Teologia dei Padri |
Per quale motivo la predisposizione del Logos divino, anticamente, non è stata, come lo è attualmente, universale e destinata a tutti gli uomini e a tutti i popoli?
La ragione, manifestamente, consiste nel fatto che gli antichi non erano all'altezza di intendere il messaggio di Cristo, vertice di saggezza e di virtù.
Il primo uomo, sin dal principio, successivamente alla fase di primordiale felicità, trasgredì il precetto divino, cadendo in questa esistenza mortale e corruttibile e barattando i celesti godimenti di prima con la dimora su questa terra maledetta.
I suoi discendenti, allora, la popolarono interamente e si manifestarono, con poche eccezioni, ancor peggiori del loro capostipite, indulgendo a costumi animaleschi e a una vita sregolata.
Non si preoccupavano di costruire città, di provvedersi d'un ordinamento civile, di coltivare arti e scienze: legge, diritto e, soprattutto, virtù e modo saggio di vivere rappresentavano per essi soltanto parole senza alcun significato.
Rozzi e selvatici com'erano, conducevano, nel deserto, una vita errabonda, stravolgendo, con la loro sconcertante malvagità, il naturale buon senso e gli stessi principi di ragione e di civiltà innati nell'anima umana: infierivano gli uni contro gli altri, uccidendosi e divorandosi vicendevolmente.
Si scagliavano addirittura contro Dio ( le battaglie di giganti sono note a tutti ), meditando di armare la terra ai danni del cielo e, indotti dalla follia del loro orgoglio assurdo, preparandosi a combattere contro l'Altissimo.
Iddio, però, che veglia su ogni cosa, colpì costoro, che si comportavano a questo modo: con inondazioni e incendi aggredì quella foresta selvaggia, che ingombrava tutta la terra, facendone strage con una ininterrotta carestia, con pestilenze e guerre, con le folgori lampeggianti che saettavano dall'alto.
Con le prove più terribili arrestò il morbo funesto e gravissimo di quelle anime.
Tutti gli uomini erano divenuti vittime del crescente torpore della malizia; come in preda a una terribile ubriacatura, la maggior parte degli uomini vagava fra tenebre e ombre.
La Sapienza, allora, figlia primogenita e primogenita opera di Dio, il Verbo stesso a tutto preesistente, in uno slancio d'amore per l'umanità, si manifesta a quegli esseri inferiori, talora per mezzo di apparizioni angeliche, talaltra mostrandosi egli stesso quale Potenza di Dio salvatrice, e apparendo ora a uno, ora all'altro degli uomini dell'antichità, fedeli a Dio, celandosi dietro a sembianze umane, poiché, in altra guisa, non sarebbe stato loro possibile vederlo.
Grazie a costoro, perciò, fu gettata nella massa degli uomini la semenza della pietà, della quale tutto il popolo disceso dagli antichi ebrei divenne sulla terra il devoto depositario.
Poiché la moltitudine, tuttavia, era corrotta dagli antichi costumi, Iddio, per il tramite del profeta Mosè, le inviò figure e simboli d'un sabato misterioso, la circoncisione e altri precetti spirituali, privandoli, però, d'una chiara interpretazione di tali misteri.
La fama della divina legislazione si diffuse presso tutti gli uomini come un profumo dall'odore soave: la maggior parte dei popoli, così, grazie all'opera di legislatori e di sapienti, corresse la propria indole selvaggia e feroce e addolcì i propri costumi.
Ne scaturì una profonda pace, un'amicizia ricca di scambievoli relazioni.
Fu allora che, a tutti gli altri uomini, a tutte le genti della terra, già predisposte a conoscere il Padre, il Maestro delle virtù, il Ministro del Padre nel conferimento d'ogni bene, il Verbo divino e celeste, apparve, sull'inizio dell'impero di Roma, per mezzo d'un uomo per nulla diverso dalla nostra natura dal punto di vista fisico.
Egli compì e sopportò tutto ciò che i profeti avevano vaticinato.
Costoro, infatti, avevano predetto che sarebbe venuto sulla terra un Uomo-Dio: questi avrebbe compiuto opere straordinarie e sarebbe stato, per le genti, il maestro della religione del Padre.
I profeti avevano preannunciato la sua nascita prodigiosa, la novità della sua dottrina, la meraviglia delle sue opere, la morte alla quale avrebbe dovuto sottostare e la sua risurrezione e, infine, il suo divino ritorno in cielo.
Il profeta Daniele, assistito dallo Spirito Santo, vide il suo regno escatologico e, adattandosi ai limiti della nostra umana comprensione, ne descrisse la divina visione: Mentre io stavo osservando, furono disposti dei troni e un Antico di giorni si assise.
Il suo vestito era candido come neve e come lana pura erano i capelli del suo capo; il suo trono era di fiamme, con le ruote di fuoco ardente.
Un fiume di fuoco sgorgava e usciva dalla sua presenza.
Mille migliaia lo servivano e diecimila decine di migliaia stavano in piedi davanti a lui.
La corte si sedette e i libri furono aperti ( Dn 7,9-10 ).
E oltre: Io stavo contemplando nelle visioni notturne: ora, ecco venire sulle nubi del cielo, uno come un Figlio d'Uomo, il quale s'avanzò sino all'Antico di giorni e fu condotto davanti a lui, che gli conferì potere, maestà e regno, sì che tutti i popoli, le nazioni e le genti di ogni lingua lo servivano.
Il suo potere è un potere eterno, che non passerà, e il suo regno non sarà mai distrutto ( Dn 7,13-14 ).
É evidente come tutto ciò non si possa attribuire che al nostro Salvatore, al Dio e Logos che dimorava in principio presso Dio ( Gv 1,1 ) e che, in seguito all'incarnazione finale, è anche detto Figlio dell'uomo.
Eusebio, Storia ecclesiastica, 1,2
La comunità dei fedeli professa fede in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo unico figlio, nostro Signore, nato di Spirito Santo e da Maria vergine.
Queste tre proposizioni annientano le mene di quasi tutte le false dottrine: qualora infatti si crede che Dio è onnipotente e Padre si chiarisce con ciò che il Figlio è a lui coeterno, che dal Padre non si distingue in nulla, perché è stato generato quale Dio da Dio, onnipotente dall'onnipotente, coeterno dall'eterno; non posteriore nel tempo, non inferiore per potestà, non dissimile nella gloria, non distinto per essenza.
Ma questo eterno Unigenito dell'eterno Padre è nato di Spirito Santo da Maria vergine.
E questa nascita temporale nulla sottrasse e nulla aggiunse a quella nascita divina e sempiterna; fu tutta in funzione della redenzione dell'uomo, che era stato travolto nell'inganno: per vincere cioè la morte e annientare con la sua forza il diavolo, che aveva l'impero sulla morte.
Non avremmo mai potuto infatti vincere il peccato e l'autore della morte, se non avesse assunto la nostra natura e non l'avesse fatta sua colui, che né il peccato poteva contaminare né la morte sconfiggere.
E così fu concepito di Spirito Santo nell'utero della Vergine madre che lo partorì senza detrimento della verginità, come senza detrimento della verginità lo concepì …
Ma questa procreazione singolarmente mirabile e mirabilmente singolare non la si deve intendere nel senso che abbia avuto luogo una nuova creazione escludente le caratteristiche dell'umana procreazione.
Lo Spirito Santo infatti donò alla Vergine la fecondità e la realtà del corpo di Cristo fu realmente assunta dal corpo della madre.
La sapienza si costruì una casa ( Pr 9,1 ) e Il Verbo si fece carne e abitò tra noi ( Gv 1,14 ), cioè in quella carne che assunse dal genere umano e che animò col soffio della vita razionale.
Restando perciò salve le proprietà delle due nature e confluendo in una sola persona, dalla maestà è stata assunta l'umiltà, dalla forza la debolezza, dall'eternità la mortalità; e per sciogliere il debito della nostra condizione la natura inviolabile si è unita alla natura passibile così che, come si addiceva alla nostra redenzione, l'unico e identico mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Gesù Cristo ( 1 Tm 2,5 ) poteva, da una parte, morire, e non lo poteva, dall'altra.
Così nella natura integra e perfetta di vero uomo è nato il vero Dio, completo nelle sue proprietà, e completo nelle nostre.
Diciamo poi nostre proprietà quelle che il Creatore strutturò all'inizio, e che assunse per restaurare; infatti quelle che offerse l'ingannatore, e l'uomo ingannato accettò, non lasciarono nel Salvatore neppure una traccia: accettando infatti di partecipare alla umana debolezza non fu certo per questo partecipe dei nostri delitti.
Assunse la condizione di schiavo, ma senza il luridume del peccato; accrebbe lo stato umano e non diminuì quello divino; infatti l'annientamento per cui l'invisibile si rese visibile, il Creatore e Signore di tutte le cose volle diventare uno dei mortali, fu accondiscendenza di misericordia, non rinuncia alla potestà.
Perciò colui che nello stato di Dio fece l'uomo, nello stato di schiavo si è fatto uomo.
E ambedue le nature mantengono le loro proprietà senza decurtazione alcuna, e come lo stato di Dio non escluse lo stato di schiavo, così lo stato di schiavo non menomò lo stato di Dio.
Infatti il diavolo si gloriava che l'uomo, ingannato dalla sua frode, era stato privato dei doni divini e che, spogliato dell'immortalità, sua dote, aveva subìto la dura sentenza di morte; si gloriava di aver trovato egli stesso quasi un lenimento ai suoi mali, perché altri subivano la sua pena; e anche che Dio aveva dovuto mutare, a rigor di giustizia, la sua disposizione nei riguardi dell'uomo, creato in tanto onore.
Fu necessario perciò, nel piano salvifico del segreto consiglio divino, che Dio immutabile, la cui volontà non può esser privata della sua benignità, completasse con un mistero più profondo ciò che la sua pietà verso di noi aveva all'inizio predisposto; e così l'uomo, spinto alla colpa dall'iniqua astuzia del diavolo, non andasse perduto contro il volere di Dio.
Così dunque il Figlio di Dio entra nell'umiltà di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste e non abbandonando la gloria del Padre, in un ordine nuovo, con una nascita assolutamente nuova.
In un ordine nuovo perché, invisibile nella sua natura, si è fatto visibile nella nostra; incomprensibile, ha voluto farsi comprendere; pur esistendo da prima di tutti i tempi, ha preso un inizio nel tempo.
Il Signore di tutto ha assunto lo stato di schiavo, velando la sua incommensurabile maestà.
Dio, che non può soffrire, non ha esitato a farsi uomo soggetto alla sofferenza; immortale, ad assoggettarsi alla legge della morte.
É venuto con una nascita completamente nuova, perché la materia del suo corpo gli fu somministrata dalla Vergine inviolata che non aveva conosciuto voluttà.
Tuttavia, nel nostro Signore Gesù Cristo, nato dal seno della Vergine, la natura non fu diversa dalla nostra per il fatto che la sua procreazione fu prodigiosa; colui che è vero Dio è anche vero uomo.
E nella sua unità non c'è menzogna, perché l'umiltà dell'uomo e la sublimità di Dio sono legate l'una all'altra.
Come Dio non si muta per la sua misericordia, così l'uomo non svanisce per la divina dignità.
Ogni natura agisce, in comunione con l'altra, nel modo che le è proprio: il Verbo agisce com'è proprio del Verbo e la carne esegue ciò che è proprio della carne.
L'uno risplende nella magnificenza dei miracoli, l'altra soggiace agli oltraggi.
E come il Verbo non si allontana dalla somiglianza con la gloria paterna, così la carne non si separa dalla natura della nostra stirpe.
Perché unico e identico è, come si deve continuamente ripetere, il vero Figlio di Dio e figlio dell'uomo …
A proposito di questa unità della persona da intendersi nelle due nature, si legge che il figlio dell'uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assunse carne dalla Vergine da cui nacque.
E si dice ancora che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, per quanto egli abbia sofferto tutto ciò non nella sua divinità, per la quale l'Unigenito è coeterno e consustanziale al Padre, ma nella debolezza della natura umana.
Per questo tutti professiamo nel Simbolo che l'unigenito Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l'Apostolo: Se infatti lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della maestà ( 1 Cor 2,8 ).
E lo stesso Signore nostro e Salvatore, volendo ammaestrare nella fede i suoi discepoli, li interrogò chiedendo loro: « La gente chi dice che sia io, Figlio dell'uomo? ».
E avendo quelli riferito alcune opinioni altrui, disse: « Ma voi, chi dite che io sia? ».
Chi dite che sia io, proprio io, che sono figlio dell'uomo, che voi vedete in condizione di schiavo, in una carne vera?
E allora san Pietro, divinamente ispirato, per giovare con la sua professione a tutte le genti disse: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente ( Mt 16,16 ).
E ben giustamente il Signore lo proclamò beato e a buon diritto dalla pietra angolare [ Cristo ] egli derivò la forza e il nome, perché per divina rivelazione egli lo proclamò messia e insieme Figlio di Dio.
Accettare una di queste due realtà senza l'altra, nulla avrebbe giovato alla salvezza, ed era ugualmente pericoloso credere che il Signore Gesù Cristo fosse solamente Dio e non uomo, o solo uomo e non Dio …
La Chiesa cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesù, non crede all'umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità.
Leone Magno, Lettere, 28 ( a Flaviano, vescovo di Costantinopoli )
Come potrà non essere veramente Dio, colui nel quale soltanto si riconosce che Dio esiste realmente ed è davvero Padre?
Così, infatti, scrive Paolo ai credenti: Siano rese grazie a Dio che, in Cristo, ci conduce sempre in trionfo, e che, per mezzo nostro, fa sentire in ogni luogo il profumo della sua conoscenza.
Noi siamo, infatti, per Iddio, il buon odore di Cristo ( 2 Cor 2,14-15 ).
Giacché, dunque, avvertiamo nel Cristo il profumo di Dio Padre, e in lui lo riconosciamo, in che modo, allora, si deve credere che anche questo avvenga?
Sui prati e nei giardini, rispondiamo, nascono, in determinate stagioni dell'anno, pomi e gigli.
Ebbene, amico, pensi forse che il pomo possa emanare, normalmente, il medesimo profumo del giglio?
E il giglio, a sua volta, potrà odorare alla stregua del pomo, in maniera da scambiarsi entrambi i rispettivi profumi?
Assolutamente no, dal momento che ognuno di essi sprigionerà soltanto l'odore che gli è proprio.
In che modo, allora, Cristo potrà essere il buon profumo della vera conoscenza di Dio Padre, se non crediamo ch'egli condivida realmente la natura divina?
Giacché è dimostrato, infatti, che qualsiasi cosa emana l'odore che è caratteristico della propria natura, come potrebbe sprigionarsi il profumo della divinità da una creatura dotata d'una natura diversa da quella di Dio? …
Dall'ineffabile sostanza di Dio Padre, infatti, è ora nato l'Unigenito, per manifestarci, in se stesso, tutta la fragranza della natura del Padre …
Grazie a lui e in lui, pertanto, abbiamo colto il profumo della conoscenza del Padre e ne siamo stati arricchiti.
Cirillo di Alessandria, La santa e consustanziale Trinità, Dialogo III
Potessi io dar tanta gloria alla carne quanta gliene diede colui che la fece: essa stessa già si gloriava che qualcosa di tanto umile, come il fango, fosse finito nelle mani di Dio, assai felice solo del suo contatto.
E che, se esclusa ogni operazione ulteriore, il corpo umano fosse stato strutturato solo al contatto di Dio?
Era certo una gran cosa che questa materia fosse in tal modo preparata.
Fu ripetutamente onorata per tutto ciò che subì dalla mano di Dio: quando fu toccata, quando le fu tolta una parte, fu manipolata e strutturata.
Pensa a Dio tutto occupato e dedicato ad essa: la sua mano, il suo senso, la sua opera, il suo piano, la sua sapienza, la sua provvidenza e soprattutto il suo stesso affetto, che ne definiva i tratti.
Tutto ciò infatti che prendeva forma nella creta era mosso dal pensiero rivolto a Cristo, futuro uomo e allora fango; dal pensiero rivolto al Verbo-carne, che allora era terra.
Il Padre aveva detto infatti al Figlio: Facciamo l'uomo a immagine e somiglianza nostra ( Gen 1,26 ).
E Dio fece l'uomo, proprio come l'aveva fissato: lo fece a immagine di Dio, cioè di Cristo.
Anche il Verbo infatti è Dio, e costituito nell'immagine di Dio non reputò rapina l'essere a lui uguale ( Fil 2,6 ).
Perciò quel fango che già da allora rivestiva l'immagine del futuro Cristo nella carne non era solamente opera di Dio, ma era anche un pegno.
A che giova dunque, per offuscare l'origine della carne, venir a ripetere il nome della terra, elemento sozzo e umile?
Anche se Dio avesse forgiato l'uomo con un'altra materia, è la sublimità dell'artefice che dobbiamo ricordare, che la giudicò degna, eleggendola, e tale la rese manipolandola …
Ma il fango, sia pur qualcosa di scandaloso, ora è un'altra realtà: ho davanti la carne, non già la terra; e anche se la carne sente rivolte a sé le parole: Sei terra e in terra ritornerai ( Gen 3,19 ), esse ne espongono l'origine, non ne richiamano la sostanza.
Le è stato dato un essere più nobile dell'origine, più felice per il mutamento.
Infatti, anche l'oro è terra, perché proviene dalla terra; ma ora non è più terra, perché è oro: è una materia ben diversa, più splendida e più nobile della povera ganga originaria.
Anche Dio poté fondere l'oro della carne dal fango, che ritieni sozzo, coonestandone il censo originario.
Tertulliano, La risurrezione della carne, 6
Soprattutto nell'incarnazione la nostra meschinità può rendersi conto quanto il suo Creatore l'abbia stimata.
All'uomo infatti diede molto all'origine, perché ci fece a sua immagine; ma donò assai di più con la redenzione, perché egli stesso, il Signore, si adattò allo stato servile.
Quantunque infatti sia frutto di una e identica bontà tutto ciò che il Creatore elargisce alla creatura, l'elevazione dell'uomo alle realtà divine è certo un prodigio minore che l'abbassamento di Dio allo stato umano.
E se l'onnipotente Iddio non si fosse degnato di operare ciò, proprio nessuna specie di giustizia, nessuna forma di sapienza ci avrebbe strappati dalla schiavitù del diavolo e dall'abisso della morte eterna.
La dannazione infatti, passando da uno in tutti insieme col peccato, avrebbe continuato a sussistere, e la natura, guasta dalla ferita mortale, non avrebbe trovato rimedio alcuno, non potendo mutare con le sue forze la sua condizione.
Il primo uomo ricevette dalla terra la sostanza corporea e fu animato di spirito razionale dal soffio di Dio, affinché vivendo a immagine e somiglianza del suo Fattore, potesse conservare il suggello della bontà e della giustizia divina, come in uno specchio, nello splendore dell'imitazione.
Se con l'osservanza della legge propostagli avesse poi costantemente curato la magnifica dignità della sua natura, la sua anima incorrotta avrebbe condotto alla gloria celeste tale splendida qualità del corpo terreno.
Ma avendo creduto, infelicemente e temerariamente, all'invido frodatore, avendo ceduto alle mene della sua superbia, preferì usurpare l'aumento della gloria previsto, piuttosto che meritarlo; perciò non solo quell'uomo, ma tutta la sua posterità udì, in lui, le parole: Sei terra e in terra ritornerai ( Gen 3,19 ).
Per sciogliere dunque questo vincolo di peccato e di morte, l'onnipotente Figlio di Dio, che tutto riempie, che tutto contiene, eguale in tutto al Padre, da lui e con lui eterno in una sola essenza, accolse in sé la natura umana, e, Creatore e Signore di tutto, si degnò di farsi uno dei mortali.
Si elesse una madre che egli aveva fatto, la quale, nella piena integrità verginale, gli avrebbe amministrato solamente la sostanza del corpo, in modo che, escluso ogni contagio di seme umano, nel nuovo uomo ci fosse solo purezza e verità.
Dato poi che Cristo fu generato dall'utero verginale, dato che la sua nascita fu mirabile, non per questo egli è dissimile dalla nostra natura.
Colui infatti che è vero Dio, è insieme vero uomo, e nell'una e nell'altra sostanza non vi è menzogna alcuna.
« Il Verbo si è fatto carne » per promozione della carne, non per menomazione della deità: questa infatti contemperò la sua potenza e la sua bontà in modo da promuovere le nostre doti, assumendole, e non perdere le sue, comunicandocele.
In questa natività di Cristo, secondo la profezia di Davide: La verità è sorta dalla terra, e la giustizia si è affacciata dal cielo ( Sal 85,12 ), in questa natività si è adempiuta anche la parola di Isaia che dice: La terra produca e germini il Salvatore, e sorga insieme la giustizia ( Is 45,8: LXX ).
Infatti la terra della carne umana, maledetta nel primo prevaricatore, solo in questo parto della Vergine beata produsse un germe benedetto, pienamente affrancato dal vizio della sua schiatta.
E ciascuno consegue questa origine spirituale nella rigenerazione: per l'uomo che rinasce, l'acqua battesimale è come l'utero verginale, e lo stesso Spirito Santo riempie il sacro fonte come riempì la vergine: il peccato, allora escluso dalla sacra concezione, viene tolto qui dalla mistica abluzione.
Leone Magno, Sermoni, 24,2-3
Il Figlio di Dio assunse la natura umana e in essa sopportò tutto ciò che è umano.
É questa per gli uomini una medicina tanto efficace, che più non si può pensare.
Quale superbia infatti può guarire, se non guarisce con l'umiltà del Figlio di Dio?
Quale avarizia può guarire, se non guarisce con la povertà del Figlio di Dio?
Quale iracondia può guarire, se non guarisce con la pazienza del Figlio di Dio?
Quale empietà può guarire, se non guarisce con la carità del Figlio di Dio?
E infine, quale timidezza può guarire, se non guarisce con la risurrezione del corpo di Cristo Signore?
Innalzi per ciò la sua speranza il genere umano e riconosca la grandezza della sua natura: veda quale posto essa occupi nelle opere di Dio.
Non disprezzatevi, o uomini: il Figlio di Dio ha assunto l'uomo.
Non disprezzatevi, o donne: il Figlio di Dio è nato da una donna.
Ma non amate i piaceri carnali, perché nel Figlio di Dio non siamo né maschio né femmina.
Non amate i beni temporali; perché se amarli fosse bene, li amerebbe l'uomo assunto dal Figlio di Dio.
Non temete gli oltraggi, le croci e la morte, perché se davvero fossero nocivi agli uomini, non li avrebbe sofferti l'uomo assunto dal Figlio di Dio …
Se ci stimiamo molto, degniamoci di imitare colui che viene chiamato Figlio dell'Altissimo; se ci stimiamo poco, osiamo imitare i peccatori e i pubblicani che lo imitarono.
O medicina che tutto cura, che elimina ogni gonfiore, che guarisce ogni debolezza, che asporta ogni escrescenza, che conserva quello che è indispensabile, che ripara quello che è andato perduto, che corregge quello che si è guastato!
Chi mai si innalzerà, allora, contro il Figlio di Dio?
Chi mai dispererà di sé, se per lui il Figlio di Dio ha voluto tanto umiliarsi?
Chi mai penserà che la vita beata consista in ciò che il Figlio di Dio insegnò a disprezzare?
Chi mai cederà alle avversità, se crede che la natura umana fu mantenuta dal Figlio di Dio fra tante persecuzioni?
Chi mai penserà che il regno dei cieli gli sia chiuso, se sa che i pubblicani e le prostitute imitarono il Figlio di Dio?
Chi mai non si libererà da ogni perversione, contemplando, amando e imitando le parole e le opere di quell'uomo, nel quale il Figlio di Dio a noi si presentò, quale modello di vita?
Agostino, La lotta cristiana, 11,12
Chi potrebbe dubitare del fatto che la natura del Verbo divino sia stata riempita di gloria e di potere e di autentica signoria, mentre, a giusto titolo, le viene attribuita la più sublime dignità divina?
Allorché si fece uomo, provvisto di tutti gli attributi propri di quest'ultimo, il Verbo, benché fosse ancora partecipe della sua originaria ricchezza e, anzi, ne facesse a tutti dono, accettò, nondimeno, la condizione umana e condivise la nostra miseria.
Si verificò così, nel Cristo, un miracolo straordinario: il potere, in un aspetto servile; la gloria divina, in una debolezza umana; la dignità regale, nonostante la condizione di schiavitù ( dal punto di vista umano, almeno ); l'eccellenza più sublime, insomma, rivestita d'umiltà.
L'Unigenito è divenuto uomo, infatti, non per restar chiuso nei limiti della nostra natura, ma perché, dopo aver unito questa ai propri divini attributi, venisse in tal modo riconosciuto come Dio e conferisse prestigio, in se stesso, all'umana natura, mostrandola partecipe della sacra e divina condizione.
I santi stessi, infatti, anche dopo la sua incarnazione, lo invocano come gloria di Dio e del Padre, come re, come Signore, come il Figlio.
Così, appunto, dice Isaia: Accadrà in mezzo alla terra, per i popoli, come avviene quando si battono le olive, allorché si racimola, al termine della vendemmia.
Essi alzeranno la voce e canteranno, acclameranno dal mare alla maestà del Signore ( Is 24,13-14 ).
E un altro dei santi, poi, dice: Sorgi!
Sii raggiante, o Gerusalemme, perché la tua luce viene e per te spunta la gloria del Signore, mentre le tenebre avvolgono la terra e l'oscurità si estende sui popoli!
Ecco, su di te si leva il Signore e la sua gloria su di te si rivela ( Is 60,1-2 ).
Giacomo poi, il discepolo del Signore, raccomanda: Fate in modo, fratelli, che la vostra fede nel nostro glorioso Signore Gesù Cristo sia scevra da qualsiasi preferenza di persone ( Gc 2,1 ).
E Pietro, infine: Se siete insultati per il nome di Cristo, voi siete felici, poiché lo Spirito di gloria, che è lo Spirito di Dio, riposa in voi ( 1 Pt 4,14 ).
Cirillo di Alessandria, Poiché Cristo è uno solo
Fra tutti i miracoli e le opere straordinarie compiute dal Figlio di Dio, ve n'è una che trascende l'intelletto umano e che la fragilità dell'intelligenza mortale non riesce a concepire né a comprendere: il modo come, cioè, l'infinita potenza della maestà divina, vale a dire il Verbo del Padre, e la sapienza stessa di Dio, nella quale sono state create tutte le cose visibili e invisibili, si debba credere racchiusa nei limiti di quell'uomo che apparve in Giudea.
La sapienza di Dio, pertanto, entrò nel ventre di una donna, nacque come un fanciullino ed emise i suoi vagiti, al pari degli altri bimbi quando piangono.
Poi, sconvolto di fronte alla morte, giunse al punto di confessare: La mia anima è triste fino alla morte ( Mt 26,38 ); e, infine, fu condannato a una morte ritenuta fra gli uomini delle più infamanti, benché, il terzo giorno, risorse.
Accade allora che, di fronte a taluni aspetti umani, simili alla nostra fragilità di mortali, e, nello stesso tempo, ad altri divini, di nessun'altra propri se non di una natura superiore e ineffabile; accade, dicevo, che la miseria dell'intelletto umano, sbalordita e sconcertata al cospetto di un fenomeno così straordinario, si trovi in imbarazzo e non sappia verso qual partito orientarsi, cosa concludere, dove dirigersi.
Se, infatti, vogliamo riconoscere di trovarci dinanzi a Dio, ecco che, allora, ci imbattiamo nei suoi caratteri mortali; allorché, invece, lo riteniamo come un uomo, eccolo ritornare dai morti con tutto il suo corpo, dopo aver abbattuto la signoria della morte.
Dobbiamo perciò credere, con ogni timore e reverenza, che coesistano realmente, nella medesima persona, entrambe le nature.
In tal modo, mentre nulla di indegno e disdicevole va riscontrato nella sostanza divina e ineffabile, dobbiamo astenerci, nello stesso tempo, dal ritenere come false e immaginarie le cose da lui compiute.
Parlare di queste cose alle orecchie umane, si sa, cercando di spiegarle con i discorsi, è cosa che trascende i limiti delle nostre capacità e dei nostri meriti, sia riguardo al pensiero che alle parole.
Sono dell'avviso, d'altronde, che neppure i santi apostoli comprendano pienamente un simile mistero; la sua spiegazione, anzi, rimane forse misteriosa per tutte le potenze celesti.
Origene, I principi, 2, 6,2
Dio crea l'uomo. Prende il corpo dalla materia che aveva fatto in antecedenza e depone in essa il soffio della vita, estraendolo da se stesso: tale soffio - come dice la Scrittura - è anima intelligente e immagine di Dio …
Il Signore colloca l'uomo sulla terra come custode della creazione visibile e lo introduce ai misteri dello spirito; lo pone come re di tutto ciò che è sulla terra, ma suddito del regno dei cieli …
L'uomo però disobbedì all'ordine che gli era stato dato e, per la sua malvagità, venne allontanato dall'albero della vita, bandito dal paradiso e separato da Dio …
Il suo stato richiedeva ormai un aiuto più grande da parte di Dio e un aiuto più grande gli venne dato.
Quest'aiuto fu il Verbo stesso di Dio: colui che è ancora prima dei secoli, l'invisibile, l'incomprensibile, l'incorporeo, il principio che nasce dal principio, la luce che ha origine dalla luce, la sorgente della vita e dell'immortalità, l'espressione di Dio primo principio, l'impronta immobile, l'immagine perfetta, la parola definitiva del Padre.
Ed ecco: egli si slancia verso la propria immagine e, per amore della carne, si riveste di carne; per amore della mia anima, si degna fondere la sua persona divina con un'anima intelligente.
Lui, il Verbo, vuol purificare, grazie all'identificazione totale ciò a cui si assimila facendosi in tutto veramente uomo, tranne il peccato.
Concepito dalla Vergine, già purificata in precedenza nell'anima e nel corpo per opera dello Spirito, il Verbo nasce Dio, anche dopo l'assunzione della carne.
Egli è uno per la fusione che compie in sé di due realtà opposte, la carne e lo spirito: l'uno divinizza, l'altra viene divinizzata.
O fusione inaudita, o compenetrazione paradossale!
Colui che è, viene nel tempo; l'increato si fa oggetto di creazione.
Colui che non ha dimensioni entra nel tempo e nello spazio e un'anima spirituale si fa mediatrice tra la divinità e la pesantezza della carne.
Colui che arricchisce, si fa povero e mendica la mia carne, perché io venga arricchito della sua divinità.
Lui, che è la pienezza, si svuota, si spoglia per un poco della sua gloria, perché io possa partecipare della sua pienezza.
Quale ricchezza di bontà! Quale immenso mistero mi avvolge!
Sono stato fatto partecipe dell'immagine di Dio e non ho saputo custodirla: ora Dio si rende parte della mia carne, sia per salvare l'immagine che mi aveva dato, sia per rendere immortale la mia carne.
Entra in comunione con noi, in un modo nuovo, ancora più profondo del primo: con chi un tempo condivise il bene, ora condivide il male; quest'ultima comunione è ancora più degna di Dio e, per chi ha intelligenza, ancora più sublime.
Gregorio Nazianzeno, Omelia 45 ( sulla santa Pasqua ), 7-9
Con la misteriosa unione delle due sostanze nella maestà della sacra nascita, tutto ciò che Cristo era, cioè l'uomo e Dio, è diventato tutto Dio.
Perciò l'apostolo Paolo, contemplando in Cristo, con gli occhi illuminati dalla fede, tutto l'arcano dell'ineffabile maestà, invitando i popoli a ringraziare Dio, a riconoscere i suoi benefici, così si è espresso: Rendendo grazie al Padre, che ci ha fatti degni di aver parte all'eredità dei santi, nello splendore; che ci ha strappato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio suo diletto, nel quale abbiamo la redenzione per il suo sangue, la remissione dei peccati.
Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutte le creature, perché in lui tutto è stato fondato nel cielo e sulla terra, le realtà visibili e quelle invisibili, e i troni, e le dominazioni, e le potestà: tutto per lui e in lui è stato creato ed egli è prima di tutto, e tutto in lui sussiste.
Ed egli è il capo del corpo, che è la Chiesa; è il principio, il primogenito dei redivivi, per avere il primato in tutti.
Piacque a Dio infatti di far risiedere in lui tutta la pienezza, e per suo mezzo riconciliare a sé ogni cosa, sia in terra, sia in cielo, stabilendo la pace per il sangue della croce di lui ( Col 1,12-20 ).
Giovanni Cassiano, L'incarnazione di Cristo, 5,7
Nelle Sacre Scritture vi sono molti passi a motivo dell'incarnazione del Verbo di Dio - incarnazione avvenuta per la nostra salvezza cosicché il mediatore tra Dio e gli uomini fosse l'uomo Gesù Cristo ( 1 Tm 2,5 ) -, passi che fanno pensare o anche esplicitamente affermano che il Padre è superiore al Figlio.
Per questo alcuni troppo poco attenti nello scrutare il senso e nell'afferrare l'insieme delle Scritture hanno tentato di riferire ciò che fu detto di Gesù Cristo in quanto uomo alla sua natura che era eterna prima dell'incarnazione e che è sempre eterna.
Su questa base essi pretendono che il Figlio sia inferiore al Padre, poiché il Signore stesso ha detto: Il Padre è più grande di me ( Gv 14,28 ).
Ma la verità mostra che in questo senso il Figlio è inferiore anche a se stesso.
Come infatti non sarebbe divenuto tale colui che si esinanì assumendo la natura di servo ( Fil 2,7 )?
Infatti non assunse la natura di servo così da perdere quella di Dio nella quale era uguale al Padre.
Pertanto, se la natura di servo fu assunta in modo tale che egli non perdette la sua natura divina - poiché come servo e come Dio egli è lo stesso e unico Figlio di Dio Padre, uguale al Padre ( Fil 2,6 ) nella sua natura divina, e mediatore di Dio e degli uomini nella sua natura di servo, l'uomo Gesù Cristo ( 1 Tm 2,5 ) - è chiaro che considerato nella sua natura divina anche lui è superiore a se stesso, mentre è a se stesso inferiore se considerato nella natura di servo.
La Scrittura molto giustamente dunque si esprime in duplice modo, affermando che il Figlio è uguale al Padre e che il Padre è superiore al Figlio.
Nel primo caso riconosce una conseguenza della sua natura divina, nel secondo una conseguenza della sua natura di servo, fuori d'ogni confusione.
Un capitolo d'una lettera dell'apostolo Paolo fornisce questa regola da seguire per risolvere il problema in questione attraverso tutto il complesso delle Sacre Scritture.
In quel capitolo si raccomanda molto chiaramente la distinzione accennata: Colui che sussistendo in natura di Dio, non considerò rapina la sua uguaglianza con Dio, ma si esinanì prendendo la natura di servo, divenuto simile agli uomini, ritrovato in stato d'uomo ( Fil 2,6-7 ).
Per natura dunque il Figlio di Dio è uguale al Padre, per stato inferiore a lui.
Nella natura di servo, che ha assunto, è inferiore al Padre, nella natura divina nella quale sussisteva, anche prima di assumere quella di servo, è uguale al Padre.
Nella natura di Dio è il Verbo per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte ( Gv 1,3 ), nella natura di servo fu formato da donna, formato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano soggetti alla Legge ( Gal 4,4-5 ).
Perciò nella natura di Dio ha fatto l'uomo, nella natura di servo si è fatto uomo.
Se il Padre solamente e non anche il Figlio avesse fatto l'uomo, non sarebbe scritto: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza ( Gen 1,26 ).
Poiché dunque la natura di Dio ha assunto la natura di servo, Dio è l'uno e l'altro, come l'uomo è l'uno e l'altro.
Ma Dio lo è perché ha assunto l'uomo; l'uomo lo è perché è stato assunto da Dio.
Infatti nell'incarnazione nessuna delle due nature si è mutata nell'altra: la divinità non fu certamente mutata nella creatura, cessando di essere divinità, né la creatura divenne divinità, cessando di essere creatura.
Agostino, La Trinità, 1,14
Riconosciamo che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, è perfettamente Dio e perfettamente uomo, dotato di anima razionale e di corpo.
Egli è stato generato prima dei secoli dal Padre secondo la divinità; negli ultimi tempi, invece, in vista della nostra salvezza, è nato egli stesso dalla vergine Maria secondo l'umanità: consustanziale al Padre, dunque, dal punto di vista della divinità; simile a noi, viceversa, sotto il profilo dell'umanità.
Si è verificata, pertanto, l'unione di due nature: è per questo, infatti, che noi riconosciamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.
É in base, appunto, a questo concetto di unità della persona pur nella distinzione delle nature, che noi chiamiamo la santa Vergine Genitrice di Dio [ si intravede qui un riferimento polemico antinestoriano ].
Il Verbo di Dio infatti, incarnandosi e facendosi uomo, ha unito a sé, proprio attraverso il concepimento, il corpo che, come un tempio, ricevette dalla Vergine.
Sappiamo d'altronde che, tra le affermazioni dei Vangeli e degli apostoli riguardo al Signore, i teologi sogliono distinguere quelle che si riferiscono all'unità della persona, rispetto ad altre che, invece, evidenziano la duplicità della natura, sottolineando inoltre come le prime, in riferimento alla divinità del Cristo, siano degne di Dio, mentre le altre, riguardanti la sua umanità, siano improntate a umiltà.
Cirillo di Alessandria, Lettera di pace a Giovanni di Antiochia
Quando Dio discese sulla terra, in mezzo agli uomini, non impose la propria legge servendosi del fuoco e delle trombe e di montagne che fumassero o di tenebre o di tempeste che atterrissero l'animo degli ascoltatori; al contrario, instaurò un rapporto di dialogo, dolce e pacifico, con coloro dei quali condivideva egli stesso la natura.
Quel Dio che si fece carne, non condusse a termine la sua opera rimanendo trascendente, come aveva fatto con i profeti, ma, divenuto intimamente e profondamente uomo, per il tramite della propria carne, consanguinea alla nostra, ricondusse a sé l'intera specie umana.
Ma come può accadere, dunque, che attraverso uno solo, lo splendore investa tutti?
In qual modo può esservi nella carne la divinità?
Come, appunto, il fuoco nel ferro: non per passaggio diretto, cioè, bensì per trasmissione.
Il fuoco, difatti, non penetra propriamente nel ferro, ma, pur rimanendo nel proprio elemento, trasmette a quello il calore che gli è caratteristico; né risulta diminuito da una tale comunicazione, ma anzi continua a riempire interamente tutto ciò con cui entra in contatto.
Ebbene, ciò vale anche per il Verbo di Dio: non si è mai mosso da se stesso, eppure abitò fra di noi ( Gv 1,14 ); non ha subìto alcun mutamento, eppure il Verbo si è fatto carne ( Gv 1,14 ); il cielo non è rimasto mai privo della presenza di lui, eppure la terra ha accolto il celeste nel proprio grembo.
Non pensare a una diminuzione di divinità: non si trattò, infatti, di un passaggio da un luogo a un altro così come potrebbe compierlo un qualsiasi corpo.
Né è da ritenersi che la divinità, riversata nella carne, ne sia risultata in qualche modo alterata: ciò che è immortale, infatti, è altresì immutabile.
Come può accadere allora, chiederai, che il Verbo di Dio non abbia assimilato i limiti caratteristici della dimensione corporale?
Allo stesso modo come, rispondiamo, il fuoco diviene partecipe delle proprietà del ferro.
Quest'ultimo, infatti, pur essendo scuro e freddo, una volta riscaldato dal fuoco e divenuto incandescente, si riveste del medesimo aspetto del fuoco: benché esso diventi risplendente, però, da parte sua non annerisce affatto il fuoco né, venendo infiammato, raffredda la fiamma.
Il medesimo discorso può farsi a riguardo della carne umana del Signore: questa, infatti, divenuta partecipe della divinità, non la corruppe minimamente con la propria debolezza.
Forse che non riesci a comprendere come la divinità possa operare alla stregua di questo fuoco materiale, ma, in conseguenza dell'umana debolezza, ti figuri sofferenza in colui che ne è assolutamente privo e non ti rendi conto di come la natura corruttibile, a contatto con Dio, abbia potuto ottenere l'incorruttibilità?
Impara, dunque, a conoscere un simile mistero.
Dio discende nella carne, per distruggere quella morte che vi si nasconde.
Allo stesso modo come, infatti, le appropriate medicine si mescolano, all'interno dell'organismo, con quei maligni umori che sono da espellere, annientando così i fomiti della malattia, e come le tenebre che regnano in una dimora, si dissolvono all'irrompere della luce; non diversamente la morte, regina dell'umana natura, viene sconfitta dalla presenza della divinità.
Ovvero come l'acqua che si è trasformata in ghiaccio, finché duri la notte e l'oscurità, ricopre la parte liquida sottostante, disciogliendosi tuttavia ai raggi del caldo sole; similmente, la morte, che aveva regnato sino alla venuta di Cristo, dopo l'apparizione della salutare grazia divina e la nascita del sole di giustizia, è stata assorbita nella vittoria ( 1 Cor 15,54 ): essa non era in grado, infatti, di sostenere la presenza della vera vita.
O sublimità della bontà e dell'amore di Dio per gli uomini!
É grazie alla grandezza di questa bontà che possiamo scrollarci di dosso la nostra schiavitù.
« Perché Dio fra noi? », chiedono gli uomini.
Perché adorassimo la sua bontà: ecco la risposta.
Basilio il Grande, Omelia sulla santa nascita di Cristo, 2
Allorché il Dio dell'universo, in virtù della sua potenza, discende con Gesù nel cuore dell'esistenza umana e il Logos medesimo, in principio presso Dio, e Dio egli stesso ( Gv 1,1-2 ), ci viene incontro, non lascia affatto il suo luogo d'origine né abbandona il suo trono, come se prima vi fosse stato uno spazio vuoto di lui e successivamente un altro, da lui riempito, che sino a quel momento non l'aveva contenuto.
La potenza e la divinità di Dio, al contrario, gli consentono di trovarsi dovunque egli voglia e di occupare un determinato spazio senza che egli si veda costretto a mutar di sito né a lasciare un certo luogo per riempirne un altro.
Così, quando diciamo che Iddio abbandona qualcuno e riempie di sé qualcun altro, non deve intendersi in senso materiale: vogliamo significare, piuttosto, come l'anima del peccatore immerso nel vizio venga abbandonata da Dio, mentre quella di colui che vuole vivere nella virtù, che progredisce in essa, che già conduce una vita del genere, sia riempita o divenga partecipe dello spirito divino.
Perché il Cristo discenda incontro agli uomini, perché Dio si rivolga verso di loro, non è dunque necessario ch'egli abbandoni il suo altissimo trono né venga ad alterare le cose di quaggiù, come ritiene Celso allorché afferma: « Cambiare anche la più piccola delle cose terrene significherebbe sconvolgere e distruggere l'universo ».
Se però bisogna proprio dire che talune cose si modificano in virtù della presenza della divina potenza e in seguito alla venuta del Logos fra gli uomini, affermeremo allora, senza esitare, che il cambiamento consiste nel passare dalla perversità alla virtù, dalla dissolutezza alla temperanza, dalla superstizione a quella pietà che induce ad aprire la propria anima alla venuta del Logos di Dio.
Se vuoi conoscere la mia risposta alle più risibili affermazioni di Celso, ascolta prima ciò ch'egli dice: « Forse che Dio, misconosciuto presso gli uomini, e giudicandosi per questo diminuito, vorrebbe essere riconosciuto e mettere alla prova i credenti e gli increduli, proprio come i nuovi ricchi smaniosi d'ostentazione?
Ma ciò vorrebbe dire attribuire a Dio un'ambizione eccessiva e troppo umana! ».
La mia risposta è che Dio, misconosciuto a causa della cattiveria degli uomini, vorrebbe sì essere riconosciuto, ma non certo perché, altrimenti, se ne riterrebbe diminuito, quanto piuttosto per il fatto che la conoscenza di lui libera dall'infelicità colui che vi perviene.
Inoltre, non è con l'intenzione di mettere alla prova i credenti o gli increduli che Dio stesso prende dimora in certe anime attraverso la sua misteriosa e divina potenza ovvero invia loro il suo Cristo; se egli fa questo, è soltanto per liberare i credenti che accolgono la sua divinità da ogni motivo di pena, togliendo, al tempo stesso, agli increduli la possibilità di giustificare Ia loro mancanza di fede con il pretesto che essi non hanno conosciuto il suo insegnamento.
Quale argomento mai, stando così le cose, potrebbe a questo punto dimostrare che, nella logica della nostra dottrina, Dio si comporterebbe con noi alla stregua dei nuovi ricchi preoccupati unicamente di far bella mostra del loro sfarzo?
Quando desidera che noi lo conosciamo e comprendiamo la sua grandezza, Iddio, lungi dall'essere smanioso di ostentazione nei nostri confronti, vuole soltanto radicare in noi quella felicità che nasce nelle nostre anime per il fatto stesso che egli venga conosciuto da noi; per questo si preoccupa, attraverso il Cristo e l'incessante venuta del Logos, di farci pervenire all'intimità con lui …
A ciascuna generazione la sapienza di Dio, penetrando nelle anime degli uomini di cui essa abbia riscontrato la pietà, ne fa degli amici di Dio e dei profeti ( Sap 7,27 ).
I libri sacri, appunto, sono lì a testimoniare che in ogni generazione vi furono anime pie e all'altezza di accogliere lo spirito divino, uomini che s'impegnarono quanto più poterono per convertire i loro contemporanei.
Origene, Contro Celso, 4,5-7
Considera la maestà del Signore: Su tutta la terra ne corre la voce, ne giunge l'eco sino ai confini del mondo ( Sal 20,5 ).
Il Signore nostro Gesù, essendo potenza di Dio ( 1 Cor 1,24 ), è diffuso su tutta quanta la terra e oggi è con noi, come conferma l'Apostolo: Vi siete riuniti e il mio spirito è assieme a voi, con la forza del Signore Gesù ( 1 Cor 5,4 ).
La potenza del Signore e Salvatore è presente in coloro i quali, in Bretagna, sono divisi dal nostro continente; è assieme a quanti dimorano nella Mauritania; è, insomma, con tutti coloro che, sotto il sole, abbiano creduto nel suo nome.
Rifletti, allora, sul modo come la maestà del Signore si sia diffusa attraverso tutta quanta la terra, ancorché, a onor del vero, io non abbia ancora esplicitato i termini della sua autentica grandezza!
Sali su nel cielo e osserva come il Signore riempia di sé i luoghi celesti, dal momento che è apparso agli angeli ( 1 Tm 3,16 ).
Discendi poi, con la tua immaginazione, nelle profondità degli abissi: ti accorgerai, allora, che egli è sceso anche laggiù.
Infatti Colui che è disceso è lo stesso che è altresì salito al di sopra di tutti i cieli, allo scopo di riempire l'universo ( Ef 4,10 ), affinché, nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e negli inferi ( Fil 2,10 ).
Origene, Commento al Vangelo di san Luca, 6,9-10
Contempla il cielo, Gesù è là; considera la terra, Gesù è là; sali con la parola nel cielo, discendi con la parola agli inferi, vi troverai Gesù.
Infatti, se sali al cielo, trovi Gesù, e se discendi agli inferi, Gesù è là ( Sal 139,8 ).
Oggi, mentre parlo, egli è con me in questo momento, in questo istante; e se ora un cristiano parla in Armenia, Gesù è con lui.
Nessuno - infatti - dice che Gesù è il Signore, se non per mezzo dello Spirito Santo ( 1 Cor 12,13 ).
Se con il tuo pensiero precipiti negli abissi, anche là vedrai Gesù operare, poiché sta scritto: Non dire in cuor tuo: chi è salito al cielo? cioè per farne discendere Cristo; ovvero: chi discenderà nell'abisso? cioè per trarre Cristo fuori dai morti ( Rm 10,6-7 ).
Dove dunque non è colui che ha riempito di sé tutte le cose, terrestri, celesti e infere?
Egli è dunque veramente grande, egli, la cui potenza ha riempito il mondo, che è e sarà sempre ovunque, perché il suo regno non avrà mai fine ( Lc 1,33 ).
Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 2,13
Il saggio evangelista parla del Verbo incarnato e mostra come esso ha assunto la carne secondo il modo dell'incarnazione e ha rispettato le leggi della natura della carne.
Ma è proprio della natura umana crescere in età e sapienza, e vorrei aggiungere in grazia, poiché essa compie progressi in corrispondenza della crescita del corpo e dell'intelligenza; dai piccoli inizi della fanciullezza essa sale a poco a poco fino alla maturità.
In verità, al Verbo uscito dal Padre, in quanto era Dio, non sarebbe stato in alcun modo impossibile né irraggiungibile elevare subito il corpo a lui congiunto dalle fasce ad altezza normale e di portarlo a una completa maturità; e altrettanto, osservo, a lui sarebbe stato facile già come bambino avere a quell'età una impressionante sapienza.
Questo, però, sarebbe stato simile a un miracolo e non avrebbe certo corrisposto ai fini dell'incarnazione.
Nel silenzio e non nel clamore si doveva compiere il mistero.
Perciò egli si è sottomesso, nel processo dell'incarnazione, alle leggi della natura umana.
Ciò appartiene anche alla somiglianza con noi che a poco a poco cresciamo da più piccoli a più grandi in quanto il tempo ci porta a una maggiore età e a una corrispondente maggiore conoscenza e perspicacia.
Dunque, il Verbo, uscito dal Padre, come Dio perfetto e non suscettibile di alcuno sviluppo e crescita, si è fatto simile a noi una volta che è diventato uno di noi, sebbene sappiamo bene che egli come Dio tutti ci sovrasta.
Cirillo di Alessandria, Poiché Cristo è uno solo
Gesù, stanco per il viaggio, stava seduto ai pozzo.
Era circa l'ora sesta ( Gv 4,6 ).
Cominciano già i misteri poiché non per nulla Gesù è stanco; non per nulla la Forza di Dio è stanca, è stanco colui che è la forza degli affaticati; non per nulla è stanco colui la cui lontananza ci spossa, la cui presenza ci rende forti.
Gesù dunque è stanco, e stanco per il viaggio; si siede e si siede sull'orlo del pozzo; ed è l'ora sesta quando Gesù si siede stanco.
Tutti questi particolari indicano senza dubbio qualcosa, ci rendono attenti e ci invitano a bussare.
Che apra lui stesso dunque, a noi come a voi, lui che si è degnato esortarci dicendo: Bussate e vi sarà aperto ( Mt 7,7 ).
É per te che Gesù è stanco del viaggio.
Sappiamo che Gesù è la Forza stessa e vediamo che è stanco; Gesù forte e debole.
Forte perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio ( Gv 1,1-2 ).
Vuoi vedere fino a che punto il Figlio di Dio è forte?
Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto ( Gv 1,3 ), e il tutto senza stancarsi.
Chi è dunque più forte di colui per mezzo del quale, senza stancarsi, tutto è stato fatto?
Vuoi conoscere la sua debolezza?
E il Verbo s'è fatto carne e ha dimorato fra noi ( Gv 1,14 ).
La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato.
La forza di Cristo ha dato esistenza a ciò che non esisteva, la debolezza di Cristo ha preservato dalla morte quello che esisteva.
Ci ha creati con la sua forza, ci ha cercati con la sua debolezza …
Questi è dunque Gesù stanco per il viaggio.
La strada che ha percorso è la carne che ha assunto per noi.
Quale strada può infatti percorrere colui che è ovunque e che da nessun luogo è assente?
Come capire dove va e donde viene se non nel senso che è venuto a noi assumendo la forma di una carne visibile?
Infatti egli si è degnato di venire a noi, mostrandosi nella carne e assumendo la forma di servo: questa « assunzione » è stata la strada che egli ha percorso.
Questa stanchezza per il viaggio non viene forse dalla carne?
Gesù è debole nella carne, ma tu guardati dal lasciarti andare alla debolezza: sii forte nella debolezza di Cristo poiché, come dice san Paolo, quello che è debole in Dio è più forte degli uomini ( 1 Cor 1,25 ).
Agostino, Commento al vangelo di san Giovanni, 15,6-7
Il Figlio di Dio, per quanto attiene alla sua propria natura, è notoriamente incapace di soffrire; nessuno infatti sarebbe così stolto da pensare che la natura su tutte sublime possa essere soggetta alla sofferenza.
Soltanto egli è diventato uomo in quanto ha fatto sua la carne dalla Vergine santa.
Riguardo all'Incarnazione noi insegniamo dunque che egli, in quanto Dio, era libero da ogni sofferenza, come uomo, egli ha invece sofferto nella sua carne.
Pur essendo Dio, egli si è fatto uomo senza per questo abdicare alla sua divinità: è divenuto una parte della creazione ma è rimasto superiore a questa; Dio legislatore si è sottomesso alla legge, ma è rimasto legislatore; Dio Signore, ha assunto la natura di servo, ma ha mantenuto in modo stabile la dignità di Signore; primogenito, è divenuto « primogenito tra tanti fratelli » ma è rimasto l'Unigenito.
Quale miracolo che egli, come uomo, abbia sofferto nella carne, mentre come Dio era incapace di patire!
Il molto saggio Paolo insegna che il Verbo, pur sussistendo nella natura di Dio Padre e simile a lui, si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce ( Fil 2,8 ).
E in un'altra lettera scrive di lui: Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui tutto è stato creato, e nei cieli e sulla terra … egli va innanzi a tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Ed egli, dice, è il capo del corpo che è la Chiesa, il principio, il primogenito dai morti ( Col 1,15-18 ).
Certo il Verbo, uscito da Dio Padre, è la Vita e il dispensatore della vita, generato dalla vita di colui che lo ha generato.
Ma come può accadere - ci si potrebbe chiedere - che egli sia stato il principio, il primogenito dai morti?
Ora, dal momento che egli ha assunto la carne si è assoggettato alla morte, per grazia divina, come dice il molto saggio Paolo, ha patito la morte per ognuno ( Eb 2,9 ), in quanto egli nella carne poteva soffrire, ma non per questo ha cessato di essere Vita.
Sebbene dunque si dica che egli ha sofferto nella carne, ciò prova che egli non ha patito nella sua natura divina, ma, come ho già detto, è rimasto soggetto alla sofferenza nella sua carne.
Cirillo di Alessandria, Spiegazione del credo niceno, 24-25
Dopo che gli uomini furono sottoposti alla corruzione dovuta alla loro natura e vennero privati della grazia di somigliare a Dio, che cosa doveva accadere?
Di chi v'era bisogno perché tale grazia venisse restaurata, se non del Verbo di Dio che aveva in principio creato tutte le cose dal nulla?
Toccava a lui, appunto, di ricondurre il corruttibile all'incorruttibilità e di salvare ciò che, in tutte le cose, era conforme al Padre.
Essendo, infatti, il Verbo di Dio al di sopra di tutto, egli soltanto poteva essere in grado di ricreare tutte le cose, di soffrire per tutti e di essere, per tutti, un degno ambasciatore al cospetto del Padre.
Per questo motivo il Verbo di Dio, incorporeo e incorruttibile e immateriale, si calò nella nostra dimensione, benché mai neppure prima ne sia stato lontano, dal momento che, unito com'è al Padre suo, non ha lasciato alcuna parte della creazione vuota di sé e riempie ogni cosa.
Il Verbo di Dio si degna così di venire e di manifestarsi a noi, in virtù della sua filantropia nei nostri confronti.
Vedendo che gli esseri ragionevoli si perdono e che la corruzione della morte regna su di loro;
vedendo che la minaccia formulata da Dio contro la trasgressione trova efficace realizzazione attraverso questa corruzione e che sarebbe assurdo che questa legge venisse violata prima ancora d'esser compiuta;
vedendo come fosse disdicevole che le opere di cui egli era l'autore fossero distrutte;
vedendo la soverchiante cattiveria degli uomini accrescersi pian piano ai danni di loro stessi e divenire intollerabile;
vedendo che tutti gli uomini si rendevano schiavi della morte, il Signore ebbe pietà della nostra stirpe e si fece misericordioso nei rispetti della nostra debolezza.
Volle rimediare alla nostra corruzione e non sopportò che la morte la spuntasse su di noi, affinché la sua creatura non perisse e l'opera compiuta dal Padre suo, nel creare gli uomini, non si dimostrasse inutile.
Assunse dunque un corpo, e un corpo che non è diverso dal nostro.
Egli, infatti, non ha voluto semplicemente « trovarsi in un corpo », come non ha voluto unicamente « mostrarsi »: in quest'ultimo caso, altrimenti, avrebbe potuto realizzare questa teofania in un essere più potente d'un uomo.
Il Signore assume, invece, un corpo come il nostro, né si accontenta semplicemente di rivestirsene, ma vuole farlo nascendo da una vergine senza colpa né macchia, che non conosceva uomo, prendendo così un corpo puro e del tutto incontaminato da qualsiasi unione carnale.
Benché onnipotente e demiurgo dell'universo, all'interno di questa vergine egli si edifica il proprio corpo come un tempio e, manifestandosi e dimorando in esso, se ne serve come d'uno strumento.
Dal nostro genere, pertanto, il Signore acquista una natura analoga alla nostra e, allo stesso modo come tutti noi siamo condannati alla corruzione e alla morte, non diversamente anch'egli, per il beneficio di tutti, consegna il proprio corpo alla morte, presentandolo al Padre; e tutto questo egli conduce a termine per filantropia.
In tal modo, dal momento che tutti muoiono in lui ( Rm 6,8 ), la legge della corruzione, diretta contro gli uomini, sarà infranta.
Essa infatti, dopo aver esercitato tutto il suo potere sul corpo del Signore, da quell'istante non sarà più in grado di infierire sugli uomini, essendo ormai costoro simili a lui.
Il Verbo di Dio, pertanto, ripristina nell'incorruttibilità quegli uomini che erano divenuti nuovamente preda della corruzione.
Appropriandosi d'un corpo, egli dona loro una nuova vita e li riscatta dalla morte.
In virtù della grazia della risurrezione, il Signore fa sparire la morte lontano dagli uomini, come un fuscello di paglia distrutto nel fuoco.
Il Verbo, dunque, constatava che la corruzione degli uomini non poteva assolutamente esser cancellata, se non attraverso la morte.
D'altronde, essendo immortale e Figlio del Padre, non era possibile che il Verbo potesse morire.
Pertanto egli si riveste di un corpo suscettibile di morire affinché, partecipando del Verbo che sta al di sopra di tutto, questo corpo sia in grado di morire per tutti e, d'altronde, grazie al Verbo che ha preso dimora in lui, rimanga incorruttibile e faccia ormai cessare in tutti, in virtù della risurrezione, la corruzione.
Così, come nel sacrificio d'una vittima innocente, egli offre alla morte questo corpo, dopo essersene spontaneamente rivestito, e, tosto, fa sparire la morte in tutti i suoi simili, attraverso l'offerta d'una vittima somigliante a loro.
É giusto che il Verbo di Dio, superiore com'è a tutti, offrendo il suo tempio e lo strumento del suo corpo come prezzo del riscatto per tutti, paghi, con la sua morte, il nostro debito.
Così, unito a tutti gli uomini attraverso un corpo simile al loro, il Figlio incorruttibile di Dio può a giusta ragione rivestire tutti gli uomini d'incorruttibilità, promettendo altresì loro la risurrezione.
La corruzione stessa della morte, perciò, non ha più alcun potere contro gli uomini, grazie al Verbo che dimora fra questi, in un corpo simile al loro.
Allorché un re illustre fa il suo ingresso in una grande città e prende dimora in una delle sue case, questa città si sente oltremodo onorata, né nemici né briganti, ormai, marceranno più contro di essa per devastarla e viene fatta oggetto d'ogni attenzione per il fatto che il re risiede in una sola delle sue case.
Così avviene anche al riguardo del re dell'universo: da quando egli è venuto nella nostra terra e ha abitato un corpo simile al nostro, ogni iniziativa dei nemici contro gli uomini ha avuto termine e la corruzione della morte, che per lungo tempo aveva imperversato contro di essi, è scomparsa.
Il genere umano sarebbe completamente perito, se il Figlio di Dio, signore dell'universo e salvatore, non fosse disceso a porre termine alla morte.
Atanasio, Sull'incarnazione del Verbo, 7-9
Per questo il Verbo di Dio si è fatto carne e il Figlio di Dio è diventato figlio dell'uomo: affinché l'uomo, fuso con il Verbo di Dio, riceva l'adozione e diventi figlio di Dio.
Non avremmo potuto in altro modo ricevere l'immortalità e l'incorruttibilità, se non fossimo stati uniti all'immortalità e all'incorruttibilità; ma come avremmo potuto unirvici se prima questa non fosse diventata ciò che siamo noi?
Se quello che in noi è corruttibile non fosse stato assorbito dall'incorruttibilità e quello che è mortale dall'immortalità, affinché noi diventassimo figli adottivi di Dio? …
Che egli solo fra tutti gli uomini del suo tempo, da tutti i profeti, dagli apostoli e dallo stesso Spirito Santo sia stato proclamato vero Dio e Signore, re eterno, unigenito e Verbo incarnato, è chiaro per chi ha raggiunto anche un minimo di verità.
Ma le Scritture non attesterebbero così di lui, se egli fosse solo uomo come tutti gli altri.
Egli però portava in sé l'eccelsa generazione del Padre altissimo, ed era passato attraverso la mirabile generazione dalla Vergine; perciò la Scrittura divina attesta di lui due cose distinte: che è uomo, senza gloria e soggetto al dolore, seduto su un puledro di asina, abbeverato di aceto e fiele, disprezzato dal popolo, sceso fino alla morte; e che è il « Signore santo », il « Consigliere mirabile » il « Bello d'aspetto », il « Dio forte », il « Giudice universale », assiso sulle nubi.
Tutto ciò di lui ha profetizzato la Scrittura.
Era uomo e fu tentato; era il Verbo e fu glorificato; il Verbo, quasi, stette quieto, perché egli potesse venir tentato, disprezzato, crocifisso e morisse; l'uomo fu assorbito in colui che vince, che resiste, che risorge e viene assunto ai cieli.
Dunque, il Figlio di Dio, il Signore nostro, che è il Verbo del Padre, è anche figlio dell'uomo, perché è nato da Maria, la quale era stata generata da uomini, apparteneva alla stirpe umana; egli perciò ha avuto umana generazione, è diventato figlio dell'uomo.
Per questo lo stesso Signore ci ha dato un segno nel profondo e lassù in alto, un segno che l'uomo non aveva richiesto perché mai avrebbe sperato che una vergine potesse diventare gravida e partorire un figlio; e che questo figlio sarebbe stato il « Dio con noi »; che cioè in lui la realtà sovraterrena sarebbe scesa a ricercare la pecorella smarrita, che era la creatura da lui plasmata, e poi ascesa in alto per offrire e affidare al Padre l'uomo ritrovato e avrebbe fatto di sé la primizia della risurrezione dell'uomo.
Non avrebbe mai sperato che, come il capo è risorto dai morti, così anche il resto del corpo - cioè tutti gli uomini viventi quaggiù - passato il tempo della condanna inflittagli per la disobbedienza, sarebbe risorto, crescendo nella sua struttura, per l'intimo legame vitale, di una sana crescita elargita da Dio, e che ogni membro avrebbe raggiunto la posizione adatta nel corpo.
Molte sono infatti le dimore presso il Padre, perché molte sono le membra del corpo.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3,19
Anche in Cristo vi erano tutti i segni della sua origine terrena: sono questi che occultarono in lui il Figlio di Dio …
Nulla di nuovo, nulla di strano trovo in lui: solo delle parole e delle opere, della dottrina e della virtù di Cristo si stupiva la gente.
Si sarebbe notata in lui l'eccezionalità che la sua carne era originata per miracolo; ma, in seguito, non era l'eccezionalità della sua carne terrena che rendeva mirabili le sue opere, tanto che si diceva: Donde viene a costui questa sapienza, questa virtù d'operare miracoli? ( Mt 13,54 ).
Queste parole erano dovute anche al loro disprezzo per il suo aspetto.
Il suo corpo non presentava neppure avvenenza umana, tanto meno splendore divino.
I profeti non ci parlano del suo aspetto ignobile, ma ce lo proclamano i suoi stessi dolori e gli oltraggi che soffrì.
I dolori testimoniano la sua carne umana; gli oltraggi, la sua deformità.
Avrebbe osato qualcuno forse toccare anche solo con la punta del dito un corpo straordinario, o insudiciare con gli sputi un volto che non lo meritava?
Perché la dici carne celeste, se non hai nulla per ritenerla celeste?
Perché neghi che sia terrena, se hai molto invece per riconoscerla terrena?
Ebbe fame al cospetto del diavolo, ebbe sete davanti alla samaritana, pianse su Lazzaro, tremò di fronte alla morte.
Disse infatti: « La carne è debole ».
Alla fine versò il sangue.
Non credo che questi siano segni celesti.
Ma, ripeto, in qual modo avrebbe potuto soffrire ed essere oltraggiato, come ho detto, se la sua carne avesse irradiato qualcosa della sua nobiltà celeste?
Da ciò dunque dimostriamo che non vi era in essa nulla di celestiale, e perciò poté essere disprezzata e soffrire.
Tertulliano, La carne di Cristo, 9
Per bocca dei suoi profeti, Dio aveva promesso che, al mutarsi del tempo opportuno, avrebbe mandato al genere umano suo Figlio come Salvatore; così, deposta temporaneamente la dignità, ma non la potenza divina, il Figlio esce dal cielo, penetra quale ospite silenzioso e pudico nel sacrario del tempio verginale, domicilio per lui profetato, e ivi dispone come vuol essere.
O meglio, in quel nascondiglio plasma se stesso come aveva già predisposto: riposando con gioia in quella florida dimora della castità, nelle viscere della vergine sacra si procura il corpo che, a suo giudizio, sarebbe poi nato.
Adattandosi in pieno agli uomini, Dio si chiude nel vestito della carne: assume dal tempo una vita umana, colui che dà ai tempi l'eternità.
O meraviglia! Maria concepisce ad opera di colui che essa partorisce; l'utero della Vergine si gonfia per la maestà divina, non per seme umano, e la Vergine contiene colui che il mondo, che la pienezza del mondo non contengono.
Le membra di lei frattanto sviluppano il loro creatore, e la creatura riveste delle proprie apparenze il suo fattore.
Maria partorisce non con dolore, ma con gioia: nasce il Figlio, senza padre, ma non tutto della madre: deve a se stesso la propria concezione, dona alla madre la propria nascita; ed ella sommamente stupisce di avere in dono un tale figlio, che non crederebbe neppure nato da sé, dato che, come fu vergine incorrotta dopo la concezione, tale rimase pure anche dopo il parto.
O immensa novità! Ridottosi fanciullo per amore della sua immagine, Dio vagisce; tollera di essere avvolto in fasce colui che è venuto a sciogliere i debiti di tutto il mondo.
Viene deposto nella mangiatoia di una stalla, proclamando così di essere pastore e cibo di tutti i popoli.
Si assoggetta alla gamma delle età colui che per la sua eternità non ammette età in sé.
E in modo totalmente opposto alla sua divina autocoscienza, soffre quale debole uomo, affinché all'uomo consunto dalla legge della morte sia donata l'immortalità.
Questa infatti è potenza divina: poter esser ciò che non è, restando salvo ciò che è.
Questi è il nostro Dio, il Figlio coeterno dell'eterno Iddio.
Questi è l'uomo-Dio posto in mezzo tra il Padre e gli uomini, che dimostra la sua realtà carnale con le sofferenze, e la sua maestà divina con i prodigi.
Questi è il nostro sole, il vero sole, che con la pienezza del suo chiarore accende gli splendidi fuochi della terra, rilucenti, germani degli astri.
É questi il sole che, tramontato una volta, è sorto nuovamente per non più tramontare; è questi il sole, ripeto, circondato da una corona di dodici raggi, cioè i dodici apostoli, che non quattro animali muti, ma i quattro evangeli con il loro annuncio di salvezza conducono nella sua orbita intorno a tutto il mondo.
E la potenza del suo vestito, del suo carro, viene attestata da queste parole profetiche: « Dio verrà come un fuoco, il suo carro come una tempesta, per fare, nella sua ira, giusta vendetta! ».
Zenone di Verona, La nascita e la maestà del Signore, 2,9
L'Apostolo scrive ai Filippesi: Abbiate in voi i medesimi sentimenti che erano in Gesù Cristo.
Egli, prosegue Paolo, pur possedendo la natura divina, non pensò di valersi della sua uguaglianza con Dio, ma preferì annientare se stesso, prendendo la natura di servo e diventando simile agli uomini.
E dopo che ebbe rivestito la natura umana, continua l'Apostolo, umiliò se stesso ancor di più, facendosi obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce.
Per questo, conclude Paolo, anche Dio lo ha sovranamente esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, affinché, nel nome di Gesù, si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e negl'inferi, e ogni lingua confessi che Cristo Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre ( Fil 2,5-11 ).
Cosa può esservi di più chiaro e più eloquente di queste parole?…
Non si tratta d'un enigma, ma d'un mistero divino: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio ( Gv 1,1 ), giacché lo stesso Verbo, in seguito, divenne carne per noi.
Se Paolo, dunque, afferma che Dio lo « ha esaltato », non intende significare che è stata esaltata la natura del Verbo: quest'ultimo, infatti, è stato e sarà sempre uguale a Dio.
L'Apostolo vuole indicare, invece, l'esaltazione della natura umana.
Le sue parole pertanto non sono state pronunciate se non dopo l'incarnazione del Verbo, perché apparisse chiaro che termini come « umiliato » ed « esaltato » vanno riferiti unicamente alla dimensione umana.
Soltanto ciò che è umile, infatti, è suscettibile di essere innalzato.
Se pertanto è stato scritto che « umiliò se stesso », in riferimento all'assunzione della carne, è chiaro che l'espressione « lo ha esaltato » va anch'essa ascritta al medesimo oggetto.
Poiché, dunque, colui che era immagine del Padre e Verbo immortale si è rivestito dell'aspetto d'uno schiavo e ha subìto per noi, come uomo, la morte nella sua carne, per offrire se stesso, attraverso la morte, al Padre a nostro beneficio, così pure, sempre come uomo, viene detto che egli è stato esaltato, per causa nostra e in vista della nostra salvezza.
Allo stesso modo come, perciò, siamo tutti morti nel Cristo, nello stesso Cristo, similmente, verremo nuovamente esaltati, allorché, dopo esser stati risuscitati dalla morte, saliremo in cielo dove, prima di noi, è entrato Gesù in qualità di precursore ( Eb 6,20 ); non in un santuario fatto da mano d'uomo, che fosse soltanto una immagine del vero, ma nel cielo stesso, per presentarsi addirittura davanti a Dio ad intercedere per noi ( Eb 9,24 ).
Ora, se Cristo ha fatto per noi il suo ingresso in cielo, benché anche prima e sempre fosse Signore e creatore dei cieli, ciò significa, dunque, che anche adesso egli viene esaltato per il nostro bene.
Allo stesso modo come, poi, il Signore, che santifica tutti, dice di santificare se stesso per il Padre a nostro beneficio ( non per divenire santo, però, in quanto Verbo, ma per rendere santi tutti noi in se stesso ), così, parimenti, l'espressione « lo ha esaltato » non va intesa nel senso che egli viene realmente esaltato ( poiché è già altissimo ), ma vuole piuttosto indicare che il Signore, divenendo egli stesso giustizia per noi, ci consente di essere esaltati in lui e di entrare attraverso le porte dei cieli, che egli stesso ci ha nuovamente spalancato.
Atanasio, Contro gli ariani, 40-41
Per il genere umano il Figlio di Dio è nato dalla Vergine e dallo Spirito Santo, servo di lui stesso in questa opera; e con la sua virtù, cioè con la virtù di Dio ricoprendola, seminò in lei il principio del suo proprio corpo, iniziò la struttura della sua stessa carne.
In tal modo, fatto uomo dalla Vergine, assunse in sé la natura della carne, affinché per tale intima unione il corpo di tutto il genere umano fosse in lui santificato; affinché tutti, come li volle incorporare in sé per la sua corporeità, così fossero a lui legati in ciò che in lui è invisibile.
L'immagine invisibile di Dio, dunque, non ricusò la vergogna dell'origine umana trascorrendo, nella concezione, nel parto, tra i vagiti nella culla, attraverso tutte le bassezze della nostra natura.
Cosa mai potremo noi restituire, che sia degno di tanto amore e di tanta degnazione?
L'unigenito di Dio, uno con Dio per la sua origine ineffabile, entra nel seno della Vergine santa e cresce, sotto l'aspetto di feto umano.
Colui che tutto contiene, nel quale e per il quale sono tutte le cose, viene al mondo come ogni altro uomo; colui alla cui voce tremano gli angeli e gli arcangeli, si dissolvono il cielo e la terra e tutti gli elementi di questo mondo, fa udire i suoi vagiti infantili.
Colui che è invisibile e incomprensibile, che non può essere misurato con la vista, il senso, il tatto, sta adagiato in una cuna.
Se qualcuno ritiene ciò indegno di Dio, confesserà se stesso oggetto di una bontà tanto maggiore, quanto meno tutto ciò conviene alla divina maestà.
Egli non ebbe bisogno di farsi uomo: che per lui l'uomo è stato fatto; fummo noi ad aver bisogno che Dio si facesse carne e abitasse in noi, che cioè con l'assunzione di un corpo umano abitasse nell'intimo di ogni carne.
La sua umiltà è la nostra nobiltà; il suo obbrobrio è il nostro onore: egli è Dio che sussiste nella carne, e noi siamo rinnovati nella carne in Dio.
Ilario di Poitiers, La Trinità, 2,24-25
Vedete, fratelli, in qual modo il Signore ha dato ragione alla gente di Gerusalemme che diceva: Noi sappiamo donde sia costui: quando invece verrà il Messia nessuno saprà donde sia.
E infatti Gesù, insegnando nel tempio, disse ad alta voce: Voi mi conoscete e sapete anche donde sono!
Eppure io non sono venuto da me stesso, ma è verace colui che mi ha mandato; colui che voi non conoscete ( Gv 7,27-28 ).
E cioè: Voi mi conoscete e non mi conoscete, o meglio: Voi sapete donde sono e non lo sapete; voi sapete donde sono: Gesù di Nazaret, voi conoscete anche i miei parenti.
Una sola cosa però non potevano sapere: la nascita verginale che soltanto lo sposo della Vergine conosceva.
Questi l'avrebbe potuta attestare con tanta più sicurezza quanto più forte era l'amore per lei.
Eccetto dunque la nascita verginale, Gesù era conosciuto in tutto quello che riguardava la sua umanità; la sua fisionomia, la sua patria, la famiglia e il luogo di nascita erano conosciuti.
Secondo la carne e la natura umana il Signore aveva perciò ragione di dire: « Voi mi conoscete e sapete donde sono ».
Secondo la divinità invece: « non sono venuto da me stesso, ma è verace colui che mi ha mandato e voi non lo conoscete »; per conoscerlo, credete in colui che lo ha inviato poiché nessuno ha mai visto Dio se non il Figlio che è nel seno del Padre: lui lo ha rivelato ( Gv 1,18 ), e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo ( Lc 10,22 ).
Dopo aver detto: « Ma colui che mi ha mandato è verace, e voi non lo conoscete », il Signore, per indicare alla gente come conoscere colui che non conoscono, aggiunge: Io sì che lo conosco ( Gv 7,29 ).
Interrogatemi dunque se volete conoscerlo.
Come lo conosco? « Io vengo da lui ed è lui che mi ha mandato ».
Magnifica affermazione con una doppia verità: « io vengo da lui », poiché il Figlio viene dal Padre, e tutto ciò che il Figlio è, lo è per colui del quale è Figlio.
Per questo diciamo che il Signore Gesù è Dio da Dio, e non chiamiamo il Padre: Dio da Dio, ma soltanto Dio.
Noi diciamo anche che il Signore Gesù è Luce da Luce, e non diciamo del Padre: Luce da Luce, ma soltanto Luce.
É questo che il Signore vuol dire quando afferma: « Io vengo da lui »; e se ora mi vedete nella carne « è perché è lui che mi ha mandato ».
E quando sentite che mi ha inviato, non credete a una differenza di natura, ma all'autorità di colui che mi ha generato.
Agostino, Commento al vangelo di san Giovanni, 31,3-4
Come imiteremo la via di Cristo?
Forse nella sua magnificenza di Dio nella carne?
Forse egli ci esorta, o forse esige da noi di compiere i miracoli che egli fece?
Egli non ti dice: « Non sarai mio discepolo se non camminerai sul mare, se non risusciterai un morto da quattro giorni, se non aprirai gli occhi a un cieco nato ». No, certo.
Che significa dunque entrare per la porta?
Imparate da me, perché sono mite e umile di cuore ( Mt 11,29 ).
Ciò che lui si è fatto per te, devi in lui considerare, per imitarlo.
Egli fece miracoli ancor prima di nascere da Maria; e chi mai ne fece, se non colui di cui è stato detto: che solo compie grandi meraviglie ( Sal 72,18 )?
Per virtù sua, infatti, anche coloro che prima di lui li fecero poterono operare: in virtù di Cristo Elia risuscitò un morto.
O forse è da più Pietro che Cristo, dato che Cristo sanò gli ammalati con le parole, mentre invece quando passava Pietro gli venivano posti avanti gli infermi perché la sua ombra li toccasse?
Forse è più potente Pietro di Cristo?
Ma chi è il pazzo che sosterrà ciò?
Perché dunque tanto potere in Pietro?
Perché Cristo era in Pietro.
Per questo egli disse: Tutti coloro che vennero, sono ladri e malfattori ( Gv 10,8 ): cioè, coloro che vennero di propria iniziativa, non mandati da me, che vennero senza di me, in cui io non ero, che io non introdussi.
E tutti i miracoli compiuti sia prima, sia poi, li fece il Signore stesso, che ne operò anche di sua presenza.
Ma non a questi miracoli ti esorta, da lui compiuti prima di essere uomo; ma a che cosa ti esorta?
A imitare ciò che non avrebbe potuto fare se non si fosse fatto uomo.
Avrebbe mai potuto tollerare tanti dolori, se non fosse stato uomo?
Non avrebbe potuto morire ed essere crocifisso, se non fosse stato uomo.
Quando tu dunque soffri le molestie di questa terra, operate dal diavolo o apertamente per opera degli uomini, o occultamente come per Giobbe, sii forte, sii tollerante: dimora nell'aiuto dell'Altissimo, come ti dice il salmo, perché se ti allontani dall'aiuto dell'Altissimo, non puoi aiutare te stesso e cadi.
Molti sono forti quando subiscono persecuzioni dagli uomini e li vedono apertamente incrudelirsi contro di loro; pensano allora di imitare la passione di Cristo, dato che gli uomini chiaramente li perseguitano.
Ma se sopportano la persecuzione occulta del diavolo, non credono di venir poi coronati da Cristo.
Ma tu non temere quando imiti Cristo!
Agostino
E avvenne che, mentre Gesù era a mensa, molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con Gesù e i suoi discepoli.
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori? ( Mt 9,10-11 ).
Dio è accusato di chinarsi sull'uomo, di accostarsi al peccatore, d'aver fame della sua conversione e sete del suo ritorno; di prendere l'alimento della misericordia e il calice della benevolenza.
Cristo, fratelli, è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati perché, condannati a morire, vivano con la Vita.
La Risurrezione si è chinata perché coloro che giacciono si levino dalle loro tombe; la Bontà si è abbassata per elevare i peccatori fino al perdono; Dio è venuto all'uomo perché l'uomo giunga a Dio; il Giudice si è assiso alla mensa dei colpevoli per sottrarre l'umanità alla sentenza di condanna; il Medico è venuto dai malati per ristabilirli mangiando con loro; il Buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecorella smarrita all'ovile di salvezza.
Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori?
Ma chi è peccatore se non colui che rifiuta di riconoscersi tale?
Non significa affondare nel proprio peccato e identificarsi con lui, il non voler più riconoscersi peccatore?
Chi è ingiusto, se non colui che si ritiene giusto?
E pertanto, fariseo, hai ben letto la parola del Salmo: Nessun vivente è giustificato dinanzi a te ( Sal 143,2 ).
Fintantoché siamo in questo corpo mortale, la fragilità domina in noi; anche se non pecchiamo con le azioni, non possiamo vincere i peccati di pensiero né evitare ogni ingiustizia; anche se abbiamo la forza di sfuggire ad essi materialmente e se siamo capaci di vincere ogni colpa cosciente, come possiamo abolire le mancanze causate dalla negligenza e i peccati d'ignoranza?
Fariseo, confessa il tuo peccato e potrai sedere alla mensa del Signore; Cristo si farà pane per te, quel pane che sarà spezzato per il perdono dei tuoi peccati; Cristo diventerà per te la coppa che sarà versata per la remissione dei tuoi peccati.
Su, fariseo, mangia della mensa dei peccatori, e Cristo la dividerà con te; entra con i peccatori al banchetto del tuo Signore e potrai non essere più peccatore; entra col perdono di Cristo nella casa della Misericordia, in modo che con la tua propria giustizia tu non sia escluso da questa dimora.
Suvvia, riconosci il Cristo, ascoltalo.
Ascolta il tuo Signore, ascolta il medico.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati ( Mt 9,12 ).
Se vuoi essere guarito riconosci la tua malattia …
Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori ( Mt 9,13 ): il Cristo non rifiuta i giusti, ma senza di lui nessuno sulla terra è senza peccato.
Non trascura i giusti, ma quaggiù non ha trovato che peccatori.
Ascolta il Salmista: Dai cieli il Signore scruta sui figli dell'uomo per vedere se c'è un saggio che cerchi Dio.
Tutti hanno traviato, tutti quanti si sono corrotti; non c'è chi faccia bene, non ce n'è neppure uno ( Sal 15,2-3 ).
Fratelli confessiamoci peccatori per non più esserlo grazie al perdono di Cristo.
Pietro Crisologo
Innalzati tu, che fosti chiuso nel seno della madre!
Tu, che ti formasti in colei che da te fu formata.
Tu, che giacesti nel presepio, che suggesti al petto, quale infante, la vita della carne.
Tu che porti il mondo, e che fosti portato dalla madre; che il vecchio Simeone riconobbe quale piccolo e glorificò come grande; che la vedova Anna vide poppante e professò onnipotente.
Tu, che per noi avesti fame, per noi soffristi la sete, per noi ti stancasti nella via.
Tu, che per il nostro bene facesti tutto ciò, che dormisti e non ti addormentasti.
Tu, infine, che fosti venduto da Giuda, che fosti arrestato, incatenato, flagellato, coronato di spine, affisso al legno, trafitto dalla lancia dopo la morte, tu che fosti ucciso e sepolto: Innalzati sopra i cieli, o Dio! ( Sal 58,6 ).
Agostino, Discorsi, 262, 4,4
Mi domandi se il corpo del Signore abbia anche ora ossa e sangue con tutte le altre fattezze fisiche.
Credo che il corpo del Signore si trovi nel cielo in quella situazione in cui si trovava sulla terra nel momento in cui fu assunto al cielo.
Come leggiamo nel Vangelo, ai suoi discepoli, quando dubitavano della sua risurrezione e ritenevano non un corpo, ma uno spirito ciò che vedevano, egli disse: Guardate le mie mani e i miei piedi; toccatemi e vedete che uno spirito non ha ossa e carne, come voi vedete che io ho! ( Lc 24,39 ).
Come essi dunque lo toccarono con le loro mani qui sulla terra, lo seguirono con i loro sguardi quando salì al cielo.
E disse la voce dell'angelo: Così egli tornerà, come voi lo vedete ascendere al cielo ( At 1,11 ).
Il corpo di Cristo, dunque, secondo le parole: Non lascerai al tuo santo vedere la corruzione ( Sal 16,10 ), non fu toccato nella tomba da corruttela e putridume, ma ben poté tuttavia venir trafitto dai chiodi e dalla lancia; è chiaro dunque e non si può affatto dubitare che questo corpo ora si trovi nella perfetta incorruttibilità; che seminato nella vergogna e nel dolore della morte, sta ora nello splendore della vita eterna; che crocifisso nella debolezza, domina ora con potenza; quel corpo che era animale perché preso da Adamo, adesso è spirituale, poiché unito ormai inseparabilmente
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