Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri |
La vita e il ministero dei sacerdoti si sviluppano sempre nel contesto storico, di volta in volta carico di nuovi problemi e di inedite risorse, nel quale si trova a vivere la Chiesa pellegrina nel mondo.
Il sacerdozio non nasce dalla storia, ma dalla immutabile volontà del Signore.
Tuttavia esso si confronta con le circostanze storiche e pur rimanendo sempre fedele a se stesso si configura, nella Concretezza delle scelte, anche attraverso una relazione critica e una ricerca di evangelica risposta ai « segni dei tempi ».
Per tale motivo, i presbiteri hanno il dovere di interpretare tali « segni » alla luce della fede e di sottoporli a prudente discernimento.
In ogni caso non potranno ignorarli, soprattutto se si vuole orientare in modo efficace e pertinente la propria vita in modo che il loro servizio e la loro testimonianza siano sempre più fecondi per il regno di Dio.
Nell'attuale fase della vita della Chiesa e della società, i presbiteri sono chiamati a vivere con profondità il loro ministero, attese le sempre più profonde, numerose e delicate esigenze di ordine non solo pastorale ma anche sociale e culturale, alle quali devono far fronte.102
Essi, pertanto, sono oggi impegnati nei diversi campi di apostolato che richiedono generosità e dedizione completa, preparazione intellettuale e, soprattutto, una vita spirituale matura e profonda radicata nella carità pastorale, che è la loro specifica via alla santità e che costituisce anche un autentico servizio ai fedeli nel ministero pastorale.
Da ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in maniera del tutto speciale, nell'impegno dell'intera Chiesa per la nuova evangelizzazione.
Partendo dalla fede in Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, ha la certezza che in Lui vi è una « imperscrutabile ricchezza » ( Ef 3,8 ) che nessuna cultura, nessuna epoca può esaurire e alla quale possono attingere sempre gli uomini per arricchirsi.103
È questa, pertanto, l'ora di un rinnovamento della nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso « ieri, oggi e sempre » ( Eb 13,8 ).
Pertanto, « la chiamata alla nuova evangelizzazione è innanzitutto una chiamata alla conversione ».104
Al tempo stesso, è una chiamata a quella speranza, « che poggia sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come certezza incrollabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana ».105
In tale contesto, il sacerdote deve anzittutto ravvivare la sua fede, la sua speranza e il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla contemplazione dei fedeli e di tutti gli uomini come veramente è: una Persona viva, affascinante, che ci ama più di tutti perché ha dato la sua vita per noi; « nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,13 ).
Nello stesso tempo, il sacerdote, consapevole che ogni persona è, in diverso modo, alla ricerca di un amore capace di portarla oltre gli angusti confini della sua debolezza, del proprio egoismo e, soprattutto, della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è la risposta a tutte queste ansie.
Nella nuova evangelizzazione, il sacerdote è chiamato ad essere l'araldo della speranza.106
Il proliferare delle sette e dei nuovi culti, nonché la loro diffusione anche fra i fedeli cattolici, costituisce una particolare sfida al ministero pastorale.
Alla base di un tale fenomeno ci sono motivazioni complesse.
In ogni caso, il ministero dei presbiteri viene sollecitato a rispondere con prontezza e incisività alla ricerca del sacro e dell'autentica spiritualità che oggi emerge in modo particolare.
In questi ultimi anni, infatti, si è reso evidente che sono eminentemente pastorali le motivazioni che richiedono il sacerdote come uomo di Dio e maestro di preghiera.
Al tempo stesso, si impone la necessità di far sì che la comunità affidata alle sue cure pastorali sia realmente accogliente in modo che nessuno appartenente ad essa possa sentirsi anonimo o oggetto di indifferenza.
Si tratta di una responsabilità che ricade certamente su ogni fedele ma, in modo del tutto particolare, sul presbitero, che è l'uomo di comunione.
Se egli saprà accogliere con stima e rispetto chiunque lo avvicini, valorizzandone la personalità, allora creerà uno stile di autentica carità che diventerà contagioso e si estenderà gradualmente all'intera comunità.
Per vincere la sfida delle sette e dei nuovi culti, è particolarmente importante una catechesi matura e completa, la quale richiede oggi uno speciale sforzo da parte del sacerdote affinché tutti i suoi fedeli conoscano realmente il significato della vocazione cristiana e della fede cattolica.
In modo particolare, i fedeli devono essere educati a conoscere bene il rapporto che intercorre tra la loro specifica vocazione in Cristo e l'appartenenza alla sua Chiesa, che devono imparare ad amare filialmente e tenacemente.
Tutto questo si realizzerà se il sacerdote, nella sua vita e nel suo ministero, eviterà quanto potrebbe provocare tiepidezza, freddezza o identificazione selettiva nei confronti della Chiesa.
È motivo di grande conforto rilevare che oggi i presbiteri di tutte le età e nella stragrande maggioranza svolgono con gioioso impegno, spesso frutto di silenzioso eroismo, il loro ministero, lavorando fino al limite delle proprie forze senza vedere, alle volte, i frutti del loro lavoro.
Per questo loro impegno, essi costituiscono oggi un annuncio vivente di quella grazia divina che, elargita al momento dell'ordinazione, continua a donare forza sempre nuova per il sacro ministero.
Assieme a queste luci, che illuminano la vita del sacerdote, non mancano ombre che tendono ad indebolirne la bellezza e a renderne meno efficace l'esercizio del ministero.
Il ministero pastorale è impresa affascinante ma ardua, sempre esposta all'incomprensione e all'emarginazione, e, oggi soprattutto, alla stanchezza, alla sfiducia, all'isolamento e, qualche volta, alla solitudine.
Per vincere le sfide che la mentalità secolaristica continuamente gli pone, il sacerdote avrà cura di riservare il primato assoluto alla vita spirituale, allo stare sempre con Cristo e a vivere con generosità la carità pastorale, intensificando la comunione con tutti e, in primo luogo, con gli altri presbiteri.
Il sacerdote è stato, per così dire, Concepito in quella lunga preghiera durante la quale il Signore Gesù ha parlato al Padre dei suoi Apostoli e, certamente, di tutti coloro che nel corso dei secoli sarebbero stati fatti partecipi della Sua stessa missione ( cf Lc 6,12; Gv 17,15-20 ).
La stessa orazione di Gesù nel Getsemani ( cf Mt 26,36-44 par ), tutta protesa verso il sacrificio sacerdotale del Golgota, manifesta in modo paradigmatico « come il nostro sacerdozio debba essere profondamente vincolato alla preghiera: radicato nella preghiera »,107
Nati da queste preghiere e chiamati a rinnovare un Sacrificio che da esse è inseparabile, i presbiteri manterranno vivo il loro ministero con una vita spirituale, alla quale daranno l'assoluta preminenza, evitando di trascurarla a motivo delle diverse attività.
Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo buon Pastore, il quale, solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale.
Tale vita spirituale dev'essere incarnata nell'esistenza di ogni presbitero attraverso la liturgia, la preghiera personale, lo stile di vita e la pratica delle virtù cristiane, che contribuiscono alla fecondità dell'azione ministeriale.
La stessa conformazione a Cristo esige, per così dire, di respirare un clima di amicizia e di incontro personale con il Signore Gesù e di servizio alla Chiesa, suo Corpo, che il sacerdote dimostrerà di amare attraverso l'adempimento fedele e indefesso dei doveri del ministero pastorale.108
È necessario, pertanto, che il presbitero programmi la sua vita di preghiera in modo da comprendere:
la celebrazione eucaristica quotidiana,109 con adeguata preparazione e ringraziamento;
la confessione frequente110 e la direzione spirituale già praticata in seminario;111
la celebrazione integra e fervorosa della liturgia delle ore,112 alla quale è quotidianamente tenuto;113
l'esame della propria coscienza;114
l'orazione mentale propriamente detta;115
la lectio divina;116
i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici;117
le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario;118
la Via Crucis e gli altri pii esercizi;119
la fruttuosa lettura agiografica.120
Ogni anno, come segno di duraturo desiderio di fedeltà, durante la Messa crismale, i presbiteri rinnovino, davanti al Vescovo e insieme con lui, le promesse fatte nel momento dell'ordinazione.121
La cura della vita spirituale deve essere sentita come un gioioso dovere da parte dello stesso sacerdote, ma anche come un diritto dei fedeli che cercano in lui consciamente o inconsciamente, l'uomo di Dio, il consigliere, il mediatore di pace, l'amico fedele e prudente, la guida sicura a cui affidarsi nei momenti più duri della vita per trovare conforto e sicurezza.122
A causa di numerosi impegni provenienti in larga misura dall'attività pastorale, la vita dei presbiteri è esposta, oggi più che mai, ad una serie di sollecitazioni che potrebbero condurla verso un crescente attivismo esteriore, sottomettendola ad un ritmo, alle volte, frenetico e travolgente.
Contro tale tentazione, non bisogna dimenticare che la prima intenzione di Gesù fu quella di convocare intorno a sé degli Apostoli che anzitutto « stessero con lui » ( Mc 3,14 ).
Lo stesso Figlio di Dio ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera.
Con grande frequenza, infatti, i Vangeli ci presentano Cristo in preghiera:
nella rivelazione della sua missione da parte del Padre ( cf Lc 3,21-22 ),
prima della chiamata degli Apostoli ( cf Lc 6,12 ),
nel rendere grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani ( cf Mt 14,19; Mt 15,36; Mc 6,41; Mc 8,7; Lc 9,16; Gv 6,11 ),
nella trasfigurazione sul monte ( cf Lc 9,28-29 ),
quando risana il sordomuto ( cf Mc 7,3-4 )
e risuscita Lazzaro ( cf Gv 11,41ss ),
prima della confessione di Pietro ( cf Lc 9,18 ),
quando insegna ai discepoli a pregare ( cf Lc 11,1 ),
e quando questi ritornano dall'aver compiuto la loro missione ( cf Mt 11,25ss; Lc 10,21ss ),
nel benedire i fanciulli ( cf Mt 19,13 )
e nel pregare per Pietro ( cf Lc 22,32 ).
Tutta la sua attività quotidiana derivava dalla preghiera.
Così egli si ritirava nel deserto o sul monte a pregare ( cf Mc 1,35; Mc 6,46; Lc 5,16; Mt 4,1; Mt 14,23 ),
si alzava al mattino presto ( cf Mc 1,35 )
e passava la notte intera in orazione a Dio ( cf Mt 14,23.25; Mc 6,46.48; Lc 6,12 ).
Fino al termine della sua vita,
nell'ultima Cena ( cf Gv 17,1-26 ),
nell'agonia ( cf Mt 26,36-44 par )
e sulla Croce ( cf Lc 23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34 ),
il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale.
Risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi ( cf Eb 7,25 ).123
Sull'esempio di Cristo, il sacerdote deve saper mantenere la vivacità e l'abbondanza dei momenti di silenzio e di preghiera nei quali coltivare e approfondire il proprio rapporto esistenziale con la persona vivente del Signore Gesù.
Per rimanere fedele all'impegno di « stare con Gesù », occorre che il presbitero sappia imitare la Chiesa che prega.
Nel dispensare la Parola di Dio, che lui stesso ha ricevuto con gioia, il sacerdote sia memore dell'esortazione rivoltagli dal Vescovo il giorno della sua ordinazione: « Per questo, facendo della Parola l'oggetto della tua continua riflessione, credi sempre quel che leggi, insegna quel che credi, realizza nella vita quel che insegni.
In questo modo, mentre con la dottrina darai nutrimento al Popolo di Dio e con la buona testimonianza della vita gli sarai di conforto e sostegno, diventerai costruttore del tempio di Dio, che è la Chiesa ».
Similmente riguardo alla celebrazione dei sacramenti e, in particolare dell'Eucaristia: « Sii dunque consapevole di quel che fai, imita ciò che compi e poiché celebri il mistero della morte e della risurrezione del Signore, porta la morte di Cristo nel tuo corpo e cammina nella sua novità di vita ».
E, infine, riguardo alla guida pastorale del Popolo di Dio perché lo conduca fino al Padre: « Per questo non cessare mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo, Pastore buono, che è venuto non per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare quelli che si sono perduti ».124
Forte dello speciale legame con il Signore, il presbitero saprà affrontare i momenti in cui potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini; rinnovando con forza il suo stare con Cristo che nell'Eucaristia è suo rifugio e suo miglior riposo.
Come Gesù, che mentre era solo stava continuamente con il Padre ( cf Lc 3,21; Mc 1,35 ), anche il presbitero deve essere l'uomo che nella solitudine trova la comunione con Dio,125 per cui potrà dire con S. Ambrogio: « Io non sono mai così poco solo come quando sono solo »126
Accanto al Signore, il presbitero troverà la forza e gli strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per accendere la loro fede, per suscitare impegno e condivisione.
La carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali del presbitero e, dato il contesto socioculturale e religioso nel quale egli vive, è strumento indispensabile per portare gli uomini alla vita della Grazia.
Plasmata da tale carità, l'attività ministeriale deve essere una manifestazione della carità di Cristo, di cui il presbitero saprà esprimere atteggiamenti e comportamenti, fino alla donazione totale di sé a favore del gregge che gli è stato affidato.127
Assimilare la carità pastorale di Cristo in modo da farla diventare forma della propria vita, è una meta che richiede dal sacerdote impegni e sacrifici continui, giacché essa non si improvvisa, non conosce soste né può essere raggiunta una volta per sempre.
Il ministro di Cristo si sentirà obbligato a vivere e a testimoniare questa realtà sempre e dovunque, anche quando, a ragione dell'età, fosse sgraVato da incarichi pastorali Concreti.
La carità pastorale corre, oggi soprattutto, il pericolo di essere svuotata del suo significato dal cosiddetto funzionalismo.
Non è raro, infatti, percepire, anche in alcuni sacerdoti, l'influsso di una mentalità che tende erroneamente a ridurre il sacerdozio ministeriale ai soli aspetti funzionali.
« Fare » il prete, svolgere singoli servizi e garantire alcune prestazioni d'opera sarebbe il tutto dell'esistenza sacerdotale.
Tale Concezione riduttiva dell'identità e del ministero del sacerdote, rischia di spingere la vita di questi verso un vuoto, che viene spesso riempito da forme di vita non consone al proprio ministero.
Il sacerdote, che sa di essere ministro di Cristo e della sua Sposa, troverà nella preghiera, nello studio e nella lettura spirituale la forza necessaria per vincere anche questo pericolo.128
Cristo ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa la missione di predicare la Buona Novella a tutti gli uomini.
Trasmettere la fede è svelare, annunziare e approfondire la vocazione cristiana; cioè la chiamata che Dio rivolge ad ogni uomo nel manifestargli il mistero della salvezza e, contemporaneamente, il posto che egli deve occupare in riferimento a tale mistero, come figlio di adozione nel Figlio.129
Questo duplice aspetto si evidenzia sinteticamente nel Simbolo della Fede, una delle espressioni più autorevoli di quella fede con cui la Chiesa ha sempre risposto all'appello di Dio.130
Si pongono, allora, al ministero presbiterale due esigenze che sono quasi le due facce della stessa medaglia.
Vi è, in primo luogo, il carattere missionario della trasmissione della fede.
Il ministero della parola non può essere astratto o lontano dalla vita della gente; al contrario, esso deve far diretto riferimento al senso della vita dell'uomo, di ogni uomo e, quindi, dovrà entrare nelle questioni più vive che si pongono alla coscienza umana.
D'altra parte vi è una esigenza di autenticità e di conformità con la fede della Chiesa, custode della verità su Dio e sull'uomo.
Ciò deve essere fatto con senso di estrema responsabilità, nella consapevolezza che si tratta di una questione della massima importanza in quanto é in gioco la vita dell'uomo e il senso della sua esistenza.
Per un fruttuoso ministero della Parola, tenendo presente tale contesto, il presbitero darà il primato alla testimonianza della vita, che fa scoprire la potenza dell'amore di Dio e rende persuasiva la sua parola.
Inoltre, terrà conto:
della predicazione esplicita del mistero di Cristo ai credenti, ai non credenti e ai non cristiani;
della catechesi, che é l'esposizione ordinata e organica della dottrina della Chiesa;
dell'applicazione della verità rivelata alla soluzione dei casi Concreti.131
La consapevolezza dell'assoluta necessità di « rimanere » fedeli e ancorati alla Parola di Dio e alla Tradizione per essere veramente discepoli di Cristo e conoscere la verità ( cf Gv 8,31-32 ) ha sempre accompagnato la storia della spiritualità sacerdotale ed è stata autorevolmente ribadita anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II.132
Soprattutto per la società contemporanea, contrassegnata dal materialismo teorico e pratico, dal soggettivismo e dal problematicismo, è necessario che il Vangelo sia presentato come « la potenza di Dio per salvare coloro che credono » ( Rm 1,16 ).
I presbiteri, ricordando che « la fede dipende dalla predicazione e la predicazione, a sua volta, si attua per la Parola di Cristo » ( Rm 10,17 ), impegneranno tutte le loro energie per corrispondere a questa missione che è primaria nel loro ministero.
Essi, infatti, sono non soltanto i testimoni, ma anche gli annunciatori e i trasmettitori della fede.133
Tale ministero svolto nella comunione gerarchica li abilita ad esprimere con autorità la fede cattolica e a dare testimonianza ufficiale della fede della Chiesa.
Il Popolo di Dio, in effetti, « viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti ».134
Per essere autentica, la Parola deve essere trasmessa « senza doppiezza e senza alcuna falsificazione, ma manifestando con franchezza la verità davanti a Dio » ( 2 Cor 4,2 ).
Il presbitero eviterà con responsabile maturità di contraffare, ridurre, distorcere o diluire i contenuti del messaggio divino.
Suo compito, infatti, « non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità ».135
La predicazione, pertanto, non può ridursi alla comunicazione di pensieri propri, alla manifestazione dell'esperienza personale, a semplici spiegazioni di carattere psicologico,136 sociologico o filantropico; neppure può indulgere eccessivamente al fascino della retorica, così spesso presente nella comunicazione di massa.
Si tratta di annunciare una Parola di cui non si può disporre, in quanto è stata data alla Chiesa, affinché la custodisca, la scruti e fedelmente la trasmetta.137
La coscienza della propria missione di annunciatore del Vangelo dovrà sempre più Concretizzarsi pastoralmente in modo che il presbitero possa vivificare, alla luce della Parola di Dio, le diverse situazioni e i diversi ambienti nei quali svolge il suo ministero.
Per essere efficace e credibile è, perciò, importante che il presbitero nella prospettiva della fede e del suo ministero conosca, con costruttivo senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli intrecci culturali, le tipologie diffuse attraverso i mezzi di comunicazione e che, in larga parte, condizionano le mentalità.
Stimolato dall'Apostolo che esclamava: « Guai a me se non predicassi il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 ), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di trasmissione che le scienze e la tecnologia moderna gli offrono.
Certamente non tutto dipende da tali mezzi o dalle capacità umane, giacché la grazia divina può raggiungere il suo effetto indipendentemente dall'opera degli uomini.
Ma, nel piano di Dio, la predicazione della Parola è, normalmente, il canale privilegiato per la trasmissione della fede e per la missione evangelizzatrice.
Per i tanti che oggi sono fuori o lontani dall'annuncio di Cristo, il presbitero sentirà come particolarmente urgente ed attuale l'angoscioso interrogativo: « come potranno credere, senza averne sentito parlare?
E come potranno sentirne parlare senza uno che annunzi? » ( Rm 10,14 ).
Per rispondere a tali interrogativi, egli si sentirà personalmente impegnato a coltivare in maniera particolare la Sacra Scrittura con lo studio di una sana esegesi, soprattutto patristica, e con la meditazione fatta secondo i diversi metodi comproVati dalla tradizione spirituale della Chiesa, in modo da ottenerne una comprensione animata dall'amore.138
A tale scopo, il presbitero sentirà il dovere di riservare particolare attenzione alla preparazione, sia remota che prossima, dell'omelia liturgica, ai suoi contenuti, all'equilibrio tra parte espositiva e applicativa, alla pedagogia e alla tecnica del porgere, fino alla buona dizione, rispettosa della dignità dell'atto e dei destinatari.139
La catechesi è parte rilevante di questa missione evangelizzatrice, essendo strumento privilegiato dell'insegnamento e della maturazione della fede.140
Il presbitero, in quanto collaboratore e per mandato del Vescovo, ha la responsabilità di animare, coordinare e dirigere l'attività catechistica della comunità che gli è affidata.
È importante che egli sappia integrare tale attività in un progetto organico di evangelizzazione garantendo, innanzitutto, la comunione della catechesi della propria comunità con la persona del Vescovo, con la Chiesa particolare e con la Chiesa universale.141
In particolare, egli saprà suscitare la giusta e opportuna responsabilità e collaborazione nei riguardi della catechesi, sia dei membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di vita apostolica, sia dei fedeli laici,142 adeguatamente preparati, mostrando ad essi il riconoscimento e la stima per il compito catechistico.
Singolare premura egli porrà nella cura della formazione iniziale e permanente dei catechisti, delle associazioni e dei movimenti.
Nella misura del possibile, il sacerdote dovrà essere il catechista dei catechisti, formando con questi una vera comunità di discepoli del Signore che serva come punto di riferimento per i catechizzandi.
Maestro143 ed educatore della fede,144 il presbitero farà sì che la catechesi sia parte privilegiata nella educazione cristiana in famiglia, nell'insegnamento religioso, nella formazione dei movimenti apostolici, ecc., e che essa sia rivolta a tutte le categorie dei fedeli: fanciulli e giovani, adolescenti, adulti, anziani.
Egli, inoltre, saprà trasmettere l'insegnamento catechistico facendo uso di tutti quegli aiuti, sussidi didattici e strumenti di comunicazione che possano essere efficaci affinché i fedeli, in modo adatto alla loro indole, capacità, età e alle condizioni pratiche di vita, siano in grado di apprendere più pienamente la dottrina cristiana e di tradurla in pratica nel modo più conveniente.145
A tale scopo, il presbitero non mancherà di avere come principale punto di riferimento, il Cat. Chiesa Cat..
Tale testo, infatti, costituisce norma sicura e autentica dell'insegnamento della Chiesa.146
Se il servizio della Parola è elemento fondamentale del ministero presbiterale, il cuore e il centro vitale di esso è costituito, senza dubbio, dall'Eucaristia, che è, soprattutto, la presenza reale nel tempo dell'unico ed eterno sacrificio di Cristo.147
Memoriale sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, ripresentazione reale ed efficace dell'unico Sacrificio redentore, fonte e culmine della vita cristiana e di tutta l'evangelizzazione,148 l'Eucaristia è principio mezzo e fine del ministero sacerdotale, giacché « tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d'apostolato sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati ».149
Consacrato per perpetuare il santo Sacrificio, il presbitero manifesta così, nel modo più evidente, la sua identità.
Esiste, infatti, un'intima connessione tra la centralità dell'Eucaristia, la carità pastorale e l'unità di vita del presbitero,150 il quale trova in essa le indicazioni decisive per l'itinerario di santità al quale è specificamente chiamato.
Se il presbitero presta a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, l'intelligenza, la volontà, la voce e le mani perché, mediante il proprio ministero, possa offrire al Padre il sacrificio sacramentale della redenzione, dovrà fare proprie le disposizioni del Maestro e, come Lui, vivere quale dono per i propri fratelli.
Egli dovrà perciò imparare ad unirsi intimamente all'offerta, deponendo sull'altare del sacrificio l'intera vita come segno manifestativo dell'amore gratuito e preveniente di Dio.
È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse Concorso di alcun fedele.151
Egli la vivrà come il momento centrale della giornata e del ministero quotidiano, frutto di sincero desiderio e occasione di incontro profondo ed efficace con Cristo, e porrà la massima cura nel celebrarla con devozione ed intima partecipazione della mente e del cuore.
In una civiltà sempre più sensibile alla comunicazione mediante i segni e le immagini, il sacerdote darà adeguata attenzione a tutto ciò che può esaltare il decoro e la sacralità della celebrazione eucaristica.
È importante che, in tale celebrazione, si pongano in giusto risalto la proprietà e la pulizia del luogo, l'architettura dell'altare e del tabernacolo,152 la nobiltà dei vasi sacri dei paramenti,153 del canto,154 della musica,155 il sacro silenzio,156 ecc.
Questi sono tutti elementi che possono contribuire ad una migliore partecipazione al Sacrificio eucaristico.
Infatti, la scarsa attenzione agli aspetti simbolici della liturgia e, ancor più, la trascuratezza e la fretta, la superficialità e il disordine, ne svuotano il significato e indeboliscono la funzione di incremento della fede.157
Chi celebra male manifesta la debolezza della sua fede e non educa gli altri alla fede.
Celebrare bene, invece, costituisce una prima importante catechesi sul santo Sacrificio.
Il sacerdote, allora, pur mettendo a servizio della celebrazione eucaristica tutte le sue doti per renderla viva nella partecipazione di tutti i fedeli, deve attenersi al rito stabilito nei libri liturgici approvati dalla competente autorità, senza aggiungere, togliere o mutare alcunché.158
Tutti gli Ordinari, i Superiori degli Istituti di vita consacrata e i Moderatori delle Società di vita apostolica hanno il grave dovere, oltre che di precedere nell'esempio, di vigilare affinché le norme liturgiche riguardanti la celebrazione dell'Eucaristia vengano fedelmente osserVate in tutti i luoghi.
I sacerdoti che celebrano o anche Concelebrano sono tenuti ad indossare le vesti sacre prescritte dalle rubriche.159
La centralità dell'Eucaristia dovrà apparire non solo dalla degna e sentita celebrazione del Sacrificio, ma altresì dalla frequente adorazione del Sacramento in modo che il presbitero appaia modello del gregge anche nell'attenzione devota e nell'assidua meditazione fatta sempre che ciò sia possibile alla presenza del Signore nel tabernacolo.
È da auspicarsi che i presbiteri incaricati della guida di comunità dedichino larghi spazi all'adorazione comunitaria e riservino al Santissimo Sacramento dell'altare, anche fuori della Santa Messa, attenzioni e onori superiori a qualsiasi altro rito e gesto.
La fede e l'amore per l'Eucaristia non possono permettere che la presenza di Cristo nel Tabernacolo rimanga solitaria ».160
Momento privilegiato dell'adorazione eucaristica può essere la celebrazione della Liturgia delle Ore, la quale costituisce il vero prolungamento, durante la giornata, del sacrificio di lode e di ringraziamento che ha nella santa Messa il centro e la fonte sacramentale.
La Liturgia delle Ore, nella quale il sacerdote, unito a Cristo, è voce della Chiesa per il mondo intero, sarà celebrata, anche comunitariamente, quando ciò è possibile e nelle forme opportune, in modo da essere « interprete e veicolo della voce universale che canta la gloria di Dio e chiede la salvezza dell'uomo »,161
Esemplare solennità a tale celebrazione sarà riservata dai Capitoli canonicali.
Si dovrà comunque sempre evitare, sia nella celebrazione comunitaria che in quella individuale, di ridurla ad un puro « dovere » da eseguire meccanicamente come semplice e affrettata lettura senza la necessaria attenzione al senso del testo.
Dono della risurrezione agli Apostoli è lo Spirito Santo per la remissione dei peccati: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi » ( Gv 20,21-23 ).
Cristo ha affidato l'opera di riConciliazione dell'uomo con Dio esclusivamente ai suoi Apostoli e a coloro che succedono loro nella stessa missione.
I sacerdoti, allora, per volontà di Cristo, sono gli unici ministri del sacramento della riConciliazione.162
Come Cristo, sono inviati a chiamare i peccatori alla conversione e a riportarli al Padre, mediante il giudizio di misericordia.
La RiConciliazione sacramentale ristabilisce l'amicizia con Dio Padre e con tutti i suoi figli nella sua famiglia che è la Chiesa, la quale, pertanto, ringiovanisce e viene edificata in tutte le sue dimensioni: universale, diocesana, parrocchiale.163
Nonostante la triste constatazione della perdita del senso del peccato, che è largamente presente nelle culture del nostro tempo, il sacerdote deve praticare, con gioia e dedizione, il ministero della formazione delle coscienze, del perdono e della pace.
Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l'atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samaritano, sull'umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della Penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono.164
Sia a motivo del suo ufficio,165 sia anche a motivo dell'ordinazione sacramentale, il presbitero dovrà dedicare tempo ed energie all'ascolto delle confessioni dei fedeli, i quali, come dimostra l'esperienza, si recano volentieri a ricevere questo sacramento laddove sanno che vi sono sacerdoti disponibili.
Ciò vale ovunque ma, soprattutto, per le chiese delle zone maggiormente frequentate e per i Santuari, dove è possibile una fraterna e responsabile collaborazione con i sacerdoti religiosi e con quelli anziani.
Ogni sacerdote si atterrà alla normativa ecclesiale che difende e promuove il valore della confessione individuale e della personale, integra accusa dei peccati nel colloquio diretto con il confessore,166 riservando l'uso della confessione e della assoluzione comunitaria ai soli casi straordinari e con le condizioni richieste, contemplate dalle disposizioni vigenti.167
Il confessore avrà modo di illuminare la coscienza del penitente con una parola che, per quanto breve, sia appropriata alla sua situazione Concreta, in modo da favorire un rinnovato orientamento personale verso la conversione ed incidere profondamente sul suo cammino spirituale, anche attraverso l'imposizione di un'opportuna soddisfazione.168
In ogni caso, il presbitero saprà mantenere la celebrazione della RiConciliazione a livello sacramentale, superando il pericolo di ridurla ad una attività puramente psicologica o semplicemente formalistica.
Ciò si manifesterà, fra l'altro, nel vivere fedelmente la disciplina vigente anche circa il luogo e la sede per le confessioni.169
Come ogni buon fedele, anche il presbitero ha necessità di confessare i propri peccati e le proprie debolezze.
Egli è il primo a sapere che la pratica di questo sacramento lo rafforza nella fede e nella carità verso Dio e i fratelli.
Per trovarsi nelle migliori condizioni di mostrare con efficacia la bellezza della Penitenza, è essenziale che il ministro del sacramento offra una testimonianza personale precedendo gli altri fedeli nel fare l'esperienza del perdono.
Ciò costituisce anche la prima condizione per la rivalutazione pastorale del sacramento della RiConciliazione.
In questo senso, è buona cosa che i fedeli sappiano e vedano che anche i loro sacerdoti si confessano con regolarità:170 « tutta l'esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato da autentica fede e devozione, al sacramento della Penitenza.
In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la comunità, di cui egli è pastore ».171
Parallelamente al sacramento della RiConciliazione, il presbitero non mancherà di esercitare il ministero della direzione spirituale.
La riscoperta e la diffusione di questa pratica, anche in momenti diversi dall'amministrazione della Penitenza, è un grande beneficio per la Chiesa nel tempo presente.172
L'atteggiamento generoso e attivo dei presbiteri nel praticarla costituisce anche un'occasione importante per individuare e sostenere le vocazioni al sacerdozio e alle varie forme di vita consacrata.
Per contribuire al miglioramento della loro spiritualità è necessario che i presbiteri pratichino essi stessi la direzione spirituale.
Ponendo nelle mani di un saggio confratello la formazione della loro anima, matureranno la coscienza, fin dai primi passi del ministero, dell'importanza di non camminare da soli per le vie della vita spirituale e dell'impegno pastorale.
Nel far uso di questo efficace mezzo di formazione, tanto sperimentato nella Chiesa, i presbiteri avranno piena libertà nella scelta della persona che li deve guidare.
Il sacerdote è chiamato a misurarsi con le esigenze tipiche di un altro aspetto del suo ministero, oltre a quelli esaminati.
Si tratta della cura per la vita della comunità che gli è affidata e che si esprime soprattutto nella testimonianza della carità.
Pastore della comunità, il sacerdote esiste e vive per essa; per essa prega, studia, lavora e si sacrifica; per essa è disposto a dare la vita, amandola come Cristo, riversando su di essa tutto il suo amore e la sua stima,173 prodigandosi con tutte le forze e senza limiti di tempo per renderla, a immagine della Chiesa Sposa di Cristo, sempre più bella e degna della compiacenza del Padre e dell'amore dello Spirito Santo.
Questa dimensione sponsale della vita del presbitero come pastore, farà sì che egli guiderà la sua comunità servendo con dedizione tutti e ciascuno dei suoi membri, illuminando le loro coscienze con la luce della verità rivelata, custodendo autorevolmente l'autenticità evangelica della vita cristiana, correggendo gli errori, perdonando, sanando le ferite, consolando le afflizioni, promuovendo la fraternità.174
Questo insieme di attenzioni, delicate e complesse, oltre a garantire una testimonianza di carità sempre più trasparente ed efficace, manifesterà anche la profonda comunione che deve realizzarsi tra il presbitero e la sua comunità, come prolungamento e attualizzazione della comunione con Dio, con Cristo e con la Chiesa.175
Per essere buona guida del suo Popolo, il presbitero sarà anche attento a conoscere i segni dei tempi: da quelli più vasti e profondi che riguardano la Chiesa universale e il suo cammino nella storia degli uomini, a quelli più vicini alla situazione Concreta della singola comunità.
Questo discernimento richiede il costante e corretto aggiornamento nello studio dei problemi teologici e pastorali, l'esercizio di una sapiente riflessione sui dati sociali, culturali e scientifici che connotano il nostro tempo.
Nello svolgimento del loro ministero, i presbiteri sapranno tradurre questa esigenza in una costante e sincera attitudine a sentire con la Chiesa, cosicché lavoreranno sempre nel vincolo della comunione con il Papa, con i Vescovi, con gli altri confratelli nel sacerdozio, nonché con i fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici e con i fedeli laici.
Essi, inoltre, non mancheranno di richiedere, nelle forme legittime e tenendo conto delle capacità di ciascuno, la cooperazione dei fedeli consacrati e dei fedeli laici, nell'esercizio della loro attività.
Convinta delle profonde motivazioni teologiche e pastorali che sostengono il rapporto tra celibato e sacerdozio e illuminata dalla testimonianza che ne conferma anche oggi, nonostante dolorosi casi negativi, la validità spirituale ed evangelica in tante esistenze sacerdotali, la Chiesa ha ribadito nel Concilio Vaticano II e ripetutamente nel successivo Magistero Pontificio la « ferma volontà di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino ».176
Il celibato, infatti, é un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta che esso è un bene per se stessa e per il mondo.
Come ogni valore evangelico, anche il celibato deve essere vissuto quale novità liberante, come particolare testimonianza di radicalismo nella sequela di Cristo e segno della realtà escatologica.
« Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato Concesso.
Vi sono, infatti, eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli.
Chi può capire, capisca » ( Mt 19,10-12 ).177
Per vivere con amore e generosità il dono ricevuto, è particolarmente importante che il sacerdote comprenda fin dalla formazione seminaristica la motivazione teologica e spirituale della disciplina ecclesiastica sul celibato.178
Questo, quale dono e carisma particolare di Dio, richiede l'osservanza della continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perché i ministri sacri possano aderire con maggior facilità a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.179
La disciplina ecclesiastica manifesta, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità, la volontà della Chiesa e trova la sua ultima ragione nel legame stretto che il celibato ha con l'ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa.180
La Lettera agli Efesini ( cf Ef 5, 25-27 ) pone in stretto rapporto l'oblazione sacerdotale di Cristo ( cf Ef 5,25 ) con la santificazione della Chiesa ( cf Ef 5,26 ), amata con amore sponsale.
Inserito sacramentalmente in questo sacerdozio d'amore esclusivo di Cristo per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero esprime con il suo impegno celibatario tale amore, che diventa anche sorgente feconda di efficacia pastorale.
Il celibato, pertanto, non è un influsso che dall'esterno ricade sul ministero sacerdotale, né può essere considerato semplicemente un'istituzione imposta per legge, anche perché chi riceve il sacramento dell'Ordine vi si impegna con piena coscienza e libertà,181 dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e l'assidua preghiera.
Giunto alla ferma convinzione che Cristo gli Concede questo dono per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri, il sacerdote lo assume per tutta la vita, rafforzando questa sua volontà nella promessa già fatta durante il rito dell'ordinazione diaconale.182
Per queste ragioni, la legge ecclesiastica, da una parte conferma il carisma del celibato, mostrando come esso sia in intima connessione col ministero sacro nella sua duplice dimensione di relazione a Cristo e alla Chiesa; dall'altra tutela la libertà di colui che lo assume.183
Il presbitero, allora, consacrato a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo,184 deve essere ben conscio che ha ricevuto un dono sancito da un preciso vincolo giuridico, da cui deriva l'obbligo morale dell'osservanza.
Tale vincolo, assunto liberamente, ha carattere teologale ed è segno di quella realtà sponsale che si attua nell'ordinazione sacramentale.
Con esso il presbitero acquista anche quella paternità spirituale, ma reale, che ha dimensione universale e si Concretizza, in modo particolare, nei confronti della comunità che gli è affidata.185
Il celibato allora, è dono di sé « in » e « con » Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa « in » e « con » il Signore.186
Si rimarrebbe in una permanente immaturità se il celibato fosse vissuto come a un tributo che si paga al Signore » per accedere agli Ordini sacri e non, piuttosto, come « un dono che si riceve dalla sua misericordia »,187 come scelta di libertà e accoglienza grata di una particolare vocazione di amore per Dio e per gli uomini.
L'esempio è il Signore stesso il quale, andando contro quella che si può considerare la cultura dominante del suo tempo, ha scelto liberamente di vivere celibe.
Alla sua sequela i discepoli hanno lasciato « tutto » per compiere la missione loro affidata ( cf Lc 18,28-30 ).
Per tale motivo la Chiesa, fin dai tempi apostolici, ha voluto conservare il dono della continenza perpetua dei chierici e si è orientata a scegliere i candidati all'Ordine sacro tra i celibi ( cf 2 Ts 2,15; 1 Cor 7,5; 1 Cor 9,5; 1 Tm 3,2.12; 1 Tm 5,9; Tt 1,6.8 ).188
Nell'attuale clima culturale, condizionato spesso da una visione dell'uomo carente di valori e, soprattutto, incapace di dare un senso pieno, positivo e liberante alla sessualità umana, si ripresenta spesso la domanda sul valore e sul significato del celibato sacerdotale o, quanto meno, sull'opportunità di affermare il suo stretto legame e la sua profonda sintonia con il sacerdozio ministeriale.
Difficoltà e obiezioni hanno sempre accompagnato, lungo i secoli, la scelta della Chiesa Latina e di alcune Chiese Orientali di conferire il sacerdozio ministeriale solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della castità nel celibato.
La disciplina delle altre Chiese Orientali che ammettono il sacerdozio uxorato, non è contrapposta a quella della Chiesa Latina.
Infatti, le stesse Chiese orientali esigono comunque il celibato dai Vescovi.
Inoltre, non consentono il matrimonio dei sacerdoti e non permettono successive nozze a quelli rimasti vedovi.
Si tratta comunque sempre e soltanto dell'ordinazione di uomini già sposati.
Le difficoltà che alcuni anche oggi presentano,189 si fondano spesso su argomenti pretestuosi, come per esempio l'accusa di spiritualismo disincarnato o che la continenza comporti diffidenza o disprezzo della sessualità, oppure prendono le mossa dalla considerazione di casi difficili e dolorosi, o anche generalizzano casi particolari.
Si dimentica, invece, la testimonianza offerta dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, che vivono il proprio celibato con libertà interiore, con ricche motivazioni evangeliche, con fecondità spirituale, in un orizzonte di fedeltà convinta e gioiosa alla propria vocazione e missione.
È chiaro che, per garantire e custodire questo dono in un clima di sereno equilibrio e di spirituale progresso, devono essere praticate tutte quelle misure che allontanano il sacerdote da possibili difficoltà.190
È necessario, pertanto, che i presbiteri si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con le persone la cui familiarità può mettere in pericolo la fedeltà al dono oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.191
Nei casi particolari si deve sottostare al giudizio del Vescovo, che ha l'obbligo di impartire norme precise in materia.192
I sacerdoti, poi, non trascurino di seguire quelle regole ascetiche che sono garantite dall'esperienza della Chiesa e che sono ancor più richieste dalle circostanze odierne, per cui prudentemente evitino di frequentare luoghi e assistere a spettacoli o praticare letture che costituiscono un'insidia all'osservanza della castità celibataria.193
Nel fare uso, come agenti o come fruitori, dei mezzi di comunicazione sociale, osservino la necessaria discrezione ed evitino tutto quanto può nuocere alla vocazione.
Per custodire con amore il dono ricevuto, in un clima di esasperato permissivismo sessuale, essi dovranno trovare nella comunione con Cristo e con la Chiesa, nella devozione alla Beata Vergine Maria e nella considerazione degli esempi dei sacerdoti santi di tutti i tempi, la forza necessaria per superare le difficoltà che incontrano nel loro cammino ed agire con quella maturità che li rende credibili innanzi al mondo.194
L'obbedienza è un valore sacerdotale di primaria importanza.
Lo stesso sacrificio di Gesù sulla Croce acquistò valore e significato salvifico a causa della sua obbedienza e della sua fedeltà alla volontà del Padre.
Egli fu « obbediente fino alla morte, alla morte di Croce » ( Fil 2,8 ).
La Lettera agli Ebrei sottolinea anche che Gesù « imparò per esperienza l'obbedienza dalle cose che patì » ( Eb 5,8 ).
Si può dire, allora, che l'obbedienza al Padre è nel cuore stesso del Sacerdozio di Cristo.
Come per Cristo, anche per il presbitero, l'obbedienza esprime la volontà di Dio che gli viene manifestata attraverso i legittimi Superiori.
Questa disponibilità deve essere intesa come vera attuazione della libertà personale, conseguenza di una scelta maturata costantemente al cospetto di Dio nella preghiera.
La virtù dell'obbedienza, intrinsecamente richiesta dal sacramento e dalla struttura gerarchica della Chiesa, è chiaramente promessa dal chierico, prima nel rito di ordinazione diaconale, e poi in quello di ordinazione presbiterale.
Con essa il presbitero rafforza la sua volontà di sottomissione, entrando, così, nella dinamica dell'obbedienza di Cristo fattosi Servo obbediente fino alla morte di Croce ( cf Fil 2,7-8 ).195
Nella cultura contemporanea viene sottolineato il valore della soggettività e dell'autonomia della singola persona, come intrinseco alla sua dignità.
Questo valore, in se stesso positivo, se assolutizzato e rivendicato al di fuori del suo giusto contesto, assume una valenza negativa.196
Ciò può manifestarsi anche nell'ambito ecclesiale e nella stessa vita del sacerdote qualora le attività che egli svolge a favore della comunità, venissero ridotte ad un fatto puramente soggettivo.
In realtà il presbitero è, per la natura stessa del suo ministero, a servizio di Cristo e della Chiesa.
Egli, pertanto, si renderà disponibile ad accogliere quanto gli è giustamente indicato dai Superiori e, in modo particolare, se non è legittimamente impedito, deve accettare ed adempiere fedelmente l'incarico che gli è affidato dal suo Ordinario.197
Il presbitero è tenuto ad un « obbligo speciale di rispetto e obbedienza » nei confronti del Sommo Pontefice e del proprio Ordinario.198
In virtù dell'appartenenza ad un determinato presbiterio, egli è addetto al servizio di una Chiesa particolare, il cui principio e fondamento di unità è il Vescovo199 che ha su di essa tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l'esercizio del suo ufficio pastorale.200
La subordinazione gerarchica, richiesta dal sacramento dell'Ordine, trova la sua attuazione ecclesiologico-strutturale in riferimento al proprio Vescovo e al Romano Pontefice, il quale detiene il primato ( principatus ) della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari.201
L'obbligo dell'adesione al Magistero in materia di fede e di morale è intrinsecamente legato a tutte le funzioni che il sacerdote deve svolgere nella Chiesa.
Il dissenso in questo campo è da considerarsi grave, in quanto produce scandalo e disorientamento tra i fedeli.
Nessuno più del presbitero è consapevole del fatto che la Chiesa ha bisogno di norme.
Poiché, infatti, la sua struttura gerarchica ed organica è visibile, l'esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della guida e della celebrazione dei sacramenti, deve essere adeguatamente organizzato.202
In quanto ministro di Cristo e della sua Chiesa, il presbitero si assume generosamente l'impegno di osservare fedelmente tutte e singole le norme, evitando quelle forme di adesione parziale, secondo criteri soggettivi, che creano divisione e si ribaltano, con notevole danno pastorale, anche sui fedeli laici e sulla pubblica opinione.
Infatti « le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l'osservanza » e richiedono « che quanto viene comandato dal capo venga osserVato nelle membra ».203
Ubbidendo all'Autorità costituita, il sacerdote, fra l'altro, favorirà la mutua carità all'interno del presbiterio e quell'unità, che ha il suo fondamento nella verità.
Affinché l'osservanza dell'obbedienza sia reale e possa alimentare la comunione ecclesiale, quanti sono costituiti in autorità gli Ordinari, i Superiori religiosi, i Moderatori di Società di vita apostolica , oltre ad offrire il necessario e costante esempio personale, devono esercitare con carità il proprio carisma istituzionale, sia prevenendo, sia richiedendo, nei modi e nei tempi dovuti, l'adesione ad ogni disposizione nell'ambito magisteriale e disciplinare.204
Tale adesione è fonte di libertà, in quanto non impedisce, ma stimola la matura spontaneità del presbitero, che saprà assumere un atteggiamento pastorale sereno ed equilibrato, creando l'armonia nella quale la genialità personale si fonde in una superiore unità.
Tra i vari aspetti del problema, oggi maggiormente avvertiti, merita di essere posto in evidenza quello del convinto rispetto delle norme liturgiche.
La liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo,205 « il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù ».206
Essa costituisce un ambito dove il sacerdote deve avere particolare consapevolezza di essere ministro e di ubbidire fedelmente alla Chiesa.
« Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo »,207
Il sacerdote, pertanto, in tale materia, non aggiungerà, toglierà o muterà alcunché di sua iniziativa.208
Questo vale in particolar modo per la celebrazione dei sacramenti, che sono per eccellenza atti di Cristo e della Chiesa, e che il sacerdote amministra in persona di Cristo e a nome della Chiesa per il bene dei fedeli.209
Questi hanno un vero diritto a partecipare alle celebrazioni liturgiche così come le vuole la Chiesa e non secondo i gusti personali del singolo ministro e neppure secondo particolarismi rituali non approVati, espressioni di singoli gruppi che tendono a chiudersi all'universalità del Popolo di Dio.
È necessario che i sacerdoti, nell'esercizio del loro ministero, non solo partecipino responsabilmente alla definizione dei piani pastorali che il Vescovo con la collaborazione del Consiglio Presbiterale210 determina, ma anche armonizzino con essi le realizzazioni pratiche nella propria comunità.
La sapiente creatività, lo spirito di iniziativa propri della maturità dei presbiteri, non solo non verranno mortificati ma potranno essere adeguatamente valorizzati a tutto vantaggio della fecondità pastorale.
Intraprendere strade separate in questo campo può significare infatti indebolimento della stessa opera di evangelizzazione.
In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l'abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico.211
Il presbitero dev'essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo,212 la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.
Per questa ragione, il chierico deve portare « un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali »,213
Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero.
La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.
Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità.214
Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell'abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa.215
La povertà di Gesù ha uno scopo salvifico.
Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà ( cf 2 Cor 8,9 ).
La Lettera ai Filippesi mostra il rapporto tra la spogliazione di sé e lo spirito di servizio che deve animare il ministero pastorale.
Dice, infatti, san Paolo che Gesù non considerò un bene prezioso l'essere uguale a Dio, ma umiliò se stesso assumendo la forma di servo » ( Fil 2,6-7 ).
In verità, difficilmente il sacerdote si renderà vero servo e ministro dei suoi fratelli, se sarà preoccupato delle sue comodità e di un eccessivo benessere.
Attraverso la condizione di povero, Cristo manifesta che tutto ha ricevuto fin dall'eternità dal Padre e tutto a Lui restituisce fino all'offerta totale della sua vita.
L'esempio di Cristo povero deve portare il presbitero a conformarsi a Lui, nella libertà interiore rispetto a tutti i beni e le ricchezze del mondo.216
Il Signore ci insegna che il vero bene è Dio e che la vera ricchezza è guadagnare la vita eterna: « Che giova, infatti, all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?
E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? » ( Mc 8,36-37 ).
Il sacerdote, la cui parte di eredità è il Signore ( cf Nm 18,20 ), sa che la sua missione, come quella della Chiesa, si svolge in mezzo al mondo e che i beni creati sono necessari per lo sviluppo personale dell'uomo.
Egli però userà tali beni con senso di responsabilità, moderazione, retta intenzione e distacco, proprio di chi ha il suo tesoro nei cieli e sa che tutto deve essere usato per l'edificazione del Regno di Dio ( Lc 10,7; Mt 10,9-10; 1 Cor 9,14; Gal 6,6 ).217
Pertanto, si asterrà da quelle attività lucrative, che non sono consone al suo ministero.218
Ricordando, inoltre, che il dono che ha ricevuto è gratuito, sia disposto a dare gratuitamente ( Mt 10,8; At 8,18-25 ),219 e ad impiegare per il bene della Chiesa e per opere di carità quanto riceve in occasione dell'esercizio del suo ufficio, dopo aver provveduto al proprio onesto sostentamento e all'adempimento di tutti i doveri del proprio stato.220
Il presbitero, infine, pur non assumendo la povertà con una promessa pubblica, è tenuto a condurre una vita semplice e ad astenersi da quanto può avere sapore di vanità,221 abbracciando così la povertà volontaria per seguire più da vicino Cristo.222
In tutto ( abitazione, mezzi di trasporto, vacanze, ecc. ), il presbitero elimini ogni tipo di ricercatezza e di lusso.223
Amico dei più poveri, egli riserverà a questi le più delicate attenzioni della sua carità pastorale, con una opzione preferenziale, non esclusiva e non escludente, per tutte le povertà vecchie e nuove, tragicamente presenti nel mondo, ricordando sempre che la prima miseria da cui deve essere liberato l'uomo è il peccato, radice ultima di ogni male.
Esiste una « relazione essenziale … tra la Madre di Gesù e il sacerdozio dei ministri del Figlio », derivante da quella che c'è tra la divina maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo.224
In tale relazione è radicata la spiritualità mariana di ogni presbitero.
La spiritualità sacerdotale non può dirsi completa se non prende seriamente in considerazione il testamento di Cristo crocifisso, che volle consegnare la Madre al discepolo prediletto e, tramite lui, a tutti i sacerdoti chiamati a continuare la Sua opera di redenzione.
Come a Giovanni ai piedi della Croce, così ad ogni presbitero è affidata, in modo speciale, Maria come Madre ( cf Gv 19,26-27 ).
I sacerdoti, che sono tra i discepoli più amati da Gesù crocifisso e risorto, devono accogliere Maria come loro Madre nella propria vita, facendola oggetto di continua attenzione e preghiera.
La sempre Vergine diventa allora la Madre che li conduce a Cristo, che fa loro amare autenticamente la Chiesa, che intercede per essi e che li guida verso il Regno dei cieli.
Ogni presbitero sa che Maria, perché Madre, è anche la più eminente formatrice del suo sacerdozio, giacché è Lei che sa modellare il suo cuore sacerdotale, proteggerlo dai pericoli, dalle stanchezze, dagli scoraggiamenti e vegliare, con materna sollecitudine, affinché egli possa crescere in sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini ( cf Lc 2,40 ).
Ma non si è figli devoti se non si sanno imitare le virtù della Madre.
A Maria, quindi, il presbitero guarderà per essere ministro umile, obbediente, casto e per testimoniare la carità nella donazione totale al Signore e alla Chiesa.225
Capolavoro del Sacrificio sacerdotale di Cristo, la Madonna rappresenta la Chiesa nel modo più puro, « senza macchia né ruga », tutta « santa e immacolata » ( Ef 5,27 ).
Questa contemplazione della beata Vergine pone dinanzi al presbitero l'ideale a cui tendere nel ministero della propria comunità, affinché pure questa sia « Chiesa tutta gloriosa » ( Ef 5,27 ) mediante il dono sacerdotale della propria vita.
Indice |
102 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 5 |
103 | Cf. Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale, n. 24 alla IV. Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano ( Santo Domingo, 12-28 ottobre 1992 ) |
104 | Ibid., 1 |
105 | Ibid., 25 |
106 | Cf. Ibid. |
107 | Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo ( 13 aprile 1987 ) |
108 | Cf. C.I.C, can. 276, § 2, 1 |
109 | Cf. Conc. Ecum.. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5;
n. 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 23; n. 26; n. 38; n. 46; n. 48; C.I.C, can. 246, § 1; can. 276, § 2, 2 |
110 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5;
n. 18; C.I.C., can. 246, § 4; can. 276, § 2,5; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26; n. 48 |
111 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C, can. 239; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 40; n. 50; n. 81 |
112 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C., can. 246, § 2; can. 276, § 2, 3; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26; n. 72 |
113 | Cf. C.I.C. 1174, §1 |
114 | Conc. Ecum. Vat. II Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Giovanni Paolo II, Esort. Ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26; nn. 37-38; n. 47; n. 51; n. 53; n. 72 |
115 | Cf. C.I.C, can. 276, § 2, 5 |
116 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 4;
n. 13;
n. 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26; n. 47; n. 53; n. 70; n. 72 |
117 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C, can. 276, § 2, 4; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 80 |
118 | Cf. Conc. Ecum. Vat II Decr.
Presbyterorum Ordinis 18; C.I.C, can. 246, § 3; can. 276, § 2, 5; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 36; n. 38; n. 45; n. 82 |
119 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26; n. 37; n. 38; n. 47; n. 51; n. 53; n. 72 |
120 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 18c |
121 | Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979
Novo incipiente, 1 ( 9 aprile 1979 ); Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 80 |
122 | Cf. Possidio, Vita Sancti Aurelii Augustini, 31: PL 32, 63-66 |
123 | Cf. Liturgia Horarum, Institutio Generalis, nn. 3-4 |
124 | Pontificale Romanum, Deordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, cap. II, n. 151, Ed. typica altera, 1990, pp. 87-88 |
125 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus, II, I, 3 ( 30 novembre 1971 ): AAS 63 (1971), 913-915; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 46-47 Catechesi nell'Udienza Generale, n. 3 del 2 giugno 1993 |
126 | « Numquam enim minus solus sum, quam cum solus esse videor »: Epist. 33, 1 ( Maur. 49 ): CSEL, 82, 229 |
127 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 14; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 23 |
128 | Cf. C.I.C, can. 279, § 1 |
129 | Cf. Cost. dogm.
Dei Verbum, 5; Cat. Chiesa Cat., n. 12, n. 142 |
130 | Cf. Cat. Chiesa Cat., nn. 150-152, nn. 185-187 |
131 | Cf. Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza Generale, n. 6 del 21 aprile 1993 |
132 | Cf. Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 25 |
133 | Cf. C.I.C., can. 757, can. 762, can. 776 |
134 | Decr. Presbyterorum Ordinis, 4 |
135 | Ibid.; Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 26 |
136 | Cf. Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale del 21 aprile 1993 |
137 | Cf. Cost. dogm.
Dei Verbum, 10; Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale del 21 aprile 1993 |
138 | Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 43, a. 5 |
139 | Cf. C.I.C., can. 769 |
140 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 18 ( 16 ottobre 1979 ) |
141 | Cf. C.I.C., can. 768 |
142 | Cf. C.I.C., can. 776 |
143 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 9 |
144 | Cf. Ibid., 6 |
145 | Cf. C.I.C., can. 779 |
146 | Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei Depositum, 4 ( 11 ottobre 1992 ) |
147 | Cf. Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale, n. 3 del 12 maggio 1993 |
148 | Cf. Conc. Ecum Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 5 |
149 | Ibid. |
150 | Cf.
ibid., 5;
n. 13; S. Giustino, Apologia I, 67: PG 6, 429432; S. Agostino, In Iohannis Evagelium Tractatus, 26 nn. 13-15 |
151 | Cf. C.I.C., can. 904 |
152 | Cf. Cost. Sacrosanctum Concilium, 128 |
153 | Cf. ibid., 122-124 |
154 | Cf. ibid., 112, n. 114, n. 116 |
155 | Cf. ibid., 120 |
156 | Cf. Ibid., 30 |
157 | Cf. C.I.C., can. 899, 3 |
158 | Cf. Cost.
Sacrosanctum Concilium 22; C.I.C., can. 846, § 1 |
159 | Cf.
C.I.C., can. 929; Missale Romanum, Instituto Generalis, n. 81; n. 298; S. Congr. per il culto divino, Istruzione Liturgicae instaurationes, 8c ( 5 settembre 1970 ) |
160 | Giovanni Paolo II, Catechesi
nell'Udienza Generale, n. 6 del 9 giugno 1993 Cf. Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 48; S. Congr. dei riti, Istr. Eucharisticum Mysterium, 50 ( 25 maggio 1967 ): AAS 59 (1967), 539573; Cat. Chiesa Cat., n. 1418 |
161 | Giovanni Paolo II, Catechesi
nell'Udienza Generale, n. 5 del 2 giugno 1993; Cf. Conc. Ecum . Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 99-100 |
162 | Cf. Conc. Ecum. Trident.,
sess. VI, de iustificatione, c. 14; sess. XIV, de poenitentia, c. 1, c. 2, cc. 5-7, can. 4-10; sess. XXIII, de ordine, c. 1; Conc. Ecum Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2, n. 5; C.I.C., can. 965 |
163 | Cf. Cat. Chiesa Cat., nn. 1443-1445 |
164 | Cf.
C.I.C., can. 966, § 1;
can. 978, § 1;
can. 981; Giovanni Paolo II, Discorso alla Penitenzieria Apostolica del 27 marzo 1993 |
165 | Cf. C.I.C., can. 986 |
166 | Cf.
ibid., can. 960; Giovanni Paolo II, Litt. enc. Redemptor hominis, 20 |
167 | Cf.
C.I.C., cann. 961-963; Paolo VI, Allocuzione ( 20 marzo 1978 ), AAS 70 (1978), 328-332; Giovanni Paolo II, Allocuzione ( 30 gennaio 1981 ); Esort. ap. postsinodale ReConciliatio et paenitentia, 33 ( 2 dicembre 1984 ) |
168 | Cf. C.I.C., can. 978, § 1, can. 981 |
169 | Cf. ibid., can. 964 |
170 | Cf.
ibid. can. 276, § 2, 5; Conc. Ecum Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18b |
171 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
ReConciliatio et Paenitentia, 31 ( 2 dicembre 1984 ); Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis 26 |
172 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale ReConciliatio et paenitentia, 32 ( 2 dicembre 1984 ) |
173 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis 22-23; Cf. Lett. ap. Mulieris dignitatem, 26 ( 15 agosto 1988 ) |
174 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 6; C.I.C., can. 529, § 1 |
175 | S. Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, III, 6: PG 48, 643-644: « La nascita spirituale delle anime è privilegio dei sacerdoti: essi le fanno nascere alla vita della grazia per mezzo del battesimo; per mezzo loro noi ci rivestiamo di Cristo, siamo consepolti con il Figlio di Dio e diventiamo membra di quel beato capo ( Cf.
Rm 6,1;
Gal 3,27 ). Quindi noi dobbiamo non solamente rispettarli più che principi e re, ma venerarli più dei nostri genitori. Questi infatti ci hanno generati dal sangue e dalla volontà della carne ( Cf. Gv 1,13 ); quelli invece ci fanno nascere figli di Dio; essi sono gli strumenti della nostra beata rigenerazione, della nostra libertà e della nostra adozione nell'ordine della grazia » |
176 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale
Pastores dabo vobis, 29; Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 16; Paolo VI, Lett. Enc. Sacerdotalis coelibatus, 14 ( 24 giugno 1967 ); C.I.C., can. 277, § 1 |
177 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett enc. Veritatis splendor, 22b.c. ( 6 agosto 1993 ) |
178 | Cf. Conc. Ecum. Vat. II Decr.
Optatam totius, 10; C.I.C, can. 247, § 1; Congr. per l'educazione cattolica, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, 48 ( 19 marzo 1985 ); Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale, n. 16 ( 11 aprile 1974 ) |
179 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 Novo incipiente, 8 ( 9 aprile 1979 ); Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 29; C.I.C., can. 277, § 1 |
180 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16a; Paolo VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus, 14 ( 24 giugno 1967 ) |
181 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16c; C.I.C., can. 1036; can. 1037 |
182 | Cf. Pontificale Romanum De ordinatione Episcopi; Presbyterorum et Diaconorum, cap. III, n. 228, Ed. typica altera, 1990, p. 134; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 Novo incipiente, 9 ( 9 aprile 1979 ) |
183 | Cf. Sinodo dei Vescovi, Documento Ultimis temporibus, II, I, 4c, ( 30 novembre 1971 ) |
184 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 16b |
185 | Cf. Ibid. |
186 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 29 |
187 | S. Congr. per l'educazione cattolica, Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale, n. 16, ( 11 aprile 1974 ) |
188 | Per l'interpretazione di questi testi, Cf. Conc. di Elvira, ( a. 300-305 ) can. 27, can. 33: Bruns Herm., Canones Apostolorum et Conciliorum saec. IVVII II, 56; Conc. di Neocesarea ( a. 314 ), can. 1: Pont. Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, 1/2, 74-82; Conc. Ecum. Niceno I, can. 3 ( a. 325 ); Sinodo Romano ( a. 386 ): ibid., ( in Conc. di Telepte ), 58-63; Conc. di Cartagine ( a. 390 ): Concilia Africae a. 345-525, CCL 149, 13. 133ss; Conc. Trullano ( a. 691 ), cann. 3, 6, 12, 13, 26, 30, 48: Pont Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, I/1, 125-186; Siricio, decretale Directa ( a. 386 ): PL 13, 1131-1147; Innocenzio I, lett. Dominus inter ( a. 405 ): Bruns cit. 274-277; S. Leone Magno, lett. a Rusticus ( a. 456 ): PL 54, 1191; Eusebio di Cesarea, Demonstratio Evangelica, 1 9: PG 22, 82 (78-83) Epifanio di Salamina, Panarion, PG 41, 868. 1024; Expositio Fidei, PG 42, 822-826 |
189 | Cf. Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa in occasione del Giovedì Santo 1993 ( 8 aprile 1993 ); per ulteriori approfondimenti, Cf. Solo per amore, riflessioni sul celibato sacerdotale, a cura della Congr. per il clero, Ed. Paoline, 1993; Identità e missione del Sacerdote, a cura di G. Pittau C. Sepe, Ed. Città Nuova 1994 |
190 | S. Giovanni Crisostomo, De Sacerdotio, VI, 2: PG 48, 679: « L'anima del sacerdote deve essere più pura dei raggi del sole, affinché lo Spirito Santo non lo abbandoni e affinché possa dire: Vivo non già io, ma vive in me Cristo (
Gal 2,20 ). Se gli anacoreti del deserto, lontani dalla città e dai pubblici ritrovi e da ogni strepito proprio di quei luoghi, godendo pienamente il porto e la bonaccia, non s'inducono a confidare nella sicurezza di quella loro vita, ma aggiungono infinite altre attenzioni, munendosi da ogni parte e studiandosi di fare o dire ogni cosa con grande diligenza, per potersi presentare al cospetto di Dio con fiducia e intatta purezza, per quanto è possibile alle umane facoltà; qual forza e violenza ti pare che sarà necessaria al sacerdote, per sottrarre l'anima sua ad ogni macchia e serbarne intatta la spirituale bellezza? A lui occorre certamente purezza maggiore che ai monaci. E tuttavia, proprio lui, che ne ha maggior bisogno, è esposto a maggiori occasioni inevitabili, nelle quali può essere contaminato, se con assidua sobrietà e vigilanza non renda l'anima sua inaccessibile a quelle insidie » |
191 | Cf. C.I.C., Can. 277, § 2 |
192 | Cf. ibid., can. 277, § 3 |
193 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 16c |
194 | Cf. Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus, 79-81 ( 24 giugno 1967 ); Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 29 |
195 | Cf. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 15c; Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis, 27 |
196 | Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 31 ( 6 agosto 1993 ), n. 32, n. 106 |
197 | Cf. C.I.C., can. 274, § 2 |
198 | Cf. C.I.C., can. 273 |
199 | Cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 23a |
200 | Cf.
Ibid., 27a; C.I.C., can. 381, § 1 |
201 | Cf. Decr.
Christus Dominus, 2a; Cost. dogm. Lumen gentium, 22b; C.I.C., can. 333, § 1 |
202 | Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Sacrae disciplinae leges ( 25 gennaio 1983 ); Discorso ai partecipanti al Symposium internationale « Ius in vita et in missione Ecclesiae », ( 23 aprile 1993 ) |
203 | Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacrae disciplinae leges ( 25 gennaio 1983 ) |
204 | Cf. C.I.C., can. 392 |
205 | Cf. Conc. Ecum.. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 7 |
206 | Ibid., 10 |
207 | C.I.C., can. 838 |
208 | Cf. Cost. Sacrosanctum Concilium, 22 |
209 | Cf. C.I.C., can. 846, § 1 |
210 | Cf. S. Congr. per il clero, Lettera circolare Omnis Christifideles, 9 ( 25 gennaio 1973 ) |
211 | Cf. Giovanni Paolo II, Lettera al Card. Vicario di Roma ( 8 settembre 1982 ) |
212 | Cf. Paolo VI, Allocuzioni al clero (
17 febbraio 1969;
17 febbraio 1972;
10 febbraio 1978 ); Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979 Novo incipiente, 7 ( 9 aprile 1979 ); Allocuzioni al clero ( 9 novembre 1978; 19 aprile 1979 ) |
213 | C.I.C., can 284 |
214 | Cf. Paolo VI, Motu Proprio
Ecclesiae Sanctae, 1, 25, 2d; S. Congr. per i Vescovi, Lettera circolare a tutti i Rappresentanti Pontifici Per venire incontro ( 27 gennaio 1976 ); S. Congr. per l'educazione cattolica, Lettera circolare The document ( 6 gennaio 1980 ) |
215 | Cf. Paolo VI, Catechesi nell'Udienza generale del
17 settembre 1969; Allocuzione al clero ( 1 marzo 1973 ): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176 |
216 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 17a.d; nn. 20-21 |
217 | Cf.
Ibid., 17a.c; Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale, n. 3 del 21 luglio 1993 |
218 | Cf. C.I.C., can. 286; can. 1392 |
219 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 17d |
220 | Cf.
Ibid., 17c; C.I.C., can. 282; can. 222, § 2; can. 529, § 1 |
221 | Cf. C.I.C., can. 282, § 1 |
222 | Cf. Decr. Presbyterorum Ordinis, 17d |
223 | Cf. ibid., 17e |
224 | Cf. Giovanni Paolo II, Catechesi nell'Udienza generale del 30 giugno 1993 |
225 | Cf. Conc. Ecum. Vat II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18b |