Summa Teologica - III

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Articolo 1 - Se fosse conveniente che Cristo ascendesse al cielo

In 3 Sent., d. 22, q. 3, a. 1; Comp. Theol., c. 240; Expos. in Symb., a. 6

Pare che l'ascensione di Cristo non fosse conveniente.

Infatti:

1. Il Filosofo [ De caelo 2,12 ] dice che « gli esseri più perfetti possiedono il loro bene senza sottostare al moto ».

Ora, Cristo era perfettissimo, poiché secondo la sua natura divina egli è il sommo bene, e secondo la natura umana è al sommo della gloria.

Perciò egli possiede il proprio bene senza alcun moto.

Quindi non era conveniente che Cristo salisse al cielo.

2. Tutto ciò che è in moto si muove per un miglioramento.

Ora, non vi era nulla in cielo e in terra che fosse meglio di Cristo: infatti egli in cielo non acquistò nulla né quanto all'anima, né quanto al corpo.

Cristo quindi non sarebbe dovuto salire al cielo.

3. Il Figlio di Dio prese la natura umana per la nostra salvezza.

Ma per gli uomini sarebbe stata più salutare la sua presenza continua sulla terra, come lui stesso accennò ai discepoli [ Lc 17,22 ]: « Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'Uomo, ma non lo vedrete ».

Perciò non era conveniente che Cristo salisse al cielo.

4. Come insegna S. Gregorio [ Mor. 14,56 ], il corpo di Cristo non mutò in nulla dopo la risurrezione.

Ora, dopo di essa egli non salì immediatamente al cielo, come risulta dalle sue stesse parole [ Gv 20,17 ]: « Non sono ancora salito al Padre ».

Quindi egli non avrebbe dovuto farlo neppure dopo quaranta giorni.

In contrario:

Il Signore dichiara [ Gv 20,17 ]: « Ascendo al Padre mio e Padre vostro ».

Dimostrazione:

Deve esserci proporzione tra il luogo e chi vi risiede.

Ora, dopo la risurrezione Cristo iniziò una vita immortale e incorruttibile.

Essendo dunque il luogo in cui noi abitiamo quello della generazione e della corruzione, mentre quello dell'incorruttibilità è il cielo, era conveniente che Cristo dopo la risurrezione non restasse sulla terra, ma ascendesse al Cielo.

Analisi delle obiezioni:

1. L'essere perfettissimo, che possiede il proprio bene senza sottostare al moto, è Dio, il quale è del tutto immutabile, secondo le parole della Scrittura [ Ml 3,6 ]: « Io sono il Signore, non cambio ».

Qualsiasi creatura invece è in certo qual modo mutevole, come spiega S. Agostino [ De Gen. ad litt. 8,14.31 ].

Poiché dunque la natura assunta dal Figlio di Dio, come si è visto sopra [ q. 2, a. 7; q. 16, aa. 8,10; q. 20, a. 1 ], rimase una natura creata, non ci sono obiezioni ad attribuirle qualche mutamento.

2. L'ascensione al cielo non apportò a Cristo nulla di ciò che è essenziale alla gloria, sia nel corpo che nell'anima; tuttavia gli conferì un luogo più adatto per il coronamento della gloria.

Non che i corpi celesti abbiano conferito al suo corpo qualcosa nell'ordine della perfezione o della conservazione, ma solo una certa convenienza [ o connaturalità ], il che rientrava in qualche modo nella sua gloria.

E di tale convenienza egli ebbe una certa gioia: non perché cominciasse a goderne come di una cosa nuova quando ascese al cielo, ma perché ne godette in modo nuovo, cioè come di una cosa compiuta.

Per questo, commentando le parole del Salmo [ Sal 16,10 ]: « Dolcezza senza fine alla tua destra », la Glossa [ P. Lomb. ] spiega: « Dolcezza e gioia si riverseranno su di me quando sarò assiso alla tua destra, sottratto agli sguardi umani ».

3. Sebbene l'ascensione abbia sottratto ai fedeli la presenza corporea di Cristo, ad essi tuttavia non manca la presenza continua della sua divinità, da lui espressamente promessa [ Mt 28,20 ]: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo ».

Poiché, come spiega il Papa S. Leone Magno [ Serm. 2,3 ], « colui che è salito al cielo non abbandona quelli che ha adottato ».

Ma la stessa ascensione di Cristo al cielo, con cui egli ci tolse la sua presenza fisica, ci fu più utile di quanto lo sarebbe stata tale presenza.

Primo, per l'accrescimento della fede, che ha per oggetto le realtà invisibili.

Per cui il Signore stesso [ Gv 16,8 ] afferma che lo Spirito Santo, quando verrà, « convincerà il mondo quanto alla giustizia », cioè quella propria « di chi crede in lui », come spiega S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 95 ]: « Il confronto stesso tra fedeli e infedeli è un rimprovero per questi ultimi ».

Infatti il Signore aggiunse [ Gv 16,10 ]: « Perché vado dal Padre e non mi vedrete più ». « Beati infatti sono coloro che crederanno senza aver visto.

Perciò sarà la nostra giustizia a condannare il mondo: poiché crederete in me senza vedermi ».

Secondo, per sollevare la nostra speranza.

Da cui le sue parole [ Gv 14,3 ]: « Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io ».

Col portare infatti in cielo la natura umana che aveva assunto, Cristo ci ha dato la speranza di potervi giungere anche noi: poiché, come dice il Vangelo [ Mt 24,28 ], « dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile ».

E in Michea [ Mi 2,13 ] si legge: « Egli è salito aprendo la strada davanti a loro ».

Terzo, per sollevare l'affetto della nostra carità verso le realtà celesti.

Dice infatti l'Apostolo [ Col 3,1s ]: « Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra ».

E il Vangelo [ Mt 6,21 ] dichiara: « Dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore ».

Poiché dunque lo Spirito Santo è l'amore che ci rapisce verso le realtà celesti, il Signore [ Gv 16,7 ] disse ai suoi discepoli: « È bene per voi che io me ne vada.

Perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò ».

E S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 94 ] spiega: « Voi non potete accogliere lo Spirito Santo, fino a che vi attardate a conoscere Cristo secondo la carne.

Partendo invece Cristo corporalmente, vennero ad essi spiritualmente non solo lo Spirito Santo, ma anche il Padre e il Figlio ».

4. Sebbene a Cristo risorto alla vita immortale si addicesse [ subito ] la dimora celeste, tuttavia egli rimandò l'ascensione per comprovare la verità della sua risurrezione.

Si legge infatti nella Scrittura [ At 1,3 ] che « dopo la sua passione egli si mostrò vivo ai suoi discepoli con molte prove, per quaranta giorni ».

E la Glossa [ ord. ] spiega che « per quaranta giorni dimostrò di vivere poiché per quaranta ore era rimasto morto.

Oppure quei quaranta giorni stanno a indicare il tempo della vita presente, in cui Cristo vive nella Chiesa, in quanto indicano che l'uomo è composto dei quattro elementi e viene istruito contro le trasgressioni dei dieci comandamenti ».

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