Contro Adimanto

Indice

7.1 - Antitesi: vendetta e perdono

Per quanto concerne ciò che è scritto nell'Esodo: Io sono un Dio geloso che fa ricadere sui figli fino alla terza ed alla quarta generazione le colpe di quei genitori che mi hanno odiato, ( Es 20,5 ) i Manichei affermano che sia in contrasto con esso quel passo del Vangelo nel quale il Signore afferma: Siate buoni come il vostro Padre celeste, che fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, ( Mt 5,45 ) e quell'altro ancora in cui il Signore medesimo dice: non solo bisogna perdonare sette volte il fratello che ha peccato, ma anche settanta volte sette. ( Mt 18,22 )

Tuttavia qualora io chiedessi loro se per caso Dio non punisca i suoi nemici, sarebbero di certo in imbarazzo.

Essi stessi dicono infatti che Dio prepara un'eterna prigione a quella stirpe delle tenebre che affermano sia nemica di Dio.

Ma c'è di più; non esitano a dichiarare che punirà insieme a quella stirpe stessa anche le proprie membra.

Quando si tratta però di capitoli dell'Antico e del Nuovo Testamento, per ingannare gli inesperti e per tacciarli di essere in contraddizione, si atteggiano a fin troppo buoni.

Allora ci spieghino: a chi mai si sarebbe rivolto il Signore dicendo: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per gli angeli suoi, ( Mt 25,41 ) dal momento che perdona tutti e non condanna nessuno?

Perciò il fatto che Dio faccia ricadere le colpe dei genitori sui figli che lo hanno odiato è comprensibilmente giusto; la postilla che mi hanno odiato chiarisce infatti che sono puniti per le colpe dei genitori quei figli che hanno voluto perseverare nella stessa perversità dei genitori.

Non è certo per la crudeltà, ma piuttosto per la giustizia di Dio, nonché per la loro iniquità che essi vengono puniti, come dice il profeta: Infatti il Santo Spirito, che ammaestra, fugge l'ipocrisia e si sottrae ai discorsi privi di senno e si ritira quando sopravviene l'iniquità, ( Sap 1,5 ) cioè l'uomo sarà punito dall'iniquità che s'impadronisce di lui quando lo Spirito Santo lo avrà abbandonato.

E in un altro passo: Hanno pensato in questo modo ed hanno sbagliato; infatti la loro malizia li ha accecati. ( Sap 2,2 )

Ed in un altro ancora: Ciascuno rimane avvinto dai legacci dei propri peccati. ( Pr 5,22 )

E concorda con queste attestazioni dell'Antico Testamento anche il Nuovo là dove l'Apostolo dice: Dio li ha abbandonati ai perversi desideri del loro cuore. ( Rm 1,24 )

L'accordo dei due Testamenti dimostra dunque a sufficienza che non è Dio ad essere crudele, ma che ciascuno lo diventa contro se stesso peccando.

7.2 - Il fatto poi che, com'è scritto, la vendetta divina si prolunghi fino alla terza e quarta generazione, altro non significa - io credo - se non che dallo stesso Abramo, che cominciò ad essere il padre del popolo giudaico, vi sono, compresa quella attuale, quattro età, in base a come le ha suddivise l'evangelista Matteo. ( Mt 1,17 )

La prima è quella che va da Abramo fino a Davide; la seconda da Davide fino alla trasmigrazione in Babilonia; la terza dalla trasmigrazione in Babilonia fino all'avvento del Signore; la quarta infine si svolge fino alla fine dei tempi, ed in quanto costituisce la vecchiaia del secolo è più lunga delle altre età.

Noi riteniamo che queste età indichino le generazioni, quantunque singolarmente constino di diverse generazioni.

Dal momento che la terza comincia dalla trasmigrazione in Babilonia, quando si verificò la cattività dei Giudei, e che nella quarta, cioè dopo l'avvento di nostro Signore, il popolo giudaico fu sradicato completamente dalla sua terra, si comprende cosa significhi che Dio chiederà conto dei peccati dei genitori fino alla terza e quarta generazione; e lo fa legittimamente e debitamente, in quanto i Giudei preferirono perseverare nei peccati dei loro padri piuttosto che seguire la giustizia di Dio.

Infatti che i peccati di un padre non ricadano su un figlio che vive in modo giusto lo dimostra in modo chiarissimo il profeta Ezechiele. ( Ez 18,14-17 )

7.3 - Quanto poi viene detto nel Vangelo: Siate buoni come il vostro Padre celeste che fa sorgere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi ( Mt 5,45 ) non è affatto contrario all'Antico Testamento.

Dio infatti si comporta in questo modo per spingerci alla penitenza, come dice l'Apostolo: Non sai forse che la pazienza di Dio ti spinge alla penitenza? ( Rm 2,4 )

Ma non si deve per questo credere che Dio non punirà coloro i quali, come dice lo stesso Apostolo: Accumulano sopra di sé ira per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Rm 2,5-6 )

Questa pazienza e bontà di Dio la esalta infatti anche il profeta dicendo: Tu, che ami le anime, perdoni tutti, perché tue sono tutte le cose. ( Sap 11,26 )

Vi sono comunque innumerevoli altri passi dai quali si comprende che entrambi i Testamenti esaltano la misericordia e la giustizia di Dio sia nella sua bontà sia nella sua severità.

7.4 - Se invece i Manichei sono sconcertati dall'espressione: Io sono geloso; altrettanto dovrebbero sconcertarsi per le parole dell'apostolo Paolo: Io nutro per voi una gelosia divina; vi ho infatti fidanzati ad un solo sposo per presentarvi a Cristo come una vergine pura. ( 2 Cor 11,2 )

In effetti la Sacra Scrittura dal momento che utilizza i nostri modi espressivi, dimostra anche nelle parole or ora menzionate che non è possibile poter dire nulla che sia degno di Dio.

Perché non utilizzare allora parole di questo tenore anche riguardo a quella maestà divina di cui nessuna definizione risulta degna, dal momento che essa sopravanza per la sua ineffabile sublimità tutte le capacità espressive delle diverse lingue?

In realtà dato che i mariti sono soliti custodire con la loro gelosia la pudicizia delle mogli, le Scritture hanno definito gelosia la severa regola con cui Dio non permette che l'anima fornichi impunemente.

La fornicazione dell'anima naturalmente consiste nell'allontanarsi dai frutti fecondi della saggezza e nel rivolgersi al concepimento delle tentazioni e corruzioni dei legami temporali.

7.5 - Che bisogna perdonare ad un proprio fratello non solo sette volte, ma anche settanta volte sette, si riferisce ovviamente ad un fratello pentito.

Dio infatti afferma di punire i peccati di coloro che lo odiano, non certo di coloro che pentendosi si riconciliano con lui.

Il Signore lo dice chiaramente anche per bocca del profeta: Io non voglio la morte del peccatore, ma che si penta e viva. ( Es 18,23; Es 33,11 )

Appare dunque chiaro che sia in quella pazienza che invita al pentimento, sia in quella indulgenza che perdona i pentiti, sia in quella giusta severità che punisce coloro che non vogliono ravvedersi, i due Testamenti concordano tra loro e si armonizzano in quanto entrambi scritti dallo stesso Dio.

8 - Antitesi: ancora sulla vendetta e sul perdono

Nell'Esodo si trova scritto: Occhio per occhio, dente per dente ( Es 21,24 ) e altre espressioni di tal genere.

I Manichei denigrano questo passo della Legge nel quale viene dato il permesso di una congrua vendetta e si dice che bisogna rovinare un occhio per un occhio, un dente per un dente, come se il Signore stesso avesse mostrato nel Vangelo che questi due precetti sono a lui avversi e contrari.

Dice infatti: Avete udito che fu detto agli antichi: " Occhio per occhio e dente per dente ", io vi dico invece di non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l'altra.

E se uno vuole citarti in giudizio per portarti via la tua tunica, cedigli anche il mantello. ( Mt 5,38-40 )

A dire il vero in queste due affermazioni si palesa la differenza tra i due Testamenti, i quali tuttavia sono stati fissati da uno stesso Dio.

Infatti poiché in un primo momento gli uomini carnali erano smaniosi di trarre una vendetta di gran lunga superiore all'offesa subita; perciò fu per prima cosa imposto loro un certo grado di dolcezza, di modo che il loro rancore vendicativo non fosse sproporzionato all'offesa ricevuta.

In tal modo infatti avrebbe ben potuto talora perdonare l'offesa chi avesse prima imparato a non oltrepassare la misura della propria vendetta.

In seguito il Signore volendo elevare il popolo attraverso la grazia del Vangelo alla pace suprema, su questo gradino ne edificò un altro, affinché chi avesse imparato a non vendicarsi in modo sproporzionato al torto ricevuto, potesse assaporare nel suo animo rabbonito la gioia di perdonare completamente.

Anche il profeta lo spiega nei Libri dell'Antico Testamento con queste parole: Signore mio Dio, se io ho fatto tale cosa, se vi è iniquità nelle mie mani, se io ho reso il male a coloro che me ne hanno fatto. ( Sal 7,4-5 )

E similmente un altro profeta dice di un uomo capace di tollerare le offese con tantissima mitezza: Offrirà la guancia a chi lo percuote, si sazierà di oltraggi. ( Lam 3,30 )

Da ciò si comprende che a ragione fu fissato un limite alla vendetta di uomini carnali e si comprende altresì che il totale perdono di un'offesa non è solamente il Nuovo Testamento ad insegnarlo, ma che molto tempo prima lo si trova annunciato nell'Antico.

9.1 - Antitesi: il Dio visibile dell'Antico Testamento e il Dio ineffabile e invisibile di Gesú

Dio ha parlato con Adamo ed Eva, con il serpente, con Caino e con altri del passato; ( Gen 3, 4.13 ) sta scritto che ad alcuni di essi è anche apparso ed è stato visto da loro.

Non ad uno, ma ai molti luoghi scritturistici nei quali si rappresenta Dio che parla con gli uomini e che appare ad alcuni, si appigliano i Manichei per dire che sono contrari al Nuovo Testamento, poiché il Signore afferma: Nessuno ha mai visto Dio, se non l'unico Figlio che è nel seno del Padre; egli ce lo ha fatto conoscere; ( Gv 1,18 ) ed ancora rivolto ai Giudei: Voi non avete mai udito la sua voce, non avete mai visto il suo volto e la sua parola non dimora in voi, perché voi non avete creduto a colui che egli ha mandato. ( Gv 5,37-38 )

Noi rispondiamo loro con le parole stesse del Vangelo: Nessuno ha mai visto Dio, se non l'unico Figlio che è nel seno del Padre; egli ce lo ha fatto conoscere, le quali possono dare una completa soluzione del problema.

Infatti il Figlio stesso, vale a dire il Verbo di Dio, non solo negli ultimi tempi, quando si è degnato di manifestarsi nella carne, ma anche in passato fin dalla creazione del mondo ha fatto conoscere il Padre a chi ha voluto, sia parlando, sia manifestandosi, o attraverso qualche potestà angelica o per mezzo di qualche altra creatura; perché egli è la verità in tutte le cose e tutto sussiste in lui; ogni cosa risponde al suo cenno ed è a lui sottomessa, tanto che appare agli occhi attraverso una creatura visibile a chi vuole e quando vuole.

Tuttavia per la sua divinità e per l'essere il Verbo del Padre, a lui coeterno ed immutabile, per mezzo del quale ogni cosa è stata creata, non può essere visto che da un cuore del tutto puro e privo di malizia.

Perciò in certi passi la Scrittura stessa, quando parla di una visione di Dio, attesta l'apparizione di un angelo. ( Gen 18,1-2 )

Così nella lotta di Giacobbe si dice che quello che apparve era un angelo. ( Gen 32,24-30 )

Anche quando apparve a Mosè nel roveto ( Es 3,2 ) e similmente nel deserto quando questi ricevette la legge dopo avere portato fuori dall'Egitto il popolo, fu Dio che gli parlò. ( Es 19,3 )

Anzi Stefano negli Atti degli Apostoli precisa che sia nel roveto, quando gli affidò la missione, sia dopo, quando gli diede la legge fu un angelo che gli apparve. ( At 7,30.35 )

Noi diciamo questo affinché qualcuno non creda che il Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata creata ogni cosa, possa essere circoscritto in certi luoghi e possa manifestarsi palesemente a qualcuno se non attraverso una creatura visibile.

Come infatti il Verbo di Dio è nel profeta, tanto che a ragione si dice: " Il Signore ha detto ", dal momento che il Verbo di Dio, cioè Cristo, per bocca del profeta proferisce la verità, allo stesso modo è sempre lui a parlare per bocca di un angelo, quando un angelo rivela la verità; sicché a ragione si dice: " Dio ha detto " oppure " Dio è apparso " ed altrettanto giustamente " l'Angelo ha detto " oppure " l'Angelo è apparso ".

Nel primo caso si intende parlare di Dio presente in un determinato personaggio, nell'altro della creatura di cui si serve.

In base a questo criterio anche l'Apostolo afferma: Volete forse ricevere una prova che in me parla Cristo? ( 2 Cor 13,3 )

9.2 - Se poi risulta sconvolgente che nell'Antico Testamento Dio parli anche a dei peccatori come Adamo, Eva o il serpente, prestino attenzione i Manichei ad un caso simile presente nel Nuovo, quello dell'uomo stolto ed avido cui il Signore si rivolse dicendo: Insensato, questa notte stessa ti sarà tolta l'anima tua e quello che hai preparato, per chi sarà? ( Lc 12,20 )

Infatti se la verità è rivolta anche ai peccatori, qualunque sia la creatura che la riveli, essa proviene da colui che solo è veritiero.

È ciò che del resto dice ai Giudei: Voi non avete mai udito la sua voce, perché essi non gli diedero ascolto nel momento in cui parlava con loro.

E aggiunge anche: Non avete mai visto il suo volto, perché non è possibile.

Ed ancora: E la sua parola non dimora in voi, perché in chi dimora la parola di Dio, dimora Cristo, che essi invece respinsero.

Infatti quando il Signore disse: Padre, glorifica me con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse, risuonò una voce proveniente dal cielo: L'ho glorificato e ancora lo glorificherò. ( Gv 12,28; Gv 17,5 )

Molti dei Giudei presenti udirono quella voce, anzi a dire il vero non si può dire che l'abbiano udita, perché non le diedero ascolto fino al punto di credere.

Se non ci si deve dunque meravigliare che il Verbo di Dio, cioè l'unico Figlio di Dio che rivela il Padre, secondo il proprio volere si manifesta ad uno da se stesso, ad un altro per mezzo di una qualche creatura, ora parlando ora mostrandosi, quantunque egli stesso, e attraverso lui il Padre, sia visibile a chi sia puro di cuore - Beati infatti i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8 ) - altrettanto non ci si deve meravigliare che tutti questi esempi ricavati da entrambi i Testamenti si armonizzino tra loro.

10 - Antitesi: tempio terrestre e tempio celeste

Dio parlò a Mosè e gli disse: Di' ai figli di Israele: Raccogliete da ciascuno delle offerte e destinatele a me, vale a dire oro, argento, bronzo, porpora, lino, un mantello scarlatto, peli di capra, pelli di montone tinte di rosso, legna intatta, olio per far luce, incenso, pietre preziose, cioè berilli; poi costruite un santuario nel quale io possa stare insieme a voi. ( Es 25,2-8 )

Anche su questo passo della Scrittura i Manichei trovano da ridire, e dicono che sia ad esso contrario quello del Vangelo in cui il Signore dice: Non giurerai né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi. ( Mt 5,34-35 )

Infatti polemizzano e ritengono di aver trovato un'argomentazione importante: Come può abitare - affermano - in un santuario fatto d'oro, d'argento, di bronzo, di porpora, di velli di agnelli e di pelli, quel Dio che ha per trono il cielo e dei cui piedi è sgabello la terra?

E chiamano a testimone anche l'apostolo Paolo, poiché dice che Dio abita una luce inaccessibile. ( 1 Tm 6,16 )

Noi a nostra volta solleviamo una questione identica, e quell'argomentazione che hanno ricavato dal Nuovo Testamento noi la traiamo dall'Antico Testamento.

Qui si trova scritto infatti ancor prima: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi; quale casa mi potreste costruire, o quale luogo potrebbe esserci per il mio riposo?

Non è forse la mano mia che ha fatto tutte queste cose? ( Is 66,1-2 )

Ecco dunque un passo dell'Antico Testamento dove si afferma che Dio non abita in templi costruiti da mano umana, e tuttavia il Figlio del nostro Dio dopo aver fatto una sferza di corde cacciò dal tempio coloro che vendevano buoi e colombe e rovesciò i banchi dei cambiavalute dicendo: La casa del Padre mio sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri. ( Gv 2,15-16; Mt 21,12-13 )

Se dunque sulla base di questi due luoghi intesi come contrastanti tra loro, qualcuno volesse ingannare gli sprovveduti, affermando che nell'Antico Testamento si magnifica Dio, di cui si dice che il cielo è il suo trono e la terra lo sgabello dei suoi piedi, e negando che possa abitare in una casa costruita dall'uomo, mentre invece nel Nuovo Testamento la sua dimora viene definita un tempio costruito dagli uomini, forse che i Manichei alla fine non ammetterebbero che l'espressione " dimora di Dio costruita da mano umana " va intesa in un significato specifico in entrambi i Testamenti e che in entrambi i Testamenti si afferma che Dio non abita in luoghi costruiti dagli uomini?

11 - Antitesi: gelosia e giustizia di Dio

Sta scritto nell'Esodo: Voi non adorerete dèi stranieri, e ancora: Il vostro Dio si chiama Geloso; infatti in quanto geloso egli prova gelosia. ( Es 20,5; Es 34,14 )

Dal momento che i Manichei in questo testo censurano l'espressione: Voi non adorerete dèi stranieri, mostrano apertamente di gradire che si adorino molti dèi.

E non c'è da meravigliarsi, poiché nella loro setta annoverano e glorificano una famiglia assai numerosa di dèi: anzi si sono spinti fino alle cose visibili, che essi venerano ed adorano come se fossero la luce della verità stessa; perciò non è loro gradito quanto sta scritto nell'Esodo: Voi non adorerete dèi stranieri.

Aggiungono inoltre che l'altra asserzione - Il vostro Dio si chiama Geloso, infatti in quanto geloso egli ha provato gelosia - è stata fatta affinché noi non amiamo un Dio geloso, la cui gelosia non ci permette di adorare dèi stranieri.

E perciò dicono che tali affermazioni contrastano col Vangelo, poiché il Signore dice: Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto. ( Gv 17,25 )

Quasi che non si debba definire giusto Dio, se non ci permette di adorare dèi stranieri.

Ritengono infatti che " Dio giusto " e " Dio geloso " siano espressioni in contrasto tra loro, e ingannano quegli infelici che non comprendono che nella gelosia di Dio è riposta interamente la speranza della nostra salvezza.

Infatti con questo termine viene indicata la provvidenza di Dio, la quale non consente che nessuna anima si allontani impunemente da lui, come dice il profeta: Tu manderai in rovina coloro che si allontaneranno da te. ( Sal 73,27 )

Come infatti quella che si definisce ira di Dio non è una passione dell'animo, ma la capacità di vendicarsi, così la gelosia di Dio non è quel tormento dell'animo per il quale sono soliti struggersi un marito verso la moglie o la moglie verso il marito, ma un atto di giustizia molto sereno e schiettissimo per cui non è consentito di essere beata a nessuna anima corrotta e in certo modo gravata da false credenze ed empie passioni.

I Manichei, i quali non si sono resi ancora conto di come nessuna parola possa essere adatta ad una maestà ineffabile, provano orrore per queste parole.

Così ritengono che bisogna evitarle, come se non pronunciandole dicessero qualcosa degna di Dio.

In realtà lo Spirito Santo, quantunque le supreme verità divine siano ineffabili, intendendo darne lo stesso un'idea agli uomini intelligenti, ha voluto servirsi di parole che di solito tra gli uomini sono utilizzate per indicare un vizio, affinché fossero avvertiti che anche quelle espressioni che gli uomini pensano di potere pronunciare in maniera consona a Dio, sono indegne della sua maestà, cui rende più onore il silenzio che qualsiasi parola umana.

Io cerco di sapere cosa sia la gelosia dell'uomo; ebbene scopro un turbamento che strugge il cuore.

Se poi ne cerco la causa, non scopro nient'altro se non che non si riesce a tollerare l'adulterio del coniuge.

È appunto soprattutto nel rapporto tra coniugi che si suole parlare propriamente di gelosia.

Ammettiamo che un marito fosse di per sé beato, onnipotente e giusto, egli punirebbe la colpa della moglie senza alcun tormento, con ogni facilità e senza alcuna ingiustizia.

Tuttavia esprimendomi in termini di linguaggio umano, quantunque non in senso proprio ma per traslato, io a buon diritto definirei il suo agire " gelosia ".

Chi ha criticato Cicerone, che certamente sapeva parlare latino, quando disse a Cesare: Nessuna delle tue virtù è più ammirevole ed apprezzabile della misericordia?1

E tuttavia si dice che la parola " misericordia " derivi dal fatto che rende " misero " l'animo di chi si affligge per la " miseria " altrui.

Forse che dunque una virtù rende l'animo infelice?

Cicerone che cosa avrebbe risposto ai suoi censori se non che col termine " misericordia " aveva voluto indicare la clemenza?

Giacché si è soliti parlare in maniera corretta, non solo utilizzando termini propri, ma anche sinonimi.

Ho voluto citare questo autore perché nel nostro caso è in discussione non il contenuto ma l'espressione verbale.

Come infatti i nostri autori, intendo quelli delle Sacre Scritture, hanno prestato attenzione in modo particolare ai contenuti, così gli autori profani, al contrario, si sono preoccupati quasi esclusivamente delle parole.

In ogni caso posso avvalermi del Vangelo e di tutti i libri del Nuovo Testamento, nei quali spessissimo viene messa in rilievo la misericordia di Dio.

Osino dunque questi poveri Manichei criticare anche tali passi e negare che Dio sia " misericordioso", affinché non si pensi che abbia un animo " misero ".

Come dunque può accadere che in Dio vi sia " misericordia " senza " miseria " dell'animo, così anche non vi sarà per noi alcuna difficoltà ad ammettere una " gelosia " di Dio senza corruzione e tormento dell'animo; per elevarci al silenzio divino noi accettiamo i condizionamenti del linguaggio umano.

Se affermano poi che vi è contraddizione tra Dio " geloso " e Dio " giusto ", cosa mai diranno riguardo a quanto io trovo scritto nel Nuovo Testamento: Io provo per voi la gelosia di Dio; ( 2 Cor 11,2 ) o la citazione, tratta dall'Antico Testamento, riportata nel Vangelo: La gelosia della tua casa mi divora? ( Gv 2,17; Sal 69,10 )

E ancora, quando leggono nell'Antico Testamento: Il Signore è giusto, ama le cose giuste, il suo volto vede l'equità, ( Sal 11,7 ) non dovranno ammettere forse che per gli inesperti anche in questo caso i due Testamenti possono sembrare in contraddizione, dal momento che nel Nuovo si parla della gelosia di Dio e nell'Antico della giustizia di Dio?

E che invece per chi li comprende bene entrambi sono in armonia tra loro in virtù dell'unità e del grande accordo dello Spirito Santo?

12.1 - Antitesi: il sangue e l'anima

Sta scritto che non bisogna mangiare il sangue, perché il sangue è l'anima della carne. ( Dt 12,23 )

A questa prescrizione dell'Antica Legge i Manichei oppongono, ricavandolo dal Vangelo, quanto dice il Signore, cioè che non bisogna temere coloro che possono uccidere il corpo, poiché non possono nuocere all'anima. ( Mt 10,28 )

Facendone una questione essi dicono: se il sangue è l'anima, come mai gli uomini non hanno alcun potere su di essa, tenuto conto che col sangue fanno molte cose, sia raccogliendolo per darlo come cibo ai cani e agli uccelli sia spargendolo per mescolarlo alla melma o al fango?

In effetti gli uomini possono fare col sangue queste e innumerevoli altre cose senza difficoltà.

Per questo motivo i Manichei con arroganza chiedono in che modo, se il sangue è l'anima, un assassino possa non nuocere all'anima di un uomo pur avendo tanto potere sul suo sangue.

Aggiungono inoltre quanto afferma l'apostolo Paolo: Perché la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio ( 1 Cor 15,50 ) e di conseguenza affermano che se il sangue è l'anima, così come afferma Mosè, non si troverà alcuna anima in grado di ottenere il regno di Dio.

Ad una tale calunnia innanzi tutto bisogna rispondere in modo tale da costringerli ad indicare dove sta scritto nei libri dell'Antica Legge che il sangue è l'anima dell'uomo.

Questa asserzione infatti non la troveranno in alcun luogo di quella Scrittura che, sventurati, per quanto si sforzino di sviscerare non riescono in alcun modo a comprendere.

Se non vi è infatti detto niente del genere che riguardi l'anima umana, cosa importa a noi che l'anima di un animale possa ricevere danno dalla sua uccisione o che non possa ottenere il regno di Dio?

Ma poiché costoro si preoccupano troppo dell'anima degli animali ( pur essendo infatti quelle degli uomini anime razionali, essi ritengono tuttavia che si reincarnino negli animali ), pensano che sarà a loro stessi precluso il regno dei cieli, se ammettono che lo sia per le anime degli animali.

12.2 - E che dire del fatto che Adimanto, uno dei discepoli di Mani, ricordato come grande dottore di quella setta, abbia anche osato insultare il popolo di Israele?

Sì, ha osato insultare il popolo dei Giudei affermando che le anime dei loro padri, giacché è loro opinione che il sangue sia l'anima, sono state in parte divorate dai serpenti, in parte consumate dal fuoco, in parte seccate nei deserti e su impervie montagne.

Anche se si volesse ammettere che ciò sia vero, ci si dovrebbe convincere che è avvenuto tuttavia senza alcuna colpa di coloro che egli ha voluto offendere.

Non sono stati infatti loro a recare in qualche modo danno alle anime dei loro padri, alle quali - a suo dire - sono capitate tutte quelle sventure per il loro modo di pensare: semmai ne possono aver ricavato motivo di lutto, non di colpa.

D'altra parte lo stesso Adimanto cosa farà, convinto com'è che anche le anime razionali, cioè quelle degli uomini, possono essere cacciate nel corpo delle bestie?

Quale grande crimine commetterà piagando il proprio cavallo con la frusta quando è lento o trattenendolo con il morso quando scalpita, dacché in esso potrebbe esserci per caso l'anima di suo padre?

Per non dire poi che potrebbe uccidere i suoi genitori anche in mezzo ai pidocchi e alle pulci, dalla cui eliminazione i Manichei non si astengono.

Infatti cosa giova loro negare talvolta che le anime umane possano reincarnarsi in animali così minuscoli?

Lo negano per non essere incolpati di così numerose uccisioni o per non essere costretti a risparmiare pidocchi, pulci e cimici e a sopportare, non avendo la libertà di ucciderli, le loro molestie.

In realtà possono essere messi alle corde chiedendo per quale motivo l'anima umana possa reincarnarsi in una piccola volpe e non possa invece in una faina, tenuto conto che un cucciolo di volpe è forse anche più piccolo di una grande faina.

Inoltre se può reincarnarsi in una faina, perché non può in un topo?

E se lo può in questo, perché non anche in un geco?

E se può reincarnarsi in un geco, perché non lo può in una cavalletta?

E ritrovarsi poi in un'ape, successivamente in una mosca, quindi in una cimice e financo in una pulce e, se esiste, in qualche animale molto più piccolo?

Essi infatti non pongono un limite, e così, a causa di questa puerile convinzione, caricano la propria coscienza di innumerevoli omicidi.

12.3 - Per quel che concerne ciò che è scritto, che il sangue di una bestia è la sua anima, a parte quanto ho detto in precedenza, non mi compete trattare della sorte dell'anima di una bestia; del resto posso anche interpretare quell'insegnamento in chiave simbolica.

Infatti il Signore non ha esitato a dire: Questo è il mio corpo, ( Mt 26,26 ) dando un significato simbolico del suo corpo.

12.4 - L'Apostolo ha detto: La carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio; anche nella Legge si dice: Il mio spirito non resterà in costoro, poiché sono carne. ( Gen 6,3 )

Tuttavia nei Libri dell'Antico Testamento tante volte viene promesso il premio futuro alle anime dei giusti.

L'intenzione dell'Apostolo, dunque, era quella di indicare quale sarebbe stato il corpo dei giusti per effetto del mutamento insito nella risurrezione, poiché le donne non prenderanno marito né gli uomini moglie, ma saranno come Angeli nel cielo; ( Mt 22,30 ) per questo motivo, volendo suggerire il futuro mutamento dei corpi dei giusti, l'Apostolo affermò: Vi dico, o fratelli, che la carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio. ( 1 Cor 6,9 )

Questa opinione non viene formulata in modo isolato ed ambiguo, ma viene sviluppata in modo approfondito per tutta la lettera, tanto che la si può verificare - l'argomentare non è per niente oscuro - anche ad una semplice lettura.

Così infatti egli si esprime: È necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.

E che si riferisca al corpo, appare chiaro da quanto detto in precedenza: Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci.

Vi sono corpi celesti e corpi terrestri; ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri; altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro ancora lo splendore delle stelle.

Ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore; così anche la risurrezione dei morti.

Viene seminato nella corruzione, risorge nell'incorruttibilità; viene seminato nell'ignominia, risorge nella gloria; viene seminato debole, risorge pieno di forza; viene seminato un corpo animale, risorge un corpo spirituale.

Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, così come sta scritto: il primo uomo Adamo fu creato anima vivente, l'ultimo Adamo spirito vivificante.

Non è stato creato per primo ciò che è spirituale, ma ciò che è animale; ciò che è spirituale è stato creato successivamente.

Il primo uomo tratto dalla terra è terrestre; il secondo uomo venuto dal cielo è celeste.

Quale è l'uomo fatto di terra, tali sono i terrestri; e quale è l'uomo celeste, tali sono anche i celesti.

E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, portiamo anche l'immagine di colui che è venuto dal cielo.

Questo vi dico, o fratelli: che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né la corruttibilità potrà ereditare l'incorruttibilità. ( 1 Cor 15,39-50 )

Dovrebbe certo essere ormai chiaro in che senso l'Apostolo si sia espresso.

Perché allora Adimanto con indegna malafede menziona solamente l'ultima espressione ed omette le precedenti, dalle quali si potrebbe comprendere correttamente ciò che viene invece malamente interpretato?

Infatti dal momento che il corpo di nostro Signore dopo la risurrezione si è levato al cielo, subendo una trasformazione celeste funzionale a questa sua stessa celeste dimora, ci è imposto di sperare altrettanto per noi nell'ultimo giorno; per questo l'Apostolo ha detto: Quale è l'uomo fatto di terra, tali sono i terrestri, vale a dire, mortali; e quale è l'uomo celeste, tali sono anche i celesti, vale a dire, immortali, non solamente nell'anima, ma anche nel corpo.

Per tale motivo aveva detto in precedenza che altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri.

In merito poi a quanto da lui asserito che al momento della risurrezione il corpo sarà spirituale, non si deve per questo credere che non sarà più corpo, ma spirito: in effetti lo definisce corpo spirituale in quanto completamente sottomesso allo spirito, senza alcuna corruzione o morte.

Non certo perché chiama corpo " animale " questo che ora abbiamo, si deve credere che esso non sia corpo ma anima.

Se, dunque, il corpo terreno è definito "animale " in quanto è sottomesso all'anima, tuttavia non può essere definito spirituale, in quanto non è ancora pienamente sottomesso allo spirito, almeno fino a quando è corruttibile.

Ma immediatamente lo si chiamerà " spirituale ", quando, privo di corruzione, potrà tenere testa allo spirito e all'eternità.

12.5 - Tuttavia se non sembra ancora sufficientemente provato che l'Apostolo, quando afferma: La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile erediterà l'incorruttibilità, si riferisce alla trasformazione che avverrà in futuro, si presti attenzione a quello che aggiunge subito dopo: Ecco io vi annunzio un mistero: tutti risorgeremo, tuttavia non tutti saremo trasformati in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba.

Suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.

Poi, per mostrare di che natura sarà la trasformazione stessa, continua ed aggiunge ciò che io ho detto prima.

Subito dopo in effetti afferma: È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. ( 1 Cor 15,50-53 )

È chiaro a questo punto perché la carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio; infatti quando il corpo si sarà vestito di incorruttibilità e di immortalità non sarà più carne e sangue, ma sarà mutato in corpo celeste.

Abbiamo colto l'occasione di affrontare questo problema, perché i Manichei sono soliti contestare molto anche questa affermazione, negando la risurrezione dei corpi.

Infatti la questione non riguarda il corpo, ma l'anima; essi ritengono che la Legge la identifichi con il sangue, cosa che noi non intendiamo in alcun modo così.

Ma sebbene non ci occupiamo dell'anima delle bestie, con le quali non abbiamo alcun legame di razionalità, tuttavia noi riteniamo che quanto afferma la Legge - cioè che il sangue deve essere sparso e non deve essere assunto come cibo, perché il sangue è l'anima - sia detto simbolicamente come molte altre affermazioni; quasi tutti i misteri di quelle Scritture [ sc. dell'Antico Testamento ] sono pieni di significati figurali relativi alla predicazione futura, che è stata resa manifesta per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo.

Il sangue è l'anima allo stesso modo di come la roccia era Cristo, quando l'Apostolo dice: Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. ( 1 Cor 10,4 )

È risaputo d'altra parte che i figli d'Israele nel deserto bevvero l'acqua sgorgata dalla roccia: ( Nm 20,11 ) a loro si riferiva l'Apostolo con le sue parole; non dice che la Roccia indicava Cristo, bensì che la Roccia era Cristo.

E affinché non la si intendesse in senso " carnale ", la definisce " spirituale "; in altri termini lascia intendere che la si deve interpretare in senso spirituale.

Sarebbe lungo, e d'altra parte inutile in questo momento, non potendolo fare se non succintamente, esporre i misteri racchiusi nella stessa Legge.

È sufficiente che coloro i quali li criticano, comprendano che noi non li intendiamo così come sono soliti fare loro in segno di scherno, ma alla maniera degli Apostoli, che pur comprendendo tutti i misteri, ne spiegarono pochi, per lasciare ai posteri la comprensione dei rimanenti sulla base delle loro medesime regole.

13.1 - Antitesi: gelosia e bontà di Dio

Nel Deuteronomio sta scritto: Guardatevi dal dimenticare l'alleanza che il Signore vostro Dio ha stabilito con voi e dal farvi statue e ritratti; e viene aggiunto inoltre: il vostro Dio è un fuoco divoratore e un Dio geloso. ( Dt 4,23-24 )

L'illustre Adimanto di queste parole della Scrittura ha proposto un'interpretazione malevola, che noi ci siamo assunti il compito di respingere e confutare.

In realtà credo di avere già risposto precedentemente, e a sufficienza, alle sue accuse calunniose relative alla gelosia di Dio.

Mi preme ricordare tuttavia che non solo in quell'occasione, ma anche ora egli attacca le Scritture a proposito della gelosia di Dio, con lo scopo di aggiungere che in quei testi il Signore nostro Dio ci proibisce il culto degli idoli, come se fosse sua intenzione biasimare la gelosia di Dio per nessun altro motivo se non perché quella gelosia stessa ci proibisce il culto degli idoli.

Insomma egli intende mostrarsi favorevole agli idoli, cosa che i Manichei fanno per attirare sulla loro miserevole e delirante setta anche la simpatia dei Pagani.

A questo passo della Legge essi oppongono quel luogo dove un tale si avvicinò al Signore e gli disse: Buon Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?

Gesù gli rispose: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. ( Mc 10,17-18 )

Ovviamente dovremmo dedurre che questi due passi sono in contrasto, giacché nella Legge si dice: Dio è un fuoco divoratore e un Dio geloso, mentre nel Vangelo: Nessuno è buono se non Dio solo.

13.2 - A proposito della gelosia ho avuto già modo di ribattere che nella Scrittura queste parole non stanno a significare una qualsiasi passione o una sofferenza di Dio; tuttavia poiché di Dio non è possibile affermare nulla che ne sia degno, si è fatto ricorso ad esse e per quanto gli uomini le ritengano indegne, sono costretti ad ammettere che anche quelle espressioni riguardanti l'ineffabile divina eccellenza, che essi pensano di dire in modo conveniente, sono in realtà indegne della grandezza di Dio, la cui sapienza, nel momento di scendere fino al corpo umano, è prima discesa fino alle umane parole.

Ecco, ho usato la parola " scendere ", ma se solo cominciassi ad analizzarla, mi renderei conto di non essermi espresso con proprietà: non può infatti " scendere " un qualcosa se non è anche in grado di muoversi da un posto ad un altro.

È chiaro in effetti che chi scende, lascia un luogo superiore per raggiungerne uno inferiore.

Invece la Sapienza di Dio, trovandosi dappertutto, non può in alcun modo spostarsi da un luogo all'altro.

È a lei che nel suo Vangelo fa riferimento Giovanni, come chi è stato vicino al petto del Signore, quando afferma: Era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.

Aggiunge nondimeno: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. ( Gv 1,10-11 )

In che modo " era " qui e in che modo " venne ", se non perché è necessario, per renderla comprensibile agli uomini, esprimere con parole umane quell'ineffabile eccellenza, mentre al contrario è con un divino silenzio che si deve comprendere, perché divinizzi gli uomini?

Si può dunque dare una spiegazione razionale del perché si dica così, ma non si può dire alcunché di Dio in modo degno, anzi è già indegno che lo si sia detto.

Togli alla gelosia l'errore e il dolore, cos'altro resterà se non il desiderio di preservare la castità e di punire la colpa del coniuge?

Quale altra parola se non " gelosia " di Dio, potrebbe meglio rendere l'idea del legame coniugale con Dio cui siamo chiamati e che egli disapprova la perversione di un nostro rapporto peccaminoso, e punisce la nostra impudicizia, mentre approva la castità?

Non è senza motivo che si dice volgarmente: Chi non prova gelosia non ama.

13.3 - Un analogo ragionamento ben s'addice all'espressione fuoco divoratore di cui però non devo discutere.

Piuttosto potrei chiedere ai Manichei stessi, quale fuoco il Signore disse di essere venuto a portare in questo mondo.

È quanto si dice nel Vangelo, che essi non possono di certo mettere in discussione, non perché rispettino Cristo, ma per abbindolare i Cristiani.

Quando viene loro ricordato che il Signore ha detto: Sono venuto a portare il fuoco in questo mondo, ( Lc 12,49 ) gli sventurati obiettano che è un'altra cosa.

Noi replichiamo allora: non vi preoccupate, anche questa è un'altra cosa.

È infatti Cristo stesso che anche parla nell'Antico Testamento quando dice: Io sono un fuoco divoratore, ( Dt 4,24; Dt 9,3 ) come è anche lui stesso ad affermare nel Vangelo di essere venuto a portare il fuoco in questo mondo, cioè la Parola di Dio, vale a dire se stesso.

Ad ogni modo dopo la risurrezione egli spiegò ai discepoli il senso delle antiche Scritture, a cominciare da Mosè e da tutti i Profeti, ed allora i discepoli stessi ammisero di avere ricevuto un fuoco e si dissero: Non ci ardeva forse il cuore dentro durante il cammino, mentre ci spiegava le Scritture? ( Lc 24,32 )

Egli è veramente un fuoco divoratore: l'amore divino infatti consuma la vecchia vita e rinnova l'uomo; ed è perché Dio è un fuoco divoratore che noi lo amiamo, mentre è perché egli è geloso che ama noi.

Non temete dunque il fuoco che Dio è, ma temete piuttosto il fuoco che Dio ha preparato per gli eretici.

13.4 - In quanto al passo che Adimanto ha tratto dal Vangelo per proporlo agli inesperti come contrario a questo della Legge, là dove il Signore dice: Nessuno è buono se non Dio solo, ( Mc 10,18 ) chi sarebbe in grado di enumerare quante volte nell'Antico Testamento ci si imbatte in passi relativi alla bontà di Dio?

Tuttavia io ne menziono uno solo che si canta ogni giorno in Chiesa: Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia. ( Sal 118,1.29 )

Certo anche questo, come i Manichei ritengono, sembra essere contrario all'idea di un Dio geloso e tuttavia è un canto dell'Antico Testamento.

Similmente quel re che, celebrando le nozze del figlio, trovò tra i commensali un uomo privo dell'abito nuziale e dopo averlo prima apostrofato col nome d'amico, ordinò poi di gettarlo fuori nelle tenebre, legato mani e piedi: ( Mt 22,2-13 ) a chi comprende malamente egli non sembra buono.

Se qualcuno portasse ad esempio questo passo del Vangelo, così come fa Adimanto coll'Antico Testamento, in modo da criticare maliziosamente il Vangelo stesso, elogiando piuttosto i libri dell'Antico Testamento, dove si trova scritto: Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia, e rimproverando al Nuovo che un commensale, per giunta invitato, sia condannato ad un supplizio così grande a causa del vestito; se in modo incessante, con ingannevole perfidia, si adoperasse per raccogliere dall'Antico Testamento tutti i passi relativi alla bontà di Dio e dal Nuovo quelli relativi alla sua severità, contestando che sono in contrasto tra loro, lodando l'Antico Testamento e censurando il Nuovo, potrebbe ugualmente trovare degli inesperti e malamente versati nelle Sacre Scritture e persuaderli che bisogna accettare l'Antico piuttosto che il Nuovo Testamento.

D'altra parte è ciò che fanno anche i Manichei respingendo l'Antico Testamento come se fosse in contrasto col Nuovo.

Io mi stupisco che non riescano pensare che qualcuno una buona volta li possa leggere entrambi e lodarli perché con l'aiuto di Dio li ha capiti; e che si rammarichi per la loro fraudolenta malvagità, come propria di esseri umani, o la eviti come tipica di eretici, o la schernisca come espressione di ignoranti e superbi.

Indice

1 Cicero, p. Q. Lig.