Gesù Cristo rivelazione dell'uomo |
La sensibilità ai problemi dell'uomo e della sua condizione che si trova nei pensatori recenti, è antica quanto il cristianesimo, che è essenzialmente religione della salvezza dell'uomo in Gesù Cristo.
Mai tuttavia tale sensibilità si è manifestata ed espressa così chiaramente, così esplicitamente come nei documenti dei due ultimi decenni, in particolare nella Costituzione pastorale sulla situazione della Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes e nelle dichiarazioni del papa attuale Giovanni Paolo II: discorso di Puebla, enciclica Redemptor hominis, discorso alle Nazioni Unite.
La Gaudium et spes è un documento originale:
a) È il più lungo documento di tutta la storia conciliare della Chiesa,
b) È la prima volta che un documento del Magistero straordinario si esprime sugli aspetti direttamente temporali della vita cristiana.
Mai si era parlato in modo così diretto dell'uomo alle prese coi problemi della sua vita terrestre,
c) La struttura stessa del documento è nuova: invece di partire dai dati della fede, si appoggia su una descrizione della condizione umana nel mondo di oggi.
Perciò struttura prima empirica poi teologica.
Nel corso dei cinque schemi o versioni che scandiscono la storia della Costituzione, la sola vera linea continua di ricerca è stata questa preoccupazione di arrivare al mondo, di parlare dei suoi, problemi, di portargli i servizi della Chiesa e, più concretamente, la luce del Vangelo,
d) Il mondo al quale si rivolge il Concilio è l'uomo totale: individuo e società, materia e spirito, inserito in una durata indefinita.
L'uomo è l'individuo e la società, ma è l'uomo « di questo tempo », nel « mondo di oggi ».
L'esposto preliminare della Costituzione è precisamente una descrizione dello stato attuale della collettività umana ( nn. 4-10 ).
Il fatto brutale è che l'uomo ha camminato con salti giganteschi verso il progresso.
L'immagine del mondo ne è stata subitamente trasformata.
Ma questa trasformazione non è avvenuta senza gravi difficoltà ( n. 3 ).
Il primo a subire i contraccolpi di una mutazione accelerata è stato l'uomo stesso.
La Costituzione enumera, sotto forma di antitesi, i principali cambiamenti con le loro contropartite ( n. 4, par. 4 ):
1) Crescita prodigiosa delle ricchezze e dell'economia; ma anche carestia e miseria di una larga parte dell'umanità.
2) Senso acuto della libertà, dell'autonomia; ma presenza multiforme di schiavitù sociale e psichica ( dominazione, tirannia della pubblicità ).
3) Coscienza dell'interdipendenza di tutti, di solidarietà universale ( creazione dell'ONU ); ma lacerazioni sociali, razziali, politiche, ideologiche, minaccia di guerra totale.
4) Diffusione universale delle idee; ma le medesime parole contengono significati ben diversi a seconda delle ideologie che le manipolano ( libertà, lavoro, progresso ).
5) Organizzazione temporale progredita; ma slanciò spirituale in declino.
Di fronte a una mutazione così rapida, così profonda, così complessa che diventa l'uomo?
È diviso tra la speranza e l'angoscia.
Fa fatica a dissipare le ambiguità, a distinguere i valori permanenti.
Perché tanti sforzi terreni? perché la tecnica? perché il progresso? perché l'ascesa della razza umana verso la cultura, se tutto questo sforzo non sfocia in uno stato di cose in cui l'uomo e i valori umani sono salvi?
Questa evoluzione del mondo è una sfida da raccogliere ( n. 5 ).
La Chiesa, per prima, deve prendere coscienza della dimensione di questa evoluzione e del suo impatto con la collettività.
Essa deve essere più umana per essere più cristiana.
« Noi ci presentiamo come esperti in umanità », diceva Paolo VI alle Nazioni Unite.
L'uomo è dunque il terreno d'incontro degli uomini: delle politiche e delle religioni.
Perciò la Gaudium et spes, di proposito, prende l'avvio dalla condizione dell'uomo di oggi: è il dato di base del documento.
Se la Chiesa cerca di capire « il mondo nel quale viviamo, le sue attese e le sue aspirazioni », è al fine di poter rispondere « in modo adeguato a ogni generazione, alle domande eterne degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche » ( n. 4 ).
Tale fenomenologia non è quindi fine a se stessa: è in vista di un miglior servizio dell'uomo.
Se la Chiesa scruta i segni dei tempi è perché si interessa all'uomo più che l'uomo stesso; è perché essa esiste unicamente per la salvezza dell'uomo.
La sua fenomenologia è in vista di una antropologia, e la sua antropologia è ispirata da una teologia, cioè da una visione dell'uomo, in Gesù-Cristo, l'uomo nuovo.
La conclusione dell'analisi dei cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali, religiosi dell'umanità, si esprime alla fine del n. 9 e del n. 10 che servono di transizione a tutto il resto del documento: « In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo » ( n, 10 par. 1 ).
« Di fronte all'evoluzione attuale del mondo diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: cos'è l'uomo?
Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere?
Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte?
Che reca l'uomo alla società, e che cosa può attendersi da essa?
Cosa ci sarà dopo questa vita? ( n. 10 par. 1 ).
« Così nella luce di Cristo … il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca della soluzione ai principali problemi del nostro tempo » ( n. 10 par. 2 ).
Nel primo capitolo della prima parte, « la Chiesa e la vocazione umana », la costituzione Gaudium et spes si applica appunto a dimostrare che la rivelazione cristiana illumina il mistero dell'uomo.
All'inizio, la questione di fondo: « Ma che cos'è l'uomo? …
Spesso o si esalta fino a fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio o nell'angoscia.
Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e a esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, da una ragione alle sue miserie, e insieme aiuta a riconoscere giustamente la sua dignità e vocazione » ( n. 12 ).
La Gaudium et spes esprime così il paradosso « miseria-grandezza, elementi costitutivi dell'uomo ».
Come non evocare Pascal e la sua dialettica?
I numeri da 12 a 18 propongono poi le grandi linee dell'antropologia cristiana.
All'origine l'uomo creato a immagine di Dio ( n. 12 ) con l'affermazione storica del peccato ( n. 13 ).
Poi la struttura fondamentale dell'uomo, come esplicita espressione dell'immagine di Dio, fondamento della sua grandezza: la sua unità e la sua interiorità ( n. 14 ), la sua intelligenza ( n. 15 ); la sua coscienza morale ( n. 16 ), la sua libertà ( n. 17 ).
Il n. 18 prolunga la riflessione su un problema particolarmente drammatico: quello della morte.
« In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo ».
La morte infatti è l'angoscia iscritta all'orizzonte della coscienza contemporanea:
per ragioni stanche ( campi di sterminio, guerre permanenti, minaccia atomica, morte per incidenti stradali e aerei );
per ragioni culturali ( tema della morte che invade i romanzi, il teatro, la televisione e la stampa );
per ragioni filosofiche (definizione dell'essere umano come l'essere-per-la-morte ); e
per ragioni eterne cioè l'angoscia umana, animale, spirituale davanti alla morte, l'uomo, grandezza e miseria insieme, si dibatte davanti alla morte come davanti a un enigma insolubile e insopportabile.
« L'istinto del cuore umano lo fa giudicare rettamente quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.
Il germe d'eternità che porta in sé … insorge contro la morte » ( n. 18 ).
Così l'uomo si sente fatto sia per morire sia per non morire, abitato dall'istinto e dal volere di non morire, in seno a un'esistenza votata alla disgregazione.
A questo abisso solo un altro abisso può rispondere: quello del mistero cristiano.
Dio non ha fatto l'uomo per la morte, ma per la risurrezione: ciò che è affermare, ma anche superare la morte.
La morte è un passaggio che conduce alla « comunione eterna » con Dio.
Cristo, per primo, ha attraversato la morte per la liberazione.
La morte cristiana è l'atto nel quale l'esistenza umana finisce di maturare e assume il suo senso definitivo.
La morte è la possibilità di una « comunione in Cristo » con tutti coloro che sono morti con lui e in lui.
Così là dove l'uomo non può più dire niente, la fede in colui che è risurrezione e vita, ci insegna che l'uomo è condotto oltre la morte, verso la vita eterna ( n. 18 ).
Dopo aver parlato di quelli che rifiutano questo rapporto intimo e vitale dell'uomo con Dio ( l'ateismo ), la Gaudium et spes, in un paragrafo più elaborato ( n. 22 ), presenta Cristo come l'uomo nuovo, come la vera risposta al mistero dell'uomo.
La frase essenziale è la prima: « In realtà il mistero dell'uomo non si illumina veramente, che nel mistero del Verbo Incarnato ».
Testo molte volte citato e commentato da Giovanni Paolo II.
Cristo appare come la chiave dell'enigma umano.
È il ripensamento di tutta l'antropologia, colui che he scopre il vero senso, perché è l'uomo nuovo, il nuovo Adamo della nuova creazione e del nuovo statuto dell'umanità.
« Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione » ( n. 22 par. 1 ).
In verità il mistero di Cristo e il mistero dell'uomo non formano che un solo mistero.
Ma se l'uomo, mediante Cristo, deve essere svelato a se stesso, lo è per mezzo della rivelazione di quanto c'è di più intimo e di più profondo nel mistero di Cristo, cioè il mistero della filiazione.
Il segreto dell'uomo, che lo sappia o no, è che l'amore di Dio lo avvolge, è che nell'uomo c'è più che l'uomo, è che l'uomo è amato e salvato dal Padre in Cristo e nello Spirito.
Soltanto quando l'uomo ha scoperto questo mistero può essere pienamente rivelato a se stesso, nella sua grandezza: oggetto della compiacenza di Dio, figlio di Dio destinato ad accogliere l'amore del Padre che si rivela in Gesù Cristo.
È in questa partecipazione al mistero della vita trinitaria che gli uomini « si realizzano » e si scoprono figli nel Figlio.
La chiave del mistero dell'uomo è che Dio, in Gesù Cristo, vuole generare nuovamente in ogni uomo un figlio, e inspirargli, somare in lui il suo Spirito d'amore, che è uno spirito filiale.
L'incarnazione del Figlio mette in luce l'eminente dignità dell'uomo, facendo di Cristo uno di noi, mentre la Redenzione ci rivela il valore di ogni uomo.
Quindi la Gaudium et spes afferma che la rivelazione vera dell'uomo, è la rivelazione del vero Dio, i due misteri essendo congiunti in Gesù Cristo, Dio fatto uomo.
Nei paragrafi seguenti Cristo è presentato:
a) come l'immagine creatrice e ri-creatrice dell'uomo, come colui che ha restaurato nell'uomo la somiglianzà con Dio, alterata dal peccato ( n. 22 par. 1);
b) come il redentore che « col suo sangue liberamente versato, ci ha meritato la vita », cosicché ciascuno può dire: « Mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me » ( par. 3);
c) come la salvezza dei cristiani, interiormente rinnovati e resi conformi a Cristo col dono dello Spirito ( par. 4 );
d) come la salvezza di tutti gli uomini di buona volontà, associati anch'essi al mistero pasquale ( par. 5 ).
Il capitolo I della Gaudium et spes termina così: « Tale e così grande è il mistero dell'uomo, che chiaro si rivela agli occhi dei credenti, attraverso la rivelazione cristiana.
Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte che al di fuori del suo Vangelo ci opprime ».
Cristo, il Figlio « ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli nel Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre » ( n. 22, par. 6 ).
È il mistero di Cristo che infine rivela l'uomo all'uomo.
La sua « verità » è che è figlio e chiamato a entrare nella vita trinitaria.
La rivelazione, lungi dall'essere estranea all'uomo, è così intimamente legata al suo mistero che l'uomo, senza di lei, non potrebbe identificare se stesso.
Di conseguenza se la rivelazione apparisse all'uomo come una realtà storica di cui si possono distinguere le tracce, i segni, l'uomo dovrebbe interrogare la storia e soprattutto interrogarsi per scoprire se Dio l'ha interpellato.
Si trovano numerosi echi di questi testi negli scritti di Paolo VI, come Populorum progressio e Evangelii nuntiandi.
Per abbreviare, tuttavia, andremo direttamente alle dichiarazioni più recenti di Giovanni Paolo II, il cui pontificato si pone, più di ogni altro, sotto il segno dell'uomo in Gesù Cristo.
La sollecitudine per l'uomo si esprime già nel discorso pronunciato a Puebla, il 28 gennaio 1979, davanti alla Conferenza episcopale dell'America latina.38
Una delle più clamorose debolezze della civiltà attuale, dichiara il papa, risiede nella sua visione incompleta dell'uomo.
All'epoca dell'umanesimo e dell'antropocentrismo, si parla e si scrive molto dell'uomo.
Eppure, paradossalmente, quest'epoca è nello stesso tempo caratterizzata da un'angoscia profonda dell'uomo sulla sua identità e sul suo destino.
La nostra epoca di progresso è anche quella della regressione dell'uomo, quella in cui i valori umani sono calpestati, come mai prima di oggi.
Come spiegare un simile paradosso?
È il paradossò dell'umanesimo ateo, il dramma dell'uomo, ripiegato su se stesso, senza apertura sull'Infinito, senza ricerca dell'Assoluto e privato così del meglio di se stesso.
La Gaudium et spes tocca il cuore del problema quando afferma che il mistero dell'uomo non trova luce che nel mistero di Cristo ( n. 22 ).
L'affermazione centrale dell'antropologia cristiana è che l'uomo, immagine di Dio, non potrebbe ridursi a una particella del cosmo, ne a un elemento anonimo della società.
L'uomo che può essere oggetto di misure quantitative e numeriche è al tempo stesso unico, ineffabile, eternamente eletto e chiamato per nome da Dio.
L'uomo non è asservito ai processi economici e politici: ma questi sono ordinati e sottomessi a lui.
La Redemptor hominis,39 che è un testo programmatico, propone Cristo, fin dalle prime parole, come « il centro del cosmo e della storia » ( n. 1 ), come il redentore dell'uomo e del mondo ( n. 7 ).
Questa enciclica è come lo statuto della dignità dell'uomo nuovo, creato mediante il sangue di Cristo.
Con l'incarnazione Dio è entrato nella storia dell'umanità: « Come uomo, è divenuto suo soggetto, uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico!
Attraverso l'incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all'uomo sin dal suo primo inizio e l'ha data in maniera definitiva » ( n. 1 ).
Con la redenzione, il vincolo di amicizia con Dio, infranto nell'uomo-Adamo, è stato riallacciato nell'Uomo-Cristo ( n. 8 ).
Più di ogni altro, l'uomo del progresso ha bisogno di essere salvato.
« Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, è nello stesso tempo il mondo che geme e soffre e che attende anche lui, la sua liberazione » ( n. 8 ).
Il redentore del mondo è Colui che è penetrato in modo unico e irrepetibile « nel mistero dell'uomo, e che è entrato nel suo cuore » ( n. 8 ).
Il papa cita allora la Gaudium et spes: « In realtà soltanto nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo » ( n. 22 ).
Solo Cristo, specialmente mediante la sua morte in croce, rivela all'uomo l'infinito amore del Padre per lui ( n. 9).
« L'uomo che vuole comprendere se stesso fino in fondo … deve, con la sua inquietudine e incertezza, e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e con la sua morte, avvicinarsi a Cristo.
Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve appropriarsi ed assimilarsi tutta la realtà dell'incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso » ( n. 10 ).
Questa coscienza del valore e della dignità dell'uomo è quindi « legata al cristianesimo » ( n. 10 ).
La Chiesa che non cessa di contemplare l'insieme del mistero di Cristo « sa, con tutta la certezza della fede, che la redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la sua dignità e il senso della sua esistenza nel mondo » ( n. 10 ).
Entrando nell'intimità del mistero della redenzione, si raggiunge la zona più profonda dell'uomo, cioè quella del suo cuore, della sua coscienza, della sua vita.
La terza parte dell'enciclica riguarda non soltanto l'uomo, la condizione umana in generale, ma in modo specifico l'uomo contemporaneo.
Per Giovanni Paolo II non c'è dubbio che Cristo sia la via dell'umanità della fine del secondo millenio, perché « in lui soltanto si trova la salvezza » ( n. 7 ).
L'unico obiettivo della Chiesa di oggi è che « ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'incarnazione e della redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia » ( n. 13 ).
La sollecitudine della Chiesa è di condurre l'uomo a Cristo, l'unico Pastore degli uomini.
Perciò l'enciclica da una parte può affermare che Cristo è « la via principale della Chiesa », che è « la via di ogni uomo » ( n. 13 ) e d'altra parte che « l'uomo è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della redenzione » ( n. 14 ).
Il Figlio, infatti, mediante la sua incarnazione e la sua redenzione, è l'unica Via dell'uomo e della Chiesa verso il Padre, così come l'uomo è la strada dove passa necessariamente la missione della Chiesa, di riunire e di salvare tutti gli uomini ( n. 14 ).
L'uomo contemporaneo ha bisogno di Cristo e del suo Vangelo perché, a dispetto dei suoi progressi tecnici, non è evidente che sia diventato più uomo.
Vive nella paura: teme che i frutti della sua tecnica diventino strumento della sua distruzione.
Il progresso, chiede il papa, ha reso l'uomo più « umano », più maturo spiritualmente, più responsabile, più accessibile agli altri, specialmente i più sprovveduti, i più deboli?
Le conquiste dell'uomo vanno di pari passo col progresso spirituale e morale?
L'umanità progredisce nell'egoismo o nell'amore?
La nozione di progresso è molto ambigua.
La Chiesa si pone, e deve porsi questa domanda per essere fedele al Vangelo, perché la sua missione è di prendere in carico l'uomo ( nn. 15-16 ).
Stando alle apparenze, il mondo del progresso tecnico sembra ancora molto lontano dalle esigenze dell'ordine morale, della giustizia e dell'amore, « della priorità dell'etica sulla tecnica, del primato della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia ».
Perché l'essenziale è di « essere più » e non di « avere più ».
Il mondo contemporaneo non assomiglia forse a una gigantesca illustrazione della parabola del povero Lazzaro e del ricco che fa baldoria: contrasto scandaloso delle società opulente di fronte alle società affamate?
La categoria del « progresso economico » non deve diventare l'unico criterio del « progresso umano ».
Un raddrizzamento della situazione si impone, ma è possibile soltanto sulla base della responsabilità morale dell'uomo, del rispetto della « dignità e della libertà di ciascuno » ( n. 16 )
La Dichiarazione dei diritti dell'uomo non deve restare « lettera morta », ma diventare realizzazione nello « spirito » ( n. 17 ).
Questo sguardo sulla situazione dell'uomo nel mondo contemporaneo mostra in modo evidente che i materialismi multiformi della nostra epoca non fanno che scavare « l'insaziabilità del cuore umano » che, in fondo a sé, non cessa di ripetere con la Chiesa: « Vieni, Santo Spirito! …
Guarisci ciò che è ferito … Riscalda ciò che è freddo! Raddrizza ciò che è deviato » ( n. 18 ).
Indice |
38 | Discorso di Giovanni Paolo II a Puebia, Messico, in L'Osservatore Romano (29-30 gennaio 1979), p. 8. |
39 | GIOVANNI PAOLO II,
Redemptor hominis (Vaticano, 4 marzo 1979). Vedi anche: COMMISION THÉOLOGIQUE INTERNATIONALE, « Quelques questions touchant la christologie », Esprit et Vie 99 (13 nov. 1980) p. 612; B. MONDIN, « Una nuova antropologia cristiana », in Umanesimo cristiano, Brescia, 1980, pp. 219-239. |