La Trinità

Indice

Libro V

8.10 - Un'essenza, tre Persone

I Greci usano anche la parola ύπόστασις, ma ignoro che differenza pongano tra ούσία e ύπόστασις, e la maggior parte di coloro che fra noi trattano di queste cose, in greco dicono abitualmente: μίαν ούσίαν, τρείς ύποστάσεις, in latino: unam essentiam, tres substantias.

9. Ma poiché presso di noi il linguaggio parlato ha fatto sì che la parola essenza significhi la stessa cosa che la parola sostanza, non osiamo dire: "un'essenza, tre sostanze", ma: "un'essenza o sostanza e tre persone".

Di questa formula molti latini che hanno trattato di queste questioni e meritano credito hanno fatto uso, non trovando un'espressione più appropriata per esprimere con parole ciò che concepivano senza parole.

In effetti, poiché il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, e lo Spirito Santo, che è anche chiamato dono di Dio, ( At 8,20; Gv 4,10 ) non è né il Padre né il Figlio, sono tre evidentemente, per questo la Scrittura dice al plurale: Io e il Padre siamo una sola cosa. ( Gv 10,30 )

Non disse infatti: "è una sola cosa", come pretendono i Sabelliani,12 ma: siamo una sola cosa.

Tuttavia se si chiede che cosa sono questi Tre, dobbiamo riconoscere l'insufficienza estrema dell'umano linguaggio.

Certo si risponde: "tre persone", ma più per non restare senza dir nulla, che per esprimere quella realtà.

10.11 - In Dio non ci sono tre grandezze, né tre grandi

Dunque, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, né tre grandi.

Infatti nelle cose che sono grandi per partecipazione alla grandezza e per le quali essere ed essere grandi non è la stessa cosa, come: una grande casa, una grande montagna, un grande spirito; in queste cose altro è la grandezza, altro ciò che la grandezza rende grande; una grande casa non è evidentemente la grandezza.

Ma la vera grandezza è quella che non solo rende grande una casa che è grande, grande ogni montagna che è grande, ma quella che fa grande tutto ciò che è grande, in modo che una cosa sia la grandezza, un'altra ciò che per essa riceve l'attributo di grande.

Questa grandezza è grande originariamente e molto superiore a ciò che è grande perché ad essa partecipa.

Dio non è grande di una grandezza che sia altra cosa che Lui stesso, come se Dio ad essa partecipasse per essere grande.

Altrimenti quella grandezza sarebbe più grande di Dio, mentre non c'è nulla che sia più grande di Dio.

Perciò Egli è grande di quella grandezza che fa di Lui la stessa grandezza.

Perciò, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, perché per Dio essere è la stessa cosa che essere grande.

Per la stessa ragione non diciamo tre grandi, ma un solo grande, perché Dio non è grande per la partecipazione alla grandezza, ma è grande perché è Lui stesso grande, dato che egli è la sua stessa grandezza.

Altrettanto si deve dire della bontà, dell'eternità, dell'onnipotenza, di tutti i predicamenti che si possono applicare a Dio e che abbiano significato assoluto e si applichino in senso proprio, non figurato e metaforico; ammesso però che la bocca dell'uomo possa dire di Lui qualcosa in senso proprio.

11.12 - Gli attributi relativi nella Trinità

Invece le attribuzioni fatte in senso proprio a ogni singola persona della Trinità non riguardano aspetti assoluti, ma concernono le relazioni delle Persone tra loro o con le creature, e perciò si predicano in senso relativo, non in senso sostanziale.

Nel senso in cui la Trinità si dice un solo Dio, grande, buono, eterno, onnipotente, nel senso in cui Dio può dirsi la sua stessa deità, la sua stessa grandezza, la sua stessa Trinità, la sua stessa onnipotenza, non può invece la Trinità dirsi Padre se non forse in senso traslato, rispetto alle creature a motivo della filiazione adottiva.

Infatti il testo biblico: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è l'unico Signore, ( Dt 6,4 ) non deve intendersi escludendo il Figlio e lo Spirito Santo.

E questo unico Signore nostro Dio lo chiamiamo giustamente anche nostro Padre, ( Mt 6,9 ) in quanto ci rigenera con la sua grazia.

Al contrario la Trinità non si può chiamare Figlio in alcun modo. ( 1 Pt 1,3 )

Quanto a Spirito Santo è un'espressione che si può prendere in senso generale, come nella Scrittura: Dio è Spirito, ( Gv 4,24 ) perché anche il Padre è Spirito, anche il Figlio è Spirito, come pure anche il Padre è santo, anche il Figlio è santo.

Perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, poiché sono un Dio solo, e Dio è santo e Dio è Spirito, si possono chiamare Trinità e Spirito Santo.13

Ma tuttavia lo Spirito Santo, non nel senso della Trinità ma di una persona della Trinità, quando si chiama Spirito Santo per distinguerlo dalle altre Persone, si intende relativamente, riferendolo al Padre e al Figlio, perché lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio. ( Mt 10,20; Gal 4,6 )

La relazione stessa però non appare in questo nome, appare invece nell'appellativo dono di Dio. ( At 8,20; Gv 4,10 )

Infatti è un dono sia del Padre che del Figlio, perché procede dal Padre, ( Gv 15,26 ) come dice il Signore, e ciò che afferma l'Apostolo: Chi non ha lo Spirito di Cristo, non è di lui, ( Rm 8,9 ) concerne certamente lo Spirito Santo.

Così quando diciamo: "dono del donatore", e: "donatore del dono", usiamo l'una e l'altra espressione in senso reciprocamente relativo.

Lo Spirito Santo è dunque una specie di ineffabile comunione tra il Padre ed il Figlio, e forse è chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al Padre e al Figlio.

Infatti per lui è nome proprio quello che per gli altri è nome comune, perché anche il Padre è spirito, e spirito è anche il Figlio, anche il Padre è santo e santo anche il Figlio.

Affinché dunque una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama Spirito Santo il dono di entrambi.

Ecco la Trinità, Dio unico e solo, buono, grande, eterno, onnipotente: Lui stesso la sua unità, la sua divinità, la sua grandezza, la sua bontà, la sua eternità, la sua onnipotenza.

12.13 - Per esprimere la relazione mutua talvolta manca il vocabolo correlativo

Non c'è da sorprendersi che lo Spirito Santo, non inteso come la stessa Trinità, ma in senso relativo come una persona della Trinità, non abbia il suo vocabolo correlativo.

Noi infatti diciamo servo del padrone e padrone del servo, figlio del padre e padre del figlio, perché questi sono termini correlativi.

Ma in questo caso non possiamo esprimerci così.

Diciamo infatti Spirito Santo del Padre, ( Mt 10,20 ) ma non in senso inverso Padre dello Spirito Santo, perché non si creda che lo Spirito Santo è figlio di Lui.

Così pure diciamo Spirito Santo del Figlio, ( Gal 4,6 ) ma non diciamo Figlio dello Spirito Santo, affinché non si consideri lo Spirito Santo padre di lui.

In molti relativi accade di non trovare alcun termine che esprima il legame reciproco delle realtà relative.

C'è per caso un termine più chiaramente relativo di pegno?

Un pegno si riferisce evidentemente alla cosa di cui è pegno, e il pegno è sempre pegno di qualche cosa.

Ora se noi diciamo pegno del Padre e del Figlio, ( 2 Cor 1,22; 2 Cor 5,5; Ef 1,14 ) possiamo anche dire inversamente Padre del pegno e Figlio del pegno?

Altrettanto quando diciamo del Padre e del Figlio, certo non possiamo dire Padre del dono e Figlio del dono, ma perché vi sia una corrispondenza reciproca diciamo dono del donatore e donatore del dono; in questo caso infatti si può trovare un'espressione corrente; nell'altro caso, no.

13.14 - Senso relativo del termine "principio" applicato alla Trinità

Dunque il Padre è chiamato così in senso relativo, pure in senso relativo è chiamato principio o forse con un altro nome.

Ma lo si chiama Padre in relazione al Figlio, principio invece in rapporto a tutto ciò che da lui proviene.

Come pure il Figlio si chiama così in senso relativo ed in senso relativo si chiama Verbo o Immagine.

Tutti questi termini implicano relazione al Padre, perciò nessuno di essi si applica al Padre.

Il Figlio si chiama anche principio.

Infatti alla domanda: Tu chi sei? rispose: Il principio, io che parlo a voi. ( Gv 8,25 )

Ma è per caso il principio del Padre? Evidentemente dicendo di essere principio ha voluto rivelarsi quale Creatore, proprio come principio delle creature è il Padre, in quanto tutte le creature da Lui ricevono l'essere.

Creatore dice relazione alla creatura, come padrone a servo.

Così quando noi chiamiamo il Padre principio, ( Ap 1,8; Ap 21,6 ) e principio il Figlio, ( Gv 8,25 ) non intendiamo dire che vi siano due principi della creazione, perché il Padre e il Figlio in ordine alla creazione sono insieme un solo principio, un Creatore unico ( Sir 1,8 ) ed un Dio unico.

Ma se tutto ciò che rimanendo in se stesso genera o fa qualcosa è principio per quella cosa che genera o fa, non possiamo negare che sia esatto chiamare principio anche lo Spirito Santo, in quanto non gli rifiutiamo l'appellativo di Creatore e la Scrittura afferma di lui che opera, ( 1 Cor 12,11 ) ed opera rimanendo in se stesso: egli infatti non si trasforma e converte14 in alcuna delle cose che opera.

Osserva quali sono le cose che opera: La manifestazione dello Spirito Santo, dice la Scrittura, è data a ciascuno per l'utilità comune.

Infatti dallo Spirito ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede nel medesimo Spirito Santo; ad un altro il dono delle guarigioni, nell'unico Spirito; ad uno il dono di operare miracoli, ad un altro la profezia; ad uno il discernimento degli spiriti; ad un altro le diversità delle lingue; ad un altro l'interpretazione delle lingue.

Ora tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole, ( 1 Cor 12,7-11 ) cioè come Dio vuole, perché chi è capace di operare tante meraviglie, se non Dio?

È uno stesso Dio che opera tutto in tutti. ( 1 Cor 12,6 )

Del resto se ci si interroga sullo Spirito Santo singolarmente, rispondiamo con tutta verità che è Dio e un solo Dio,15 con il Padre e il Figlio.

Perciò in rapporto alla creatura Dio è considerato un principio unico, non due o tre princìpi.

14.15 - Il Padre e il Figlio principio dello Spirito Santo

Nella mutua relazione all'interno della Trinità, se chi genera è principio in rapporto a ciò che egli genera, il Padre è principio in rapporto al Figlio, perché lo genera.

Ma non è questione di poco conto chiarire se il Padre sia principio ugualmente in rapporto allo Spirito Santo, perché la Scrittura dice dello Spirito Santo: Procede dal Padre. ( Gv 15,26 )

Se infatti lo è, il Padre non è più soltanto principio di ciò che genera o fa, ma anche di ciò che Egli dà.

E qui si trova un po' di luce sulla questione che suole preoccupare molti, cioè: perché anche lo Spirito Santo non è figlio, dato che anch'egli esce dal Padre, come si legge nel Vangelo? ( Gv 15,26 )

Certo egli esce dal Padre, ma come dono, non come nato e perciò non si chiama figlio perché né è nato come l'Unigenito, né è stato fatto, come noi, per nascere in virtù della grazia quali figli adottivi. ( Gal 4,5; Ef 1,5; Rm 8,15.23; Gv 1,12 )

Ciò che è nato dal Padre dice relazione, secondo l'espressione "Figlio", solo al Padre e perciò si tratta del Figlio del Padre e non anche nostro. ( Gv 7,39; Rm 5,5 )

Ma ciò che è stato dato, dice relazione a Colui che ha dato e a coloro ai quali l'ha dato.

Per questo lo Spirito Santo è detto non soltanto Spirito del Padre e del Figlio, che lo hanno dato, ma anche nostro, perché lo abbiamo ricevuto. ( 1 Cor 2,12 )

Altrettanto la salvezza si dice: Salvezza del Signore, ( Sal 3,9 ) per indicare Lui, e: salvezza nostra, ( Rm 13,11 ) per indicare noi che la riceviamo.

Lo Spirito è dunque Spirito di Dio, perché lo ha dato, e nostro perché lo abbiamo ricevuto.

Ma non si tratta dello spirito che è fonte della nostra esistenza, spirito proprio all'uomo ( 1 Cor 2,11-14; Gen 1,2 ) ed a lui immanente, ma quello Spirito è nostro in altra maniera, nel senso in cui diciamo anche: Dacci il pane nostro. ( Mt 6,11; Lc 11,3 )

È vero che abbiamo ricevuto anche quello spirito, considerato come proprio dell'uomo: Che hai, dice l'Apostolo, che non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Ma una cosa è ciò che abbiamo ricevuto per farci essere, un'altra ciò che abbiamo ricevuto per farci essere santi.

Perciò di Giovanni la Scrittura ha detto che doveva venire nello spirito e nella forza di Elia. ( Lc 1,17 )

È detto lo spirito di Elia, cioè si tratta dello Spirito Santo che Elia ricevette.

In questo stesso senso si deve intendere ciò che a proposito di Mosè dice il Signore: Prenderò dello spirito che è sopra di te e lo metterò su di loro. ( Nm 11,17 )

Cioè darò ad essi dello Spirito Santo che ho già dato a te.

Dunque, se ciò che è dato ha come principio Colui che lo dà, perché questi non ha ricevuto da altri ciò che procede da Lui, bisogna ammettere che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo, non due princìpi; come il Padre ed il Figlio sono un solo Dio e nei riguardi della creazione un solo Creatore ed un solo Signore, così riguardo allo Spirito Santo sono un solo principio, e in rapporto alle creature il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo principio, come sono un solo Creatore ed un solo Signore.

15.16 - Lo Spirito Santo era dono anche prima di essere dato?

Ma, per penetrare più in profondità ci si chiede se, come il Figlio deve alla sua nascita non solo di essere Figlio, ma di essere semplicemente, così lo Spirito Santo debba al fatto di essere dato non soltanto l'essere dono, ma l'essere semplicemente, e se di conseguenza fosse prima di essere dato, ma senza essere dono, oppure se per il fatto stesso che Dio l'avrebbe dato, fosse già dono prima di essere dato.

Ma se non procede che quando è dato e non procederebbe certo prima che esista qualcuno al quale darlo, come poteva egli esistere sostanzialmente, se non a condizione di essere dato, come il Figlio deve alla sua nascita non solo l'essere figlio, appellativo che appartiene all'ordine della relazione, ma l'essere sostanzialmente?

O forse lo Spirito Santo procede sempre e non nel tempo, ma dall'eternità?

Ma allora, poiché procedeva per essere dato, era già dono, prima che esistesse qualcuno al quale darlo? ( Gv 15,26 )

Infatti una cosa si intende quando si dice "dono", un'altra quando si dice "donato".

Perché vi può essere un dono anche prima che sia stato donato, ma non si può parlare assolutamente di "donato", senza che il dono sia stato effettivamente fatto. ( Gv 7,39; Rm 5,5 )

16.17 - Gli attributi divini improntati al tempo non sono accidentali, suppongono la mutazione nelle creature, non in Dio

Né deve creare difficoltà il fatto che, pur essendo lo Spirito Santo coeterno al Padre e al Figlio, gli si attribuisce qualche appellativo legato al tempo, come appunto quello di "donato". ( At 9,20; Gv 4,10; Gv 7,39; Rm 5,5 )

Infatti lo Spirito è eternamente dono, ma temporalmente donato.

Se uno non si chiama padrone che dal momento in cui ha un servo, anche questa denominazione relativa di signore è applicata a Dio sul piano del tempo; infatti la creatura di cui Dio è Signore non è eterna.

Allora come proveremo che nemmeno questi relativi sono degli accidenti, in quanto nulla di temporale può esistere in Dio, che non è mutevole, come l'abbiamo dimostrato all'inizio di questa discussione?

Ebbene Dio non è eternamente Signore, altrimenti saremmo obbligati ad ammettere anche l'eternità della creatura, perché Egli non dominerebbe eternamente, se questa eternamente non lo servisse; come non c'è servo senza padrone, così non c'è padrone senza servo.

Qualcuno potrà dire che senza dubbio Dio solo è eterno, che i tempi invece non sono eterni per la loro instabilità e mutevolezza; ma i tempi non hanno cominciato nel tempo ( perché non c'era tempo prima che cominciassero i tempi; di conseguenza non è accaduto nel tempo a Dio di essere signore, perché era Signore dei tempi, che certamente non hanno cominciato nel tempo ).

Ma che risponderà questi a proposito dell'uomo? L'uomo infatti è stato creato nel tempo e Dio non era evidentemente suo Signore prima che esistesse appunto l'uomo di cui Dio fosse il Signore.

Certamente che Dio sia il Signore dell'uomo, gli è accaduto nel tempo e, per chiudere, sembra, ogni controversia, è accaduto a Dio nel tempo di essere tuo Signore o mio, perché noi esistiamo da poco.

Ma se anche questo, a causa dell'oscurità del problema dell'anima, appare incerto, che dire di Dio come Signore del popolo di Israele?

Supponendo anche che la realtà dell'anima esistesse già, anima che quel popolo possedeva - lasciamo da parte per il momento questa questione - certo quel popolo non esisteva ancora e si sa in quale momento ha incominciato ad esistere.

Infine è accaduto nel tempo a Dio di essere Signore di questo albero e di questa messe, che hanno cominciato ad esistere da poco.

Perché, sebbene la materia stessa esistesse già, una cosa è essere signore della materia, un'altra essere signore della materia formata.

Anche l'uomo d'altra parte è proprietario del legno in un determinato momento, ed in un altro momento è proprietario dell'armadio, sebbene questo sia stato fabbricato con quel legno e così acquista un attributo che non aveva quand'era solamente padrone del legno.

Come proveremo dunque che nulla di accidentale si predica di Dio?

Soltanto affermando che la sua natura sfugge a tutto ciò che potrebbe modificarla, mentre gli accidenti relativi sono quelli che implicano una mutazione nella cosa della quale si predicano.

Così amico è una denominazione relativa.

Non si incomincia ad essere amici, se non quando si incomincia ad amare; si produce dunque una mutazione della volontà, perché si possa parlare di amico.

Ma una moneta dice relazione quando la si chiama prezzo; questa moneta però non è cambiata diventando prezzo; nemmeno muta quando viene chiamata pegno o qualche altra cosa di simile.

Ebbene se una moneta senza mutare in alcun modo può assumere tante volte una denominazione relativa, senza che, ricevendola o perdendola, il suo essere o la sua forma di moneta sia modificata, con quanta maggiore facilità dobbiamo ammettere, nei riguardi della immutabile sostanza di Dio, che essa possa ricevere una denominazione relativa alla creazione senza con questo intendere che vi sia stata qualche mutazione nella sostanza di Dio, ma invece nella creatura che è il termine di questa relazione?

La Scrittura dice: Signore, tu sei divenuto il nostro rifugio. ( Sal 90,1 )

Il Signore è detto nostro rifugio in senso relativo; infatti si riferisce a noi e Dio diviene nostro rifugio, quando ci rifugiamo in lui.

Ma si produce allora nel suo essere qualcosa che non c'era prima che ci rifugiassimo in lui?

È in noi dunque che avviene un cambiamento: infatti eravamo peggiori prima che ci rifugiassimo in lui, e rifugiandoci in lui diventiamo migliori, ma in lui non avviene alcun cambiamento.

Così egli comincia ad essere nostro Padre quando siamo rigenerati per mezzo della sua grazia, perché ci ha dato il potere di divenire figli di Dio. ( Gal 4,5; Ef 1,5; Rm 8,15.23 )

Il nostro essere si cambia dunque in meglio, quando diventiamo suoi figli; nello stesso tempo anche lui comincia ad essere nostro Padre, ma senza alcuna modificazione del suo essere.

Gli appellativi di origine temporale che si applicano a Dio e che prima non si predicavano in lui, hanno chiaramente un senso relativo, ma non indicano degli accidenti in Dio come se qualche cosa gli accadesse, ma indicano gli accidenti dell'essere in rapporto al quale Dio riceve un nome relativo nuovo.

Ancora, per il fatto che l'amico di Dio ( Gdt 8,22; Gc 2,23 ) comincia ad essere giusto, muta.

Ma quanto a Dio non sogniamoci neppure di pensare che egli ami qualcuno nel tempo, quasi si trattasse di un amore nuovo che in lui prima non c'era; in lui per il quale il passato non passa ed il futuro esiste già.

Perché tutti i suoi santi li ha amati prima della creazione del mondo, ( Gv 17,24; Ef 1,4 ) come li ha anche predestinati, ma quando si convertono e lo incontrano, si dice che cominciano ad essere amati da lui, per parlare in modo accessibile alla nostra comprensione.

Allo stesso modo quando si dice che è irritato con i cattivi e amabile con i buoni, sono essi che cambiano, non lui.

Egli è come la luce: insopportabile agli occhi malati, gradevole ai sani.

Ma sono gli occhi che cambiano, non la luce.

Indice

12 Eusebio da Vercelli, Trin. 4, 34-37
13 Ambrogio, De Spir. Sancto 3, 18;
De fide 2, 12
14 Cicerone, De orat. 3, 45, 177
15 Gv 4,26;
Tomus Damasi, Anath. 24-25