Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri |
L'intera Chiesa è stata resa partecipe dell'unzione sacerdotale di Cristo nello Spirito Santo.
Nella Chiesa, infatti, « tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa ( cf 1 Pt 2,5.9 ) ».4
In Cristo, tutto il suo Corpo mistico è unito al Padre per lo Spirito Santo, in vista della salvezza di tutti gli uomini.
La Chiesa però non può condurre da sola tale missione: L'intera sua attività necessita intrinsecamente della comunione con Cristo, Capo del suo Corpo.
Essa, indissolubilmente unita al suo Signore, da Egli stesso ne riceve costantemente l'influsso di grazia e di verità, di guida e di sostegno, perché possa essere per tutti e per ciascuno « il segno e lo strumento dell'intima unione dell'uomo con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».5
Il sacerdozio ministeriale trova la sua ragione d'essere in questa prospettiva dell'unione vitale e operativa della Chiesa con Cristo.
In effetti, mediante tale ministero, il Signore continua a esercitare in mezzo al suo Popolo quella attività che soltanto a Lui appartiene in quanto Capo del suo Corpo.
Pertanto, il sacerdozio ministeriale rende tangibile l'azione propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo non si è allontanato dalla sua Chiesa, ma continua a vivificarla col suo perenne sacerdozio.
Per questo motivo, la Chiesa considera il sacerdozio ministeriale come un dono a Lei elargito nel ministero di alcuni suoi fedeli.
Tale dono, istituito da Cristo per continuare la sua propria missione di salvezza, fu conferito inizialmente agli Apostoli e continua nella Chiesa, attraverso i Vescovi loro successori.
Mediante l'ordinazione sacramentale, fatta per mezzo dell'imposizione delle mani e della preghiera consacratoria da parte del Vescovo, si determina nel presbitero « un legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo Sommo Sacerdote e Buon Pastore ».6
L'identità del sacerdote, quindi, deriva dalla partecipazione specifica al Sacerdozio di Cristo, per cui l'ordinato diventa, nella Chiesa e per la Chiesa, immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Sacerdote, « una ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore ».7
Attraverso la consacrazione, il sacerdote « riceve in dono un "potere spirituale" che è partecipazione all'autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la Chiesa ».8
Questa sacramentale identificazione con il Sommo ed Eterno Sacerdote inserisce specificamente il presbitero nel mistero trinitario e, attraverso il mistero di Cristo, nella comunione ministeriale della Chiesa per servire il Popolo di Dio.9
Se è vero che ogni cristiano, per mezzo del Battesimo, è in comunione con Dio Uno e Trino, è altrettanto vero che, in forza della consacrazione ricevuta col sacramento dell'Ordine, il sacerdote è posto in una particolare e specifica relazione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.
Infatti, « la nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre.
Al Figlio da lui mandato, Sacerdote Sommo e Buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo.
La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo.
Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita ».10
L'identità, il ministero e l'esistenza del presbitero sono, dunque, essenzialmente relazionate alle Tre Persone divine, in vista del servizio sacerdotale alla Chiesa.
Il sacerdote, « come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo come origine permanente e sempre nuova della salvezza »,11 si trova inserito nella dinamica trinitaria della salvezza con una particolare responsabilità.
La sua identità scaturisce dal ministerium verbi et sacramentorum, il quale è in relazione essenziale al mistero dell'amore salvifico del Padre ( cf Gv 17,24; 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1 ), all'essere sacerdotale di Cristo che sceglie e chiama personalmente il suo ministro a stare con Lui ( cf Mc 3,15 ), e al dono dello Spirito ( cf Gv 20,21 ), che comunica al sacerdote la forza necessaria per dar vita ad una moltitudine di figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e incamminati verso il Regno del Padre.
5. Intima relazione con la Trinità Da ciò si percepisce la caratteristica essenzialmente relazionale ( cf Gv 17,11.21 )12 dell'identità del sacerdote.
La grazia e il carattere indelebile conferiti con la sacramentale unzione dello Spirito Santo13 pongono il sacerdote in relazione personale con la Trinità, giacché costituiscono la sorgente dell'essere e dell'agire sacerdotale.
Tale relazione, pertanto, deve essere necessariamente vissuta dal sacerdote in maniera intima e personale, in dialogo di adorazione e di amore con le Tre Persone divine, consapevole che il dono ricevuto gli è stato dato per il servizio di tutti.
La dimensione cristologica, come quella trinitaria, scaturisce direttamente dal sacramento che configura ontologicamente a Cristo Sacerdote, Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo.14
Ai fedeli che, rimanendo innestati nel sacerdozio comune, sono eletti e costituiti nel sacerdozio ministeriale, è data una partecipazione indelebile allo stesso ed unico sacerdozio di Cristo, riguardo alla santificazione, all'insegnamento e alla guida di tutto il Popolo di Dio.
Così, se da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico sono necessariamente ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo, dall'altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro.15
In questo senso, l'identità del sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il Battesimo, partecipano, nel loro insieme, all'unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra.16
La specificità del sacerdozio ministeriale si situa di fronte al bisogno che tutti i fedeli hanno di aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall'esercizio del sacerdozio ministeriale.
In questa sua peculiare identità cristologica, il sacerdote deve aver coscienza che la sua vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e specifico e che questo lo impegna totalmente nell'attività pastorale e lo gratifica.17
Cristo associa gli Apostoli alla sua stessa missione.
« Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi » ( Gv 20,21 ).
Nella stessa sacra Ordinazione, è ontologicamente presente la dimensione missionaria.
Il sacerdote è scelto, consacrato ed inviato per rendere efficacemente attuale questa missione eterna di Cristo, di cui diventa autentico rappresentante e messaggero: « Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato » ( Lc 10,16 ).
Si può quindi dire che la configurazione a Cristo, tramite la consacrazione sacramentale, definisce il sacerdote in seno al Popolo di Dio, facendolo partecipare in modo suo proprio alla potestà santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo, Capo e Pastore della Chiesa.18
Agendo in persona Christi Capitis, il presbitero diventa il ministro delle azioni salvifiche essenziali, trasmette le verità necessarie alla salvezza e pasce il Popolo di Dio, conducendolo verso la santità.19
Nell'ordinazione presbiterale, il sacerdote ha ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che ha fatto di lui un uomo segnato dal carattere sacramentale per essere per sempre ministro di Cristo e della Chiesa.
Assicurato dalla promessa per cui il Consolatore rimarrà « con lui per sempre » ( Gv 14,16-17 ), il sacerdote sa che non perderà mai la presenza e il potere efficace dello Spirito Santo, per poter esercitare il suo ministero e vivere la carità pastorale come dono totale di sè per la salvezza dei propri fratelli.
È ancora lo Spirito Santo che, nell'Ordinazione, conferisce al sacerdote il compito profetico di annunciare e spiegare, con autorità, la Parola di Dio.
Inserito nella comunione della Chiesa con tutto l'ordine sacerdotale, il presbitero verrà guidato dallo Spirito di Verità, che il Padre ha mandato per mezzo di Cristo, e che gli insegna ogni cosa, ricordando tutto ciò che Gesù ha detto agli Apostoli.
Pertanto il presbitero, con l'aiuto dello Spirito Santo e con lo studio della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce della Tradizione e del Magistero,20 scopre la ricchezza della Parola da annunciare alla comunità ecclesiale a lui affidata.
Mediante il carattere sacramentale e identificando la sua intenzione con quella della Chiesa, il sacerdote è sempre in comunione con lo Spirito Santo nella celebrazione della liturgia, soprattutto dell'Eucaristia e degli altri sacramenti.
In ogni sacramento, infatti, è Cristo che agisce a favore della Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo invocato nella sua potenza efficace dal sacerdote celebrante in persona Christi.21
La celebrazione sacramentale, pertanto, trae la sua efficacia dalla parola di Cristo che l'ha istituita e dalla potenza dello Spirito che spesso la Chiesa invoca mediante l'epiclesi.
Questo è particolarmente evidente nella Preghiera eucaristica nella quale il sacerdote, invocando la potenza dello Spirito Santo sul pane e sul vino, pronunzia le parole di Gesù e attualizza il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo realmente presente.
È, infine, nella comunione dello Spirito Santo che il sacerdote trova la forza per guidare la comunità a lui affidata e per mantenerla nell'unità voluta dal Signore.22
La preghiera del sacerdote nello Spirito Santo può modellarsi sulla preghiera sacerdotale di Gesù Cristo ( cf Gv 17 ).
Egli, pertanto, deve pregare per l'unità dei fedeli affinché siano una cosa sola perché il mondo creda che il Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di tutti.
Cristo, origine permanente e sempre nuova della salvezza, è il mistero fontale da cui deriva il mistero della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa, chiamata dal suo Sposo ad essere segno e strumento di redenzione.
Per mezzo dell'opera affidata agli Apostoli e ai loro Successori, Cristo continua a dare vita alla sua Chiesa.
Attraverso il mistero di Cristo, il sacerdote, esercitando il suo molteplice ministero, è inserito anche nel mistero della Chiesa, la quale « prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo ».23
In tal modo, il sacerdote, mentre è nella Chiesa, si trova anche di fronte ad essa.24
Il sacramento dell'Ordine, infatti, fa partecipe il sacerdote non solo del mistero di Cristo Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in qualche modo, anche di Cristo « Servo e Sposo della Chiesa »25
Questa è il « Corpo » di Lui, che l'ha amata e l'ama al punto da dare se stesso per lei ( cf Ef 5,25 ); la rigenera e la purifica continuamente per mezzo della parola di Dio e dei sacramenti ( cf Ef 5,26 ); si adopera per renderla sempre più bella ( cf Ef 5,27 ) e, infine, la nutre e la tratta con cura ( cf Ef 5,29 ).
I presbiteri che collaboratori dell'Ordine Episcopale costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio26 e partecipano, in grado subordinato, dell'unico sacerdozio di Cristo, in qualche modo partecipano pure, a somiglianza del Vescovo, di quella dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa che è bene significata nel rito dell'ordinazione episcopale con la consegna dell'anello.27
I presbiteri, che « nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande »,28 dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone viventi del Cristo Sposo, rendere operante la multiforme donazione di Cristo alla sua Chiesa.
Per questa comunione con Cristo Sposo, anche il sacerdozio ministeriale è costituito come Cristo, con Cristo e in Cristo in quel mistero d'amore salvifico di cui il matrimonio tra cristiani è una partecipazione.
Chiamato con atto d'amore soprannaturale, assolutamente gratuito, il sacerdote deve amare la Chiesa come Cristo l'ha amata, consacrando ad essa tutte le sue energie e donandosi con carità pastorale fino a dare quotidianamente la sua stessa vita.
Il comando del Signore di andare a tutte le genti ( Mt 28,18-20 ) costituisce un'altra modalità dello stare del sacerdote di fronte alla Chiesa.29
Inviato missus dal Padre per mezzo di Cristo, il sacerdote appartiene « in modo immediato » alla Chiesa universale30 che ha la missione di annunziare la Buona Novella fino agli « estremi confini della terra » ( At 1,8 ).31
« Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione, li prepara ad una vastissima e universale missione di salvezza ».32
Per l'Ordine e il ministero ricevuto, infatti, tutti i sacerdoti sono associati al Corpo Episcopale e, in comunione gerarchica con esso, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa.33
L'appartenenza, quindi, ad una Chiesa particolare mediante l'incardinazione34 non deve rinchiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio anche di altre Chiese, perché ogni Chiesa è la realizzazione particolare dell'unica Chiesa di Gesù Cristo, tanto che la Chiesa universale vive e compie la sua missione nelle e dalle Chiese particolari in comunione effettiva con essa.
Tutti i sacerdoti, quindi, debbono avere cuore e mentalità missionaria, essendo aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo.35
È importante che il presbitero abbia piena coscienza e viva profondamente questa realtà missionaria del suo sacerdozio, in piena sintonia con la Chiesa che, oggi come ieri, sente il bisogno di inviare i suoi ministri nei luoghi dove più urgente è la loro missione e di impegnarsi a realizzare una più equa distribuzione del clero,36
Questa esigenza della vita della Chiesa nel mondo contemporaneo, dev'essere sentita e vissuta da ogni sacerdote innanzitutto ed essenzialmente come il dono da vivere dentro la sua istituzione e al suo servizio.
Non sono, pertanto, ammissibili tutte quelle opinioni che, in nome di un malinteso rispetto delle culture particolari, tendono a snaturare l'azione missionaria della Chiesa, chiamata a compiere lo stesso ministero universale di salvezza, che trascende e deve vivificare tutte le culture.37
Bisogna anche dire che la dilatazione universale intrinseca al ministero sacerdotale, e pertanto sempre irrinunciabile, trova una corrispondenza nelle caratteristiche socioculturali del mondo contemporaneo nel quale si sente l'esigenza di eliminare le barriere che dividono i popoli e le nazioni e che, soprattutto attraverso la comunicazione delle culture, vuole affratellare le genti, nonostante le distanze geografiche che le dividono.
Mai come oggi, perciò, il clero deve sentirsi apostolicamente impegnato a unire tutti gli uomini in Cristo, nella sua Chiesa.
Un'ulteriore manifestazione del porsi del sacerdote di fronte alla Chiesa è il suo essere guida che conduce alla santificazione dei fedeli affidati al suo ministero, che è essenzialmente pastorale.
Questa realtà, da vivere con umiltà e coerenza, può essere soggetta a due opposte tentazioni.
La prima è quella di esercitare il proprio ministero spadroneggiando sul gregge ( cf Lc 22,24-27; 1 Pt 5,14 ), mentre la seconda è quella di vanificare, in una non corretta accezione di comunità, la propria configurazione a Cristo Capo e Pastore.
La prima tentazione è stata forte anche per gli stessi discepoli ed ha ricevuto da Gesù una puntuale e ripetuta correzione: ogni autorità va esercitata in spirito di servizio, come amoris officium38 e dedizione disinteressata per il bene del gregge ( cf Gv 13,14; Gv 10,11 ).
Il sacerdote dovrà sempre ricordare che il Signore e Maestro « non è venuto per essere servito ma per servire » ( Mc 10,45 ); che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli ( cf Gv 13,5 ) prima di morire in Croce e prima di mandarli in tutto il mondo ( cf Gv 20,21 ).
I sacerdoti daranno autentica testimonianza al Signore Risorto, al quale è stato dato « ogni potere in cielo e sulla terra » ( cf Mt 28,18 ), se eserciteranno il proprio potere spendendolo nell'umile quanto autorevole servizio al proprio gregge39 e nel rispetto dei compiti che Cristo e la Chiesa affidano ai fedeli laici40 e ai fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici.41
Spesso succede che, per evitare questa prima deviazione, si cada nella seconda, tendente ad eliminare ogni differenza di ruolo fra i membri del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, negando in pratica la dottrina certa della Chiesa circa la distinzione fra il sacerdozio comune e quello ministeriale.42
Tra le diverse insidie che oggi si notano, si trova il cosiddetto « democraticismo ».
Giova ricordare a questo proposito che la Chiesa riconosce tutti quei meriti e valori che la cultura democratica ha portato con sé nella società civile.
D'altra parte, la Chiesa si è sempre battuta con tutti i mezzi a sua disposizione per il riconoscimento dell'uguale dignità di tutti gli uomini.
Forte di questa tradizione ecclesiale, il Concilio Vaticano II si è espresso apertamente circa la comune dignità di tutti i battezzati nella Chiesa.43
Tuttavia è anche necessario affermare che non sono trasferibili automaticamente alla Chiesa stessa la mentalità e la prassi esistenti in alcune correnti culturali sociopolitiche del nostro tempo.
La Chiesa, infatti, deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio.
Essa contempla se stessa come dono della benevolenza di un Padre, che l'ha liberata mediante l'umiliazione del suo Figlio sulla croce.
La Chiesa, pertanto, vuole essere nello Spirito Santo totalmente conforme e fedele alla volontà libera e liberante del suo Signore Gesù Cristo.
Questo mistero di salvezza fa sì che la Chiesa sia, per sua propria natura, una realtà diversa dalle semplici società umane.
Costituisce perciò una tentazione gravissima il cosiddetto « democraticismo », giacché esso porta a non riconoscere l'autorità e la grazia capitale di Cristo e a snaturare la Chiesa, quasi che questa altro non fosse se non una società umana.
Una tale concezione ne intacca la stessa costituzione gerarchica, come è stata voluta dal suo Divino Fondatore, come il Magistero ha sempre chiaramente insegnato e come la Chiesa stessa ha ininterrottamente vissuto.
La partecipazione nella Chiesa è basata sul mistero della comunione che, di natura sua, contempla in se stessa la presenza e l'azione della Gerarchia ecclesiastica.
Di conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale, e che tende sia a confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici, sia a non distinguere l'autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come collaboratori dei Vescovi, sia a negare la specificità del ministero petrino nel Collegio Episcopale.
Bisogna ricordare a questo proposito che il presbiterio e il Consiglio Presbiterale non sono espressioni del diritto di associazione dei chierici, e tanto meno possono essere intesi secondo visioni di stampo sindacalistico che comportano rivendicazioni e interessi di parte, alieni dalla comunione ecclesiale.44
La distinzione tra il sacerdozio comune e quello ministeriale, lungi dal comportare separazione o divisione tra i membri della comunità cristiana, armonizza e unifica la vita della Chiesa.
Questa, infatti, in quanto Corpo di Cristo, è comunione organica tra tutte le membra, in cui ciascuno serve alla vita dell'insieme se vive pienamente il proprio distinto ruolo e la propria specifica vocazione ( 1 Cor 12,12ss ).45
A nessuno, pertanto, è lecito cambiare ciò che Cristo ha voluto per la sua Chiesa.
Essa è indissolubilmente legata al suo Fondatore e Capo che è l'unico a donarle, tramite la potenza dello Spirito Santo, ministri al servizio dei suoi fedeli.
Al Cristo che chiama, consacra ed invia, tramite i legittimi Pastori, non può sostituirsi alcuna comunità che, pur in situazione di particolare necessità, volesse darsi il proprio sacerdote in modo difforme dalle disposizioni della Chiesa.46
La risposta per risolvere i casi di necessità è la preghiera di Gesù: « pregate il padrone della messe che mandi operai alla sua messe » ( Mt 9,38 ).
Se a questa preghiera fatta con fede si unirà l'intensa vita di carità della comunità, allora saremo sicuri che il Signore non mancherà di dare pastori secondo il suo cuore ( cf Ger 3,15 ).47
Un modo per non cadere nella tentazione « democraticistica » è quello di evitare la cosiddetta « clericalizzazione » del laicato48 che tende a comprimere il sacerdozio ministeriale del presbitero al quale, solo, dopo il Vescovo, in virtù del ministero sacerdotale ricevuto con l'ordinazione, si può attribuire in modo proprio e univoco il termine di « pastore ».
La qualifica di « pastorale », infatti, si riferisce sia alla potestas docendi et sanctificandi, sia alla potestas regendi.49
Del resto, va ricordato che tali tendenze non favoriscono la vera promozione del laicato giacché esse portano spesso a dimenticare l'autentica vocazione e missione ecclesiale dei laici nel mondo.
Alla luce di quanto già detto sulla identità, la comunione del sacerdote si realizza innanzitutto con il Padre, origine ultima di ogni potestà; con il Figlio, alla cui missione redentrice partecipa; e con lo Spirito Santo, che gli dona la forza per vivere e realizzare quella carità pastorale che lo qualifica sacerdotalmente.
Infatti, « non si può definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale se non in questa molteplice e ricca trama di relazioni che sgorgano dalla SS. Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa come segno, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».50
Da questa fondamentale unione-comunione con Cristo e con la Trinità deriva, per il presbitero, la sua comunione-relazione con la Chiesa nei suoi aspetti di mistero e di comunità ecclesiale.51
Infatti è all'interno del mistero della Chiesa, come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria, che si rivela ogni identità cristiana e, quindi, anche la specifica e personale identità del presbitero e del suo ministero.
Concretamente, la comunione ecclesiale del presbitero si realizza in diversi modi.
Con l'ordinazione sacramentale, infatti, egli entra in speciali legami con il Papa, con il Corpo episcopale, con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri, con i fedeli laici.
La comunione come caratteristica del sacerdozio si fonda sull'unicità del Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, che è Cristo.52
In tale comunione ministeriale prendono forma anche alcuni precisi vincoli in relazione anzitutto con il Papa, con il Collegio episcopale e con il proprio Vescovo.
« Non si dà ministero sacerdotale se non nella comunione con il Sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi "il filiale rispetto e l'obbedienza" promessi nel rito dell'ordinazione ».53
Si tratta, dunque, di una comunione gerarchica, cioè di una comunione in quella gerarchia così come questa è strutturata al suo interno.
In virtù della partecipazione in grado subordinato ai Vescovi nell'unico sacerdozio ministeriale, tale comunione implica anche il vincolo spirituale ed organico-strutturale dei presbiteri con tutto l'ordine dei Vescovi, con il proprio Vescovo,54 e col Romano Pontefice, in quanto Pastore della Chiesa universale55 e di ciascuna Chiesa particolare.
Ciò viene rafforzato dal fatto che tutto l'ordine dei Vescovi nel suo insieme e ogni singolo Vescovo debbono essere nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio.56
Tale Collegio, infatti, è costituito solo dai Vescovi consacrati che sono nella comunione gerarchica col Capo e con i membri di esso.
La comunione gerarchica si trova espressa significativamente nella Prece eucaristica, quando il sacerdote, nel pregare per il Papa, per il Collegio episcopale e per il proprio Vescovo, non esprime soltanto un sentimento di devozione, ma testimonia l'autenticità della sua celebrazione.57
La stessa concelebrazione eucaristica, nelle circostanze e condizioni previste,58 soprattutto quando è presieduta dal Vescovo e con la partecipazione dei fedeli, bene manifesta l'unità del sacerdozio di Cristo nella pluralità dei suoi ministri, nonché l'unità del sacrificio e del Popolo di Dio.59
Essa, inoltre, concorre a consolidare la fraternità ministeriale esistente tra i presbiteri.60
Ogni presbitero abbia un profondo, umile e filiale legame di carità con la persona del Santo Padre ed aderisca al suo ministero petrino di magistero, di santificazione e di governo, con docilità esemplare.61
Nella fedeltà poi e nel servizio all'autorità del proprio Vescovo, egli realizzerà la comunione richiesta per l'esercizio del suo ministero sacerdotale.
Per i pastori più esperti è facile constatare la necessità di evitare ogni forma di soggettivismo nell'esercizio del ministero e di aderire corresponsabilmente ai programmi pastorali.
Tale adesione, oltre ad essere espressione di maturità, contribuisce ad edificare quell'unità nella comunione che è indispensabile all'opera di evangelizzazione.62
Nel pieno rispetto della subordinazione gerarchica, il presbitero si farà promotore di un rapporto schietto con il proprio Vescovo, connotato da sincera fiducia, da cordiale amicizia, da vero sforzo di consonanza e convergenza ideale e programmatica, che nulla toglie all'intelligente capacità di iniziativa personale e all'intraprendenza pastorale.63
In forza del sacramento dell'Ordine « ciascun sacerdote è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità ».64
Egli, infatti, è inserito nell'Ordo Presbyterorum costituendo quell'unità che può definirsi una vera famiglia nella quale i legami non vengono dalla carne o dal sangue ma dalla grazia dell'Ordine.65
L'appartenenza ad un concreto presbiterio66 avviene sempre nell'ambito di una Chiesa particolare, di un Ordinariato o di una Prelatura personale.
A differenza, infatti, del Collegio Episcopale, sembra che non ci siano le basi teologiche per affermare l'esistenza di un presbiterio universale.
Fraternità sacerdotale e appartenenza al presbiterio sono, pertanto, elementi caratterizzanti il sacerdote.
Particolarmente significativo, in merito, è, nell'ordinazione presbiterale, il rito dell'imposizione delle mani da parte del Vescovo, al quale prendono parte tutti i presbiteri presenti, a indicare sia la partecipazione allo stesso grado del ministero, sia che il sacerdote non può agire da solo, ma sempre all'interno del presbiterio, divenendo confratello di tutti coloro che lo costituiscono.67
L'incardinazione in una determinata Chiesa particolare68 costituisce un autentico vincolo giuridico69 che ha anche valore spirituale, giacché da essa scaturisce « il rapporto con il Vescovo nell'unico presbiterio, la condivisione della sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle con crete condizioni storiche e ambientali ».70
In questa prospettiva, il legame con la Chiesa particolare è fonte di significati anche per l'azione pastorale.
Non va dimenticato, a tale proposito, che i sacerdoti secolari non incardinati nella Diocesi e i sacerdoti membri di un Istituto religioso o di una Società di vita apostolica, i quali dimorano nella Diocesi ed esercitano, per il suo bene, qualche ufficio, sebbene siano sottoposti ai loro legittimi Ordinari, appartengono a pieno o a diverso titolo al presbiterio di tale Diocesi71 dove « hanno voce sia attiva che passiva per costituire il consiglio presbiterale ».72
I sacerdoti religiosi, in particolare, in unità di forze, condividono la sollecitudine pastorale offrendo il contributo di specifici carismi e « stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente la sua apertura universale ».73
I presbiteri, poi, incardinati in una Diocesi, ma per il servizio di qualche movimento ecclesiale approvato dalla competente Autorità ecclesiastica,74 siano consapevoli di essere membri del presbiterio della Diocesi in cui svolgono il loro ministero e di dover sinceramente collaborare con esso.
Il Vescovo di incardinazione, a sua volta, rispetti lo stile di vita richiesto dall'appartenenza al movimento e sia pronto, a norma del diritto, a permettere che il presbitero possa prestare il suo servizio in altre Chiese, se questo fa parte del carisma del movimento stesso.75
Il presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi specifici di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutato a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana e che oggi sono particolarmente sentiti.
Egli, pertanto, farà ogni sforzo per evitare di vivere il proprio sacerdozio in modo isolato e soggettivistico, e cercherà di favorire la comunione fraterna dando e ricevendo da sacerdote a sacerdote il calore dell'amicizia, dell'assistenza affettuosa, dell'accoglienza, della correzione fraterna, ben consapevole che la grazia dell'Ordine « assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali … e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche quelle materiali ».76
Tutto questo è bene espresso nella liturgia della Messa In Cena Domini del Giovedì Santo la quale mostra come dalla comunione eucaristica nata nell'Ultima Cena i sacerdoti ricevono la capacità di amarsi gli uni gli altri, come il Maestro li ama.77
Il profondo ed ecclesiale senso del presbiterio, non solo non impedisce ma agevola le responsabilità personali di ogni presbitero nell'espletamento del ministero particolare affidatogli dal Vescovo.78
La capacità di coltivare e vivere mature e profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di serenità e di gioia nell'esercizio del ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà e aiuto prezioso per l'incremento della carità pastorale, che il presbitero deve esercitare in modo particolare proprio verso quei confratelli in difficoltà che hanno bisogno di comprensione, aiuto e sostegno.79
Una manifestazione di questa comunione è anche la vita comune da sempre favorita dalla Chiesa,80 di recente caldeggiata dagli stessi documenti del Concilio Vaticano II81 e del Magistero successivo,82 ed applicata positivamente in non poche diocesi.
Tra le diverse forme di essa ( casa comune, comunità di mensa, ecc. ) si deve ritenere come sovraeminente il partecipare comunitariamente alla preghiera liturgica.83
Le diverse modalità devono essere favorite secondo le possibilità e le convenienze pratiche, senza necessariamente ricalcare lodevoli modelli propri della vita religiosa.
In modo particolare sono da lodare quelle associazioni che favoriscono la fraternità sacerdotale, la santità nell'esercizio del ministero, la comunione col Vescovo e con tutta la Chiesa.84
Si auspica che i parroci siano disponibili a favorire la vita comune nella casa parrocchiale con i loro vicari,85 stimandoli effettivamente come loro cooperatori e partecipi della sollecitudine pastorale; da parte loro i vicari, per costruire la comunione sacerdotale, debbono riconoscere e rispettare l'autorità del parroco.86
Uomo di comunione, il sacerdote non potrà esprimere il suo amore per il Signore e per la Chiesa senza tradurlo in amore fattivo e incondizionato per il popolo cristiano, oggetto della sua cura pastorale.87
Come Cristo, egli deve « farsi a quasi sua trasparenza in mezzo al gregge » che gli è affidato,88 ponendosi in relazione positiva e promovente con i fedeli laici.
Riconoscendone la dignità di figli di Dio, ne promuove il ruolo proprio nella Chiesa, e al loro servizio mette tutto il suo ministero sacerdotale e la sua carità pastorale.89
Nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega ai fedeli laici e ai religiosi, il sacerdote compirà ogni sforzo per « suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa ».90
Più concretamente, il parroco, ricercando sempre il bene comune nella Chiesa, favorirà le associazioni di fedeli e i movimenti che si propongono finalità religiose,91 accogliendole tutte ed aiutandole a trovare tra di loro unità di intenti, nella preghiera e nell'azione apostolica.
In quanto riunisce la famiglia di Dio e realizza la Chiesa comunione, il presbitero diventa il pontefice, colui che unisce l'uomo a Dio, facendosi fratello degli uomini nell'atto stesso con cui vuole essere loro pastore, padre e maestro.92
All'uomo di oggi che cerca il senso del suo esistere, egli è guida che porta all'incontro con Cristo, incontro che si realizza come annuncio e come realtà già presente, anche se in modo non definitivo nella Chiesa.
In tale modo il presbitero, posto al servizio del Popolo di Dio, si presenterà come esperto in umanità, uomo di verità e di comunione, testimone della sollecitudine dell'Unico Pastore per tutte e per ciascuna delle sue pecorelle.
La comunità potrà contare con sicurezza sulla sua dedizione, sulla sua disponibilità, sulla sua infaticabile opera di evangelizzazione e, soprattutto, sul suo amore fedele e incondizionato.
Egli, pertanto, eserciterà la sua missione spirituale con amabilità e fermezza, con umiltà e spirito di servizio,93 piegandosi alla compassione, partecipando alle sofferenze che derivano agli uomini dalle varie forme di povertà, spirituale e materiale, vecchie e nuove.
Saprà anche chinarsi con misericordia sul difficile ed incerto cammino di conversione dei peccatori, ai quali riserverà il dono della verità e la paziente e incoraggiante benevolenza del Buon Pastore, che non rimprovera la pecora smarrita, ma la carica sulle spalle e fa festa per il suo ritorno all'ovile ( cf Lc 15,4-7 ).94
Particolare attenzione riserverà alle relazioni con i fratelli e le sorelle impegnati nella vita di speciale consacrazione a Dio in tutte le sue forme, mostrando loro apprezzamento sincero e fattivo spirito di collaborazione apostolica, rispettando e promuovendo i carismi specifici.
Coopererà, inoltre, affinché la vita consacrata appaia sempre più luminosa a vantaggio della Chiesa intera e sempre più persuasiva e attraente per le nuove generazioni.
In tale spirito di stima per la vita consacrata, il sacerdote, porrà particolare cura per quelle comunità che, per diversi motivi, sono maggiormente bisognose di buona dottrina, di assistenza e di incoraggiamento nella fedeltà.
Ogni sacerdote riserverà particolare cura alla pastorale vocazionale, non mancando di incentivare la preghiera per le vocazioni, di prodigarsi nella catechesi, di curare la formazione dei ministranti, di favorire appropriate iniziative mediante un rapporto personale che faccia scoprire i talenti e sappia individuare la volontà di Dio per una scelta coraggiosa nella sequela di Cristo.95
Certamente la chiara coscienza della propria identità, la coerenza di vita, la trasparente gioia e l'ardore missionario costituiscono altrettanti imprescindibili elementi di quella pastorale delle vocazioni che deve integrarsi nella pastorale organica e ordinaria.
Con il seminario, culla della propria vocazione e palestra di prima esperienza di vita comunionale, il sacerdote manterrà sempre rapporti di cordiale collaborazione e di sincero affetto.
È « esigenza insopprimibile della carità pastorale »96 che ogni presbitero assecondando la grazia dello Spirito Santo si preoccupi di suscitare almeno una vocazione sacerdotale che ne possa continuare il ministero.
Il sacerdote, servitore della Chiesa che per la sua universalità e cattolicità non può legarsi ad alcuna contingenza storica, starà al di sopra di qualsiasi parte politica.
Egli non può aver parte attiva in partiti politici o nella conduzione di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa e la promozione del bene comune.97
Infatti, pur essendo queste cose buone in se stesse, tuttavia sono aliene dallo stato clericale, in quanto possono costituire un grave pericolo di rottura della comunione ecclesiale.98
Come Gesù ( cf Gv 6,15ss ), il presbitero « deve rinunciare ad impegnarsi in forme di politica attiva, specialmente quando essa è di parte, come quasi inevitabilmente avviene, per rimanere l'uomo di tutti in chiave di fraternità spirituale ».99
Ogni fedele, perciò, deve sempre poter accedere al sacerdote senza sentirsi escluso per alcuna ragione.
Il presbitero ricorderà che « non spetta ai Pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione sociale.
Questo compito, infatti, fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini ».100
Egli, tuttavia, non mancherà di applicarsi « nello sforzo di formare rettamente la loro coscienza».101
La riduzione della sua missione a compiti temporali, puramente sociali o politici o comunque alieni dalla sua identità, non è una conquista ma una perdita gravissima per la fecondità evangelica della Chiesa intera.
Indice |
4 | Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
5 | Cost. dogm. Lumen gentium, 1 |
6 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 11 |
7 | Ibid., 15 |
8 | Ibid., 21; Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; n. 12 |
9 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 12c |
10 | Ibid., 18; Messaggio dei Padri sinodali al Popolo di Dio, III ( 28 ottobre 1990 ): « L'Osservatore Romano » 29-30 ottobre 1990 |
11 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 16 |
12 | Cf. Ibid., 12 |
13 | Cf. Conc. Ecum. Trident.,
Sessio XXIII De sacramento Ordinis; Giovanni Paolo II Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 11-18; Catechesi nell'Udienza generale del 31 marzo 1993 |
14 | Cf. Conc. Ecum. Vat.. II Cost. dogm.
Lumen gentium, 18-31; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; C.I.C., can. 1008 |
15 | Cf. Conc. Ecum. Vat.. II Cost. dogm.
Lumen gentium, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2 |
16 | Cf. Conc. Ecum. Vat.. II., Decr.
Apostolicam actuositatem, 3; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 14 ( 30 dicembre 1988 ) |
17 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 13-14; Catechesi nell'Udienza Generale del 31 marzo 1993 |
18 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 18 |
19 | Cf. Ibid., 15 |
20 | Cf. Cost.. dogm.
Dei Verbum, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 4 |
21 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; Cat. Chiesa Cat., n. 1120 |
22 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 6 |
23 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 16 |
24 | Cf. ibid. |
25 | Ibid., 3 |
26 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7; Decr. Christus Dominus, 28; Decr. Ad gentes, 19; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 17 |
27 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium 28; Pontificale Romanum, Ordinatio Episcoporum, Presbyterorum et Diaconorum, cap. 1., n. 51, Ed. typica altera, 1990, p. 26 |
28 | Cost. Lumen gentium, 28 |
29 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 16 |
30 | Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio, 10 ( 28 maggio 1992 ) |
31 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 23a |
32 | Decr.
Presbyterorum Ordinis, 10; Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 32 |
33 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7 |
34 | Cf. C.I.C., can. 266, § 1 |
35 | Cf. Cost. dogm.
Lumen gentium 23;
n. 26; S. Congregazione per il clero, Note direttive Postquam Apostoli, 5 ( 25 marzo 1980 ); n. 14; n. 23; Tertuliano, Le praescriptione 20 |
36 | Cf. Cost.
Lumen gentium 23; Decr. Presbyterorum Ordinis 10; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 32; S. Congregazione per il clero, Note direttive Postquam Apostoli ( 25 marzo 1980 ); Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli ( 1 ottobre 1989 ) 4; C.I.C. can. 271 |
37 | Cf. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli ( 1 ottobre 1989 ); Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 54 ( 7 dicembre 1990 ); n. 67 |
38 | Cf. S. Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 123,5 |
39 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis 21; C.I.C. can. 274 |
40 | Cf. C.I.C. can. 275, § 2; can. 529, § 1 |
41 | Cf. ibid. can. 574, § 1 |
42 | Cf. Conc. Ecum. Trident.,
Sessio XXIII, De sacramento Ordinis cap. 1 e
cap. 4,
can. 3,
can. 4,
can. 6; Cost. Lumen gentium 10; S. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il ministro dell'Eucaristia Sacerdotium ministeriale, 1 ( 6 agosto 1983 ) |
43 | Cf. Cost. Lumen Gentium 9 |
44 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis 7 |
45 | Cf. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, 3 ( 1 ottobre 1989 ) |
46 | Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il ministro dell'Eucaristia
Sacerdotium ministeriale, II. 3 ( 6 agosto 1983 ),
III. 2; Cat. Chiesa Cat. n. 875 |
47 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis 11 |
48 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Episcopato della Svizzera ( 15 giugno 1984 ) |
49 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale su « Il sacerdote oggi », 28 maggio 1993; Discorso ai partecipanti a Symposium internationale « Ius in vita et in missione Ecclesiae » Vaticano 23 aprile 1993 |
50 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis 12; Cf. Cost. Lumen gentium 1 |
51 | Cf. Cost. Lumen gentium 8 |
52 | Cf. S. Agostino, Sermo 46, n. 30 |
53 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 28 |
54 | Cf. Cost.
Lumen gentium 28; Decr. Presbyterorum Ordinis 7; n. 15 |
55 | Cf. C.I.C. Can. 331; can. 333, § 1 |
56 | Cf. Cost.
Lumen gentium 22; Decr. Christus Dominus 4; C.I.C Can 336 |
57 | Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio, 14 ( 28 maggio 1992 ) |
58 | Cf.
C.I.C Can. 902; S. Congregazione per i sacramenti e il culto divino, Decr. Part. Promulgato Codice, II, I, 153 ( 12 Settembre 1983 ): Notitiae 19 (1983), 542 |
59 | Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae
III, q. 82, a. 2 ad 2; Sent. IV d. 13, q. 1, a 2, q. 2; Cost. Sacrosanctum Concilium 41, n. 57; S. Congregazione dei riti, Decreto generale Ecclesiae semper ( 7 marzo 1965 ): AAS 57 (1965), 410-412; Istruzione Eucharisticum Mysterium, 47 ( 25 maggio 1965 ): AAS 59 (1967), 565-566 |
60 | Cf. S. Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 47 ( 25 maggio 1967 ): AAS 59 (1967), 565-566 |
61 | Cf. C.I.C. can. 273 |
62 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis 15; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 65; n. 79 |
63 | S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios XX 12: « … Se il Signore mi rivelerà che, ognuno in proprio e tutti insieme … voi siete uniti con il cuore in una incrollabile sottomissione al Vescovo e al presbiterio, spezzando l'unico pane che è rimedio d'immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo » |
64 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis 17; Cf. Cost. Lumen gentium 28; Decr. Presbyterorum Ordinis 8; C.I.C can 275, § 1 |
65 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis 74; Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli ( 1 ottobre 1989 ), 6 |
66 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis 8; C.I.C, can. 369; can. 498; can. 499 |
67 | Cf. Pontificale Romanum De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum cap. II, nn. 105; 130, editio typica altera, 1990, pp. 54; 6667; Decr Presbyterorum Ordinis, 8 |
68 | Cf. C.I.C can. 265 |
69 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Quito ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e ai Seminaristi ( 29 gennaio 1985 ) |
70 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 31 |
71 | Cf. ibid., 17; n. 74 |
72 | C.I.C, can. 498, § 1,2 |
73 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis., 31 |
74 | Cf. ibid., 31, nn. 41-68 |
75 | Cf. C.I.C., can. 271 |
76 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 74 |
77 | Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza Generale del 4 agosto 1993, n. 4 |
78 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 12-14 |
79 | Cf. ibid., 8 |
80 | Cf. S. Agostino, Sermones 355, n. 356, De vita et moribus clericorum |
81 | Cf. Cost.
Lumen gentium, 28c; Decr. Presbyterorum Ordinis, 8; Decr. Christus Dominus, 30a |
82 | Cf. S. Congregazione per i Vescovi, Direttorio Ecclessiae Imago, n. 112 ( 22 febbraio 1973 ); C.I.C, can. 280; can. 245, § 2; can. 550, § 1; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 81 |
83 | Cf. Cost.
Sacrosanctum Concilium, 26;
n. 99; Liturgia Horarum, Institutio Generalis, n. 25 |
84 | Cf.
C.I.C, can. 278, 2; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 31; n. 68; n. 81 |
85 | Cf. C.I.C, can 550, § 2 |
86 | Cf. ibid., can. 545, § 1 |
87 | Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale del
7 luglio 1993; Decr. Presbyterorum Ordinis, 15b |
88 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 15 |
89 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 9; C.I.C., can. 275, § 2; can. 529, § 2 |
90 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis., 74 |
91 | Cf. C.I.C., can 529, § 2 |
92 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 74; Paolo VI, Lett. enc. Ecclesiam suam, III ( 6 agosto 1964 ) |
93 | Cf. Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza Generale del 7 luglio 1993 |
94 | Cf. C.I.C., can 529, § 1 |
95 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 11; C.I.C, can 233, § 1 |
96 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 74c |
97 | Cf.
C.I.C can 287, § 2; Congregazione per il clero, Decr. Quidam Episcopi ( 8 marzo 1982 ): AAS 74 (1982), 642645 |
98 | Cf. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per I Evangelizzazione dei Popoli (1 ottobre 1989), 9; Congregazione per il clero, Decr. Quidam Episcopi ( 8 marzo 1982 ): AAS 74 (1982), 642645 |
99 | Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza Generale del
28 luglio 1993, n. 3; Cf. Cost. Gaudium et spes 43; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus ( 30 novembre 1971, II, I, 2b ); C.I.C. can. 285, § 3; can. 287, § 1 |
100 | Cat. Chiesa Cat. n. 2442; Cf. C.I.C., can. 227 |
101 | Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus ( 30 novembre 1971, II, I, 2b ) |