dio, l'asina si strinse contro la parete, cioè contro il muretto di quella vigna in cui non era l'angelo, poiché stava dall'altra parte in uno dei sentieri delle vigne.
E strinse il piede di Balaam contro la parete ed egli la bastonò ancora una volta.
E l'angelo di Dio tornò a sorpassarli e si fermò in un luogo assai stretto - non più in uno dei sentieri delle vigne, ma tra gli stessi muretti a secco, cioè sulla strada - in cui non si poteva deviare né a destra né a sinistra.
E l'asina, veduto l'angelo di Dio, si accasciò sotto Balaam.
Siccome l'asina, sebbene bastonata, non tornava indietro né si stringeva contro la parete in quanto non veniva spaventata da un'altra parte, ma l'angelo era fermo in un luogo stretto in mezzo alla strada, all'asina restava solo di accasciarsi.
Balaam allora montò in collera e prese a colpire l'asina col bastone.
Ma il signore aprì la bocca dell'asina che disse a Balaam: " che cosa ti ho fatto perché mi batti già per la terza volta? ".
E Balaam rispose all'asina: " Perché ti sei presa gioco di me. E se avessi in mano una spada, già ti avrei ammazzata ".
Costui era evidentemente trascinato da tanta avidità che non si era impaurito neppure per un prodigio tanto spaventoso e rispondeva come se parlasse a un uomo quando Dio di certo non aveva cambiato l'anima dell'asina in una natura ragionevole ma, come gli era piaciuto, da essa aveva fatto emettere un suono per reprimere la frenesia di Balaam, forse prefigurando il fatto che Dio ha scelto ciò che è stolto secondo il mondo per confondere i sapienti ( 1 Cor 1,27 ) in favore dell'Israele spirituale e autentico, cioè dei figli della promessa.
E lo spirito di Dio si fece su di lui, cioè su Balaam.
Lo spirito di Dio non fu fatto, come se lo spirito di Dio fosse una creatura, ma l'espressione: lo spirito di Dio si fece su di lui vuol dire: avvenne che fosse su di lui.
Così pure l'espressione: colui che viene dopo di me è stato fatto prima di me vuol dire: avvenne che fosse prima di me, e perciò fosse considerato superiore a me, poiché - è detto - esisteva prima di me. ( Gv 1,30 )
Simile a questa è anche l'espressione: Il Signore si è fatto mio aiuto; ( Sal 30,11 ) il Signore infatti non è un Essere fatto, ma l'espressione vuol dire: È avvenuto che il Signore mi aiutasse; e così l'espressione: Il Signore si è fatto rifugio dei poveri ( Sal 9,10 ) vuol dire: È avvenuto che i poveri si siano rifugiati presso di lui; così l'espressione: La mano del Signore fu fatta su di me ( Ez 1,3; Ez 3,22 ) vuol dire: Avvenne che la mano del Signore fosse su di me; e molti altri passi di tale genere si trovano nelle Scritture.
E il Signore disse a Mosè: " Prendi i capi del popolo ed esponili contro il sole per il Signore; e il furore e la collera del Signore si ritirerà da Israele.
Il Signore sdegnato per le fornicazioni non solo carnali ma anche spirituali d'Israele - poiché non solo s'erano uniti in modo spudorato con le figlie di Moab, ma si erano anche consacrati agli idoli - disse a Mosè che presentasse al Signore i capi del popolo contro il sole.
Questa frase ci fa intendere che Dio comandò che quelli fossero crocifissi; perciò la frase: esponili contro il sole per il Signore, cioè pubblicamente alla luce del giorno.
Il testo greco infatti dice παραδειγμάτισον, che si potrebbe tradurre con il verbo exempla [ punisci perché siano di esempio agli altri ], poiché παράδειγμα significa " esempio ".
A eccezione dei Settanta si dice che Aquila tradusse: " inchiodali ", o meglio " inchiodali in alto ", corrispondente ad άνάπηξον, e Simmaco invece lo traduce con un verbo ancora più espressivo, cioè " impiccali ".
È davvero strano che la Scrittura abbia omesso di narrare se fu eseguito ciò che era stato ordinato dal Signore; io non credo che l'adempimento di quell'ordine potesse essere stato trascurato oppure, se fu trascurato, rimanesse impunito.
Se però l'ordine fu eseguito e la Scrittura non lo dice, perché dice che il Signore fu placato e cessò il castigo per il fatto che Finees, figlio di Eleazaro, trafisse [ i due ] adulteri? ( Nm 25,7-11 )
Sarebbe potuto sembrare che, una volta crocifissi i capi, come aveva ordinato il Signore e, continuando Dio ad essere sdegnato, si dovesse placare in un altro modo, non potendo di certo essere falso ciò che il Signore aveva preannunciato e promesso dicendo: Prendi i capi del popolo ed esponili per il Signore contro il sole; e il furore della collera del Signore si ritirerà da Israele.
Se ciò era stato eseguito, chi potrebbe dubitare che la collera del Signore s'era allontanata da Israele?
Che bisogno c'era, dunque, che Finees punisse ancora quegli adulteri in quel modo per placare Dio e che la Scrittura gli rendesse testimonianza di aver placato il Signore agendo a quel modo?
A meno che non si voglia intendere che, mentre Mosè si proponeva di eseguire gli ordini del Signore, dati riguardo ai capi del popolo, egli avesse voluto punire anche secondo la legge tali azioni vituperevoli e quell'audace sacrilegio e, per conseguenza avesse ordinato che chiunque uccidesse il proprio prossimo consacrato empiamente agli dèi stranieri, ( Nm 25,5 ) e frattanto anche Finees facesse quell'azione e così, placata ormai la collera del Signore, non ci fosse più bisogno di crocifiggere i capi del popolo.
Questa severità, confacente a quel tempo, mostra assai chiaramente ai fedeli sapienti quanto grave sia il peccato della fornicazione e dell'idolatria.
Il Signore assegna alla morte di Mosè la medesima causa della morte di suo fratello.
A entrambi infatti aveva predetto ugualmente che non sarebbero entrati con il popolo di Dio nella terra promessa, poiché non avevano testimoniata la santità di Dio davanti al popolo presso l'acqua della contesa, ( Nm 20,12 ) vale a dire poiché avevano dubitato del suo dono, che cioè dalla roccia potesse sgorgare l'acqua come abbiamo spiegato nel passo relativo della Scrittura.4
Di questo fatto si può capire il significato allegorico, che cioè né il sacerdote istituito in precedenza, rappresentato da Aronne, né la legge rappresentata da Mosè, introducono il popolo di Dio nella terra dell'eredità eterna, ma Gesù [ Giosuè ] che era la figura di nostro Signore Gesù Cristo, cioè la grazia mediante la fede. ( Ef 2,8 )
Inoltre Aronne morì, è vero, prima che Israele entrasse in alcuna parte della terra promessa, ma il paese degli Amorrei fu conquistato e posseduto quando Mosè era ancora vivente, ma non gli fu permesso di passare il Giordano con gli Israeliti.
La Legge infatti si trova osservata solo in qualche parte mediante la religione cristiana.
In essa in realtà sono anche i precetti che a noi Cristiani è comandato di osservare anche adesso.
Al contrario il sacerdozio e i sacrifici dell'Antico Testamento non hanno adesso alcuna relazione con la religione cristiana.
Salvo che essi non siano, per essa, come le prefigurazioni delle realtà future.
Quando invece ad ambedue i fratelli, cioè Aronne e Mosè, viene detto che si riuniranno al loro popolo, è evidente che non si tratta della collera di Dio contro di loro, collera che separa dalla pace dell'eterno consorzio dei santi; è perciò chiaro che non solo le loro funzioni ma anche la loro morte erano prefigurazioni delle realtà future, non castighi della collera di Dio.
E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prenditi Gesù, figlio di Nave, un uomo che ha in se stesso lo spirito, e imponi le tue mani su di lui; e lo farai stare davanti al sacerdote Eleazaro e gli darai gli ordini al cospetto di tutta la comunità, ecc.
Si deve considerare che, avendo Gesù di Nave già in se stesso lo spirito, come testimonia la Scrittura - poiché di cos'altro dobbiamo pensare si trattasse se non dello Spirito Santo?
Non avrebbe infatti detto ciò dello spirito umano giacché non c'era alcuno che non lo avesse - tuttavia Dio diede a Mosè l'ordine d'imporgli le mani, perché nessuno, sebbene superiore agli altri per i doni di Dio, osi rifiutare i riti della consacrazione.
Che significa ciò che Dio, allorché dava a Mosè ordini relativi a Gesù di Nave, tra l'altro disse: E gli darai della tua gloria?
Poiché nella lingua greca c'è: τής δόξης, che equivale a: della gloria, cioè άπό τής δόξης.
Alcuni traduttori latini hanno tradotto: gli darai la tua gloria, non della tua gloria.
Ma anche se Dio avesse detto: la tua gloria, non per questo Mosè non l'avrebbe avuta, né, per il fatto che disse: della gloria, diminuì per questo la gloria che aveva.
L'espressione deve intendersi così, come se dicesse: lo farai socio della tua gloria.
Le cose di tal genere però non diminuiscono, come se fossero divise in parti uguali, ma le hanno intere tutti e intere le ha ciascuno di coloro che ne sono compartecipi.
Chiunque avrà fatto un voto al Signore o si sarà obbligato con giuramento ad una astensione, non violi la sua parola, ma dia esecuzione a quanto ha promesso con la bocca.
Questa legge divina non riguarda ogni specie di giuramento, ma quello col quale uno abbia fatto voto con la propria anima di privarsi di qualcosa che gli era lecito usare secondo la legge, ma di cui egli stesso con il voto se n'era reso illecito l'uso.
Quando una donna avrà fatto un voto al Signore e si sarà obbligata ad una obbligazione, mentre è ancora a casa del padre, durante la sua giovinezza, se il padre, avuta conoscenza del voto di lei e della astensione alla quale si è obbligata, non dice nulla, tutti i voti di lei saranno validi e saranno valide tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata.
Ma se il padre, quando ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata non saranno valide; il Signore la perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione.
Per il fatto che a mio modo di vedere, il testo parla della donna, che per la sua giovinezza si trova ancora nella casa paterna, qui possiamo a ragione porci anche il quesito se si tratta del voto di verginità; è infatti assai noto che nella Scrittura si suole chiamare donne anche le giovani non maritate.
Sembra inoltre che anche l'Apostolo parli del padre quando dice: Conservi la sua vergine e dia in matrimonio la sua vergine ( 1 Cor 7,37-38 ) e il resto in questo modo.
Alcuni in questo passo intesero l'espressione: la sua vergine, nel senso " della sua verginità "; essi tuttavia non dimostrano tale senso con un'altra simile locuzione delle Scritture essendo molto insolita.
L'espressione contro la propria anima non deve intendersi come se con siffatti voti recasse danno all'animo; ma contro la propria anima vuol dire contro il suo piacere animale, come anche prima quando ordinò il digiuno disse: E affliggerete le vostre anime. ( Nm 29,7 )
Quanto poi alla frase: E il Signore la purificherà poiché non glielo ha consentito suo padre, la parola purificherà vuol dire " l'assolverà dal peccato di non aver adempiuto il voto ".
Così pure in molti altri passi è detto: E il sacerdote lo purificherà, ( Lv 13,6 ) cioè lo riterrà puro, lo giudicherà puro; una simile espressione è la frase: Non purificherai affatto il reo, vale a dire: " non dichiarerai puro colui che è impuro ".
Se invece la vergine sarà legata a un uomo e ha preso su di sé tutti i voti pronunciandoli con le sue labbra e ai quali si è obbligata con un vincolo, e viene a sentire ciò suo marito e non dirà nulla qualunque sia il giorno in cui lo sentirà e così resteranno validi i suoi voti e le obbligazioni prese da lei contro l'anima sua.
Ma se suo marito non acconsentirà qualunque sia il giorno in cui ne verrà a conoscenza, tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni prese contro la propria anima non saranno validi perché suo marito non le ha dato il suo consenso, e il Signore la purificherà.
Quanto alla donna sottoposta all'autorità del padre prima di maritarsi e all'autorità del marito dopo essersi sposata, la legge non volle che facesse voto di qualcosa a Dio contro la propria anima, cioè di rinunciare ad alcune cose lecite e permesse in modo che riguardo ai voti medesimi prevalesse l'autorità della donna, ma quella dell'uomo; per conseguenza qualora il padre avesse concesso alla figlia ancora nubile di adempiere i suoi voti, se si fosse sposata prima di averli adempiuti e il marito venutone a conoscenza non fosse stato d'accordo, la donna non avrebbe potuto adempierli e sarebbe stata del tutto esente dal peccato, poiché il Signore l'avrebbe purificata - come dice la Scrittura - l'avrebbe giudicata pura e non si sarebbe dovuto ritenere che l'inadempienza fosse contro Dio, dal momento che fu Dio a comandare così, a volere così.
59.2. Il testo continua parlando delle vedove o delle ripudiate, cioè delle donne che non sono sotto il potere del marito o del padre e dice che sono libere per adempiere i voti, esprimendosi così: Il voto di una vedova o d'una ripudiata, tutto ciò di cui ha fatto voto contro la propria anima rimarrà valido per lei.
Di poi parla della maritata che, già stabilita nella casa del marito, avesse fatto voto di qualcosa di simile.
Prima aveva parlato della donna che aveva fatto qualche voto nella casa paterna e poi s'era sposata prima di adempierlo.
Di questa, dunque, che fece un voto in casa del marito, parla così: Se però fece un voto nella casa di suo marito o si obbligò a qualcosa contro la propria anima con giuramento e suo marito ne verrà a conoscenza e non le dirà nulla e non glielo impedirà e saranno validi tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni di rinunce assunte da lei contro la propria anima saranno valide contro la sua anima.
Se però suo marito li annulla del tutto, in qualunque giorno ne avrà sentito parlare non sarà valido nulla di ciò che sia uscito dalle labbra di lei relativamente ai suoi voti o alle obbligazioni di rinunce che si è assunte contro la propria anima; li ha annullati suo marito e il Signore la purificherà.
Ogni voto e ogni giuramento è un legame per mortificarsi: suo marito lo rende valido e suo marito lo annulla.
Se però il marito da un giorno all'altro non dirà nulla in proposito, ratificherà i voti di lei e gli obblighi di rinunce da lei assunti, poiché non disse nulla in proposito nel giorno in cui ne ebbe conoscenza.
Se invece suo marito li annulla, li annulli il giorno dopo averne avuto conoscenza e prenderà su di sé il peccato di lei.
59.3. In tal modo è chiaro che la legge ha voluto che la donna fosse sotto l'autorità del marito sicché non è obbligata ad adempiere alcun voto fatto da lei di rinunciare a qualcosa, se il marito non lo ratifichi con il permetterlo.
Poiché, sebbene la legge abbia voluto che il peccato sia solo del marito se prima aveva permesso i voti ma poi li aveva proibiti, tuttavia anche in questo caso non dice che la donna adempia il voto che aveva fatto poiché ne aveva avuto il permesso dal marito.
Il testo dice che il peccato è del marito perché rifiutò [ di approvare ] ciò che in precedenza aveva concesso; la legge tuttavia non permette, per questo, alla donna di non tener conto della proibizione di suo marito anche se prima aveva dato il consenso ma in seguito lo aveva negato.
59.4. Giustamente inoltre si pone il quesito se quei voti concernono anche quelli dell'astinenza e dell'astensione dall'accoppiamento carnale, se per caso si dovessero intendere come voti solo quelli che si fanno contro l'anima riguardo ai cibi e alle bevande.
Pare che indichi ciò la frase detta dal Signore: Non vale forse più l'anima che il cibo? ( Mt 6,25 )
E quando si dà il comando riguardo al digiuno, viene dato in questi termini: affliggerete le anime vostre. ( Nm 29,7 )
Non so però se in alcun altro passo potrebbe leggersi l'affermazione che è un voto contro l'anima quello dell'astinenza dall'amplesso carnale soprattutto poiché la legge in questo caso dà l'autorità al marito, non alla donna sottoposta al marito, di modo che sono da adempiersi i voti di una donna solo se li avrà approvati il marito; se invece li avrà respinti non dovranno essere adempiuti.
L'Apostolo tuttavia, parlando dell'amplesso delle donne sposate, non dà in quel passo più autorità al marito che alla donna, ma dice: Il marito deve rendere il debito alla moglie e ugualmente anche la moglie al marito.
Padrona del suo corpo non è la moglie ma il marito, e ugualmente padrone del proprio corpo non è il marito ma la moglie. ( 1 Cor 7,3-4 )
Dal momento dunque che in questo stato di fatto l'Apostolo ha voluto che il diritto di disporre del marito e della moglie fosse uguale, io non credo che la regola relativa al fatto di unirsi o non unirsi nell'amplesso carnale faccia parte dei voti riguardo ai quali non hanno uguale potere il marito e la moglie, ma che il potere maggiore e quasi esclusivo è del marito.
La legge infatti non dice che il marito non deve adempiere i suoi voti qualora glielo proibisse la moglie, ma non deve adempierli la moglie se glielo proibirà il marito.
Non mi pare quindi tra siffatti voti e legami e obbligazioni, che si fanno contro l'anima, si debbano comprendere anche quelli di mutuo accordo, relativi al coito o all'astenersene.
59.5. D'altra parte, siccome anche queste norme sono chiamate precetti e ci ricordiamo che, tra i precetti che sono menzionati nell'Esodo, ( Es 21-23 ) vengono prescritte sotto questo nome molte cose che non possono prendersi in senso proprio e non vengono osservate nel Nuovo Testamento - come quella di forare l'orecchio dello schiavo ( Es 21,6 ) e altri precetti di tal genere - non è illogico ritenere che anche in questo passo si dica qualcosa in senso figurato, e perciò, siccome ci sono molte astinenze rituali contrarie alla ragione e talora anche contrarie alla verità, forse la Scrittura ha voluto indicare qui che quelle rinunce sono state ratificate quando sono razionali, quando cioè sono approvate dalla ragione la quale, come un marito, deve guidare ogni moto che consiste non solo nel desiderare qualcosa ma anche nell'astenersi da qualche altra; in tal modo se l'impulso è determinato dallo spirito e dalla ragione, allora si attua; se invece è disapprovato dalla ragione deliberante non lo si lascia agire.
Se poi la ragione, in seguito disapprova ciò che prima aveva rettamente deciso di fare, sarà un peccato di prudenza.
Tuttavia anche in questo caso l'impulso dev'essere d'accordo con la ragione.
Che significa la frase: E Mosè ne spedì mille da una tribù e mille da un'altra con la loro potenza?
La loro potenza vuol forse dire: " i loro prìncipi ", oppure la potenza data loro dal Signore, oppure ottenuta per essi da Mosè, oppure piuttosto si chiama forse la loro potenza quella mediante la quale veniva sorretto il loro potere?
Può essere esaminato il quesito come mai, quando gli Israeliti sconfissero i Madianiti, la Scrittura dice che fu ucciso Balaam, che era stato prezzolato per maledire il popolo d'Israele, dal momento che poco prima, quando Balaam s'era trovato costretto a benedirlo, la Scrittura aveva concluso il racconto di quel fatto con le seguenti parole: E Balaam si alzò e se ne tornò alla sua regione e Balac tornò a casa sua. ( Nm 24,25 )
Se dunque Balaam era tornato alla sua regione come mai fu ucciso qui, essendo venuto da tanto lontano, cioè dalla Mesopotamia?
Tornò forse da Balac ma la Scrittura non lo dice?
Sennonché potrebbe anche intendersi che tornò nella sua regione, poiché dalla località ove faceva i sacrifici tornò alla località da cui era partito, cioè ove aveva l'alloggio.
Poiché il testo non dice: "[ tornò ] a casa sua " o " nella sua patria ", ma nel suo alloggio.
Infatti anche qualsiasi forestiero ha un alloggio ove dimorare.
Quanto invece a Balac, il quale lo aveva prezzolato, la Scrittura non dice: "tornò al suo luogo ", cioè al luogo ove dimorava, ma presso se stesso, cioè ove abitava come re.
La Scrittura avrebbe potuto dire: " al suo luogo " tanto per il re che per il forestiero, ma non vedo come si sarebbe potuto dire che un forestiero era tornato presso se stesso se era tornato al proprio alloggio.
E fecero prigioniere le donne di Madian e depredarono le loro suppellettili e i loro greggi e tutto ciò che possedevano e il loro potere.
Avendo già menzionato le donne, la suppellettile, i greggi e tutto ciò che possedevano, perché dopo aggiunge: e depredarono il loro potere?
Si tratta certamente del potere a proposito del quale anche prima era stato detto che Mosè aveva mandato mille uomini di ciascuna tribù con il loro potere.5
O forse è chiamato loro potere il cibo dal quale erano sostentati, somministrando il quale le forze restano integre ma, se esso viene a mancare, le forze vengono meno?
Ecco perché Dio quando minaccia per mezzo del Profeta dice: Toglierò il sostentamento del pane e il sostentamento dell'acqua. ( Is 3,1 )
Anche Mosè quindi aveva spedito con i viveri quei mille uomini [ di ciascuna tribù ] poiché la Scrittura dice: con il loro potere; e gli Israeliti, dopo aver sbaragliato i Madianiti, avevano depredato tra gli altri loro beni anche questo sostentamento.
Per quale motivo avete lasciato in vita tutte le femmine?
Furono proprio esse per i figli d'Israele, per istigazione di Balaam, a farli allontanare [ da Dio ] e a disprezzare la parola del Signore per causa di Fogor.
La Scrittura non dice quando Balaam diede loro questo empio consiglio, che cioè le donne attraendoli con le loro lusinghe si accoppiassero con essi per fornicare non solo fisicamente ma anche spiritualmente adorando il loro idolo, eppure è evidente che ciò accadde realmente dal momento che è ricordato in questo passo.
Così pertanto poté tornare indietro lo stesso Balaam, che era già tornato nella sua casa ( Nm 24,25 ) senza doverla intendere come l'alloggio di un forestiero, sebbene la Scrittura non lo dica.
Che cosa significa: E [ queste ] saranno per voi città di rifugio contro il vendicatore del sangue, e l'omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato?
Siccome qui la Scrittura parla di coloro che hanno commesso un omicidio involontariamente, e in un altro passo ( Nm 35,28 ) dice che chiunque vi si rifugia in un siffatto caso esce libero dalla città allorquando sia morto il sommo sacerdote, perché dunque in questo passo dice: l'omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato, se non perché lì viene giudicato affinché possa uscire libero dalla città se nel giudizio si dimostra chiaramente che ha commesso l'omicidio involontariamente?
Che significa: Sarà dovere del vendicatore del sangue uccidere l'omicida; quando lo incontrerà lo ucciderà?
Questa sentenza, così formulata, a coloro che non la comprendono abbastanza può sembrare significhi che, senza distinzione di persone e senza giudizio, fosse data al vendicatore della morte del proprio congiunto la licenza di uccidere l'omicida.
La Scrittura però volle far intendere che l'omicida, conforme a quanto è detto più sopra, si rifugiasse in una delle città-asilo fino a quando non comparirà in giudizio, per non essere ucciso dal parente [ dell'assassinato ] che lo incontrasse.
Poiché, sebbene avesse commesso l'omicidio involontariamente, sarebbe stato ucciso se incontrato fuori di quelle città.
Quando al contrario fosse comparso in giudizio in una di quelle città e fosse stato giudicato e condannato come omicida in una di quelle, nelle quali gli era concesso di rifugiarsi, non gli veniva permesso di rimanervi; allora solamente, ormai condannato, era lecito al parente di ucciderlo, ovunque lo incontrasse.
Non occorreva più condurlo in giudizio, essendo già stato condannato come omicida e perciò espulso da quelle città-asilo.
Indice |
3 | Terenzio, Andria 2,4 |
4 | Quest. 4,19 |
5 | Nm
31,6; Quest. 4,60 |