La grazia e il libero arbitrio |
Molto ormai abbiamo discusso a motivo di quelli che nella loro predicazione osano negare la grazia di Dio e si provano ad eliminarla per rivendicare il libero arbitrio dell'uomo.
Eppure è per mezzo di questa che noi siamo chiamati a lui e veniamo liberati dai nostri demeriti; per mezzo di questa ci acquistiamo i meriti positivi con i quali pervenire alla vita eterna.
Quanto il Signore si è degnato di donarci lo abbiamo affidato agli scritti.
Ma alcuni sostengono la grazia di Dio in maniera tale da negare il libero arbitrio dell'uomo, o pensano che sostenendo la grazia si neghi il libero arbitrio; per questo motivo, spinto dal reciproco sentimento di affezione, mi sono preoccupato di indirizzare qualcosa per iscritto alla Carità tua, fratello Valentino, e di voi tutti che insieme servite Dio.
Infatti mi sono state portate notizie a vostro riguardo, fratelli, da parte di alcuni che appartengono alla vostra comunità e che da essa sono venuti presso di noi; poiché su tale questione avete delle divergenze, abbiamo approfittato di queste stesse persone per indirizzarvi il nostro scritto.
Dunque, o carissimi, perché non vi turbi l'oscurità di questo problema, vi esorto in primo luogo a rendere grazie a Dio di quelle cose che comprendete; ma qualunque cosa vi sia a cui lo sforzo della vostra mente non possa ancora pervenire, osservando la pace e la carità fra di voi, pregate dal Signore di capire.
E finché egli stesso non vi guidi a quei punti che ancora non capite, camminate lì dove avete avuto le forze di pervenire.
A ciò ammonisce l'apostolo Paolo, il quale, dopo aver detto di non essere ancora perfetto, poco dopo afferma: Tutti noi dunque, che siamo perfetti, è così che dobbiamo pensare; cioè, che noi siamo sì perfetti, ma non in maniera tale da essere già arrivati alla perfezione che ci è sufficiente; e poi aggiunge:
E se su qualche cosa la pensate diversamente, Dio vi concederà la rivelazione anche su questo; tuttavia, nel punto a cui siamo giunti, lì continuiamo a camminare. ( Fil 3,15-16 )
Camminando infatti lì dove siamo giunti, potremo arrivare anche al punto a cui non siamo ancora pervenuti; sarà Dio a darci la rivelazione se in qualcosa la pensiamo diversamente, a patto che non abbandoniamo ciò che ci ha già rivelato.
D'altra parte per mezzo delle Scritture sue sante ci ha rivelato che c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà.
In qual maniera poi lo abbia rivelato, ve lo ricordo non con le mie parole umane, ma con quelle divine.
In primo luogo gli stessi precetti divini non gioverebbero all'uomo, se egli non avesse il libero arbitrio della propria volontà per mezzo del quale adempie questi precetti e giunge quindi ai premi promessi.
Infatti essi sono stati dati per questo, perché l'uomo non potesse addurre la giustificazione dell'ignoranza, come il Signore dice nel Vangelo riguardo ai Giudei: Se io non fossi venuto e non avessi parlato a loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno giustificazioni per il peccato. ( Gv 15,22 )
Di quale peccato parla, se non di quello grande che Egli, pronunciando queste parole, già prevedeva in loro, cioè quello della sua uccisione?
E infatti non erano certo privi di ogni peccato prima che Cristo venisse presso di essi fatto carne.
È così che dice l'Apostolo: Si discopre l'ira di Dio dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia di quegli uomini che imprigionano la verità nella scelleratezza, perché ciò che di Dio è noto, è loro svelato; infatti Dio lo manifestò ad essi.
Le sue perfezioni invisibili, a partire dalla creazione del mondo, per mezzo delle opere che sono state compiute, si scorgono attraverso l'intelletto; ed anche la sua sempiterna potenza e divinità, così che sono inescusabili. ( Rm 1,18-20 )
In quale senso può dire inescusabili, se non riferendosi a quella scusa che l'umana superbia ha l'abitudine di addurre: "Se avessi saputo, lo avrei fatto; non l'ho fatto appunto perché non lo sapevo"?
Oppure: "Se sapessi, lo farei; non lo faccio appunto perché non so"?
Ma questa scusa viene loro sottratta, quando si formula un precetto o quando s'impartiscono le cognizioni per non peccare.
Ma ci sono uomini che cercano di giustificarsi perfino mettendo avanti Dio stesso, e a loro dice l'apostolo Giacomo: Nessuno, quando è tentato, dica: È da Dio che sono tentato.
Dio infatti non è tentatore al male; Egli al contrario non tenta nessuno.
Ma ognuno è tentato perché attratto ed allettato dalla propria concupiscenza; poi la concupiscenza, quando ha concepito, genera il peccato; e il peccato, quando è stato commesso, genera la morte. ( Gc 1,13-15 )
Sempre a coloro che vogliono scusarsi prendendo a giustificazione Dio stesso, risponde il libro dei Proverbi di Salomone: La stoltezza dell'uomo stravolge le sue vie; e invece nel suo cuore egli accusa Dio. ( Pr 19,3 )
E il libro dell'Ecclesiastico afferma: Non dire: È a causa del Signore che ho deviato; infatti tu non fare ciò che Egli detesta.
Non dire: È perché Egli stesso mi ha tratto in errore; infatti Egli non ha bisogno di uomini peccatori.
Il Signore odia ogni turpitudine e questa non è cosa che si possa amare da parte di coloro che lo temono.
Egli all'inizio creò l'uomo e lo lasciò in mano al proprio consiglio.
Se vorrai, osserverai ciò che ti viene prescritto e la completa fedeltà a ciò che a Lui piace.
Egli ti mette davanti il fuoco e l'acqua; stendi la mano verso ciò che vorrai.
Dinanzi agli occhi dell'uomo c'è la vita e la morte, e gli sarà data quella delle due che gli piacerà. ( Sir 15,11-18 )
Ecco che vediamo espresso nella maniera più lampante il libero arbitrio della volontà umana.
E che significa il fatto che Dio ordina in tanti passi di osservare e di compiere tutti i suoi precetti?
Come lo può ordinare, se non c'è il libero arbitrio?
E quel beato di cui il Salmo dice che la sua volontà fu nella legge del Signore, ( Sal 1,2 ) non chiarisce forse abbastanza che l'uomo perdura di propria volontà nella legge di Dio?
E poi sono tanto numerosi i precetti che in un modo o nell'altro fanno riferimento nominale proprio alla volontà, come per esempio: Non voler essere vinto dal male; ( Rm 12,21 ) e altri simili, come:
Non vogliate diventare come il cavallo e il mulo, che non possiedono l'intelletto; ( Sal 32,9 )
poi: Non voler respingere i consigli della madre tua; ( Pr 1,8 )
e: Non voler essere saggio di fronte a te stesso; ( Pr 3,7 )
Non voler trascurare la disciplina del Signore; ( Pr 3,11 )
Non voler dimenticare la legge; ( Pr 3, 1; Pr 4,2 )
Non voler fare a meno di beneficare chi ha bisogno; ( Pr 3,27 )
Non voler macchinare cattiverie contro il tuo amico; ( Pr 3,29 )
Non voler dar retta alla donna maliziosa; ( Pr 5,2 )
Non ha voluto apprendere ad agire bene; ( Sal 36,4 )
Non vollero accettare la disciplina. ( Pr 1,29 )
Gli innumerevoli passi di questo genere nei Testi antichi della parola divina che cosa dimostrano, se non il libero arbitrio della volontà umana?
E anche i nuovi Libri dei Vangeli e degli Apostoli è proprio questo che rendono chiaro, quando dicono: Non vogliate ammucchiarvi tesori sulla terra; ( Mt 6,19 )
e: Non vogliate temere coloro che uccidono il corpo; ( Mt 10,28 )
Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso; ( Mt 16,24; Lc 9,23 )
Pace in terra agli uomini di buona volontà. ( Lc 2,14 )
E anche l'apostolo Paolo dice: Faccia quello che vuole, non pecca se sposa; ma chi ha preso una risoluzione nel suo cuore, non avendo necessità, ma anzi piena padronanza del proprio volere, e questo ha stabilito, di conservare la sua vergine, fa bene. ( 1 Cor 7,36-37 )
Alla stessa maniera dice ancora: Se faccio ciò volontariamente, ne ricevo ricompensa; ( 1 Cor 9,17 )
e in un altro passo: Siate sobri giustamente, e non vogliate peccare; ( 1 Cor 15,34 )
poi: Come l'animo è pronto a volere, così lo sia anche nell'adempiere. ( 2 Cor 8,11 )
E a Timoteo dice: Infatti dopo che hanno vissuto in Cristo fra le delicatezze, vogliono sposarsi; ( 1 Tm 5,11 )
e altrove: Ma anche tutti coloro che vogliono vivere pienamente in Cristo Gesù, soffriranno persecuzione; ( 2 Tm 3,12 )
e a Timoteo personalmente: Non voler trascurare la grazia che è in te; ( 1 Tm 4,14 )
e a Filemone: Affinché il tuo beneficio non provenisse come da una necessità ma dalla tua volontà. ( Fm 14 )
Ammonisce anche gli stessi schiavi a servire i propri padroni di cuore e con buona volontà. ( Ef 6,6-7 )
Parimenti Giacomo esorta: Non vogliate dunque errare, fratelli miei, e mettere la fede del nostro Signore Gesù Cristo in relazione a riguardi personali; ( Gc 2,1 ) e: Non vogliate dir male l'uno dell'altro. ( Gc 4,11 )
Allo stesso modo dice Giovanni nella sua epistola: Non vogliate amare il mondo; ( 1 Gv 2,15 ) e così tutti gli altri passi di tal genere.
Quindi certamente quando si dice: Non volere questo o non volere quello, e quando negli ammonimenti divini a fare o a non fare qualcosa si richiede l'opera della volontà, il libero arbitrio risulta sufficientemente dimostrato.
Nessuno dunque, quando pecca, accusi Dio nel suo cuore, ma ciascuno incolpi se stesso; e quando compie un atto secondo Dio, non ne escluda la propria volontà.
Quando infatti uno agisce di proprio volere, è allora che bisogna parlare di opera buona ed è allora che per quest'opera buona bisogna sperare la ricompensa da Colui del quale è detto: Renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Mt 16,27; Rm 2,6; Ap 22,12 )
Dunque a quelli che conoscono i precetti divini, viene sottratta la giustificazione che gli uomini sono soliti far valere quando mettono avanti l'ignoranza.
Ma non rimarranno senza castigo neppure quelli stessi che ignorano la legge di Dio.
Infatti coloro che hanno peccato senza la legge, senza la legge periranno; ma quelli che hanno peccato nella legge, attraverso la legge saranno giudicati. ( Rm 2,12 )
E a me non sembra che le parole dell'Apostolo abbiano questo significato: coloro che peccando non conoscono la legge, subiranno una forma di castigo peggiore di quelli che la conoscono.
Certo perire sembra cosa peggiore che venir giudicati, ma egli dice ciò a proposito di pagani e Giudei; ora, se quelli sono senza la legge, questi invece la legge l'hanno ricevuta.
Chi oserà dunque dire che i Giudei, che peccano nella legge, non periranno, perché non hanno creduto in Cristo?
È un fatto che di essi è detto: Saranno giudicati attraverso la legge.
Ora senza la fede in Cristo nessuno può essere assolto; e perciò non potrà essere che uno il giudizio su di loro: essi periranno.
Infatti se è peggiore la condizione di coloro che non conoscono la legge rispetto a coloro che la conoscono, non sarebbe più vero ciò che il Signore dice nel Vangelo:
Il servo che non conosce la volontà del suo padrone e fa cose da meritare percosse, sarà battuto moderatamente; ma il servo che conosce la volontà del suo padrone e fa cose da meritare percosse, sarà battuto assai. ( Lc 12, 48.47 )
Ecco dove si dimostra che l'uomo consapevole pecca più gravemente di quello inconsapevole.
Eppure non per questo bisogna rifugiarsi nelle tenebre dell'ignoranza, in modo che ognuno possa cercare in esse la propria giustificazione.
Infatti una cosa è non aver saputo, e un'altra non aver voluto sapere.
Certamente è la volontà che viene messa sotto accusa in colui del quale si dice: Non ha voluto apprendere ad agire bene. ( Sal 36,4 )
Ma anche se ci troviamo di fronte non all'ignoranza di chi non vuol sapere, ma di chi, per così dire, non sa, questa pure non assolve nessuno dall'ardere nel fuoco eterno; e ciò vale anche se uno non ha creduto perché non ha udito assolutamente nulla in cui credere.
Se mai, in questo caso, arderà in maniera più mite.
Infatti non senza causa è stato detto: Riversa la tua ira sulle genti che non ti conoscono; ( Sal 79,6 ) e in questo senso si esprime anche l'Apostolo: Quando verrà nel divampare del fuoco a trarre vendetta di quelli che ignorano Dio. ( 2 Ts 1,8 )
Al contrario, per acquistare questa conoscenza e perché nessuno possa dire: Non ho saputo, non ho udito, non ho compreso, si chiama in causa la volontà umana, quando si dice: Non vogliate essere come il cavallo e il mulo, che non possiedono l'intelletto. ( Sal 32,9 )
È anche vero comunque che appare peggiore colui del quale si dice: Il servo ostinato non si potrà correggere con le parole; infatti se capirà, non obbedirà. ( Pr 29,19 )
Quando poi l'uomo afferma: Non posso fare quello che viene ordinato, perché sono vinto dalla mia concupiscenza, ( Rm 7,18 ) già a questo punto non adduce più la giustificazione dell'ignoranza, né in cuor suo accusa più Dio, ma riconosce in sé il male e se ne duole; tuttavia a lui dice l'Apostolo: Non voler essere vinto dal male, ma vinci il male con il bene. ( Rm 12,21 )
E appunto se ad uno è detto: Non voler essere vinto, si fa richiamo senza dubbio all'arbitrio della sua volontà.
Infatti volere e non volere appartengono alla volontà dell'individuo.
C'è però un pericolo: tutte queste testimonianze divine in difesa del libero arbitrio, e quante altre ve ne sono, senza alcun dubbio numerosissime, potrebbero essere intese in maniera tale da non lasciare spazio all'aiuto e alla grazia di Dio, necessari per la vita pia e le buone pratiche alle quali è dovuta la mercede eterna.
Inoltre l'uomo nella sua miseria, quando vive bene e opera bene, o piuttosto si crede di vivere bene ed operare bene, potrebbe gloriarsi in se stesso e non nel Signore e riporre nella sua persona la speranza di vivere rettamente; allora lo coglierebbe la maledizione del profeta Geremia, che dice:
Maledetto l'uomo che ha sperato nell'uomo e fa forza nella carne del braccio suo, mentre il suo cuore si allontana dal Signore. ( Ger 17,5 )
Comprendete, o fratelli, questa testimonianza del Profeta.
Dato infatti che egli non ha detto: Maledetto l'uomo che ha speranza in se stesso, a qualcuno potrebbe sembrare che l'espressione: Maledetto l'uomo che ha speranza nell'uomo, vada presa nel senso che nessuno deve avere speranza in un altro uomo, ma in se stesso sì.
Dunque, per mostrare che l'avvertimento per l'uomo è di non avere speranza neppure in se stesso, se prima ha detto: Maledetto l'uomo che ha speranza nell'uomo, poi aggiunge: e fa forza nella carne del braccio suo.
Ma nel termine carne bisogna intendere la fragilità umana; e per questo fa forza sulla carne del braccio suo chi pensa che una potenza fragile e debole, come quella umana, gli sia sufficiente per bene operare e non spera aiuto nel Signore.
Proprio perciò aggiunge: e il suo cuore si allontana dal Signore.
Di questo genere è l'eresia pelagiana, che non è di quelle antiche, ma è sorta non molto tempo fa; contro questa eresia, dopo che si è disputato tanto a lungo, c'è stato bisogno di ricorrere ultimamente anche a concili episcopali, per cui ho voluto inviarvi una relazione non certo di tutti gli argomenti, ma almeno di qualche parte.
Dunque noi per il bene operare non dobbiamo riporre la speranza nell'uomo, facendo forza sulla carne del braccio nostro, e il nostro cuore non si deve allontanare dal Signore, anzi gli dica: Sii il mio sostegno, non abbandonarmi e non spregiarmi, Dio, salvatore mio. ( Sal 27,9 )
Fin qui, carissimi, abbiamo provato, con le testimonianze delle sante Scritture citate sopra, che per vivere bene e agire rettamente c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà; ma adesso vediamo anche quali siano le testimonianze divine sulla grazia di Dio, senza la quale nulla di buono possiamo compiere.
E in primo luogo dirò qualcosa proprio su ciò che voi professate.
Infatti non vi accoglierebbe questa comunità nella quale vivete in continenza, se non disprezzaste i piaceri coniugali.
È qui il punto: quando i discepoli obiettarono ai ragionamenti del Signore: Se tale è la condizione dell'uomo con la moglie, non conviene sposare, egli rispose loro: Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli ai quali è concesso. ( Mt 19,10-11 )
Non è forse al libero arbitrio di Timoteo che l'Apostolo rivolge la sua esortazione dicendo: Mantieni puro te stesso ? ( 1 Tm 5,22 )
E proprio riguardo a questo consiglio dimostra il potere della volontà, quando dice: Non avendo necessità, ma anzi piena padronanza del proprio volere, di conservare la sua vergine. ( 1 Cor 7,37 )
Eppure: Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli ai quali è concesso.
Infatti coloro ai quali non è concesso, o non vogliono o non riescono a portare a termine ciò che vogliono; mentre coloro ai quali è concesso, vogliono così da compiere ciò che vogliono.
Ora, il fatto che questa parola, che non è compresa da tutti, sia compresa da alcuni, è insieme dono di Dio e libero arbitrio.
E proprio della pudicizia coniugale l'Apostolo dice precisamente: Faccia ciò che vuole, non pecca se sposa; ( 1 Cor 7,36 ) e tuttavia anche questo è dono di Dio, poiché la Scrittura dice: La moglie è congiunta al marito dal Signore. ( Pr 19, 14 sec. LXX )
Perciò il Dottore delle Genti loda nella sua lettera sia la pudicizia coniugale, per mezzo della quale non si commettono adultèri, sia la più compiuta continenza, per mezzo della quale non si ricerca nessun rapporto carnale; e dimostra che sia questa sia quella sono un dono di Dio, quando nella lettera ai Corinzi esorta i coniugi a non sottrarsi a vicenda il debito coniugale.
Dopo questa raccomandazione aggiunge: Vorrei certo che tutti fossero come me stesso, perché egli personalmente si asteneva del tutto da ogni rapporto; e subito dopo continua: Ma ciascuno ha da Dio il proprio dono, uno in un modo e l'altro in un altro. ( 1 Cor 7,7 )
Nella legge di Dio ci sono moltissimi precetti contro le fornicazioni e gli adultèri; cos'altro indicano se non il libero arbitrio?
Non verrebbero certo impartiti se l'uomo non avesse una volontà propria, con la quale obbedire alle norme divine.
E tuttavia questo è un dono di Dio, e senza di esso non si possono osservare le norme della castità.
Perciò si dice nel libro della Sapienza: Sapendo che nessuno può essere continente se non lo concede Dio; e questo stesso apparteneva alla sapienza: sapere di chi fosse questo dono. ( Sap 8,21 )
Ma a non osservare questi santi precetti di castità, ciascuno è tentato perché attratto ed allettato dalla propria concupiscenza. ( Gc 1,14 )
A questo punto se qualcuno dicesse: Voglio osservare la castità, ma sono vinto dalla mia concupiscenza, la Scrittura risponde al suo libero arbitrio quello che ho già detto sopra: Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene. ( Rm 12,21 )
Ma perché ciò sia fatto, presta aiuto la grazia; e se questa nega il suo soccorso, la legge non sarà null'altro che la forza del peccato.
Infatti la concupiscenza cresce e riceve forze maggiori dalle proibizioni della legge, a meno che lo spirito della grazia non venga in aiuto.
Questo è quello che esprime ancora il Dottore delle Genti: Aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,56 )
Ecco per qual motivo l'uomo dice: Voglio osservare il precetto della legge, ma sono vinto dalla forza della mia concupiscenza.
E quando si chiama in causa la sua volontà, e si dice: Non lasciarti vincere dal male, a che gli giova questo, se la grazia non presta il suo soccorso per mettere in pratica l'intenzione?
Ed è secondo questo concetto che l'Apostolo prosegue; dopo aver detto: La forza del peccato è la legge, subito aggiunge: Ma rendiamo grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo. ( 1 Cor 15,57 )
Dunque anche la vittoria con la quale si vince il peccato nient'altro è se non un dono di Dio, che in questa lotta aiuta il libero arbitrio.
Per questo anche il Maestro celeste dice: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. ( Mt 26,41 )
Dunque ciascuno, lottando contro la sua concupiscenza, preghi per non entrare in tentazione, cioè per non essere da quella attratto ed allettato.
Ma non entra in tentazione, se vince con la volontà buona la cattiva concupiscenza.
Eppure non è sufficiente l'arbitrio della volontà umana, a meno che la vittoria non sia concessa dal Signore a chi prega per non entrare in tentazione.
Che cosa in realtà si manifesta più chiaramente della grazia divina, quando si riceve quello che si prega?
In effetti se il nostro Salvatore avesse detto: Vegliate per non entrare in tentazione, sembrerebbe ammonire esclusivamente la volontà dell'uomo; ma quando aggiunge: e pregate, dimostra che è Dio a fornire l'aiuto per non entrare in tentazione.
Si rivolge al libero arbitrio l'avvertimento: Figlio, non trascurare la disciplina del Signore; ( Pr 3,11 ) e nello stesso tempo il Signore dice: Io ho pregato per te, Pietro, perché la tua fede non venga meno. ( Lc 22,32 )
L'uomo dunque riceve aiuto dalla grazia perché non sia inutile dare ordini alla sua volontà.
Quando Dio dice: Rivolgetevi verso di me e io mi rivolgerò verso di voi, ( Zc 1,3 ) uno dei due elementi sembra essere quello della nostra volontà, per cui siamo noi che dobbiamo rivolgerci verso di lui; l'altro invece sembra essere la grazia, per cui anch'egli da parte sua si rivolge verso di noi.
E proprio qui i pelagiani possono pensare di veder comprovata la loro opinione, in base alla quale sostengono che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti.
Ma in realtà questo non osò affermarlo neppure Pelagio, quando in Oriente, cioè nella provincia della Palestina dove si trova la città di Gerusalemme, fu ascoltato in persona dai vescovi.
Infatti tra le altre obiezioni che gli furono avanzate gli fu messa di fronte la sua affermazione che la grazia di Dio è assegnata secondo i nostri meriti; ma ciò è così alieno dalla dottrina cattolica e così contrario alla grazia di Cristo, che se egli non avesse rivolto da solo l'anatema contro questa tesi, sarebbe uscito di lì colpito da anatema lui stesso.
Ma che egli avesse emesso una condanna bugiarda lo rivelano i suoi libri successivi, nei quali non sostiene assolutamente nient'altro se non che la grazia di Dio è assegnata secondo i nostri meriti.
Infatti i pelagiani raccolgono dalle Scritture i passi del genere di questo che ho già ricordato in particolare: Rivolgetevi verso di me e io mi rivolgerò verso di voi, interpretandoli nel senso che secondo il merito della nostra conversione a lui ci è data la grazia nella quale anch'egli si rivolge a noi.
Ma quelli che pensano ciò non riflettono che se anche la nostra stessa conversione a Dio non fosse un dono, non si direbbe a lui: Dio delle virtù, convertici a te; ( Sal 80,8 ) e: Dio, tu convertendoci a te ci vivificherai; e: Convertici a te, Dio della nostra salvezza; ( Sal 85,7 ) e altri passi di questo genere, che sarebbe lungo ricordare.
Infatti anche venire a Cristo che altro è se non rivolgersi a lui per credere?
Eppure egli dice: Nessuno può venire a me, se non gli è stato concesso dal Padre mio. ( Gv 6,66 )
Allo stesso modo quello che è scritto nel libro secondo dei Paralipomeni: Il Signore è con voi quando siete con lui, e se lo cercherete lo troverete; ma se lo lascerete vi abbandonerà, ( 2 Cr 15,2 ) indica certo chiaramente l'arbitrio della volontà.
Ma quelli che sostengono che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti, prendono queste testimonianze in altro senso e dicono che il nostro merito consiste in questo, che siamo con Dio; e secondo questo merito ci è concessa la sua grazia affinché anch'egli sia con noi.
Allo stesso modo il nostro merito è nel fatto che lo cerchiamo; e secondo questo merito ci è concessa la sua grazia, affinché lo troviamo.
Anche le espressioni del libro primo: E tu, Salomone, figlio mio, riconosci Iddio, e servilo in perfezione di cuore e con anima volenterosa, perché il Signore scruta tutti i cuori e conosce ogni pensiero della mente; se lo cercherai, ti si rivelerà, e se lo abbandonerai, ti respingerà in perpetuo, ( 1 Cr 28,9 ) dimostrano con evidenza l'arbitrio della volontà.
Ma essi scorgono il merito dell'uomo nelle parole: se lo cercherai, e vedono la grazia concessa secondo questo merito, in quanto è detto: ti si rivelerà.
E si danno da fare in tutte le maniere possibili a dimostrare che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti: in definitiva che la grazia non è grazia.
Infatti per quelli ai quali si rende secondo il merito, la mercede non è computata secondo la grazia, ma secondo il debito, ( Rm 4,4 ) come chiarissimamente dice l'Apostolo.
In effetti l'apostolo Paolo, quando perseguitava la Chiesa, un merito lo aveva certamente, ma era un merito negativo; per cui dice: Non sono degno di essere chiamato Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. ( 1 Cor 15,9 )
Allora, se aveva questo merito nel male, gli fu reso bene per male; perciò prosegue col dire: Ma per grazia di Dio sono quello che sono.
E per mostrare anche il libero arbitrio aggiunge poi: E la sua grazia in me non fu vana, ma mi sono adoperato più di tutti loro. ( 1 Cor 15,10 )
Questo libero arbitrio dell'individuo egli lo sprona anche negli altri, dicendo: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. ( 2 Cor 6,1 )
Ma in qual maniera li potrebbe esortare a questo, se ricevendo la grazia perdessero la propria volontà?
Tuttavia perché non si pensi che la buona volontà di per se stessa possa fare qualcosa di buono senza la grazia di Dio, subito dopo aver detto: La sua grazia in me non fu vana, ma mi sono adoperato più di tutti loro, aggiunge: Non io però, ma la grazia di Dio con me. ( 1 Cor 15,10 )
Evidentemente vuol dire: "Non da solo, ma la grazia di Dio era con me"; e perciò non intende parlare né della grazia di Dio sola, né di se stesso da solo, ma della grazia di Dio insieme con lui.
Ma quando fu chiamato dal cielo e fu convertito da una chiamata così grande ed efficace, la grazia di Dio era sola, perché quello che aveva meritato era grande, ma in senso cattivo.
Infine in un altro passo dice a Timoteo: Soffri con me per il Vangelo, secondo la forza di Dio che ci fa salvi e che ci chiama con la sua santa vocazione, non secondo le nostre opere, ma secondo il suo decreto e la sua grazia, che ci è stata data in Cristo Gesù. ( 2 Tm 1,8-9 )
Parimenti ricordando ciò che si era meritato, ma con la malvagità, dice: Anche noi infatti siamo stati stolti un tempo e increduli, sbagliando e assoggettandoci a desideri e piaceri vari, operando nella malizia e nell'invidia, detestabili, odiandoci tra di noi. ( Tt 3,3 )
Per tutto quello che si era meritato con la sua malvagità che cosa gli era dovuto sicuramente se non un castigo?
Ma poiché Dio rende dei beni in cambio di mali per mezzo della grazia che non è data secondo i nostri meriti, avvenne quello che poi aggiunge dicendo: Ma quando incominciò a splendere la bontà e l'amore per l'uomo da parte di Dio nostro Salvatore, egli ci salvò non in seguito alle opere di giustizia che abbiamo compiuto noi, ma secondo la sua misericordia, attraverso il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento nello Spirito Santo, che egli ha sparso con estrema ricchezza su di noi, per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché giustificati dalla sua grazia diveniamo eredi della vita eterna nella speranza. ( Tt 3,4-7 )
Da queste testimonianze divine è provato che la grazia di Dio non è concessa secondo i nostri meriti, dal momento che la vediamo attribuita non solo senza che uno abbia meritato precedentemente in senso buono, ma anche dopo che abbia meritato numerose volte in senso cattivo.
Anzi possiamo costatare che proprio in questo modo viene data ogni giorno.
Chiaramente una volta che è stata data, allora cominciamo ad acquisire anche meriti nel bene, ma sempre attraverso di essa; infatti se essa ci si sottrae, l'uomo cade, non innalzato, ma abbattuto dal libero arbitrio.
Per questa ragione neppure quando l'uomo ha cominciato ad avere meriti nel bene deve attribuirli a se stesso, bensì a Dio, a cui si dice nel Salmo: Sii il mio sostegno, non abbandonarmi. ( Sal 27,9 )
Se dice: Non abbandonarmi, dimostra che se sarà abbandonato, egli di per se stesso non sarà più capace di alcun bene; per cui dice ancora: Io dissi nella mia prosperità: Non vacillerò in eterno. ( Sal 30,7 )
Egli aveva pensato che a lui appartenesse il bene di cui abbondava a tal punto da non vacillare; ma perché gli fosse rivelato a chi apparteneva ciò di cui aveva cominciato a gloriarsi come fosse suo, la grazia l'abbandonò appena un poco ed egli, raccolto l'ammonimento, disse: Signore, nella tua volontà prestasti al mio onore la potenza, ma distogliesti da me il tuo volto e io sono stato confuso. ( Sal 30,8 )
Perciò all'uomo, se è empio, non solo è necessario essere giustificato dalla grazia di Dio, cioè passare dall'empietà alla giustizia, quando gli viene reso bene per male, ma anche quando sia già stato giustificato in seguito alla fede, è necessario che la grazia cammini con lui, ed egli si appoggi su di essa per non cadere.
Per questo è scritto nel Cantico dei Cantici proprio riguardo alla Chiesa: Chi è questa che viene, resa candida, appoggiandosi al suo diletto? ( Ct 8,5 )
È stata resa candida quella che non potrebbe esserlo per se stessa.
E da chi è stata resa candida, se non da Colui che per bocca del Profeta dice: Se i vostri peccati saranno come scarlatto, io li renderò candidi come neve ? ( Is 1,18 )
Quando ella è stata resa candida, non meritava alcun bene, ma ormai resa candida procede rettamente, purché tuttavia si appoggi con perseveranza sopra Colui dal quale è stata resa candida.
È per questo che anche Gesù stesso, sul quale si appoggia quella che è stata resa candida, disse ai suoi discepoli: Senza di me nulla potete fare. ( Gv 15,5 )
Dunque torniamo all'apostolo Paolo e vediamo che egli ha conseguito la grazia di Dio che rende bene per male senza aver prima meritato minimamente in bene, ma anzi abbondantemente in male; esaminiamo cosa dice quando ormai si avvicina al martirio, nella lettera a Timoteo: Io infatti ormai vengo immolato e il tempo della mia morte si avvicina.
Ho combattuto il buon combattimento, ho portato a termine la mia corsa, ho serbato la fede. ( 2 Tm 4,6-7 )
Egli ricorda ormai i suoi meriti nel bene; cosicché consegue la corona dopo aver meritato nel bene colui che conseguì la grazia dopo aver meritato nel male.
Ora prestate attenzione a quello che segue: Mi rimane la corona della giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi renderà in quel giorno. ( 2 Tm 4,8 )
A chi il giudice giusto renderebbe la corona, se il Padre misericordioso non avesse donato la grazia?
E come ci sarebbe questa corona della giustizia, se non l'avesse preceduta la grazia che giustifica l'empio?
In qual modo si renderebbe come dovuta la corona, se prima la grazia non fosse stata donata come gratuita?
Ma i pelagiani dicono che la sola grazia non concessa secondo i nostri meriti è quella per la quale si assolvono all'uomo i peccati; invece quella che è data alla fine, cioè la vita eterna, è concessa in base ai nostri meriti precedenti.
Rispondiamo dunque a costoro.
Se infatti essi concepissero i nostri meriti riconoscendo che anche questi stessi sono doni di Dio, il loro concetto non sarebbe da respingere; ma poiché esaltano i meriti umani a tal punto da sostenere che l'uomo li possiede di per se stesso, senz'altro con piena ragione risponde l'Apostolo: Chi infatti ti distingue?
Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non lo avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
A chi pensa così, con la massima verità si può rispondere: Dio corona non i tuoi meriti, ma i suoi doni, se i tuoi meriti ti provengono da te stesso e non da lui.
Se questi infatti provengono da te, sono nel male e Dio non li corona; ma se sono nel bene, sono doni di Dio, perché, come dice l'apostolo Giacomo: Ogni concessione ottima e ogni dono perfetto viene dall'alto, discendendo dal Padre della luce. ( Gc 1,17 )
Per questo dice anche Giovanni, precursore di Gesù: L'uomo non può ricevere alcunché, se non gli viene dato dal cielo: ( Gv 3,27 ) sì, dal cielo, da cui venne anche lo Spirito Santo, quando Gesù ascese in alto, catturò la cattività, dette doni agli uomini. ( Sal 68,19; Ef 4,8 )
Se dunque i tuoi meriti nel bene sono doni di Dio, Dio non corona i tuoi meriti come tuoi meriti, ma come suoi doni.
Adesso consideriamo proprio i meriti dell'apostolo Paolo, ai quali egli disse che il giusto Giudice avrebbe reso la corona della giustizia, e vediamo se i meriti di lui appartengono proprio a lui, cioè sono stati acquistati da lui stesso, o sono doni di Dio.
Ho combattuto il buon combattimento, ho portato a termine la mia corsa, ho serbato la fede. ( 2 Tm 4,7 )
In primo luogo queste opere buone, se non le avessero precedute pensieri buoni, sarebbero nulle.
Fate attenzione dunque a quello che dice dei pensieri; egli afferma scrivendo ai Corinzi: Non è che siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi; ma la nostra sufficienza proviene da Dio. ( 2 Cor 3,5 )
Adesso esaminiamo ogni singola espressione: Ho combattuto il buon combattimento, dice.
Io domando: Con quale energia ha combattuto?
Con quella che aveva di per se stesso o con quella che gli fu data dall'alto?
Ma guardiamoci bene dal sostenere che un così grande Dottore ignorasse la legge di Dio, la cui voce suona nel Deuteronomio: Non dire in cuor tuo: La mia forza e il vigore della mia mano mi hanno acquistato questa grande potenza; ma ti ricorderai del Signore Dio tuo, perché egli ti dà la forza di conquistare la potenza. ( Dt 8,17-18 )
A che giova infatti un giusto combattimento, se non segue la vittoria?
E chi dà la vittoria, se non Colui del quale l'Apostolo dice: Rendiamo grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo? ( 1 Cor 15,57 )
E altrove, dopo aver ricordato la testimonianza del Salmo: Perché per causa tua siamo mandati a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello, ( Sal 44,22 ) aggiunge: Ma in tutto questo noi stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati; ( Rm 8,36-37 ) dunque non dice: , ma: di lui che ci ha amati.
Poi afferma: Ho portato a termine la mia corsa; ma questa espressione è dello stesso che altrove dice: Dunque non appartiene né a chi vuole né a chi corre, ma a Dio che ha misericordia. ( Rm 9,16 )
E questa frase in nessun modo consente di essere anche invertita, così che si possa dire: Non appartiene a Dio che ha misericordia, ma all'uomo che vuole e corre.
Chiunque infatti osasse esprimersi così dimostrerebbe apertamente di contraddire l'Apostolo.
Infine ha detto: Ho serbato la fede; ma lo ha detto colui che altrove afferma: Ho ottenuto la misericordia di essere fedele. ( 1 Cor 7,25 )
Non ha detto: Ho ottenuto la misericordia perché ero fedele, ma: di essere fedele; con ciò dimostra che anche la stessa fede non si può avere se non per la misericordia di Dio, e che è dono di Dio.
E questo lo insegna con estrema chiarezza quando dice: Per la grazia voi siete stati salvati mediante la fede, e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio. ( Ef 2,8 )
Infatti avrebbero potuto dire: Abbiamo ricevuto la grazia per il fatto che abbiamo creduto, attribuendo praticamente la fede a se stessi, la grazia a Dio; per questo l'Apostolo, dopo aver detto: mediante la fede, aggiunge: e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio.
E poi, perché non dicessero di aver meritato tale dono con le proprie opere, subito dopo aggiunge: Non in seguito alle opere, affinché per caso qualcuno non si glori. ( Ef 2,9 )
Con ciò non ha negato o svuotato di valore le opere buone, perché dice che Dio rende a ciascuno secondo le sue opere, ( Rm 2,6 ) ma le opere provengono dalla fede, non la fede dalle opere; per questo le opere di giustizia ci provengono da Colui dal quale ci proviene anche la fede stessa, e della fede è detto: Il giusto vive della fede. ( Ab 2,4; Rm 1,17; Eb 10,38 )
Però gli uomini non hanno compreso ciò che dice l'Apostolo: Noi pensiamo che l'uomo sia giustificato attraverso la fede senza le opere della legge, ( Rm 3,28 ) e hanno pensato che egli voglia dire questo: All'uomo basta la fede, anche se vive malvagiamente e non può vantare buone opere.
Ma guardiamoci dall'attribuire tale concetto al Vaso di Elezione; anzi egli in un passo dice: Infatti in Cristo Gesù non vale alcunché né la circoncisione né la mancanza di essa, e poi aggiunge: ma la fede che opera attraverso la carità. ( Gal 5,6 )
E la fede è appunto quella che separa i fedeli del Signore dagli immondi demoni; infatti anch'essi, come dice l'apostolo Giacomo, credono e tremano, ( Gc 2,19 ) ma non operano bene.
Dunque non hanno questa fede della quale vive il giusto, cioè quella che opera attraverso la carità, affinché Dio renda a lui la vita eterna secondo le sue opere.
Ma poiché anche le stesse opere buone ci provengono da Dio, dal quale noi abbiamo parimenti la fede e la carità, appunto per questo il medesimo Dottore delle Genti dà il nome di grazia anche alla stessa vita eterna.
E da ciò nasce un problema non trascurabile, la cui soluzione dev'essere ricercata con l'intervento del Signore.
Se infatti la vita eterna viene data in ricompensa delle opere buone, ( Mt 16,27 ) come dice la Scrittura in maniera estremamente chiara: Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere, ( Rm 2,6 ) in qual maniera la vita eterna può essere grazia, dato che la grazia non è assegnata in ricompensa alle opere, ma viene conferita gratuitamente?
L'Apostolo appunto dice: A chi lavora, la mercede non è computata secondo la grazia, ma secondo il debito; ( Rm 4,4 ) e ancora: Un residuo è stato salvato per elezione della grazia, e subito aggiunge: Ma se è per grazia, allora non è per le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. ( Rm 11,5-6 )
Dunque la vita eterna come può essere una grazia, se si acquista in seguito alle opere?
O forse non è la vita eterna che l'Apostolo chiama grazia?
Al contrario, egli si è espresso in una maniera che l'identificazione non si può negare; e non c'è bisogno nemmeno di un acuto intenditore, ma soltanto di uno che dia ascolto attentamente.
Quando infatti afferma: La paga del peccato è la morte, subito aggiunge: Ma la grazia di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore. ( Rm 6,23 )
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