Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 69, a. 4; In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 4
Pare che al dono della sapienza non corrisponda la settima beatitudine.
1. La settima beatitudine è questa: « Beati i gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » [ Mt 5,9 ].
Ora, queste due cose appartengono immediatamente alla carità.
Infatti a proposito della pace si legge nei Salmi [ Sal 119,165 ]: « Grande pace per chi ama la tua legge ».
Inoltre, come dice l'Apostolo [ Rm 5,5 ], « l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato »; il quale è uno « Spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre » [ Rm 8,15 ].
Quindi la settima beatitudine va attribuita più alla carità che alla sapienza.
2. Una cosa qualsiasi viene rivelata più dall'effetto prossimo che da un effetto remoto.
Ora, l'effetto prossimo della sapienza è la carità, stando alle parole della Scrittura [ Sap 7,27 ]: « Attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti »; invece la pace e l'adozione sono effetti remoti, derivando essi dalla carità, come si è visto [ q. 19, a. 2, ad 3; q. 29, a. 3 ].
Perciò la beatitudine che corrisponde alla sapienza dovrebbe partire dall'amore di carità e non dalla pace.
3. S. Giacomo [ Gc 3,17 ] afferma: « La sapienza che viene dall'alto è anzitutto pura; poi pacifica, modesta, arrendevole, condiscendente ai buoni, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia ».
Quindi la beatitudine corrispondente alla sapienza non va determinata partendo dalla pace a preferenza degli altri effetti della sapienza celeste.
S. Agostino [ De serm. Dom. in monte 1,4.11 ] afferma che « la sapienza si addice ai pacifici, nei quali qualsiasi moto non è ribelle, ma sottomesso alla ragione ».
La settima beatitudine corrisponde bene al dono della sapienza, sia rispetto al merito, sia rispetto al premio.
Al merito infatti si riferiscono quelle parole: « Beati gli operatori di pace ».
Ora, sono chiamati operatori di pace coloro che attuano la pace, o in se stessi o negli altri.
E queste due cose avvengono per il fatto che gli esseri in cui si attua la pace vengono ricondotti al debito ordine: infatti la pace è « la tranquillità dell'ordine », come insegna S. Agostino [ De civ. Dei 19,13 ].
D'altra parte ordinare, come nota il Filosofo [ Met. 1,2 ], spetta alla sapienza.
Quindi l'essere operatori di pace va attribuito giustamente alla sapienza.
Al premio poi si riferiscono le parole: « Saranno chiamati figli di Dio ».
Ora, certuni sono chiamati figli di Dio in quanto partecipano la somiglianza del Figlio unigenito e naturale di Dio, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 8,29 ]: « Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo », il quale appunto è la sapienza [ increata e ] generata.
Quindi ricevendo il dono della sapienza l'uomo raggiunge la filiazione divina.
1. Spetta alla carità custodire la pace, ma attuarla spetta alla sapienza ordinatrice.
- E così anche lo Spirito Santo in tanto è detto « Spirito di figli adottivi », in quanto ci conferisce la somiglianza del Figlio naturale, che è la sapienza increata.
2. Quel testo si riferisce alla Sapienza increata, la quale prima si unisce a noi col dono della carità e quindi ci rivela i misteri, la conoscenza dei quali costituisce la sapienza infusa.
Perciò la sapienza infusa, che è un dono, non è causa, ma effetto della carità.
3. Come già si è detto [ a. 3 ], al dono della sapienza non spetta soltanto contemplare le realtà divine, ma anche guidare gli atti umani.
E in tale guida la prima cosa richiesta è l'eliminazione del male che si oppone alla sapienza: per cui si dice anche che il timore è « il principio della sapienza » [ Sal 111,10 ], proprio perché fa allontanare dal male.
Invece l'ultima cosa, richiesta come fine, è che tutto sia ricondotto al debito ordine: e ciò costituisce la pace.
Giustamente perciò S. Giacomo afferma che « la sapienza che viene dall'alto », e che è un dono dello Spirito Santo, « è anzitutto pura », nel senso che evita le sozzure del peccato, « poi pacifica », per indicare l'effetto finale della sapienza, che giustifica la beatitudine.
Invece le espressioni seguenti stanno a indicare per ordine i mezzi con cui la sapienza porta alla pace.
Infatti il primo dovere di un uomo che lascia la colpa è di contenersi, per quanto può, nei limiti prescritti [ modum tenere ]: ed ecco perché si parla di « modestia ».
Il secondo è di accettare gli ammonimenti degli altri nelle cose in cui non può fare da solo: di qui l'aggettivo « arrendevole ».
E queste due cose si riferiscono al conseguimento della pace in se stessi.
- Ma perché poi uno diventi operatore di pace anche nei riguardi degli altri si richiede: primo, che non ostacoli il bene altrui, da cui l'espressione: « condiscendente ai buoni ».
Secondo, che di fronte alle miserie del prossimo compatisca con l'affetto e soccorra con le opere, per cui si dice: « piena di misericordia e di buoni frutti ».
Terzo, si richiede che uno cerchi con carità di correggere i peccati, per cui si aggiunge: « senza parzialità, senza ipocrisia »: perché cioè non si cerchi di sfogare l'odio col pretesto della correzione.
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